DOTTORATO DI RICERCA in Lingue, Letterature e Culture Comparate (indirizzo Lingua, Letteratura e Filologia: Prospettive Interculturali) XXVI ciclo Coordinatore Prof.ssa Lucia Bruschi Borghese MONSTRUM, PRODIGIUM, PORTENTUM Nascite mostruose nella Street Literature dell’Inghilterra della prima età moderna Settore Scientifico Disciplinare: L-LIN/10 – Letteratura Inglese Dottorando Tutore Dott. Luca Baratta Prof.ssa Donatella Pallotti Coordinatore Prof.ssa Lucia Bruschi Borghese Anni 2011/2014 Ad Alessandro, la mia forza e la mia pace. A Roberto, perché oggi sarebbe orgoglioso di me. Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee incrociate del decumano e del cardo orientale l’una come il corso del sole e l’altra come l’asse attorno a cui ruotano i cieli, divisero la mappa secondo le dodici case dello zodiaco in modo che ogni tempio e quartiere ricevesse il giusto influsso delle costellazioni opportune, fissarono il punto delle mura in cui aprire le porte prevedendo che ognuna inquadrasse un’eclisse di luna nei prossimi mille anni. Perinzia – assicurarono – avrebbe rispecchiato l’armonia del firmamento; la ragione della natura e la grazia degli dei avrebbe dato forma ai destini degli abitanti. Seguendo con esattezza i calcoli degli astronomi, Perinzia fu edificata; genti diverse vennero a popolarla; la prima generazione dei nati a Perinzia prese a crescere tra le sue mura; e questi alla loro volta raggiunsero l’età di sposarsi e avere figli. Nelle vie di Perinzia oggi incontri storpi, nani, gobbi, obesi, donne con la barba. Ma il peggio non si vede; urli gutturali si levano dalle cantine e dai granai, dove le famiglie nascondono i figli con tre teste o sei gambe. Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che tutti i loro calcoli sono sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o rivelare che l’ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri. Italo Calvino, Le città invisibili, 1983. SOMMARIO PREFAZIONE 1 INTRODUZIONE Beyond the Border(s) 5 CAPITOLO PRIMO You’re off the Edge of the Map, Mate. Here there be Monsters: l’Oriente ‘mostruoso’ dall’antichità alla fine del Medioevo 33 1.1 A Land of Fabulous Wealth in Gold and Silver, Exotic Fruits, and Natural Wonders: l’India e le sue bizzarre creature nella letteratura classica 38 1.2 An Enlightened Interlude: mostri e onnipotenza divina nelle parole dei primi autori cristiani 53 1.3 The Marvels of the East, ovvero le mirabili corrispondenze 60 1.4 I compare this Work with the Dark Sea: un intermezzo mostruoso 64 1.5 I, Presbyter Johannes, the Lord of Lords, surpass all under Heaven in Virtue, in Riches, and in Power: la lettera di un imperscrutabile sovrano 67 1.6 Things brought to Venerable hearing in Leisure Hours: i grandi enciclopedisti del XIII secolo 74 1.7 I asked and searched at lenght, but I found nothing: a caccia di mostri orientali nella letteratura di viaggio dei secoli XIII e XIV 93 CAPITOLO SECONDO We should marvel not at the Exception, but the Rule: i mostri in Europa dal XIII al XVI secolo, un dilemma epistemologico tra filosofia e medicina 111 2.1 Look more closely, consider the Circumstances, propose Causes, and you will not wonder at the Effects: istruzioni per porre fine alla meraviglia 116 2.2 To whatever Thing we first turn our Eyes, it is a Wonder and full of Wonders, if only we examine it for a Little: soluzioni per riabilitare la meraviglia 125 CAPITOLO TERZO Rather than a Wonder, they appear the Common Course of Nature: nascite mostruose tra orrore e curiosità, un modello d’indagine per la prima età moderna 131 3.1 God doth send them as Presages and Forewarnings of Sorrowfull Adventures, Motions, Brutes, Troubles and Commotions to come: i mostri e l’orrore 138 3.2 It was a Strange Sight to me, I confess, and what pleased me Mightily: i mostri e la curiosità 152 INTERMEZZO When they were close had a Monsterous Shape, when opened, sodenly thei shewid as Godes: un ‘elogio’ della mostruosità CAPITOLO QUARTO Let this Monster them teach to mend the Monstrous Life they show: i mostri nella propaganda religiosa dell’Inghilterra riformata 179 4.1 The Poor Church of God is like a Woman with Child near her Travail: la lunga strada per l’affermazione del Protestantesimo 186 4.2 And Monster shewes the Sea of Sinne: quando tutta l’umanità è colpevole 192 4.3 No Carver can, nor Paynter maye the same so Ougly make as doeth it self shewe at this Daye: quando ogni parola è indicibile 199 4.4 This Monstrous Shape to thee, England, playn shewes thy Monstrous Vice: quando l’allegoria è inevitabile 207 CAPITOLO QUINTO When Gods owne Fingers shall crush the Loynes in the Womb: i mostri come strumento di controllo sociale della donna 229 5.1 He was begotten of some Common Woman, who had given hir self indifferently to all Comers: i mostri come segno della lussuria femminile 240 5.2 It’s as if Nature would upbraide our Pride in Artificiall Braverie by producing Monsters in the same Attires: i mostri come segno della vanità femminile 249 5.3 Homelesse Wayfarynge Women can onlie bring forth but Horribly Disfigured Children: i mostri come segno dell’estraneità femminile al corpo sociale 262 CAPITOLO SESTO Borne to the Amazement of all those that were Spectators: il ‘teatro’ dei mostri 281 6.1 They are shewed that they may shew the Special Handy-Worke of God: la ‘sacra rappresentazione’ del mostruoso 285 6.2 Th’Italian Monster Pregnant with his Brother: Lazzaro e Giovan Battista Colloredo, fratelli inseparabili 301 6.3 The Hairy Maid who played well on the Harpsichord: l’arte malinconica di Barbara Urslerin 326 CAPITOLO SETTIMO Before God sends any Plague to a Nation, he first gives them a Warning: nascite mostruose dalla prima guerra civile alla restaurazione 341 7.1 A Monstrous Regiment of Women: i mostri come stigmatizzazione del dissenso religioso delle donne 352 7.2 A wonder as well to be seen, as heard: neonati che parlano in favore del re 383 CAPITOLO OTTAVO At lenght it dy’d, and was convey’d for Chyurgeons to dissect: ‘medicina mostruosa’ e nuova scienza nella seconda metà del XVII secolo 397 8.1 A Narrative of Monstrous Births, together with the Anatomical Observations: nascite mostruose nei resoconti delle Philosophical Transactions 405 8.2 And what Report thereof had said, they found it in Effect: dissections e relations di nascite mostruose nella letteratura di strada 409 CONCLUSIONI Within the Border(s) APPENDICE ICONOGRAFICA Just as you see the Figure here printed: mostri, parole, immagini 433 STRUMENTI / 1 A Brief Relation of Several Monstrous Births which happened heretofore in this our Nation: un elenco delle nascite mostruose in Inghilterra dal 1550 al 1715 491 STRUMENTI / 2 A Compilation must be made of all Prodigious Births of Nature: piccolo dizionario illustrato delle ‘razze mostruose’ esotiche 499 BIBLIOGRAFIA 515 1. Opere primarie: nascite mostruose nella street literature e nei resoconti medici (in ordine cronologico, 1550-1715) 517 2. Altre opere primarie 526 3. Studi critici 549 PREFAZIONE I knew how it is for widow to be turned witch in the common mind, and the first cause generally is that she meddles somehow in medicinals. We had had a witch scare in the village when I was but a girl, and the one who had stood accused, Mem Gowdie, was the cunning woman to whom all looked for remedies and poultices and help with confinements. It had been a cruel year of scant harvest, and many women miscarried. When one strange pair of twins was stillborn, fused together at the breastbone, many had begun muttering of Devilment, and their eyes turned to Widow Gowdie, clamouring upon her as a witch. Geraldine Brooks, Year of Wonders. A Novel of the Plague, 2001. * * * * Il mio primo incontro con i ‘mostri’ di cui tratto in questa ricerca risale ad alcuni anni fa, quando lavoravo alla mia tesi di laurea sulle Lancashire Witches. In quel periodo, non facevo che leggere pamphlet e atti di processi per stregoneria, eppure, per i meccanismi misteriosi e sorprendenti del caso, la scoperta delle nascite mostruose non è avvenuta nell’ambito dei miei studi, ma nel mondo ‘fantastico’ di un romanzo. Nel suo Year of Wonders. A Novel of the Plague (2001), Geraldine Brooks narrava in poche righe la vicenda di Mem Gowdie, erborista e levatrice che, nel 1666, aveva offerto i suoi servigi a una donna del villaggio di Eyam, aiutandola a partorire. In un anno caratterizzato da grandi catastrofi naturali (l’inverno rigido, il raccolto magro, la terribile peste), la donna aveva dato alla luce una coppia di gemelli siamesi, uniti allo sterno. L’episodio aveva provocato scalpore nel piccolo villaggio, e i suoi abitanti, nel tentativo di dare una spiegazione al prodigioso evento, avevano infine accusato la ‘midwife’ di stregoneria. L’autrice del romanzo affermava di essersi ispirata a documenti d’epoca: la mia curiosità sulle ‘nascite mostruose’ – e sulla loro potente intromissione negli equilibri di una comunità – era stata risvegliata. Ora che quel momento aurorale mi appare così lontano, sento il desiderio di esprimere la mia riconoscenza alle persone che mi hanno accompagnato in questo cammino, e che hanno contribuito – ognuno nel proprio modo speciale – al lavoro di questi anni. Ringraziare i propri familiari per l’amore gratuito che solo loro sono capaci di manifestare è più difficile di quanto si possa immaginare. Non esistono parole per esprimere la vastità, la profondità e la potenza del legame tra figlio e genitori, tra fratello e sorella. Grazie, dunque, con la parola più semplice e più sincera, a mio padre Ettore, a mia madre Anna, a mia sorella Margherita. E grazie a mamma Piera e papà Silvio, perché se è straordinario avere due genitori che ti amano, l’emozione che si prova ad averne quattro non si può descrivere. Grazie alla prof.ssa Donatella Pallotti, per la stima e per l’affetto che mi ha sempre dimostrato, per la curiosità che mi ha trasmesso nei dieci anni trascorsi, dal primo esame di letteratura inglese, fino ad oggi, alle ultime correzioni di queste pagine. Grazie per la cura dedicata al mio lavoro, con i suoi consigli profondi e 3 puntuali, per i bonari ‘rimproveri’ alla mia anima barocca, e per le passeggiate di ritorno a San Frediano. Grazie anche alla prof.ssa Dinora Corsi, per la pazienza delle sue letture, per la fiducia che sempre ha saputo infondere, per i libri che mi danno la buonanotte, per le mattonelle che parlano, per il sorridere, sorridere, sorridere sempre. Grazie al mio ‘babbuzzo’ Fiorenzo, per l’umorismo contagioso, per le parole giuste sempre al momento giusto, per la vicinanza, per l’appoggio costante al suo ‘figghiuzzo’. Grazie a Serena, per il momento in cui ci siamo scelti come coinquilini, sulla soglia di casa Santa Monaca, per lo zerbino ‘ricco bello e single’, per i pois che ci circondano. Per l’amicizia bella e discreta. E vai così. E che ‘mondo’ sarebbe stato senza le mie adorate ‘fanciulle’? Per me sarebbe stato senz’altro ‘un mondo senza meraviglie’. Grazie a Linda, Samuela e Manuela per l’amicizia speciale che mi hanno regalato sin dal primo giorno di università insieme, per quei sorrisi che hanno scaldato il mio cuore nei momenti di solitudine, per la sincerità con cui abbiamo condiviso le esperienze più importanti. Last but not least grazie ad Alessandro, per i suoi occhi scuri e intensi dentro i quali vorrei sperdermi di continuo per sentirmi amato e protetto, per il riparo che mi offre durante le tempeste della quotidianità, per i ‘duemila’ viaggi tra la Toscana e la Sardegna – e quelli infiniti alla volta delle mie Eolie – per il senso che dà a tutto ciò che mi circonda. 4 INTRODUZIONE Beyond the Border(s) Definitions spawn plurality in the very act of attempting to herd meaning inside consensual boundaries. Definitions mean to fence in, to fix, and to stabilize. But they often end up being fluid, in a destabilized state of ongoing formation, deformation, and reformation that serves the changing needs of the moment. They reflect the standpoint of their makers. They emerge out of the spatio/temporal context of their production. They serve different needs and interests. They accomplish different kinds of cultural work. They change dramatically over time and through space. Definitions wear the mask of synchronic abstraction, but they are always subject to diachronic histories and spatial geographies of continuity, change, and difference. Susan Friedman Stanford, Definitional Excursions, 2001. Monsters violate the borders between man and beast or human and divin, but they are also a way of talking about the rejected or repulsive Other. Monsters disturb a shared sense of decorum, order and taste. They are grotesque, distorted, ugly, bestial, and horrifying. The fascinate and repel. They are said to link bodily deformity to moral or political evils. And, above all, monsters offer a way of thinking about the world . Joan B. Landes, Revolutionary Anatomies, 2004. * * * * Nel 1715, a Darken, nell’Essex, una certa Sarah Smith, al termine di un lungo e penoso travaglio, dava finalmente alla luce una creatura orribilmente deforme, e poco dopo moriva per le fatiche del parto. La vicenda era narrata all’interno di un pamphlet anonimo, pubblicato a Londra quello stesso anno, in cui si riportava anche il sermone pronunciato dal pastore della comunità in occasione del funerale della donna. Con parole grevi, il ministro riassumeva l’evento, connettendo direttamente la morte prematura della giovane alle colpe commesse in vita: «in a Word, she was, as it were, a Monster in Nature, and as she acted a Monster, so she died of a Monster».1 La nascita del figlio deforme era cioè direttamente messa in relazione con lo stile di vita dissoluto della madre, ed era interpretata come una punizione divina per il suo degrado morale. Come vedremo nel corso della ricerca, questa lettura moralizzante fu un dato culturale diffuso (anche se non univocamente accolto) nella mentalità europea del XVI e XVII secolo. L’aspetto su cui credo valga la pena porre fin da subito l’attenzione è proprio la scelta linguistica operata dal religioso, che definiva il figlio malformato di Sarah Smith come ‘monster’: egli si serviva, in tal modo, del termine che era consueto, per indicare i bambini nati con malformazioni congenite, nel periodo che mi accingo ad indagare (1550-1715). Sottolineare fin da subito i significati di questa e delle altre parole che costituiranno una frequente terminologia di questo studio mi sembra operazione preliminare fondamentale, sulla ‘soglia’ del lavoro: come segnalava Jacques Le Goff, infatti, «nelle scienze storiche, è per noi necessario confrontare il vocabolario di cui ci serviamo con il vocabolario delle società storiche che studiamo».2 Con questa consapevolezza, disegnerò ora una piccola ‘costellazione’ di parole-chiave, nell’intento di chiarire il quadro teorico all’interno del quale è stata concepita questa ricerca. 1 Anonymous, The Miracle of the Miracles being a Full and True Account of Sarah Smith who lately was an Inhabitant of Darken Parish in Essex, that brought to Bed of a Strange Monster, [London?, 1715?], p. 6 [il luogo e la data di edizione sono integrati dall’English Short Title Catalogue della British Library, cfr. http://estc.bl.uk/]. 2 Jacques Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, a cura di Francesco Maiello, traduzione italiana di Michele Sampaolo, Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 5 (Le merveilleux dans l’Occident médiéval, in Mohammed Arkoun et al. (éd.), L’Etrange et le Merveilleux dans l’Islam médiéval (Colloque organisé per l’Association pour l’Avancement des Etudes Islamique, Paris 1974), Paris, S.a, 1978, pp. 61-79). Il saggio è stato ampliato per l’edizione italiana. 7 * * * La prima parola da ‘illuminare’ è, come è ovvio, proprio ‘mostro’, con i suoi vocaboli affini. Tra tutti, questo sarà il termine a cui, nel corso di questa introduzione, dedicherò un’analisi più approfondita: è, infatti, indispensabile porre in luce le sfumature di senso assunte dalla parola ‘mostro’ nel corso dei secoli, al variare della temperie culturale, religiosa e ideologica, per arrivare al periodo storico che sarà il preciso oggetto di questa ricerca. Non si tratta, tuttavia, di redigere una storia completa del concetto di ‘mostruoso’, quanto di segnalare, attraverso degli esempi, i momenti salienti di un’evoluzione. Questi momenti, selezionati tra le voci particolarmente rappresentative delle varie epoche, non dovranno essere intesi come fasi rigidamente distinte da barriere cronologiche, ma piuttosto come prime manifestazioni di atteggiamenti culturali persistenti che si susseguono, si sorpassano, ritornano, talvolta si intrecciano e non mancano di coesistere.3 Il primo autore che fornì un punto di vista argomentato sul significato del ‘mostro’ fu Aristotele, il quale, nel volume dedicato alla Riproduzione degli animali (anni ’40 del IV secolo a.C.), definiva la deformità non come evento soprannaturale, ma come rarità all’interno della consuetudine naturale: «il mostro appartiene alla categoria dei prodotti che non rassomigliano ai loro genitori […], dei fenomeni contrari alla natura, alla natura considerata non nella sua costanza assoluta, ma nel suo corso ordinario».4 Questa breve riflessione non faceva parte di un discorso sistematico sul tema che intendo qui approfondire: non era altro che un cenno all’interno di un più ampio ragionamento sulla dissimiglianza tra figlio e genitore. 3 Il rapido excursus che segue è debitore dello studio di Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, a cura di Franco Cardini, traduzione italiana di Maria C. Cardini, Firenze, Sansoni, 1983 (Monstres, démons et merveilles à la fin du Moyen Âge, Paris, Payot, 1980), specialmente del capitolo 6, ‘Il concetto di mostro’, pp. 181-220. L’autrice ha identificato tre ‘punti di vista significativi’ in relazione al senso della parola ‘mostro’: genetico, teologico ed estetico (definito anche ‘esemplificativo’ o ‘normativo’). Lo schema interpretativo qui proposto, pur tenendo conto dello studio di Kappler come punto di partenza, cercherà di chiarire ulteriormente una materia così vasta e complessa. Per un approfondimento dell’argomento, si segnalano John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981, in particolare il capitolo 6, ‘Signs of God’s Will’, pp. 108-130 e Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, soprattutto il capitolo 1, ‘Definitions’, pp. 3-29. Il problema relativo alla necessità di chiarire con più accuratezza il concetto di ‘mostro’ è affrontato anche da Asa S. Mittman, ‘Introduction: The Impact of Monsters and Monster Studies’, in Asa S. Mittman, Peter J. Dendle (eds), The Ashgate Research Companion to Monsters and the Monstrous, foreword by John Block Friedman, Farnham-Burlington, Ashgate, 2012, pp. 1-14.4 Aristotele, Opere. Vol. 5: Parti degli animali – Riproduzione degli animali, traduzione italiana di Mario Vegetti e Diego Lanza, Roma-Bari, Laterza, 1973, IV, 4, p. 121. 8 Per il filosofo greco, l’ideale della generazione equivaleva al riprodursi in modo identico, cioè al generare un figlio maschio in tutto e per tutto uguale al padre, mentre ogni differenza dal modello genitoriale poteva essere considerata ‘mostruosa’. La prima tappa della ‘degenerazione’ consisteva nella formazione di un essere femminile anziché maschile. Per spiegare questa posizione sarà opportuno ricordare che Aristotele vedeva in atto nella natura una forza generativa maschile e una materia passiva e femminile: «se il principio maschile riesce a domare la Materia, l’attira a sé e produce un embrione di sesso maschile; se invece è vinto, o si trasforma nel suo contrario [cioè in un embrione di sesso femminile] o viene distrutto».5 La generazione di una figlia rappresentava pertanto una ‘mostruosità’ relativa, indispensabile alla prosecuzione della specie. È chiaro quindi che, nell’universo aristotelico, la ‘mostruosità’ definita per differenza poteva avere diverse gradazioni e comprendere anomalie di vario genere, alcune perfino necessarie. E le cause di queste ‘deviazioni’ erano descritte sempre in maniera scientifica (o parascientifica), senza alcun ricorso a forze soprannaturali: «i mostri si manifestano quando il seme è rappreso in se stesso oppure rimescolato alla sua fuoriuscita dal maschio o nel successivo fondersi entro il ventre della femmina».6 Un analogo sforzo era messo in atto per spiegare l’occorrenza di deformità fisiche: gli arti in sovrannumero, ad esempio, erano attribuiti alla sovrabbondanza di seme.7 In conclusione, per Aristotele, come sottolinea Claude Kappler, la natura […] non lascia niente al caso, non fa niente senza uno scopo preciso, non commette mai errori neanche quando certi suoi prodotti non risultano rispondenti alla norma […]: essa ha le sue abitudini, che consideriamo norma, ma le eccezioni alle 5 Ibid., IV, 1, p. 111. Questo atteggiamento eziologico sopravvivrà nei secoli e sarà ripreso, ad esempio, da Benedetto Varchi: «Quasi mostri si chiamano le femmine e tutti quei figliuoli che non somigliano i padri loro; perciocché sebbene la donna è della medesima specie dell’uomo, come dice Aristotile, è nondimeno dissimile al generante, desiderando ciascuno di generare cosa somigliante a sé, e conseguentemente sempre maschio e non mai femmina» (Della generazione de’ mostri, in Benedetto Varchi, Opere, 4 voll., Milano, Nicolò Bettoni, 1834, vol. I, p. 150). 6 Aristotele, Problemi, testo greco a fronte, a cura di Maria F. Ferrini, Milano, Bompiani, 2002, X, 61, p. 215. 7 Come sottolineava Aristotele, ancora nella Riproduzione degli animali, «ogniqualvolta nei feti si deponga più materiale di quello che la natura richiede, il risultato è […] che l’embrione ha alcune membra più grandi delle altre» (Opere. Vol. 5: Parti degli animali – Riproduzione degli animali, IV, 4, p. 125). 9 quali – per comodità di linguaggio e commettendo quasi un abuso – diamo il nome di ‘mostri’, non possono nella maniera più assoluta rimettere in discussione l’ordine universale.8 Fu la cultura divinatoria latina a inaugurare una nuova chiave di lettura del ‘mostro’, riscontrando in esso una spaccatura dell’equilibrio naturale attraverso la quale gettare lo sguardo sugli eventi futuri. I ‘mostri’ furono oggetto d’indagine nel De divinatione (44 a.C.), operetta dialogica che Cicerone (106-43 a.C.) dedicò specificamente al tema dell’aruspicina. Qui prese le mosse l’indagine etimologica della parola mostro e dei suoi affini: Gli etruschi […] acquistarono una grandissima perizia nell’interpretare i prodigi. Il cui significato […] è dimostrato dalle parole stesse foggiate sapientemente dai nostri antenati: poiché fanno vedere (ostendunt), prognosticano (portendunt), mostrano (monstrant), predicono (praedicunt), vengono chiamati apparizioni miracolose (ostenta), portenti (portenta), mostri (monstra), prodigi (prodigia).9 Come si evince da questo passo, il termine ‘mostro’ veniva connesso con il verbo monstrare, e così i suoi sinonimi, che legavano un evento meraviglioso del presente a un qualche sconvolgimento futuro, per lo più funesto. Questa lettura del concetto di mostro, che potremmo definire ‘divinatoria’, avrà fortuna tanto ampia da essere ripresa nel corso di tutta la latinità sino al suo tramonto. Infatti, ancora secondo i lessici di Marco C. Frontone (prima metà del II secolo d.C.), Sesto P. Festo (seconda metà del II secolo d.C.) e Nonio Marcello (IV secolo d.C.), pur nelle diverse sottigliezze semantiche, monstrum è sempre ciò che monstrat e monet.10 Un cambio di rotta nel viaggio semantico della parola ‘mostro’ si deve ai primi autori cristiani, che lo ricondussero all’interno della compagine naturale, armonizzando in qualche modo i due filoni ereditati dall’età antica: quello di Aristotele che, leggendo nel ‘mostro’ una occorrenza rara, manteneva intatta l’unità 8 Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, p. 183. 9 Marco T. Cicerone, Della divinazione, testo latino a fronte, introduzione, traduzione e note di Sebastiano Timpanaro, Milano, Garzanti, 1988, I, 93, p. 75.10 Marco C. Frontone, De Differentiis Vocabulorum, in AA.VV., Grammatici Latini, ex recensione Henrici Keilii, 8 volls., Leipzig, Teubner, 1855-1880, VII, p. 520; Sesto P. Festo, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, edidit Wallace M. Lindsay, Leipzig, Teubner, 1913, p. 125; Nonio Marcello, De Differentia Similium Significationum, in Id., De compendiosa doctrina libros XX, edidit Wallace M. Lindsay, 3 volls., Leipzig, Teubner, 1903, III, pp. 701-702. 10 della natura, e quello di Cicerone che invece intravvedeva in esso un segno del cielo. Per Agostino (354-430) la deformità fisica cessava di essere una sbavatura del creato ed era ricondotta all’interno della sua complessiva bellezza e armonia: questi fatti che in apparenza avvengono contro natura e comunemente si dice che avvengono contro natura […] e sono chiamati monstra, ostenta, portenta e prodigia, devono mostrare, indicare, anticipare e predire questo: che nessuna legge di natura proibisce e nessuna difficoltà impedisce a Dio di fare quanto ha preannunciato che farà.11 In questa riunificazione dello sguardo sul cosmo compiuto da Agostino, il ‘mostro’ diventava segno della limitatezza della comprensione umana: il mostruoso è tale solo perché non ne comprendiamo il ruolo all’interno di quella grandiosa opera d’arte che è la creazione: se un uomo ha la vista talmente corta che, su un suolo di mosaico, non abbraccia con lo sguardo null’altro che il disegno di una sola tessera, egli accuserà l’operaio d’ignorare l’ordine e la composizione […]. Non è diverso da ciò che accade agli uomini senza cultura: non potendo […] abbracciare e comprendere l’adattamento reciproco e il concerto degli esseri dell’universo, essi immaginano, quando qualcosa li turba, che regni un grande disordine nella natura.12 Nel mondo teologicamente riunificato, il ‘mostro’ cessava di apparire accidente e si tramutava nel segno insolito di una verità superiore. Non era mai contro natura, giacché quest’ultima e Dio coincidevano, e perfino la prefigurazione, il sogno e il miracolo rientravano nell’organicità dell’universo. Si saldò così un’ideologia del mostruoso che rimase pressoché inalterata per tutto il Medioevo, sospeso tra la consapevolezza del caos e la volontà di ricomporlo: il Medioevo, infatti, è diviso tra l’esigenza di spiegare il ‘disordine’ che il mostro rappresenta e il bisogno di credere al postulato secondo il quale la natura, in quanto 11 Sant’Agostino, La città di Dio, 2 voll., a cura di Domenico Marafioti, Milano, Mondadori, 2011, II, XXI, 8, 5, p. 1309.12 Sant’Agostino, L’ordine, I, I, in Dialoghi I. La controversia accademica, La felicità, L’ordine, I soliloqui, L’immortalità dell’anima, introduzione, traduzione e note a cura di Domenico Gentili, Roma, Città Nuova, 1970, pp. 249-251. 11 opera di Dio, non può essere se non perfetta e quindi disposta secondo un ordine che niente può turbare. Bisogna dunque credere ad Aristotele – secondo il quale il mostro si integra in un ordine naturale superiore a quello da noi percepito – e a Sant’Agostino, per cui il mostro fa parte del disegno divino e in quanto elemento di diversità contribuisce alla bellezza dell’universo.13 Questa è la postura intellettuale che sopravviveva ancora agli inizi del XIII secolo, se lo Pseudo-Tommaso di Cantimpré continuava a ribadire l’inscindibile legame tra il mostro e il divino: «Dio non ha creato invano / niente senza un motivo».14 Per quanto misterioso possa apparire, il mostro è sempre una manifestazione della volontà di Dio, di cui egli solo detiene l’imperscrutabile segreto: «e certamente non può saperlo / nessun uomo vivente, all’infuori di Dio / e della natura, ed è tanto sottile / che nessuno potrebbe comprenderlo».15 Ma questa incomprensibilità del segno divino era troppo ardua da accettare, persino per i più ferventi sostenitori della potenza ultraterrena. Frequente fu, perciò, la tendenza a tradurre l’inspiegabile in un arcano da decifrare, talvolta come punizione di colpe passate, in altri casi come ammonimento per il presente o prefigurazione di eventi futuri. Sempre lo Pseudo-Tommaso di Cantimpré, ad esempio, scriveva che il mostro poteva essere «la più dura vendetta / che Dio vuole mostrare a tutti».16 Come si comprende da questi versi, ci siamo riavvicinati all’idea latina del monstrum come prodigium, cioè come segno che deve essere fatto oggetto di divinazione. Ciononostante, il Medioevo arricchì questi vocaboli, esplorandoli alla luce del suo intenso lavoro teologico. Per un’epoca in cui tutto era allegoria di qualcosa, anche il mostro e il prodigio dovevano possedere un significato nascosto, ed era compito dell’essere umano decrittarlo. Accadde così che, in ogni fase dell’epoca medievale, e 13 Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, p. 216. 14 Pseudo-Tommaso di Cantimprè, in Alfons Hilka (hrsg.), ‘Eine altfranzösische moralisirende Bearbeitung des Liber de Monstruosis Hominibus Orientis aus Thomas von Cantimpré, De natura rerum’, Abhandlungen der Gesellschaft der Wissenshaften zu Göttingen: Philosophische-Historische Klasse 7, Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, 1933, pp. 1-73, vv. 12-14 [questa e le altre traduzioni italiane da quest’opera sono di chi scrive]. L’opera a cui si fa qui riferimento non è il De natura rerum di Tommaso di Cantimpré, di cui parlerò nel capitolo primo, ma una sua versione francese moralizzata e in rima. L’anonimo autore è un monaco di scarsissima cultura: «nella sua opera, oltre al testo latino di Tommaso, da lui tradotto, troviamo le briciole del banchetto che i suoi confratelli più ‘dotati’ potevano imbandire in campo intellettuale […] e queste briciole rappresentano senz’altro alla perfezione le concezioni maggiormente diffuse all’epoca» (Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, p. 196). 15 Ibid., vv. 1224-1227. 16 Pseudo-Tommaso di Cantirprè in Alfons Hilka (hrsg.), ‘Eine altfranzösische moralisirende Bearbeitung des Liber de Monstruosis Hominibus Orientis aus Thomas von Cantimpré, De natura rerum’, vv. 1232-1233. 12 soprattutto al suo declinare, così come agli inizi dell’età moderna, il ‘mostro’, in un mondo fatto di segni, tornò ad essere simbolo. Nel 1495, Sebastian Brant, in un foglio volante dedicato ad una nascita ‘mostruosa’, ne fornì una precisa interpretazione politica. L’evento si era verificato nella città di Worms, dove avevano visto la luce due gemelli siamesi, saldati l’uno all’altro per la fronte. Il poemetto del pubblicista imperiale cominciava sottolineando che Dio ha imposto alla natura un andamento che essa deve seguire fedelmente: il Creatore non abbandona facilmente il corso ordinario delle cose, ma lo rispetta, tranne nel caso in cui voglia annunciare qualcosa di nascosto e di molto importante. I versi proseguivano ricordando numerosi prodigi dell’antichità – soprattutto romana – ed esponendo il loro significato, per passare infine ai mostri manifestatisi di recente. In quest’ultima parte del foglio volante, che è quella che ci riguarda più da vicino, Brant contrapponeva il mostro di Worms con un’altra nascita ‘mostruosa’ avvenuta secoli prima, e dava di entrambe una lettura teologica con sfumature politiche. Al tempo di Ottone III, era nato, infatti, un bambino bicefalo, dipinto dal libellista tedesco come immagine del frazionamento dell’impero: «Ottone, frazionando i beni dell’impero tra i principi / ne divise il corpo: in questo modo ha distrutto l’impero». 17 Nell’anno stesso in cui Brant scriveva, l’imperatore Massimiliano II convocava invece a Worms tutti i principi elettori «per discutere sulla salvezza / loro e della testa dell’impero», ricostituendo in tal modo l’unità perduta.18 In questo secondo caso, per manifestare la sua approvazione proprio nella città in cui tale pace era stata siglata, Dio inviò un parto mostruoso che simboleggiasse la riunificazione. Particolarmente significativo è che, pur trattandosi di due gemelli, Brant adoperasse il singolare per indicare la ‘creatura’: per lui c’era un bambino soltanto – come uno soltanto doveva essere l’impero – dal momento che i due corpi dipendevano da un’unica mente: «io penso che in questa testa vi siano un unico cervello e un solo intelletto e credo sinceramente che Dio intenda inaugurare il tempo in cui il regno sarà unificato e la spada spirituale e la spada temporale saranno ugualmente riunite sotto una testa sola».19 Con questi toni il polemista manifestava il sogno di vedere unificati il potere temporale e quello spirituale, e la speranza che tutti, non soltanto l’imperatore ma anche i principi elettori, perseverassero nella fedeltà, 17 Sebastian Brant, Flugblätter, herausgegeben von Paul Heitz, mit 25 Abbildungen, Strassburg, Heitz und Mündel, 1915, pp. 17-18 [questa e le altre traduzioni da quest’opera sono di chi scrive]. 18 Ibid. 19 Ibid. 13 ottenendone in premio la prosperità. In caso contrario, la ribellione avrebbe meritato d’essere punita con castighi pari alla gravità della colpa: «chi ha orecchie ascolti e sia prudente / Dio ci mostrerà opere meravigliose».20 Con questo poemetto, Sebastian Brant inaugurava dunque l’era dell’interpretazione politica delle nascite mostruose. Sessant’anni più tardi, l’umanista alsaziano Konrad Wolffhart Lykosthenes, nella lettera dedicatoria del suo Chronicon (1557), esponeva invece con chiarezza l’idea del ‘mostro’ come segno tangibile della collera divina: Noi non condanniamo le spiegazioni naturali […]. Sappiamo tuttavia che la natura è il ministro di Dio sia nelle questioni favorevoli che in quelle sfavorevoli, e che attraverso il suo intervento aiuta le persone pie e punisce quelle empie, secondo le loro diverse condizioni […]. È impossibile negare che un mostro è un maestoso segno della collera e della maledizione divine.21 Lykosthenes quindi non negava che molti mostri e portenti avessero spiegazioni naturali, ma spostava l’accento su un’interpretazione del ‘mostruoso’ come punizione divina, leggendolo in tal modo come segno del decadimento morale del proprio tempo. Questo mutamento di accenti rifletteva la cultura e la società della Riforma, lacerate dalle rivalità tra le diverse confessioni e dalle guerre che ne seguirono. Gli autori della metà del Cinquecento, soprattutto quelli protestanti, tendevano, infatti, a situare la comparsa sempre più frequente di mostri e altri prodigi in una cornice escatologica, come segni di una imminente fine del mondo.22 Infine, per concludere questa breve panoramica sul significato della parola ‘mostro’, e sulla sua evoluzione attraverso i secoli, prenderò in esame il trattato Des monstres et prodiges (1573) del medico francese Ambroise Paré, una delle figure più discusse del XVI secolo. Questa scelta nasce non soltanto dall’importanza che l’opera rivestì per i contemporanei, ma discende anche dalla considerazione della sua anima 20 Ibid. 21 Konrad Wolffhart Lykosthenes, Lettera dedicatoria, in Id., Prodigiorum ac ostentorum Chronicon: quae praeter naturae ordinem, motum, et operationem, et in superioribus et his inferioribus mundi regionibus, ab exordio mundi usque ad haec nostra tempora, acciderunt, H. Petri, Basilea, 1557, s. p. 22 Cfr. Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, 1150-1750, New York, Zone Books, 1998, pp. 183-189 (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, traduzione italiana di Michelangelo Ferraro e Barbara Valotti, Roma, Carocci, 2000). Si veda anche Robin B. Barnes, Prophecy and Crisis. Apocalypticism in the Wake of the Lutheran Reformation, Stanford, Stanford University Press, 1988. 14 enciclopedica, che raccoglie e sintetizza tutte le prospettive d’analisi qui sopra rapidamente descritte. Il trattato si apriva con una prefazione nella quale l’autore ritenne opportuno dare la seguente definizione di ‘mostro’: i mostri sono creature che appaiono manifestamente al di fuori di ogni consueto procedere della Natura e il più delle volte sono segni premonitori di una qualche disgrazia imminente. Tali sono ad esempio un bambino nato con un braccio solo o un altro con due teste o altre membra variamente malformate.23 Qui, nel giro di poche righe, appaiono fusi il principio aristotelico del mostruoso come naturale inconsueto e quello divinatorio che vi intravede una premonizione. In questa ambivalenza si incarnava lo spirito del libro, che proponeva al lettore un’iniziale impostazione eziologica con ambizioni scientifiche e successivamente evolveva in un catalogo di meraviglie dal sapore medievale. Sebbene, infatti, tale aspetto fantastico si esplicitasse maggiormente nella parte finale, già nel primo capitolo, dedicato all’elencazione delle cause che si riteneva originassero i mostri, l’autore non sfuggiva alla tentazione di mescolare il suo bagaglio di nozioni mediche e osservazioni empiriche con la fascinazione dell’occulto e dell’irrazionale: Esistono svariate cause che danno origine ai mostri. La prima è la gloria di Dio. La seconda è la sua ira. La terza una sovrabbondanza di seme. La quarta una quantità insufficiente di esso. La quinta, l’immaginazione. La sesta l’ipotrofia, ovvero le dimensioni ridotte dell’utero. La settima, il modo scorretto in cui sta seduta la madre, per esempio quando, incinta, resta troppo tempo a sedere con le gambe accavallate o raccolte contro il ventre. L’ottava, a causa di una caduta o per colpi inferti sul ventre della donna incinta. La nona, malattie ereditarie o accidentali. La decima, la putrefazione o corruzione del seme. L’undicesima, la commistione o la mescolanza di seme. La dodicesima, l’inganno di cattivi pezzenti. La tredicesima sono i demoni o diavoli.24 Nel sovrapporsi di cause scientifiche (o parascientifiche) e soprannaturali, non è privo di significato il fatto che l’elenco si aprisse sul divino e si chiudesse sul demoniaco, dall’alto al basso, come a voler racchiudere il mondo sensibile tra due entità 23 Ambroise Paré, Mostri e prodigi, a cura di Massimo Ciavolella, Roma, Salerno, 1996, p. 25 (Des monstres et prodiges, édition critique et commentée par Jean Céard, Genève, Droz, 1971). 24 Ibid., p. 27. 15 inafferrabili, affermando così che, nell’ordine della natura, vi sono di necessità meccanismi «beyond the borders» della nostra comprensione. 25 * * * Il secondo lemma di questo ‘vocabolario introduttivo’ riguarda il concetto di ‘legge di natura’. Nella precedente disamina delle sfumature semantiche della parola ‘mostro’ è emersa sovente da parte degli autori la percezione del ‘monster’ come rottura dell’equilibrio naturale. È importante chiarire che il corpo ‘mostruoso’ non era percepito (almeno fino al XVII secolo inoltrato) come ‘anormale’, ma come ‘non consueto’. Non si tratta di una differenza meramente linguistica poiché la contrapposizione di significati segnala un’idea di ordine naturale completamente differente: i ‘monsters’ (così come tutti gli altri eventi inspiegabili e prodigiosi) costituivano una momentanea rottura dell’ordinario corso della natura, e tale corso ordinario – anche quando definito ‘norma’, ‘regola’, ‘legge’ – non era mai inteso come rigidità normativa, ma come frequenza consuetudinaria. L’idea d’immutabilità delle norme naturali, oggi a noi familiare, cominciò a svilupparsi solo a partire dalla seconda metà del XVII secolo, con la Rivoluzione Scientifica. Prima di allora, infatti, sebbene capitasse di ricorrere alla parola lex in 25 Negli ultimi decenni, al tema del ‘mostruoso’ è stata dedicata una vastissima bibliografia. Si tratta per lo più di volumi collettanei, spesso frutto di convegni o progetti di ricerca, che affrontano temi differenti e solo molto raramente si occupano di ‘monstrous births’ nella prima età moderna. Tra i contributi più importanti, si vedano: Jeffrey J. Cohen (ed.), Monster Theory. Reading Culture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1996; David Williams, Deformed Discourse. The Function of the Monster in Mediaeval Thought and Literature, Exeter, University of Exeter Press, 1996; Peter G. Platt (ed.), Wonders, Marvels, and Monsters in Early Modern Culture, Newark, University of Delaware Press, 1999; Jones Timothy S., Sprunger David A. (eds), Marvels, Monsters and Miracles. Studies in the Medieval and Early Modern Imaginations, Kalamazoo, Western Michigan University Press, 2002; alcuni saggi di particolare interesse per questa ricerca sono contenuti in Joan B. Landes (eds), Monstrous Bodies / Political Monstrosities in Early Modern Europe, Ithaca-London, Cornell University Press, 2004. In anni più recenti hanno visto la luce opere che cercano di dare un quadro cronologico completo sul tema del ‘mostruoso’: Umberto Eco, nella sua Storia della bruttezza, ha per esempio offerto una panoramica delle varie manifestazioni del brutto (compresi i mostri di cui mi occupo in questo studio) dall’antichità classica ai giorni nostri (Storia della bruttezza, Milano, Bompiani, 2007); Asa S., Mittman e Peter J. Dendle hanno, invece, curato per la casa editrice inglese Ashgate un volume nel quale il tema del ‘mostruoso’ è studiato nei più diversi contesti spaziali e cronologici, ed emerge come una categoria fissa del pensiero umano (The Ashgate Research Companion to Monsters and the Monstrous, foreword by John Block Friedman, Farnham-Burlington, Ashgate, 2012). Si segnalano, infine, come importanti contributi italiani, Maria Teresa Chialant (a cura di), Incontrare i mostri. Variazioni sul tema nella letteratura e cultura inglese e angloamericana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002; Laura Di Michele, Luigi Gaffuri, Michela Nacci (a cura di), Interpretare la differenza, Napoli, Liguori, 2002; Laura Di Michele (a cura di), La politica e la poetica del mostruoso nella letteratura e nella cultura inglese e anglo-americana, Napoli, Liguori, 2002; Emanuela Ettorre, Rosalba Gasparro, Gabriella Micks (a cura di), Il corpo del mostro. Metamorfosi letterarie tra classicismo e modernità, Napoli, Liguori, 2002. 16 riferimento all’ordine naturale, essa era intesa come sinonimo di regula: il corso della natura non era concepito come inesorabile nelle sue azioni, ma piuttosto come regolare, scandito da abitudine (habitus), inclinazione (inclinatio) o intenzione (intentio); in questo universo consuetudinario rimaneva sempre possibile concepire l’eccezione.26 Esistevano circostanze e motivi per i quali tale consuetudine poteva essere violata, e tali circostanze attenevano quasi sempre alla volontà divina di comunicare con l’uomo tramite ‘segni’. Così si originava il ‘monster’ di cui scriveva l’autore di The Miracle of the Miracles, a proposito del figlio di Sarah Smith: un corpo carico di ‘significato divino’ che, lungi dal suscitare una qualche pietas o sentimento compassionevole, destava in primo luogo una reazione emotiva di rispettosa paura. La nascita fuori dalla norma consuetudinaria era dunque ‘mostruosa’ perché, ponendosi «beyond the borders» di una condivisa immagine di natura umana, parlava una lingua estranea. E nel turbolento contesto religioso, politico e sociale dell’Europa della prima età moderna questa lingua non poteva che essere la lingua di Dio. Nell’ambito della polemica tra Luteranesimo e Controriforma si diffuse, infatti, in tutto il continente europeo, un immaginario numinoso e apocalittico: nel contrapporsi delle fedi, si moltiplicò l’interesse (e la paura) per disastri ambientali, terremoti, tempeste, eclissi, inondazioni, eventi astrali inspiegabili, passaggi di comete, e – più in generale – fatti strani e prodigiosi che infrangevano momentaneamente l’ordinata ripetitività del cosmo; un vero e proprio ‘canone dei prodigi’ (nel quale le nascite di ‘mostri’ costituivano un tassello immancabile), che segnalava la profonda inquietudine spirituale, il timore per l’ira divina alimentata dai predicatori degli schieramenti contrapposti, l’angoscia per l’avvicinarsi del giudizio finale. In questo immaginario incupito dalla paura, non esisteva ‘norma’ naturale che non potesse essere violata.27 26 Sulla nascita del concetto di ‘norma naturale’, e sul pensiero classico e medievale riguardo alle leggi che sovrintendono il cosmo, si vedano Robert McQueen Grant, Miracle and Nature Law in Graeco- Roman and Early Christian Thought, Amsterdam, North-Holland, 1952; John R. Milton, ‘The Origin and Development of the Concept of the Laws of Nature’, Archives of European Sociology, 22, 1981, pp. 173-195; Jane E. Ruby, ‘The Origins of Scientific Law’, Journal of the History of Ideas, 47, 1986, pp. 341-359.27 Nella vasta letteratura critica sull’immaginario ‘prodigioso’ tra Riforma e Controriforma si segnalano qui alcuni studi che si sono rivelati particolarmente utili per questa ricerca: Marie-Thérèse Jones-Davies (éd.), Monstres et Prodiges au temps de la Renaissance, Paris, Jean Touzot, 1980; Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987; María José Vega, Mostri e prodigi all’epoca della Riforma, traduzione italiana di Samanta Martelli, illustrazioni di 17 * * * È importante, a questo punto, precisare che il ‘monster’ di cui ho discusso fino ad ora – e che costituì per tutta la prima età moderna un elemento imprescindibile nel ‘canone dei prodigi’ europeo – era l’essere umano deforme nato in un contesto noto e geograficamente vicino. Nel corso di questa ricerca emergerà, tuttavia, anche l’esistenza di un’altra idea di ‘mostruoso’, nella quale la deformità non era percepita come evento accidentale all’interno della propria comunità, ma come caratteristica comune di popoli interi, collocati in un orizzonte spaziale lontano. Si svilupparono, infatti, fin dagli albori della civiltà occidentale, narrazioni in cui intere ‘razze mostruose’ esotiche popolavano le ignote lande «beyond the borders» del mondo conosciuto. Questi territori, come se alla radicale alterità fisiologica dovesse accompagnarsi un’estrema alterità geografica, furono proiettati in una lontananza genericamente indicata come ‘India’ o ‘Oriente’.28 All’altezza cronologica che ci interessa (1550-1715), questa seconda concezione appare al tramonto – niente più che un fossile culturale – proveniente da tempi trascorsi, e ormai condannata all’estinzione dalla grande stagione delle scoperte geografiche. Ciò che è particolarmente interessante, tuttavia, è che in alcuni documenti del XVI secolo, che testimoniano una nascita deforme ‘domestica’, si percepisce con una certa chiarezza la resistenza di quelle arcaiche credenze: la nascita poteva essere intesa come una sorta di ‘invasione’, quasi che i mostri, un tempo lontani, avessero varcato il «border» e si fossero riversati entro i confini della civitas, del mondo civilizzato.29 Carolina Valcárcel, Roma, Salerno, 2008 (Los libros de prodigios en el Rinacimiento, Barcellona, Bellaterra, 2002). 28 In questo allontanamento del ‘mostruoso’, operato con la creazione di ‘razze esotiche’ abitanti le terre più estreme del mondo, si percepisce un meccanismo psicologico molto comune, che proietta le paure inconsce in luoghi geograficamente lontani; su questo tema, si veda Leslie A. Fiedler, Freaks. Myths and Images of the Secret Self, New York, Simon and Schuster, 1978, in particolare capitolo 9 (Freaks. Miti e immagini dell’io segreto, traduzione italiana di Ettore Capriolo, Milano, Il Saggiatore, 2009). Tale meccanismo – sottolineava lo studioso americano – sopravvive anche ai nostri giorni: «even in our time, we have not given up trying to persuade ourselves that monstrous races inhabit the remote places of this earth, rather than of our deep psyches. But we are running out of territory remote enough to qualify, except, perhaps, for the Himalayas, where giant hairies, repabtized yeti or Abominable Snowmen, are still reported from time to time» (p. 239). 29 È il caso, ad esempio, di un foglio volante del 1566, analizzato nel capitolo quarto (John Mellys, The True Description of Two Monsterous Children, laufully begotten betweene George Stevens and Margerie his Wyfe, and borne in the Parish of Swanburne in Buckynghamshyre the .IIII. of Aprill. Anno Domini. 1566. the Two Children hauing both their Belies fast ioyned together, and imbracing One and Other with their Armes: which Children wer both a Lyue by the Space of Half an Hower, and wer baptized, and named the One Iohn, and the Other Ioan, London, imprinted by Alexander Lacy for 18 Da un lato, dunque, vi erano singoli individui, in cui il carattere ‘mostruoso’ era rappresentato dalla loro comparsa eccezionale all’interno di una comunità, che affidava la propria saldezza e stabilità alla consuetudine (mostri come ‘prodigi individuali’); dall’altro, intere specie in cui il dato fisico deforme riguardava la totalità della popolazione, e la loro ‘mostruosità’ era tale solo in rapporto allo sguardo di un osservatore lontano (‘razze mostruose’ esotiche). Identificando queste due diverse ‘tradizioni’, in cui veniva catalogato il ‘mostruoso’ umano, Lorraine Daston e Katharine Park hanno affermato la necessità di operare a clear distinction between extraordinary individuals and marvelous species […]. Both continued to qualify as wonders because of their rarity, but they otherwise differed in almost every way. The latter was a permanent and regular (if rare or exotic) feature of the physical world, generated by natural causes, while the former was a unique, supernatural, and usually ephemeral creation, directly dependent on the will of God.30 La distinzione principale tra ‘prodigi individuali’, geograficamente vicini, e ‘razze mostruose’ orientali non stava tanto nella loro forma quanto nel loro significato. Formalmente, ad esempio, vi erano poche distinzioni tra un individuo ermafrodita nato in Occidente e gli Androgini, un’intera razza di esseri di sesso doppio, abitualmente collocata nelle lontananze asiatiche. Ciò che faceva la differenza era la diversa lettura all’interno dell’immaginario; le genie meravigliose spazialmente lontane potevano funzionare come allegoria, ed essere lette come forma di una più alta verità teologica o morale, mentre gli individui mostruosi nati nel proprio contesto non erano trattati come simboli ma come segni: «temporary deviations from the natural order, they were deliberate messages, fashioned by God to communicate his pleasure or (much more frequently) his displeasure with particular actions or situations».31 Queste due ‘tradizioni’ sul mostruoso convissero lungamente e parallelamente, con fortune diverse. Se, come vedremo, la tradizione del mostro come ‘prodigio individuale’ – interpretato come segno del disappunto divino – conobbe la sua più William Lewes dwelling in Cow Lane aboue Holborne cundit, ouer against the Signe of the Plough, [1566] [STC (2nd ed.), 17803]). 30 Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, pp. 48-49. 31 Ibid., p. 52. 19 forte diffusione nel clima cupo e di rigorismo nei costumi della Riforma, la tradizione delle ‘razze mostruose’ orientali poté godere di un’incondizionata attenzione per un’epoca vastissima che, a partire dallo storico greco Erodoto (V secolo a.C.), proseguì fino alla gloriosa stagione dei viaggiatori bassomedievali. Fu così che l’Oriente delle meraviglie si trasformò in un dato fisso della mentalità occidentale, dotato di un potere di sopravvivenza tanto forte da resistere all’età delle grandi esplorazioni oltreoceano e alla conseguente divulgazione e affermazione di più realistiche conoscenze sulle terre dislocate a est della Terrasanta e di Costantinopoli. Da questa constatazione dell’esistenza di due diverse ‘tradizioni’ sul mostruoso, è scaturito il bisogno di estendere a ritroso l’orizzonte cronologico e documentario della ricerca, per indagare l’origine di tale antico immaginario (l’India mirabilis dei greci e dei latini), le sue evoluzioni nel corso del tempo, la sua crisi e le sue persistenze nell’epoca nuova delle esplorazioni oltremare. Alla discussione di questa ‘tradizione’, delle sue dinamiche interne e del suo declino, è dedicata la prima parte della tesi. Credo che l’approfondimento di un aspetto così importante e persistente della storia culturale dell’Occidente fosse un passaggio indispensabile: non farlo avrebbe reso molto difficile intendere il senso profondo di tutti i ‘monsters’ che, nel corso del XVI e XVII secolo, affollarono i racconti della ‘letteratura di strada’ europea e – per quello che più direttamente attiene alla mia ricerca – inglese. * * * L’ultimo lemma di questo ‘dizionario preliminare’ riguarda i materiali su cui si basa il nucleo centrale della ricerca, ovvero i testi che si occuparono di nascite ‘mostruose umane all’interno della street literature. Questa grande categoria di fonti documentarie è costituita – secondo la sintetica definizione di Leslie Shepard – da «cheap ballad-sheets, pamphlets and other ephemera of the masses, which circulated from the dawn of printing right up to the end of the nineteenth century, as literature often more influential than books».32 La definizione di Shepard, focalizzata sui supporti materiali di questa letteratura e sul suo consumo effimero, più che su una netta definizione di contenuti e 32 Leslie Shepard, The History of Street Literature. The Story of Broadside Ballads, Chapbooks, Proclamations, News-Sheets, Election Bills, Tracts, Pamphlets, Cocks, Catchpennies, and other Ephemera, London, David and Charles-Newton Abbot, 1973, p. 13. 20 di pubblico implicito, mi pare molto adeguata per la sua misurata prudenza.33 Una definizione di street literature come letteratura esclusivamente ‘popolare’ sarebbe, infatti, oltre che rischiosa, non del tutto corretta. Non è questa la sede opportuna per affrontare le problematiche inerenti alla distinzione tra letteratura ‘colta’ e ‘popolare’: molti studi sono stati dedicati a questi due ambiti di produzione letteraria nel tentativo di delimitarne rigidamente le ‘readership’ o, al contrario, di sfumarne i confini.34 Su questo aspetto, una messa a punto di particolare rilievo è quella di Peter Burke. Secondo lo studioso, tra le due ipotetiche ‘readership’ esisteva, nella prima età moderna, una significativa asimmetria: There were two cultural traditions in early modern Europe, but they did not corrispond symmetrically to the two main social groups, the elite and the common people. The elite participated in the little tradition, but the common people did not participate in the great tradition. This asymmetry came about because the two 33 A Leslie Shepard si deve anche una sintetica definizione delle diverse varietà di supporti della Street Literature: «A broadside was a sheet printed on one side, and the text might be verse, prose, picture, or a mixture of all three. The term ‘broadsheet’ if often used as synonymous with ‘broadside’, but strictly speaking a broadsheet is either a large uncut sheet printed on both sides, or a pamphlet formed from one. Broadside ballads were sheets of verses, traditional or topical, usually decorated with a crude woodcut […]. In addition to broadsides of various kinds, there has been a torrent of pamphlet literature since printing began – news books, tracts of religious and political controversy, almanacs and chapbooks (‘cheap books’) […]. Almanacs were one of the most profitable types of cheap pamphlet or broadside [and] apart from the conventional enigmatic prognostications, they contained essential information on times and seasons, dates of festivals, holidays, country fairs, and other data needed by farmers and peasants […]. A chapbook was a sheet folder in four, eight, twelve, or sixteen, making a small uncut booklet of eight, sixteen, twenty-four, or thirty-two pages, thus described as 4to, 8vo, 12mo, 16mo as in normal book production» (The History of Street Literature, pp. 14, 23 e 25-26). 34 Si vedano, ad esempio, Margaret Spufford, Small Books and Pleasent Histories. Popular Fiction and its Readership, Cambridge, Cambridge University Press, 1981; Sandra Clark, The Elizabethan Pamphleteers. Popular Moralistic Pamphlets 1580-1640, London, The Athlone Press, 1983; Roger Chartier, ‘Culture as Appropriation. Popular Culture uses in Early Modern France’, in Steven Kaplan (ed.), Understanding Popular Culture. Europe from the Middle Ages to the Nineteenth Century, Berlin- New York-Amsterdam, Mouton, 1984, pp. 229-253; Barry Reay (ed.), Popular Culture in Seventeenth- Century England, London, Routledge, 1988; Tessa Watt, Cheap Print and Popular Piety, 1550-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1991; Tim Harris (ed.), Popular Culture in England, c. 15001850, Basingstoke-New York, Palgrave Macmillan, 1995; Barry Reay (ed.), Popular Cultures in England, 1550-1750, London, Longman, 1998; John Storey, Inventing Popular Culture. From Folklore to Globalization, Oxford, Blackwell, 2003; Stuart Gillespie, Neil Rhodes (eds), Shakespeare and the Elizabethan Popular Culture, London, Thomson Learning (The Arden Shakespeare), 2006; Matthew Dimmock, Andrew Hadfield (eds), Literature and Popular Culture in Early Modern England, Farnham-Burlington, Ashgate, 2009. Per una recente messa a punto dell’argomento, con sintesi del dibattito critico, cfr. Paola Pugliatti, ‘People and the Popular, Culture and the Cultural’, Journal of Early Mondern Studies, 2, 2013, pp. 19-42 (http://www.fupress.net/index.php/bsfm-jems). Si vedano anche gli altri saggi contenuti nel medesimo numero della rivista, ognuno dei quali affronta le problematiche relative a ‘popular/elite culture’ da prospettive diverse. 21 traditions were transmitted in different ways. The great tradition was transmitted formally at grammar schools and at universities. It was a closed tradition in the sense that people who had not attended these institutions, which were not open to all, were excluded. In a quite literal sense, they did not speak the language. The little tradition, on the other hand, was transmitted informally. It was open to all, like the church, the tavern and the market-place, were so many of the performances occurred.35 La street literature non sarebbe, dunque, da intendere come destinata unicamente a un pubblico popolare, ma «open to all». Per sfumare ulteriormente i confini fra le due «traditions» descritte da Burke, mi limiterò a segnalare che, almeno per quanto riguarda il tema in esame, si può riscontrare come le medesime nascite ‘mostruose’ fossero oggetto di narrazione sia nella street literature sia nella trattatistica colta coeva, segno di una possibile osmosi di contenuti dalla «little tradition» verso la «great tradition»; d’altra parte, nel corso di questa ricerca si incontreranno, all’interno di documenti classificabili come street literature, anche traduzioni di passi di Erasmo da Rotterdam (si veda l’intermezzo) e di Lutero (capitolo quarto), segno che la comunicazione tra le due «traditions» poteva, in alcune circostanze, funzionare anche in senso inverso.36 * * * Dopo avere messo a punto il ‘vocabolario interno’ del mio lavoro, rimangono da chiarire i motivi che mi hanno spinto a scegliere questo tema: i resoconti di nascite ‘mostruose’ umane nella street literature inglese del periodo 1550-1715. Come ho avuto già modo di segnalare, uno dei fenomeni culturali più rilevanti in Europa all’alba dell’età moderna fu lo svilupparsi – all’interno dello scontro religioso tra Riforma e Controriforma – di un immaginario apocalittico che può 35 Peter Burke, Popular Culture in Early Modern Europe, London, Temple Smith, 1978, p. 28 (Cultura popolare nell’Europa moderna, introduzione di Carlo Ginzburg, traduzione italiana di Federico Canobbio-Codelli, Milano, Mondadori, 1980). 36 A proposito del ruolo di ‘ponte culturale’ operato dalla letteratura di strada, Joy Wiltenburg ha sottolineato come «with the growth of printing, England […] developed a flourishing market for broadsides and pamphlets containing songs, jokes, news, and stories. Sold at markets or fairs, hawked in the streets of towns, or carried to the country by peddlers, these productions reached far wider audience than more sedate volumes of sustained discourse. […] Such works of popular entertainment, the least common denominator of public discourse, formed a bridge between oral and written culture» (Disorderly Women and Female Power in the Street Literature of Early Modern England and Germany, Charlottesville-London, The University Press of Virginia, 1992, p. 29). 22 definirsi ‘canone dei prodigi’. Specchio di questa vertiginosa crescita di attenzione per il soprannaturale fu una vera e propria proliferazione di prodigiorum libri, cataloghi di portenti, cronologie di fatti straordinari: anche solo limitandoci al contesto inglese, si pensi, ad esempio, a Certaine Secrete Wonders of Nature (1569) di Edward Fenton oppure a The Doome warning all Men to the Judgemente (1581) di Stephen Batman.37 Queste pubblicazioni erano spesso frutto di traduzioni o di rifacimenti di trattati continentali – come il Prodigiorum ac ostentorum Chronicon (1557) di Konrad Wolffhart Lykosthenes o Les Histoires prodigieus (1560) di Pierre Boaistuau – e si caratterizzavano per la medesima attenzione all’elemento meraviglioso, e a quel suo aspetto particolare che è il ‘mostruoso’, sia animale che umano.38 A queste vaste opere è stata dedicata, anche recentemente, una notevole attenzione critica, che ha posto in luce la loro fondamentale connessione con l’inquietudine religiosa degli anni in cui vennero prodotte.39 La stessa considerazione non è stata invece prestata alla presenza di ‘monstrous births’ all’interno della street literature. La letteratura di strada condivise con la grande trattatistica la curiosità e l’attenzione per il meraviglioso, e molte di queste pubblicazioni «open to all» furono dedicate a nascite ‘mostruose’ umane. Questi testi contribuirono quanto i grandi trattati ad alimentare il dibattito sul ‘mostruoso’ e, anzi, ne condizionarono ben più fortemente la percezione all’interno di un pubblico vasto e variegato.40 37 Edward Fenton, Certaine Secrete Wonders of Nature, containing a Description of Sundry Strange Things, seeming Monstrous in our Eyes and Judgement, bicause we are not Privie to the Reasons of them. Gathered out of Divers Learned Authors as well Greeke as Latine, Sacred and Prophane, imprinted at London, by Henry Bynneman dwelling in Knightrider streat, at the signe of the Mermaid, Anno. 1569 [STC (2nd ed.), 3164.5]; Stephen Batman, The Doome warning all Men to the Judgemente: wherein are contained for the most Parte all the Straunge Prodigies hapned in the Worlde, with Divers Secrete Figures of Revelations tending to Mannes stayed Conversion towardes God: in Maner of a Generall Chronicon, gathered out of Sundrie approved Authors, [London], imprinted by Ralphe Nubery assigned by Henry Bynneman. Cum priuilegio Regal, Anno Domini 1581 [STC (2nd ed.), 1582]. 38 Konrad Wolffhart Lykosthenes, Prodigiorum ac ostentorum Chronicon: quae praeter naturae ordinem, motum, et operationem, et in superioribus et his inferioribus mundi regionibus, ab exordio mundi usque ad haec nostra tempora, acciderunt, H. Petri, Basilea, 1557; Pierre Boaistuau, Histoires Prodigieuses les plus memorables qui ayent esté observées depuis la Nativité de Iesus Christ, iusques à nostre siècle: Extraictes de Plusieurs fameux Autheurs, Grecs, & Latins, sacrez & Prophanes: Mises en nostre langue par P. Boaistuau, surnommé Launay, natif de Bretaigne avec les pourtraictz & figures. Dediées à tres hault, et tres puissant Seigneur, Iehan de Rieux, Seigneur Dasserac, Paris, pour Vincent Sertenas, 1560. 39 Oltre alle opere già citate nella nota 27, si segnala qui l’ampia disamina di trattati sul mostruoso condotta da Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, 1150-1750, New York, Zone Books, 1998, pp. 173-214 (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, traduzione italiana di Michelangelo Ferraro e Barbara Valotti, Roma, Carocci, 2000). 40 Sulla vastità ed eterogeneità del pubblico della street literature si veda, ancora, Joy Wiltenburg, la quale evidenzia che «it is probably a mistake to look for a homogeneous audience for popular literature 23 Se, infatti, la grande trattatistica offriva sui ‘monsters’ uno sguardo ‘dall’alto’, caratterizzato da una prospettiva sistematica, enciclopedica, legata alla catalogazione di mostri mitici o ormai storicizzati, i documenti della street literature, con le loro caratteristiche di produzione e lettura veloce, proponevano invece un contatto diretto con eventi ‘reali’ (o asseriti tali) e contemporanei, e concorsero in maniera assai più profonda a condizionare l’immaginario collettivo. D’altra parte, e ben più delle opere d’ambito colto, questi testi subivano rapide mutazioni stilistiche, formali e tematiche, e costituiscono perciò un vero e proprio ‘termometro’ delle evoluzioni nei paradigmi culturali di una comunità.41 Nel corso dei quasi due secoli presi in esame, le nascite mostruose furono di volta in volta interpretate, strumentalizzate (in alcuni casi, come vedremo, completamente inventate) secondo le esigenze propagandistiche dei vari gruppi religiosi o politici, ispiratori dei documenti che ne danno testimonianza. L’intervallo di tempo preso in considerazione si apre nel 1552, anno al quale risale il primo documento che testimoni, in terra inglese, una nascita ‘mostruosa’ umana interpretata come segno della collera celeste, e si chiude nel 1715 con la vicenda di Sarah Smith di cui dicevo nelle righe iniziali di questo lavoro. Questo lungo periodo non è stato fino ad ora esaminato nella sua interezza, seppure non manchino studi dedicati a singoli casi e documenti. Un tentativo di prospettiva unitaria è stato offerto da Alan W. Bates (nella sua monografia Emblematic Monsters, 2005, dedicata all’intero contesto europeo), il quale però è rimasto legato ad un approccio prettamente medico, e ha preso in considerazione i documenti della street literature più come fonte documentaria di in [England]; different songs and pamphlets might appeal to different social groups, but the evidence suggests an overall audience distributed widely across the social scale. Given the variation of literacy with social status, the commercial aim of publishers, and the role of oral performance, one can distinguish two distinct, though overlapping, levels of consumption»; la prima era costituita da «the paying public possessed both literacy and disposable income, however modest; it was probably made up mostly of urban merchants and craftsmen, together with some of their wives, apprentices, and children, in addition to some members of the upper classes and their retainers […]. The nonpaying crowd of listeners […] could include humbler workers, and possibly greater numbers of women» (Disorderly Women and Female Power in the Street Literature of Early Modern England and Germany, pp. 38-39). 41 Cfr. le considerazioni di Leslie Shepard sulla rilevanza documentaria della street literature: «sophisticated literature merely provided, as it were, chapter-headings for the real story of ordinary people, whose own sub-literature of ballad-sheets and pamphlets provided news, diversion, inspiration, fantasy, and political stimulus. It is precisely because of its faults and deficiencies that it is of greater significance historically than the more polished works of sophisticated writers, for that sub-literature was linked to the fierce energies of the crowds» (The History of Street Literature, pp. 13-14). 24 patologie che come manifestazione di un variegato fenomeno culturale.42 La mia prospettiva è più vicina a quella di Julie Crawford che, nel suo Marvelous Protestantism (2005), ha approfondito alcuni casi di nascite mostruose soffermandosi sulla loro strumentalizzazione a fini religiosi e politici.43 Il suo studio, tuttavia, analizza solo una selezione di documenti, organizzati per gruppi tematici predefiniti, e non fornisce un completo quadro cronologico ed evolutivo del fenomeno: non affronta, ad esempio, il tema del ‘teatro’ dei mostri, né giunge fino all’ultima fase del percorso, quella in cui i ‘monsters’ uscirono dal ‘canone dei prodigi’ per diventare oggetto di studio medico.44 Sono queste le ragioni di carattere storiografico – una grande importanza documentaria, a fronte di un’attenzione critica ridotta – per le quali ho scelto il tema della mia ricerca.45 Una menzione merita, in conclusione, quel vasto e recente filone di studi nato all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, e raccolto sotto la denominazione di Disability Studies.46 Questo importante ambito di studio, che si focalizza sul concetto 42 Alan W. Bates, Emblematic Monsters. Unnatural Conceptions and Deformed Births in Early Modern Europe, Amsterdam-New York, Rodopi, 2005. 43 Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post-Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005. 44 Pur focalizzando l’attenzione principalmente sull’ambiente inglese, nel corso di questa ricerca sarà talvolta necessario fare riferimento, per chiarire, circostanziare o arricchire alcuni aspetti del ragionamento, a nascite mostruose avvenute al di fuori del territorio nazionale; per gli stessi motivi, farò talora qualche cenno a nascite ‘mostruose’ animali. 45 Restano – profonde e per certi versi insondabili – altre ragioni, meno stringenti dal punto di vista scientifico, ma altrettanto importanti: il percorso dei miei studi, che – come ho già segnalato nella prefazione – mi ha fatto incontrare per la prima volta le nascite mostruose; la passione per l’alterità, l’umanità ‘di confine’, marginalizzata, esclusa, o socialmente sovversiva; il desiderio di indagare i meccanismi attraverso cui la parola può deformare e strumentalizzare la realtà; non ultima, la fascinazione per un argomento – la nascita di un essere umano ancora più fragile dell’umano consueto – che interroga e insieme inquieta con la propria inesaurita domanda di senso. 46 Grazie al lavoro di promozione e sensibilizzazione della «Society for Disability Studies» (https://www.disstudies.org), gli ultimi venticinque anni hanno conosciuto una notevole fioritura di questo ambito di studi. Generalizzando, si può affermare che siano stati sviluppati due diversi filoni di studio, a cui corrispondono due distinti modelli di analisi per comprendere la disabilità: quello ‘sociale’ e quello ‘medico’: il primo focalizza l’attenzione sulla disabilità in rapporto alla disuguaglianza nei diritti tra chi è ‘abile’ e chi è ‘disabile’; il secondo, invece, pone l’accento su una ‘disabilità’ intesa più come esito delle barriere sociali, strutturali e ambientali che come risultato della menomazione fisica. Per un quadro di questo importante ambito di ricerca, si vedano almeno Michael Oliver, Understanding Disability. From Theory to Practice, New York, Basigstoke, 1996; David M. Turner, Kevin Stagg (eds), Social Histories of Disability and Deformity. Bodies, Images and Experiences, New York- London, New York University Press, 1996; Simi Linton, Claiming Disability. Knowledge and Identity, foreword by Michael Berubé, New York-London, New York University Press, 1998; Gary L. Albrecht (ed.), Encyclopedia of Disability, 5 vols., New York, Sage, 2005; Sharon L. Snyder, David T. Mitchell, Cultural Locations of Disability, Chicago, University of Chicago Press, 2006; Tobin A. Siebers, Disability Theory, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2008; Nick Watson, Alan Roulstone, Carol Thomas (eds), Routledge Handbook of Disability Studies, London, Routledge, 2012. Per una prospettiva diversa, centrata sulla spettacolarizzazione del corpo deforme, ma in un’epoca (la seconda 25 contemporaneo di ‘disabilità’ (nei suoi rapporti con la medicina e con le scienze sociali), solo raramente getta uno sguardo retrospettivo sugli antecedenti storici – e il ‘monster’, seppure in un ambito molto specifico, e molto distante dal concetto attuale di ‘disabile’, potrebbe essere considerato uno di questi antecedenti. Quando si sono rivolti a epoche precedenti alla nascita del concetto di ‘disabilità’, gli studiosi lo hanno fatto proprio per marcare una distanza, e una profonda differenza, tra la percezione contemporanea e quella ‘storica’ del corpo umano ‘fuori dalla norma’. Nella sua introduzione a The Disability Studies Reader, ad esempio, Lennard J. Davis ha scritto che il concetto di ‘norma’ ha trovato la propria compiuta definizione linguistica (e quindi la sua relazione con il corpo umano) soltanto nella seconda metà del XIX secolo.47 Questo significa, secondo Davis, che il concetto stesso di corpo umano ‘normale’ (e quindi il suo corrispettivo antitetico, ‘anormale’) non potesse esistere prima di questi anni.48 Le considerazioni di Davis, che miravano ad una messa a punto del quadro concettuale – metodologico e cronologico – adoperato dai Disabilities Studies, collocavano chiaramente, nella seconda metà dell’Ottocento, le prime tracce del concetto di ‘disabilità’; ma nello stesso tempo indicavano una cesura cronologica, prima della quale si poteva intravedere una percezione completamente differente dello ‘straordinario’ nel corpo umano. metà del XIX secolo) diversa dal contesto cronologico della mia ricerca, si veda Robert Bogdan, Freak Show. Presenting Human Oddities for Amusement and Profit, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1988.47 «The constellation of words describing this concept “normal”, “normalcy”, “normality”, “norm”, “average”, “abnormal” – all entered the European languages rather late in human history. The word “normal” as “constituting, conforming to, not deviating or different from, the common type or standard, regular, usual” only enters the English language around 1840 […]. Likewise, the word “norm”, in the modern sense, has only been in use since around 1855, and “normality” and “normalcy” appeared in 1849 and 1857, respectively. If the lexicographical information is relevant, it is possible to date the coming into consciousness in English of an idea of “the norm” over the period 1840-1860» (Lennard J. Davis, ‘Constructing Normalcy. The Bell Curve, the Novel, and the Invention of the Disabled Body in the Nineteenth Century’, in Id., (ed.), The Disabilities Studies Reader, New York, Routdledge, 2006, p. 3). 48 Il ragionamento di Davis prosegue affermando che «if we rethink our assumption about the universality of the concept of the norm, what we might arrive at is the concept that preceed it: that of “ideal” […]. What we have is the ideal body […], a mythopoetic body that is linked to that of the gods […] This divine body, then, this ideal body, is not attainable by a human. […] By contrast, the grotesque as a visual form was inversely related to the concept of the ideal and its corollary that all bodies are in some sense disabled. In that mode, the grotesque is a signifier of the people, of common life» (Lennard J. Davis, ‘Constructing Normalcy. The Bell Curve, the Novel, and the Invention of the Disabled Body in the Nineteenth Century’, p. 4). Secondo la ricostruzione di Davis, cioè, la coppia di lemmi ‘normal/abnormal’ (dalla quale emerge la coscienza della disabilità, e dei suoi risvolti morali e sociali) sostituirebbe una coppia più antica, ideal/grotesque, nella quale la disabilità non trovava né spazio né riconoscimento: se, infatti, ogni essere umano si trovava a possedere, in qualche modo, aspetti di debolezza e di menomazione rispetto a un ideale divino e irraggiungibile, chi nasceva con caratteristiche ulteriormente debilitanti era posto concettualmente ‘oltre i confini’ stessi dell’umano, «by definition excluded from culture, and society» (p. 4). 26 Credo che, seppure con caratteristiche molto specifiche, la mia ricerca sulla percezione del mostruoso umano nell’Inghilterra della prima età moderna possa contribuire a illuminare alcuni aspetti di questo antecedente percettivo, collocato a monte del concetto di ‘disabilità’. Come ho già in parte anticipato, e come emergerà nel corso di tutta la ricerca, la caratteristica più evidente di questa propensione percettiva fu il riconoscimento nel corpo ‘mostruoso’ di un messaggio soprannaturale, un ‘segno’ miracoloso da decifrare: metterò in luce le origini di questo immaginario, le sue persistenze e, infine, il suo declino. * * * I materiali su cui la ricerca si basa sono tutti esaminati su riproduzioni degli originali. Ho raccolto circa cinquanta documenti, tra fogli volanti, broadside ballads e pamphlet, molti dei quali illustrati, a cui si aggiungono alcuni articoli medici tratti dalle Philosophical Transactions.49 Si tratta di testi per lo più anonimi in cui, in alcuni casi, è verosimile ricondurre allo stesso stampatore l’identità autoriale: tutte le volte che sarà possibile, ricostruirò la biografia dell’autore o dello stampatore, nella convinzione che stabilire la loro storia intellettuale getterà ulteriore luce sulle 49 Tutte le trascrizioni di fonti primarie provenienti dalla street literature che si troveranno citate nel testo sono condotte sui testi originali. Tuttavia darò sempre conto, nelle note, di trascrizioni moderne, se esistenti. Per un quadro storico-critico sull’evoluzione della street literature, si rimanda ai seguenti studi: Mark A. Shaaber, Some Forerunners of the Newspaper in England, 1476-1622, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1929; Leslie Shepard, The Broadside Ballad. A Study in Origin and Meaning, London, Herbert Jenkins, 1962; Id., The History of Street Literature. The Story of Broadside Ballads, Chapbooks, Proclamations, News-Sheets, Election Bills, Tracts, Pamphlets, Cocks, Catchpennies, and other Ephemera, London, David and Charles-Newton Abbot, 1973; Berbard S. Capp, English Almanacs, 1500-1800. Astrology and Popular Press, Ithaca-New York, Cornell University Press, 1979; Natascha Würzbach, The Rise of the English Street Ballad, 1550-1650, translated from German by Gayna Walls, Cambridge, Cambridge University Press, 1990; Mario Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione (secoli XVI e XVII), Roma-Bari, Laterza, 2002; Joad Raymond, Pamphlets and Pamphleteering in Early Modern Britain, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; Jennifer Spinks, Monstrous Births and Visual Culture in Sixteenth- Century Germany, London, Pickering & Chatto, 2009. Quest’ultimo studio è di particolare interesse, poiché ricostruisce l’origine prevalentemente tedesca del foglio volante illustrato dedicato alla nascita ‘mostruosa’ umana. Secondo la studiosa, infatti, furono gli stampatori tedeschi che, già alla fine del XV secolo e poi negli anni della Riforma Luterana, cominciarono a stampare in grande quantità resoconti di nascite ‘mostruose’ nella forma del foglio volante. Queste stampe illustravano ampiamente la ricorrenza di nascite ‘mostruose’ (spesso interpretate allegoricamente) e talvolta erano accompagnate da testi in versi (Jennifer Spinks, Monstrous Births and Visual Culture, pp. 13-57). Sull’importanza della Germania nello sviluppo della letteratura di strada, Andrew Pettegree segnala che, dopo la Riforma, gli stati tedeschi dominarono l’industria editoriale in maniera tanto estesa da poter definire quell’area geografica la «print’s engine room» d’Europa (The Book in the Renaissance, New Haven, Yale University Press, 2011, p. 255). Sul contributo italiano allo sviluppo del foglio volante in rapporto alla nascita ‘mostruosa’ si veda, invece, Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 47-88. 27 caratteristiche ideologiche dei testi analizzati.50 Uno degli aspetti su cui è importante fare una precisazione, a questo riguardo, è che, talvolta, per favorire gli intenti ideologici del gruppo di appartenenza, gli autori non esitavano ad ‘arricchire’ di particolari raccapriccianti i loro resoconti, o addirittura ad inventarli ex novo, e ciò indipendentemente dalle ripetute attestazioni di verità.51 Alan W. Bates ha stabilito un criterio – denominato ‘diagnosi retrospettiva’ – per risolvere la questione dell’attendibilità dei resoconti: questi ultimi devono essere considerati veritieri solo se le anomalie fisiche che descrivono possono essere confrontate con patologie oggi riconoscibili.52 Dal punto di vista della mia ricerca, tuttavia, stabilire la veridicità degli eventi narrati ha un’importanza solo relativa, dato che il mio obiettivo è piuttosto quello di analizzare le strategie comunicative o propagandistiche all’interno delle quali la nascita ‘mostruosa’ (vera o fittizia che fosse) veniva sfruttata.53 A questo fine, nella mia ricerca partirò sempre dall’analisi materiale e testuale, consapevole che, pur non potendomi limitare alla lettera del testo, il documento sia l’unica base ‘solida’ da cui prendere le mosse. Dove sarà possibile, tenterò di recuperare l’intero background che giustifica e condiziona l’esistenza della fonte, in questo guidato dall’esempio autorevole di David Cressy.54 Questo principio costituirà il baricentro dell’analisi documentaria. Occorre, infatti, sempre tenere presente che il ‘mostruoso’ non è un concetto astorico o metastorico, e non si può comprenderlo se non all’interno di ciò che è stato, di volta in volta, lo «historical setting» specifico, 50 Non sarà invece possibile risalire alle identità degli illustratori, in molti casi – specialmente all’inizio del percorso – figure altrettanto fondamentali nella costruzione del documento e nella trasmissione dell’ideologia sottesa. Secondo Alan W. Bates, spesso questi artisti paiono avere realizzato le loro immagini dal vivo o sulla base di testimonianze oculari; lo studioso riporta inoltre notizia di un foglio volante perduto [Anonymous, A True Report of a Straung and Monsterous Child, born at Aberwick, in the Parish of Eglingham, in the County of Northumberland, this Fifth of Jannuary, London, Thomas Gosson, 1580] «illustraded by Raphe Cooke, paynter, of Berwick upon Tweed» (Emblematic Monsters, p. 46 e n. 20). 51 Una delle caratteristiche pressoché costanti dei documenti analizzati è l’elencazione dei nomi dei testimoni, presenti all’evento, che ne avvaloravano l’attendibilità. Su questo aspetto, cfr. David Cressy, Agnes Bowker’s Cat. Travesties and Transgressions in Tudor and Stuart England, Oxford, Oxford University Press, 2000, in particolare il capitolo secondo: ‘Monstrous Births and Credible Reports: Portents, Texts and Testimonies’, pp. 29-50. 52 Alan W. Bates, Emblematic Monsters, capitolo 7, ‘Retrospective Diagnosis’, pp. 175-197. 53 Per gli stessi motivi, non darò conto delle patologie riconoscibili nei singoli casi se non nella sezione Strumenti/1, nella quale catalogo tutti i casi di nascite ‘mostruose’ inglesi nel periodo 1550-1715 di cui sono venuto a conoscenza; in quella sede indico anche quali ‘nascite’ siano da ritenersi fittizie. 54 In relazione all’analisi di alcuni pamphlet seicenteschi, dedicati a casi di nascite mostruose umane, David Cressy ha affermato: «I will try to get behind the text as well as into them, to see how these episodes operated in [their] particular local environments […]. I take it as my task to treat these works situationally as well as generically, to try to relate words on the page to their immediate historical settings» (‘Lamentable, Strange and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, in Laura Lunger Knoppers, Joan B. Landes (eds), Monstrous Bodies / Political Monstrosities in Early Modern Europe, Ithaca-London, Cornell University Press, 2004, p. 44). 28 situato in una certa cultura e articolato in un linguaggio cronologicamente determinato. * * * Chiarito il quadro teorico e la metodologia che mi guideranno nella ricerca, non mi resta che descrivere, brevemente, il percorso lungo il quale lo studio si dipanerà. Il primo capitolo della tesi è dedicato alla disamina di alcuni brani di autori dell’antichità classica e del Medioevo, necessari per ripercorrere la lunga tradizione delle ‘razze mostruose’ orientali: l’Oriente meraviglioso in Erodoto, Ctesia, Megastene; lo scetticismo sui mostri orientali in Strabone e Gellio; le cosiddette ‘razze pliniane’ nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e la loro persistenza nell’opera di Giulio Solino; il tentativo di ricomposizione del mostruoso nel disegno teologico di Agostino e Isidoro di Siviglia; le meraviglie d’Oriente tra le ‘finte epistole’ dell’alto Medioevo, il Liber Mostrorum e la Lettera del Prete Gianni; i mostri negli enciclopedisti del XIII secolo (Gervasio di Tilbury, Tommaso di Cantimprè, Vincent de Beauvais e Brunetto Latini); il discredito delle razze mostruose nella letteratura di viaggio del XIII e XIV secolo (Giovanni di Pian del Carpine, Marco Polo, Odorico da Pordenone) e la loro sopravvivenza nel ‘viaggiatore da tavolino’ John Mandeville. Nel basso Medioevo, la fortuna delle specie esotiche subì un rallentamento a favore dell’altra tradizione, quella dei mostri come ‘prodigi individuali’. Il secondo capitolo prende in esame proprio questa fase di passaggio, quella in cui il deforme umano entrò prepotentemente entro i confini della civitas, ponendo nuovi problemi ideologici e concettuali sui quali si confrontarono filosofi e medici. Il dibattito epistemologico sulla meraviglia (e più in particolare sulle nascite mostruose) tra basso Medioevo e Umanesimo fu piuttosto intenso, coinvolse molte personalità di spicco dell’epoca (Adelardo di Bath, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Nicola di Oresme, Giovanni Dondi dall’Orologio, Antonio Benivieni, Girolamo Cardano) e si concluse solo agli inizi del Cinquecento con una rivalutazione concettuale della nascita mostruosa. Il terzo capitolo riprende la narrazione da questo momento, quando le nascite di esseri umani deformi – percepiti talora come prodigi (Landucci, Multivallis, Lutero, Melantone), talora come fenomeni rari e curiosi (fonti di divertimento e di 29 indagine scientifica) – divennero parte integrante della propaganda religiosa nell’ambito della lotta tra confessioni rivali, ma anche un importante strumento attraverso il quale leggere e interpretare la realtà. Nel capitolo, pertanto, tento di chiarire l’esistenza di due diverse reazioni emotivo-cognitive, che caratterizzarono la percezione del ‘mostruoso’ nella prima età moderna (definite di ‘orrore’ e di ‘curiosità’), e che, pur conoscendo momenti di prevalenza dell’una o dell’altra, convissero nel corso di tutto il periodo analizzato. Dopo questi tre capitoli di carattere introduttivo, un intermezzo precede l’indagine sui documenti di street literature. Attraverso l’analisi della traduzione inglese di un’operetta di Erasmo da Rotterdam (Sileni Alcybiadis) si abbandona il contesto continentale per sbarcare finalmente in Inghilterra. Il testo del celebre umanista si inseriva in uno snodo essenziale della storia del paese – quello degli ultimi anni di regno di Enrico VIII – e rappresentava, con la sua creatura mostruosa incastonata nel frontespizio, la prima di una lunga serie di pubblicazioni (fogli volanti, pamphlet, broadside ballads) apparse oltre Manica a partire dalla seconda metà del Cinquecento, e dedicate a raccontare, testimoniare, elaborare, interpretare il ‘mostruoso’ umano. Da qui prende avvio il nucleo principale della tesi, centrato sull’analisi documentaria. Il quarto capitolo indaga le modalità mediante le quali, durante il regno della regina Elisabetta I, le nascite di esseri umani deformi si trasformarono in un efficace mezzo per il sostegno, la promozione e la diffusione del protestantesimo. Il quinto capitolo considera, invece, come in tempi di rigorismo dei costumi, tra la fine del Cinquecento e il primo Seicento, le nascite mostruose umane divennero un potente strumento di controllo sociale delle donne. Il sesto capitolo esamina quello che potrebbe essere considerato l’aspetto ‘teatrale’ del mostruoso umano, vale a dire la sua spettacolarizzazione di fronte alle masse. Questo fenomeno si diffuse in maniera straordinaria tra gli anni trenta e cinquanta del XVII secolo, quando a Londra fecero la loro comparsa, con grande successo di pubblico, alcuni dei ‘mostri’ più famosi della storia della teratologia (Lazzaro-Giovanni Battista Colloredo e Barbara Urslerin). Questo periodo coincide parzialmente con una delle fasi più travagliate della storia inglese, quella delle guerre civili. E significativamente, anche in questo contesto di grandi tensioni sociali, i mostri non mancarono di essere strumentalizzati come arma politica per sostenere gli ideali di fazioni avversarie (capitolo settimo). Chiude il percorso, un capitolo (l’ottavo) in cui si dà spazio alle nascite mostruose 30 viste sotto la lente di medici e anatomisti. Questi studiosi, spesso corrispondenti della Royal Society (fondata nel 1660), cercarono di abbandonare credenze popolari e superstizioni e di inquadrare le nascite mostruose umane nelle rarità della natura. Completa il lavoro un’appendice iconografica, che contiene le illustrazioni a corredo della tesi, tra cui le riproduzioni dei fogli volanti e dei frontespizi dei pamphlet esaminati. Seguono, inoltre, due sezioni: un registro di tutte le nascite mostruose testimoniate dai documenti analizzati, per ciascuna delle quali si riporta luogo, data del parto, tipologia della deformità e attestazione documentaria (Strumenti/1); e un piccolo dizionario illustrato delle ‘razze mostruose’ esotiche (Strumenti/2). 31 CAPITOLO PRIMO You’re off the Edge of the Map, Mate. Here there be Monsters: l’Oriente ‘mostruoso’ dall’antichità alla fine del Medioevo 1 All ethnologists and students of primitive religion well know the role that has been played in primitive society by genetic instincts. Among the older naturalists, such as Pliny and Aristotle, and even in the older historians, whose scope included natural as well as civil and political history, the atypic and bizarre, and especially the aberrations of forms or function of the generative organs, caught the eye most quickly. Judging from the records of early writers, when Medicine began to struggle toward self-consciousness, it was again the same order of facts that was singled out by the attention. […] In the literature of the past centuries the predominance of the interest in the curious is exemplified in the almost ludicrously monotonous iteration of titles, in which the conspicuous words are curiosa, rara, monstruosa, memorabilia, prodigiosa, selecta, exotica, miraculi, lusibus naturæ, occultis naturæ, etc., etc. Even when medical science became more strict, it was largely the curious and rare that were thought worthy of chronicling, and not the establishment or illustration of the common, or of general principles. George M. Gould, Walter L. Pyle, Anomalies and Curiosities of Medicine, 1896. * * * Nella prefazione alla sua fondamentale Storia della teratologia, Cesare Taruffi (18211902), il primo ad avere l’onore di ricoprire la prestigiosa cattedra di anatomia patologica presso la scuola medica bolognese, così riassumeva i momenti salienti del processo evolutivo di quella che lui considerava una scienza a tutti gli effetti: Un’opinione che può soddisfare l’amor proprio delle generazioni presenti, si è, che lo studio delle deformità congenite del corpo animale sia sorto col rinascimento delle lettere ed abbia, specialmente in questo secolo, prodotti i migliori frutti. Ma la storia chiaramente dimostra che la Teratologia, così si chiama il risultato di codesto studio, ha origine ben più remota ed illustre, poiché essa, al pari di qualunque scienza, crebbe e divenne adulta per opera dei Greci, poscia decadde e s’estinse; e quando rinacque trovò tali ostacoli a progredire che fu l’ultima fra le discipline sorelle a raggiungere quel grado di floridezza che oggi in essa ammiriamo.1 Nel porre l’accento sull’importanza e la dignità finalmente riconosciute a quella disciplina alla quale egli aveva consacrato buona parte della sua vita, l’illustre professore compiva un altro passaggio importante: ne collocava nell’antichità classica gli albori.2 A dire il vero, fatta eccezione per Aristotele nel De generatione animalium (IV secolo a.C.), non risulta che i greci si occupassero mai di nascite di esseri umani con deformità congenite con la maturità scientifica che Taruffi sembra attribuire loro.3 1 Cesare Taruffi, Storia della teratologia, 8 voll., Bologna, Regia Tipografia, 1881-1894, vol. I, tomo I, p. 1.2 Nel corso del diciannovesimo secolo, oltre che da Cesare Taruffi – e George M. Gould e Walter L. Pyle, citati in epigrafe – la storia delle mostruosità (umane e animali) ricevette un contributo fondamentale dalle ricerche del francese Isidore Geoffroy Saint-Hilaire, Histoire générale et particulière des anomalies de l’organisation chez l’homme et les animaux, ouvrage comprenant des recherches sûr les caractères, la classification, l’influence physiologique et pathologique, le rapports généraux, les lois et les causes des monstruosités, des variétés et des vices de conformation, ou traité de tératologie, 3 vols., Paris, J. B. Baillière, 1832-1837. Medico, zoologo e matematico, autore di numerose pubblicazioni, è considerato il coniatore del termine ‘teratologia’ (a questo proposito, cfr. Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, pp. 172-192 e Alexandre Morin, ‘Teratology “from Geoffroy Saint-Hilaire to the Present”’, Bullettin de l’Association des anatomies, 80/248, 1996, pp. 17-31). Sulle orme dello studioso francese si muoverà un secolo più tardi il fisico britannico Charles J. S. Thompson, The Mystery and Lore of Monsters. With Accounts of some Giants, Dwarfs and Prodigies, with a foreword by Sir D’Arcy Power, London, Williams & Norgate, 1930 (I veri mostri. Storia e tradizione, traduzione italiana di Elisa Paganini, Milano, Mondadori, 2001). 3 Cfr. Aristotele, Opere. Vol. 5: Parti degli animali – Riproduzione degli animali, traduzione italiana di Mario Vegetti e Diego Lanza, Roma-Bari, Laterza, 1973, IV, 4, p. 121: «Il mostro appartiene alla 35 È, tuttavia, fuori discussione che si mostrarono molto sensibili alla mostruosità in generale, soprattutto quando a rappresentarla erano quelle bizzarre creature a loro familiari attraverso la mitologia. Infatti, come segnala sinteticamente Rudolf Wittkower, the Greeks sublimated many instinctive fears in the monsters of their mythology, in their sathyrs and centaurs, syrens and harpies, but they also rationalized those fears in another, non-religious, form by the invention of monstrous races and animals which they imagined to live at a great distance in the East, above all in India. 4 Ciò che lo studioso segnala è dunque il bisogno avvertito dai greci di credere che i mostri esistessero da qualche parte non come ‘casi’ fortuiti nati in famiglie ‘normali’, ma come intere popolazioni ‘anomale’ in grado di riprodursi e perpetuarsi.5 Questo luogo recondito in cui il mostruoso veniva normalizzato e razionalizzato fu sistematicamente collocato dai greci in Asia e, in maniera particolare, in India, al confine estremo del loro mondo. Lo slittamento del mostruoso in direzione dei margini non implicava soltanto un distanziamento fisico, ma anche una cesura identitaria, una contrapposizione tra l’ideale di armonia perseguito dal popolo delle polis, che celebrava se stesso come centro del mondo, e il disordine barbarico che di solito era attribuito a tutto ciò che categoria dei prodotti che non rassomigliano ai loro genitori […] dei fenomeni contrari alla natura, alla natura considerata non nella sua costanza assoluta, ma nel suo corso ordinario». Per la visione aristotelica del ‘mostro’, cfr. sopra l’introduzione. Sull’importanza di questa visione nel dibattito medievale sulla meraviglia, si veda, oltre, il paragrafo 2.1. 4 Rudolf Wittkower, ‘Marvels of the East. A Study in the History of Monsters’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 5, 1942, p. 159 (Le meraviglie dell’Oriente: una ricerca sulla storia dei mostri, in Id., Allegoria e migrazione dei simboli, introduzione di Giovanni Romano, traduzione italiana di Marcello Ciccuto, Torino, Einaudi, 1987). Il lungo articolo dello studioso è stato per decenni un punto di riferimento indispensabile per tutti coloro che volevano tentare di ricostruire la genealogia delle cosiddette razze mostruose dell’Oriente: a partire dalla sintesi della tradizione greco-latina, egli approdava ad un’acuta disamina dell’immaginario medievale. Nel suo percorso, egli suddivideva le creature mostruose in due gruppi principali: da una parte le specie umane esotiche, con le loro specifiche deformità fisiche, dall’altra le creature polimorfe – e non sempre facilmente identificabili – che affollano i capitelli di numerose cattedrali romaniche. Ricerche più recenti, tuttavia, hanno dimostrato come questa distinzione non avesse tanto senso di esistere, poiché nel Medioevo l’idea che si aveva di natura umana era ancora abbastanza vaga. Sulla fusione/confusione tra umano e animale, tra reale e fantastico si vedano Heinz A. Mode, Fabulous Beasts and Demons, London, Phaidon, 1975 e Dorothy Yamamoto, The Boundaries of the Human in Medieval English Literature, Oxford, Oxford University Press, 2000.5 Sul meccanismo psicologico della proiezione di paure inconsce in luoghi geograficamente lontani, si veda Leslie A. Fiedler, Freaks. Myths and Images of the Secret Self, New York, Simon and Schuster, 1978, in particolare capitolo 9 (Freaks. Miti e immagini dell’io segreto, traduzione italiana di Ettore Capriolo, Milano, Il Saggiatore, 2009); cfr. anche, sopra, l’Introduzione. 36 risiedeva oltre le periferie dell’Ellade.6 Una periferia che non suscitava solo timore, ma anche ammirata curiosità, come evidenzia la ricchezza della documentazione di cui si è fatta custode la letteratura greco-latina, principale responsabile della creazione e del consolidamento dell’idea d’Oriente che l’Europa mantenne quasi intatta per ben duemila anni. A partire dall’alto Medioevo, infatti, questa concezione confluì non soltanto in opere di scienza e di geografia, ma anche in enciclopedie, cosmografie, poemi epici e relazioni di viaggio, giungendo a condizionare persino l’arte figurativa attraverso mappae mundi, sculture e miniature.7 Sebbene scandite da necessarie selezioni, le pagine che seguono cercheranno di ricostruire la storia di questo prolifico immaginario e la sua diffusione a partire dalle prime testimonianze classiche per approdare infine al basso Medioevo, quando la tradizione delle ‘specie esotiche’ subirà un arresto e sarà sopraffatta dall’altra, quella sui mostri come ‘prodigi individuali’.8 6 Sull’etnocentismo greco, e in particolare sul suo rapporto con l’Oriente mostruoso, si veda John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981, capitolo 2: qui l’autore elenca e discute tre principali marcatori di distanza culturale utilizzati dal popolo ellenico per contrapporsi allo straniero: la lingua (da cui deriva il termine bàrbaros, che significa letteralmente ‘colui che fa bar-bar’), le abitudini alimentari, la vita al di fuori della struttura cittadina, la polis che essi riconoscevano come una delle loro più importanti invenzioni. A proposito dell’Omphalos di Delfi come ‘ombelico del mondo’, si vedano le descrizioni di Pindaro (518 a.C. circa – 438 a.C. circa) e Pausania (110 d.C. -180 d.C. circa): Pindaro, Le Pitiche, testo greco a fronte, introduzione, testo critico e traduzione di Bruno Gentili, commento a cura di Paola Angeli Bernardini, Ettore Cingano, Bruno Gentili e Pietro Giannini, Milano, Fondazione Lorenzo Valla- Mondadori, 1995, VIII, 55, pp. 225-227: «Anch’io con gioia/ getto ghirlande ad Alcmeòne/ e l’irroro del mio canto,/ poi ch’egli è mio vicino/ e custode dei miei averi:/ mi venne incontro mentre mi recavo/ all’ombelico della terra celebre nei canti/ e mi toccò con l’arte sua profetica/ innata alla sua stirpe»; e Pausania, Viaggio in Grecia. Guida antiquaria e artistica, testo greco a fronte, 10 voll., introduzione, traduzione e note di Salvatore Rizzo, Milano, BUR, 1992-2012, vol. X, 16, 2-3, p. 177: «Quello che gli abitanti di Delfi chiamano Onfalo (ombelico), costituito da un blocco di marmo bianco, è il centro di tutta la terra; così affermano gli stessi abitanti di Delfi e così, in accordo con loro, cantò Pindaro in una sua ode». 7 Sulla diffusione delle razze mostruose attraverso l’arte figurativa, cfr. Alixe Bovey, Monsters & Grotesques in Medieval Manuscripts, London, The British Library, 2002, p. 5, la quale evidenzia come «nowhere are [monsters] more abundant than in illuminated manuscripts, which collectively preserve more medieval art than any other type of object. Dragons decorate margins, twist into letter forms, and squeeze into the spaces at the end of line text. Commonplace animals are fused in impossible combinations; human bodies merge with animal forms in ways that are often both comic and grotesque. For medieval people, these humorous and hideous creatures were a tantalizing suggestion of unknown worlds and unthinkable dangers, at once entertaining and electrifying, funny and frightening». Per un ulteriore approfondimento di questo specifico aspetto, si rimanda a: Émile Mâle, L’Art religieux au XIIe siècle en France, Paris, Librairie Armand Colin, 1924; Lilian M. C. Randall, Images in the Margins of Gothic Manuscripts, Berkeley, University of California Press, 1966; Jonathan J. G. Alexander (ed.), A Survey of Manuscripts Illuminated in the British Isles, 6 vols., London, Harvey Miller, 1978-1996; Michael Camille, Image on the Edge. The Margins of Medieval Art, London, Reaktion Books, 1992; e Ron Baxter, Bestiaries and their Uses in the Middles Ages, Stroud, Sutton, 1998. 8 Sulla distinzione tra queste due ‘tradizioni’, si veda sopra l’introduzione. 37 1.1 A Land of Fabulous Wealth in Gold and Silver, Exotic Fruits, and Natural Wonders: l’India e le sue bizzarre creature nella letteratura classica Come ha più volte evidenziato Giuseppe Tardiola nel suo Atlante fantastico del medioevo, non è certo uno sforzo da poco stabilire con precisione il momento in cui, nel bacino del Mediterraneo, cominciarono a prendere forma tutti quegli ‘orizzonti onirici’ che l’uomo occidentale avrebbe collocato di preferenza in un oriente utopistico, strabordante di prodigi, ricchezze, e mostruosità.9 Se ci asteniamo dal prendere in considerazione temi, topoi e stereotipi che, seppur con le debite attenzioni, non è erroneo ricondurre a un background simbolico comune alle diverse culture indoeuropee,10 è a Erodoto di Alicarnasso che possiamo riconoscere la paternità della prima ‘cartina’ di quegli scenari esotici.11 Le sue celebri Istorìai, composte da nove libri, sono considerate la prima grande opera in prosa della letteratura greca e il primo grande frutto della storiografia occidentale. Con esse, infatti, l’autore prendeva le distanze dai suoi predecessori, da lui sprezzantemente definiti logogràphoi (‘scrittori di fiabe’), che, poco preoccupati di consultare fonti o di esaminare documenti, mescolavano con eccessiva ingenuità ciò che era degli uomini e ciò che questi ultimi erano soliti attribuire agli dei. Egli per primo si preoccupò di distinguere tra le cose che aveva potuto osservare con i propri occhi, quelle che gli erano state riferite dagli altri e quelle che erano frutto della sua 9 Cfr. Giuseppe Tardiola, Atlante fantastico del medioevo, Anzio, De Rubeis, 1990, pp. 47-67. Di «orizzonti onirici» parla, in un fondamentale studio al riguardo, Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, traduzione italiana di Mariolina Romano, Torino, Einaudi, 1977, pp. 257-277 (Pour un autre Moyen Âge. Temps, travail et culture en Occident. 18 essais, Paris, Gallimard, 1977). 10 Si pensi solo a draghi, giganti e mostri di ogni tipo diffusi nel folklore comune ai popoli indoeuropei, a volte con analoghe funzioni (ad esempio, custodi di tesori oppure di principesse recluse in tetri castelli); ai popoli fantastici noti agli occidentali e da questi situati in quadranti tutt’altro che orientali (gli Iperborei per Erodoto erano abitanti dell’estremo nord). Non si dimentichi, infine, il fatto che, anche se ovviamente il problema va affrontato soprattutto alla luce della ricerca filologica, alcune delle bizzarre creature ‘indiane’ di cui si parlerà nelle pagine successive compaiono anche in contesti culturalmente non condizionati dall’immaginario greco. Gli Sciapodi (uomini dotati di un’unica gamba con un piede gigantesco con il quale ripararsi dal sole cocente) si trovano, a titolo esemplificativo, anche in alcune narrazioni islandesi e gallesi (cfr. la Saga di Eirik il Rosso, in AA. VV., Antiche saghe islandesi, a cura di Marco Scovazzi, Torino, Einaudi, 1973, pp. 140-141; Racconti gallesi del Mabinogion, in AA. VV., Saghe e leggende celtiche, 2 voll., a cura di Gabriella Agrati, Maria L. Magini, Milano, Mondadori, 1982, p. 188). 11 Lo storico greco Erodoto (484 -425 a.C.), politicamente avverso a Ligdami II, tiranno di Alicarnasso, che governava la città grazie all’appoggio del “Gran Re” di Persia Dario I, nel 457 a.C. circa , lasciò la sua città, per fuggire a Samo, città aderente alla Lega delio-attica, d’orientamento antipersiano. Ritornò in patria intorno al 455 a.C. vedendo così la cacciata di Ligdami. Nel 454 a.C. Alicarnasso entrò nella sfera d’influenza ateniese, divenendo tributaria della città attica. Dal 447 a.C. soggiornò ad Atene, dove conobbe Pericle, per stabilirsi, infine, nella colonia panellenica di Thurii (in Magna Grecia), alla cui fondazione collaborò intorno al 444 a.C. Qui morì nel 425 a.C., lasciando la monumentale opera Istorìai (Le Storie). 38 convinzione, e su tali criteri di obiettività costruì la narrazione dell’espansione dei Persiani, dalle loro origini sino alla conquista ateniese di Sesto, nel 478 a.C.12 Furono, ad ogni modo, solo le vicende strettamente collegate al proprio popolo ad essere trasmesse ai posteri con straordinaria dovizia di particolari; alle genti sottomesse qua e là nel lontano Levante, che risiedevano «verso l’aurora e il sole nascente», l’abile prosatore non dedicò che scarni accenni: è proprio in queste sintetiche descrizioni che fanno la loro comparsa più rilevante gli indiani.13 Descritti come «nomadi, [che] si cibano di carni crude» e «che si accoppiano in pubblico, come le bestie e hanno tutti lo stesso colore, molto simile a quello degli Etiopi», essi appaiono agli occhi del lettore più mostruosi per i loro barbari costumi che per il loro aspetto esteriore.14 Non è un caso che l’autore con scandalo ponga l’accento sulla loro truce consuetudine al cannibalismo: «chi è giunto a vecchiaia lo immolano e ne fanno banchetto; ma sono ben pochi quelli che giungono a contare 12 Della sterminata bibliografia sul primo storico dell’Occidente, si segnalano solo alcuni studi significativi sull’invenzione del metodo storiografico e sulla descrizione dell’Altro: François Hartog, The Mirror of Herodotus. The Representation of the Other in the Writing of History, Berkeley, University of California Press, 1998; Marco Donati, Le Storie di Erodoto. Etnografia e racconto, Pisa- Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici, 2000; Rosaria Mignolo Munson, Telling Wonders. Ethnographic and Political Discourse in the World of Herodotus, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2001; Ead., Black Doves Speak. Herodotus and the Languages of Barbarians, Cambridge, Harvard University Press, 2005; Lorenzo Miletti, Linguaggio e metalinguaggio in Erodoto, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2008. È di Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) la definizione di Erodoto come pater historiae (Marco Tullio Cicerone, Opere politiche. Lo stato, le leggi, i doveri, testo latino a fronte, a cura di Leonardo Ferrero e Nevio Zorzetti, Torino, UTET, 1974, I, 1, 5, p. 417: «Quinto – Capisco, fratello, che ritieni che diverse siano le leggi da osservare in una poesia e quelle della storia. Marco – Naturalmente, Quinto, dal momento che in questa (tutto) si riconduce alla verità, ed in quella il più al dilettare, per quanto anche in Erodoto, il padre della storia, ed in Teopompo vi siano innumerevoli leggende»). 13 Erodoto, Storie, testo greco a fronte, 2 voll., introduzione di Kenneth H. Waters, a cura di Luigi Annibaletto, Milano, Mondadori, 2000, vol. I, III, 99-101, pp. 577-579. Poiché nel seguito si farà riferimento ad alcuni popoli dell’Africa Orientale come ‘indiani’, si precisa che per il mondo antico e medievale (e ben oltre) l’Etiopia fu considerata prolungamento del continente ‘indiano’, e pertanto una sua regione. Già Omero sembrava sostenere una simile identità tra le due regioni, come si evince dal suo capolavoro: «ma quando nel corso degli anni giunse il momento / che gli dei destinarono al suo ritorno in patria, / in Itaca, neppure allora sfuggì alle prove, / neppure tra i suoi cari. Ne avevano pena tutti gli dei, / tranne Poseidone, che aveva un feroce rancore / verso l’illustre Odisseo, finché non tornò in patria. / Ma lui si era recato fra gli Etiopi lontani – gli Etiopi che si dividono in due ai confini del mondo, quelli del Sole al tramonto e quelli del Sole nascente – per ricevere un’ecatombe di tori e agnelli» (Odissea, testo greco a fronte, a cura di Guido Paduano, illustrazioni di Luigi Mainolfi, Torino, Einaudi, 2010, I, vv. 16-24, p. 3). Fu necessario attendere le grandi esplorazioni rinascimentali, soprattutto quelle a opera dei portoghesi, affinché i confini fra le coste orientali dell’Africa e le lontane regioni di là dell’Oceano Indiano fossero distinti più nitidamente. A questo proposito, cfr. Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, pp. 257 259. Per le descrizioni delle ‘specie esotiche’ citate in questo capitolo, si rimanda alla sezione Strumenti/2 (Piccolo dizionario illustrato delle ‘razze mostruose’ esotiche), pp. 499-513. 14 Erodoto, Storie, III, 99, p. 579. 39 tanti anni, dato che, prima di giungere a quel traguardo, ognuno che cade ammalato viene ucciso».15 Oltre che per questi brevi cenni etnografici, la digressione dedicata da Erodoto all’India è rilevante anche perché, per la prima volta, compare un racconto che riscuoterà un’ampia fortuna, tanto da essere ripreso, riproposto e variato per diversi secoli: la leggenda delle formiche gigantesche che scavano e custodiscono l’oro e delle astuzie umane per venirne in possesso. Vista la vitalità futura di questa narrazione, vale la pena qui riassumerla. Per predare il prezioso metallo ai temibili insetti, «di dimensioni inferiori a quelle dei cani, ma superiori a quelle delle volpi»,16 gli indiani attendono che il sole sia alto affinché per la calura le formiche siano costrette a nascondersi sotto terra alla ricerca di riparo e protezione. Il volontario che parte per la missione porta con sé un giogo di tre cammelli, «a sinistra e a destra, due maschi […], in mezzo una femmina. Su quest’[ultima] sale il cercatore d’oro che avrà avuto cura di aggiogarla dopo averla strappata ai figli».17 Una volta raggiunti i formicai, gli indiani caricano il loro bottino sull’esemplare femmina e galoppano via rapidamente. Scoperta la rapina, le formiche si lanciano all’inseguimento ed è proprio in questo momento che coloro che le hanno derubate mettono in atto la seconda parte del piano: abbandonano i cammelli maschi, più lenti e goffi nella corsa, e proseguono la loro fuga a dorso delle femmine che, spronate dall’amore materno per i piccoli abbandonati, non danno segno di stanchezza. Sono i cammelli maschi a ritardare l’inseguimento delle formiche beffate e a patire la morte sotto i loro voraci morsi. In questo modo – spiega Erodoto – gli indiani possono finalmente beneficiare di uno dei doni con cui la natura li ha ricompensati in quanto abitanti di un paese dalle condizioni estreme, esattamente come i greci vengono premiati con il «clima più bello, di gran lunga il più temperato».18 Completano questo affresco dell’India alcune pennellate dedicate alla rievocazione di un personaggio, nei confronti del quale l’autore si sentiva evidentemente debitore per alcuni degli aneddoti narrati: Scilace di Carianda.19 La sua 15 Ibid. 16 Ibid., III, 102, pp. 579-581. 17 Ibid. 18 Ibid. 19 Scilace di Carianda (VI secolo a.C.), fu il primo navigatore greco ad esplorare le foci dell’Indo, tra il 519 e il 516 a.C., per conto del re persiano Dario I. Raggiunto l’Oceano Indiano navigò verso ovest giungendo fino in Egitto, per gettare infine l’ancora nei pressi dell’attuale Canale di Suez, come 40 relazione di viaggio, mai pervenutaci, doveva mostrarsi tutt’altro che disinteressata a quelle notizie inverosimili, e al di fuori di ogni tassonomia naturale, di cui sarebbe stata ghiotta l’età di mezzo: pare certo, infatti, che la prima testimonianza sui Panozi, così chiamati perché dotati di spropositati padiglioni auricolari, sia da ricondurre alla sua esperienza. E a questo punto non sorprende la circostanza che proprio questi ineffabili ‘Orecchioni’ siano rimessi in scena, circa mezzo secolo più tardi rispetto a Erodoto, da Ctesia di Cnido (V-IV secolo a. C.).20 Oltre a una voluminosa Storia della Persia (Persikà), egli pubblicò anche L’India (Indikà), un libricino che, al di là delle inesattezze, delle imprecisioni e di un lampante gusto per l’elemento meraviglioso, possiede l’eccezionalità di essere il primo scritto a noi noto che sia monograficamente dedicato all’omonimo paese.21 Sopravvissuto alle intemperie del tempo grazie alla meticolosa attività di recensione di Fozio (820-893), che lo incluse tra le fonti della sua Biblioteca,22 il volume si caratterizza per la contraddittorietà dei suoi contenuti: dati all’apparenza plausibili e veritieri, derivanti da colloqui che l’autore parrebbe avere avuto con ambasciatori e mercanti, si mescolano inestricabilmente con sogni e invenzioni che le generazioni future dimostreranno essere impietosamente inesistenti.23 Su un solo aspetto non attestato da Erodoto (IV, 44, p. 637). Si veda Aurelio Peretti, Il periplo di Scilace. Studi sul primo portolano del Mediterraneo, Pisa, Giardini, 1979. 20 Ctesia di Cnido (V-IV secolo a.C.) è ricordato soprattutto per aver servito con l’incarico di medico per diciassette anni, dal 415 al 398 a.C., alla corte persiana di Artaserse II, che curò per una ferita subita nella battaglia di Cunassa. La permanenza lunga quasi due decenni è attestata dallo storico del I secolo a.C. Diodoro Siculo: «Ctesia di Cnido […] visse ai tempi delle spedizioni di Ciro contro suo fratello Artaserse; fu fatto prigioniero e il re lo tenne presso di sé per le sue conoscenze mediche, e per diciassette anni lo onorò. Ora, costui afferma d’aver indagato approfonditamente le gesta di ciascuno dei re medi nelle pergamene reali dove i Persiani secondo una certa legge tenevano il racconto dei loro antichi fatti e di aver composto la sua storia, presentandola ai Greci» (Biblioteca storica, testo greco a fronte, 2 voll., a cura di Giuseppe Cordiano e Marta Zorat, Milano, BUR, 2004-2014, vol. I, II, 32, 4, pp. 511-515). Per la biografia di Ctesia, si veda Stefano Micunco, Introduzione, in Ctesia, Storia della Persia. L’India (Fozio, Biliotheca, 72), testo greco a fronte, con la traduzione inedita di Jean-Baptiste Constantin, a cura di Stefano Micunco, Roma-Padova, Antenore, 2010, p. 10. 21 A questo proposito, cfr. John W. McCrindle, Ancient India as described by Ktêsias the Knidian. Being a Translation of the Abridgement of his “Indika” by Phôtios, and of the Fragments of that Work preserved in other Writers, with introduction, notes and index, Calcutta, Spink & Co, 1882. 22 Fozio I, detto il Grande (820 circa -893), venerato dalla Chiesa ortodossa e scomunicato da quella cattolica, fu due volte patriarca di Costantinopoli e in questa veste partecipò attivamente alle dispute che portarono allo scisma greco. Ma, innanzitutto, egli fu un uomo d’immensa erudizione. Leggeva instancabilmente, annotava, riassumeva. Delle sue 279 schede di lettura di testi di ogni genere, oggi per una metà circa scomparsi, si compone la sua Biblioteca, opera che come poche altre dell’antichità ci apre squarci abbaglianti su molto di ciò che del mondo classico si è perduto per sempre. Per un profilo biobibliografico sull’autore e per un quadro della sua opera, si veda Nigel Wilson, ‘Il patriarca recensore’, in Fozio, Biblioteca, a cura di Nigel Wilson, traduzione dal greco di Claudio Bevegni, Milano, Adelphi, 1992, pp. 13-51.23 La disillusione di numerosi viaggiatori medievali sarà, infatti, inenarrabile, come si può ben cogliere dallo slancio emotivo delle dichiarazioni di alcuni di loro. Su questo tema si veda, oltre, il paragrafo 1.7. 41 sembrano esserci dubbi e incertezze: nel testo, l’India è consacrata definitivamente come la terra delle meraviglie. Realtà geograficamente indefinita, essa include prima di tutto l’area della valle dell’Indo, ma vi rientrano anche terrae incognitae, presentate e disposte secondo una specie di criterio del «tanto più lontano tanto più fantastico».24 In questo percorso, che conduce progressivamente verso lidi sconosciuti e lande desolate, si succedono descrizioni di ogni genere: di particolarità metereologiche (l’assenza di pioggia, la potenza degli uragani), di minerali dalle virtù magiche (come il ferro in grado di stornare le tempeste), di fonti miracolose (come quella della verità), di piante esotiche (la canna indiana e l’albero dell’ambra), di animali stravaganti (reali come l’elefante e il pappagallo, leggendari come il grifone e l’unicorno), di belve semiumane terribilmente feroci come la marticora. Nient’altro, ad ogni modo, sembra aver destato tanto entusiasmo nell’autore come le mostruose genie umane di cui egli ci mette a conoscenza. Nel cuore del paese, ad esempio, ci viene detto che vivono degli uomini dalla carnagione scura, conosciuti con l’appellativo di Pigmei: «molto piccoli di statura», hanno barbe fluenti e capelli così lunghi da poter sfruttare questa folta coltre di peli «come una vera e propria veste». 25 E se da un punto di vista puramente estetico non sono particolarmente dotati («hanno il naso schiacciato e aspetto sgradevole»), fisicamente sono stati ricompensati con la prestanza sessuale, che gli consente di riprodursi con grande facilità, e con la forza fisica, che impiegano prevalentemente nella caccia e nell’allevamento di animali, le cui dimensioni sono proporzionate alle loro.26 Sui «monti alti e inaccessibili», alle cui pendici i Pigmei hanno costruito i loro villaggi, trovano invece riparo i Calistri, il cui «gruppo […] raggiunge le centoventimila unità».27 Molto simili per abitudini e costumi ai loro ‘minuti’ vicini delle pianure, essi hanno teste di cane, denti grandi, unghie affilate, e «una coda al di sopra delle natiche» parecchio grossa e villosa. Non sono in grado di parlare con voce umana e comunicano tra loro emettendo spaventosi latrati. Ciononostante, sono 24 Dominique Lenfant, ‘Introduction’, in Ctésias de Cnide, La Perse, l’Inde, autres fragments, Paris, Les Belles Lettres, 2004, p. CXLII. 25 Ctesia di Cnido (scheda 72), in Fozio, Biblioteca, a cura di Nigel Wilson, traduzione dal greco di Claudio Bevegni, Milano, Adelphi, 1992, pp. 138-139.26 Ibid., p. 139. 27 Ibid., pp. 138 e 142. Sulla collocazione delle genie mostruose su alture, come segno distintivo di una particolare primitiva feroce barbarie, cfr. Marjorie H. Nicolson, Mountain Gloom and Mountain Glory. The Development of the Aesthetics of the Infinite, New York, University of Washington Press, 1963, pp. 39-49. 42 d’indole pacifica, qualità che confermano di possedere quando cercano di farsi capire dai loro potenziali interlocutori «con i movimenti delle dita e delle mani, alla maniera dei sordomuti».28 Essendo «abilissimi nel lanciare il giavellotto e nel tirare con l’arco», non hanno problemi a procurarsi la selvaggina di cui si nutrono e sono disposti ad affrontare qualunque disagio pur di raccogliere i dolcissimi «frutti della siptachora (l’albero che produce l’ambra), dei quali sono ghiotti.29 Non scendono mai a valle, se non per praticare il baratto di alcuni prodotti (pane, farina, vesti di cotone) e prima che il sole tramonti si arrampicano nuovamente sulle loro montagne, dove trascorrono la notte alloggiati in grotte scavate nella pietra. L’interno di queste caverne è piuttosto inospitale: non ci sono letti, solo «semplici giacigli fatti di fogliame» e gli spazi sono spesso in condivisione con gli animali domestici, la cui presenza rende l’ambiente ancora più sporco e disordinato. Da quel che leggiamo, tuttavia, l’igiene personale non sembra essere una prerogativa assoluta per i padroni di casa: «le donne si lavano una volta al mese – in coincidenza del ciclo mestruale – e in nessun’altra occasione; gli uomini invece non si lavano, ma si sciacquano solo le mani».30 Per quanto spartano, il modo semplice e libero con cui essi affrontano la quotidianità garantisce loro salute e longevità: «vivono infatti centosettant’anni, ma alcuni di loro giungono a viverne duecento».31 I Cinocefali (come saranno più spesso identificati in seguito) non sono tuttavia gli unici amanti delle alture. Ancora più in alto di loro, arrampicate sulle vette scoscese delle medesime catene montuose, si sono stanziate altre due popolazioni. Poco, o quasi nulla, si sa dei membri della prima, che non mangiano cibi solidi, non bevono acqua e traggono il sostentamento dal latte. «Quando nasce loro un bambino, questi non ha ano e non evacua: le natiche, per la verità, le ha, ma sono saldate fra loro, cosicché non gli è possibile evacuare».32 Questa caratteristica anatomica non sembra invece riguardare i rappresentanti dell’altra comunità, le cui donne, però, sono uniche per un altro aspetto: «partoriscono una sola volta nella vita, e le loro creature nascono già con denti bellissimi […] e capelli e sopraccigli canuti». Celebri nella regione per la loro bellicosità e abilità con 28 Ibid., p. 142. 29 Ibid., p. 143. 30 Ibid., p. 144. 31 Ibid. 32 Ibid., pp. 144-145. 43 le armi, ogni anno il re degli indiani recluta cinquemila di loro per il suo esercito. Essi, afferma lo storico di Cnido, sono uomini dalle orecchie «così grandi da coprire le braccia fino ai gomiti e, nel contempo, avviluppano loro la schiena, giungendo a toccarsi fra loro».33 Come ha rilevato Fozio nel suo riassunto, Ctesia racconta queste storie fantastiche e sostiene che quanto scrive è la pura verità; aggiunge che egli riferisce cose in parte vedute direttamente, in parte apprese da testimoni oculari, e che molte altre – ancor più stupefacenti di queste – ne ha tralasciate, perché chi non le ha viste non le ritenesse pure invenzioni dello scrittore. E qui termina l’opera.34 Con questa rivendicazione di veridicità, che diventerà un tòpos nella letteratura del meraviglioso orientale, si chiudevano dunque i mirabolanti racconti di Ctesia, tappa fondamentale per la creazione dell’immaginario greco sull’India come continente del fantastico. 35 Questo costrutto culturale avrà il tempo di fissarsi per più di mezzo secolo, fino a quella vera e propria rivoluzione della conoscenza costituita dal viaggio di conquista di Alessandro Magno. Alessandro il Macedone (356 a.C.–323 a.C.) modificò radicalmente la concezione ellenica dell’oriente.36 Figlio di Filippo II e allievo di Aristotele, sbaragliò 33 Ibid., p. 148. 34 Ibid. 35 L’autoaffermata veridicità di Ctesia sarà fatta oggetto di parodia da Luciano di Samosata (125-190 circa) nel preambolo alla sua Storia vera: «per esempio Ctesia, figlio di Ctesiaco, di Cnido, il quale scrisse intorno al paese degli Indi e alle cose che si trovano in esso, cose che né egli stesso vide, né udì da altri che dicesse il vero» (Storia vera, introduzione, traduzione e note di Quintino Cataudella, testo greco a fronte, Milano, BUR, 1990, I, 3, p. 55). Gli studiosi moderni non saranno meno severi nei loro giudizi, considerando Ctesia non soltanto meno affidabile di Erodoto, ma avanzando la possibilità che egli non si sia mai recato in Oriente. A questo proposito, cfr. Arnaldo Momigliano, ‘Tradizione e invenzione in Ctesia’, Atene e Roma, 12, 1931, pp. 15-44. 36 La bibliografia su Alessandro Magno è sterminata. Per un resoconto delle sue gesta, si vedano almeno, come fonti primarie, Plutarco, Vite parallele, 3 voll., introduzione, traduzione e note di Carlo Carena, Milano, Mondadori, 1981, vol. II, pp. 681-775; Curzio Rufo, Storie di Alessandro, testo latino a fronte, 2 voll., a cura di John E. Atkinson e Riccardo Scarcia, Milano, Fondazione Lorenzo Valla- Mondadori, 1998-2000 e Flavio Arriano, L’anabasi di Alessandro, testo greco a fronte, 2 voll., a cura di Francesco Sisti e Andrea Zambrini, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2001-2004. Per quanto concerne, invece, la fortuna delle imprese del Macedone in letteratura, cfr AA. VV., Alessandro nel Medioevo Occidentale, a cura di Mariantonia Liborio, introduzione di Peter Dronke, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 1997; e AA. VV., Il romanzo di Alessandro, 2 voll., testo greco e latino a fronte, a cura di Richard Stoneman, traduzione italiana di Tristano Gargiulo, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2007-2012. Per un inquadramento critico generale: Chiara Frugoni, La fortuna di Alessandro Magno dall’Antichità al Medioevo, Firenze, La Nuova Italia, 1978; Brian A. Bosworth, Conquest and Empire. The Reign of Alexander the Great, Cambridge, Cambridge University Press, 1988 (Alessandro Magno. L’uomo e il suo impero, traduzione italiana di Giuseppe Bernardi, Milano, Rizzoli, 2004); Giulio Giannelli, ‘Alessandro Magno’, in Enciclopedia Biografica Universale, 20 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2006, I, pp. 305-323. 44 Dario e divenne re di Persia nel 336 a.C., ma non si accontentò. Le sue spedizioni si spinsero nel cuore del continente asiatico fino a raggiungere i confini del mondo conosciuto: sognava di creare un impero universale dove potessero convivere civiltà autoctone e straniere. Il suo intento esplorativo si concretizzò nel progetto di avere al proprio seguito dei dotti collaboratori, capaci di analizzare con sguardo critico gli scenari che egli poneva via via di fronte ai loro occhi. Alle opere di questi qualificati accompagnatori si deve un notevole accrescimento della mole di conoscenze riguardanti le terre assoggettate: tali opere, seppure perdute, lasciarono echi notevoli nei lavori degli autori successivi. L’opera più importante sull’India fu redatta, proprio subito dopo le campagne di Alessandro Magno, dallo storiografo Megastene. Questi, diplomatico e ambasciatore del diadoco Seleuco I, operò presso la corte del re indiano Chandragupta Maurya (343-274 a.C.) nella città di Pataliputra (odierna Patna, sul fiume Gange), dando per la prima volta una testimonianza complessiva sulla geografia dell’India, i suoi abitanti, le sue istituzioni sociali e politiche, l’ambiente, la mitologia e la storia.37 Sebbene il suo resoconto fosse il più autorevole per attendibilità e abbondanza di materiale, tanto da essere ripreso per molti secoli a venire (frammenti ci sono pervenuti tramite gli scritti di Diodoro Siculo, Arriano, ed Eliano), Megastene inserì una lunga serie di racconti favolosi, talvolta riprendendo quelli di Erodoto (come ad esempio, quello sulle formiche giganti custodi dell’oro), talvolta aggiungendone di nuovi (riguardanti esseri con i piedi rivolti all’indietro, creature che si nutrono solo di odori, uomini senza narici e col labbro superiore estremamente sviluppato e cascante, ciclopi con orecchie di cane). Il resoconto di Megastene rimase sostanzialmente inattaccabile per i successivi 1500 anni: gli scambi tra l’India e il mondo mediterraneo risultarono infatti importanti e fiorenti, ma sempre indiretti e mediati dalle popolazioni orientali (dapprima l’impero sassanide, poi gli Arabi) che gestirono il monopolio delle rotte commerciali sino al basso Medioevo, favorendo in questo modo il permanere di una visione leggendaria dell’Oriente. La scarsità di contatti diretti impedì la circolazione di conoscenze geografiche ed etnologiche, tanto che gli autori greci e romani degli ultimi secoli prima di Cristo e dei primi della nostra era continuarono a trascrivere 37 I frammenti dell’opera di Megastene sono contenuti nella fondamentale raccolta di Felix Jacoby (hrsg.), Die Fragmente der Griechischen Historiker, 16 voll., Berlin-Leiden, Weidmann-Brill, 19231998, III C, pp. 603-639. 45 fedelmente i resoconti, ormai divenuti classici, sull’India: quelli di Ctesia e di Megastene. Le loro voci, tuttavia, così tanto disposte ad accogliere l’elemento meraviglioso, non costituiscono l’unica tradizione all’interno della letteratura greca. Ci furono, infatti, delle ribellioni di stampo quasi ‘illuminista’ alle storie di meraviglie, prodigi e razze favolose, come ci attesta la posizione censoria di alcuni autori più tardi. Il più critico fu forse il geografo Strabone,38 il quale, nel libro secondo della sua Geografia, contestò apertamente l’atteggiamento credulo dei suoi predecessori nei confronti delle stirpi mostruose dell’India: Tutti coloro che scrissero intorno all’India nella maggior parte delle cose mentirono; uno sopra tutti Deimaco. Gli tengono dietro Megastene, Onesicrito, Nearco ed altri di cotal fatta raccontatori di frivolezze […]. Ma si vuol principalmente negar credenza a Deimaco ed a Megastene; i quali parlarono di Enotochiti [uomini che si avviluppano nelle orecchie], di Astomii [uomini senza bocca], di Arrini [uomini senza nari], di Monoftalmi [uomini con un occhio solo], di Macroscheli [uomini con lunghe gambe] ed Opistodattili [uomini con dita ricurve].39 In questa stessa direzione, non meno vivaci furono centocinquant’anni più tardi le rimostranze avanzate dal giudice extra ordinem Aulo Gellio.40 Lettore appassionato, 38 Strabone (64 a.C – 24 d.C.), nato ad Amasea sul Ponto da famiglia illustre e politicamente influente, dotata di un ricco patrimonio tale da permettergli di dedicarsi interamente alla propria formazione e ai viaggi, si trasferì a Roma e studiò con Tirannione, grammatico peripatetico e geografo suo compatriota, l’aristotelico Senarco di Seleucia e lo stoico Posidonio di Apamea. Per un inquadramento della sua figura: Francesco Prontera, Gianfranco Maddoli (a cura di), Strabone. Contributi allo studio della personalitá e dell’opera, 2 voll., Perugia, Università degli Studi, 1984-1986; Anna Maria Biraschi, Giovanni Salmeri (a cura di), Strabone e l’Asia Minore, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2000; Daniela Dueck, Hugh Lindsay, Sara Pothecary (ed.), Strabo’s Cultural Geography. The Making of a Kolossourgia, Cambridge, Cambridge University Press, 2005. 39 Strabone, Della geografia di Strabone libri XVII volgarizzati da Francesco Ambrosoli, voll. 5, Milano, Francesco Sonzogno-Molina, 1827-1835, vol. II, libro II, 1, p. 148 [integrazioni di chi scrive]. 40 Aulo Gellio (125-180 circa), nato a Roma, studiò retorica e grammatica sotto la guida di Marco Cornelio Frontone e in seguito si trasferì ad Atene con l’intento di perfezionarsi nelle arti liberali. Grazie a questo soggiorno ateniese cominciò a comporre la sua opera principale: le Noctes Atticae. Frutto delle sue letture e colloqui con i letterati, filosofi e retori del suo tempo, spaziavano tra gli argomenti più disparati: dal modo di spiegare un vocabolo desueto a quello di risolvere un problema grammaticale o filologico; dall’illustrazione di una formula religiosa o di una questione antiquaria al racconto di un aneddoto curioso o di una discussione tra dotti. Tornato poi a Roma, iniziò a lavorare come giudice extra ordinem, cioè come giudice del processo imperiale. Per un inquadramento biobibliografico: Leofranc Holford-Strevens, Aulus Gellius. An Antonine Scholar and his Achievement, Oxford, Oxford University Press, 2003; Leofranc Holford-Strevens, Amiel Vardi (eds.), The Worlds of Aulus Gellius, Oxford, Oxford University Press, 2004. 46 abile collezionista di aneddoti, fu soprattutto un infaticabile compilatore di compendi. Frutto delle sue immense fatiche furono le Notti attiche, un grande archivio della memoria, nel quale non poteva – e non doveva – omettere nulla, nemmeno quelle futili dicerie di cui erano piene zeppe le opere del passato. A questo proposito, il giurista imperiale non mancò di annotare nel suo capolavoro un episodio avvenuto a Brindisi, dove egli era sbarcato di rientro da un soggiorno nella campagna ateniese. Passeggiando nei pressi del porto, si mise a frugare nella bancarella di un venditore ambulante, incuriosito da enormi fasci di libri greci pieni di racconti meravigliosi, di cose mai udite e da non credersi, di antichi scrittori non privi di autorità: Aristea di Proconneso, Isigomo di Nicea, Ctesia e Onesicrito, Filostefano ed Egesia; i volumi stessi, per il lungo tempo trascorso in quel luogo, apparivano sporchi, in cattive condizioni e di brutto aspetto. Avvicinatomi comunque e richiesto il prezzo, invogliato dalla straordinaria modicità, con pochi soldi comperai parecchi libri e ne scorsi tutto il contenuto nelle due successive notti.41 Dopo aver registrato le credenze superstiziose sull’esistenza di Cinocefali, Sciapodi, Pigmei, Ermafroditi e Ciclopi, egli concludeva la sua trascrizione di nozioni con la seguente osservazione: «queste cose e molte altre del genere ho letto, ma mentre le trascrivevo mi ha preso il disgusto per fatti che non mi sembravano degni di essere messi in carta, perché non recavo vantaggio alcuno ad allietare la vita o a giovare all’utilità di essa».42 Tuttavia, nonostante intellettuali ‘razionalisti’ come Strabone o Gellio avessero negato credito alle creature meravigliose d’oriente, la linea prevalente nella latinità (e quindi in tutto il Medioevo cristiano che non conosceva il greco) si rivelò quella aperta all’accoglienza di tali mirabilia. La grande eredità di conoscenze, ma anche di mitologie, riguardanti l’Oriente giunse, infatti, al Medioevo attraverso le grandi opere di divulgazione degli autori latini, prima fra tutte quella di Plinio il Vecchio.43 41 Aulo Gellio, Notti attiche, testo latino a fronte, 2 voll., introduzione di Cesare M. Calcante, traduzione e note di Luigi Rusca, Milano, BUR, 1968, vol. I, IX, 4, p. 587. 42 Ibid., p. 589. 43 Plinio il Vecchio (23 o 24 d.C. – 79 d.C.), nato a Como in una ricca famiglia di rango equestre, fu educato a Roma, poi militò come ufficiale nelle legioni di stanza in Germania dal 47 al 58, e fece ritorno in Italia nel 59. Non assunse più incarichi pubblici durante l’età di Nerone, da lui giudicato 47 Prima grande vera enciclopedia della storia, la monumentale Naturalis Historia, in 37 libri, ultimata nel 77 e frutto di almeno venticinque anni di elaborazioni, spazia dall’astronomia alla meteorologia, dalla zoologia alla botanica, dalla medicina alla mineralogia, alla storia delle arti figurative.44 Questa immensa summa della conoscenza ambiva ad essere una sorta di imago mundi in versione cartacea; in essa, tuttavia, non si trovano i risultati di un’indagine sperimentale sulle caratteristiche dell’universo né un originale pensiero scientifico-filosofico, poiché è frutto, per massima parte, di compilazione.45 In questo sorprendente accumulo di nozioni, non devono quindi stupire l’attenzione al dettaglio e la convinzione che ogni creatura, anche quella apparentemente più banale e insignificante, possa essere utile a qualcosa: infatti, «niente può apparire superfluo nell’osservazione della natura».46 Dunque neppure quei popoli, disseminati per il globo, che – sostiene Plinio – ci molto duramente e definito ‘nemico del genere umano’. Fu in questo periodo di volontaria lontananza dalla cosa pubblica che esercitò l’avvocatura e si dedicò con grande impegno ai suoi studi. Sotto Vespasiano ebbe una fitta serie di incarichi come funzionario imperiale, sia in diverse province sia nella capitale, dove divenne un collaboratore diretto dell’imperatore. Morì nell’agosto del 79 recando aiuto alle popolazioni colpite da quella tremenda eruzione del Vesuvio che seppellì Ercolano e Pompei. I particolari di quei giorni sono ricostruiti con accuratezza in alcuni carteggi del nipote Plinio il Giovane con Tacito. A questo proposito, cfr. Plinio il Giovane, Lettere ai familiari. Carteggio con Traiano. Panegirico con Traiano, testo latino a fronte, 2 voll., introduzione e commento di Luciano Lenaz, traduzione di Luigi Rusca e Enrico Faelli, Milano, BUR, 1994, I, VI, 16, pp. 467-475. Per un profilo biobibliografico: Trevor Murphy, Pliny the Elder’s Natural History. The Empire in the Encyclopedia, Oxford, Oxford University Press, 2004; Laura Cotta Ramosino, Plinio il Vecchio e la tradizione storica di Roma nella Naturalis Historia, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004; Roy K. Gibson, Ruth Morello (ed.), Pliny the Elder. Themes and Contexts, Leiden, Brill, 2011. 44 Vale la pena ricordare che i libri XXXIV-XXXVII contengono l’unica trattazione antica sistematica conservata sulla storia delle arti figurative (architettura, scultura, pittura e oreficeria). Sulla storia dell’arte in Plinio: Jacob Isager, Pliny on Art and Society. The Elder Pliny’s Chapters on the History of Art, London-New York, Routledge, 1991; Sorcha Carey, Pliny’s Catalogue of Culture. Art and Empire in the Natural History, Oxford, Oxford University Press, 2006. 45 Le lunghe fasi che devono aver caratterizzato quest’operazione redazionale e compendiaria ci vengono in qualche maniera suggerite dalle impressionanti cifre riportate nell’epistola dedicatoria: «20.000 fatti degni di nota (poiché, come dice Domizio Pisone, questi miei si dovrebbero chiamare magazzini, non libri), ricavati dalla lettura di circa 2000 volumi (ben pochi dei quali sono usati dagli studiosi a causa dell’oscurità della materia) di cento autori scelti: tutto ciò ho racchiuso in 37 libri, aggiungendovi moltissimi dati che i miei predecessori non conoscevano o che furono scoperti in epoca successiva. E non dubito che siano molte le cose sfuggite anche a me. Sono un uomo, sono affaccendato nelle occupazioni di ogni giorno; mi dedico a opere come questa nei ritagli di tempo, vale a dire di notte (perché qualcuno di voi non pensi che, almeno in quelle ore, io me ne stia inoperoso). I giorni li dedico a voi, le mie ore di sonno sono regolate sulla salute, e mi accontento di questa unica ricompensa che, mentre rimugino (come dice Marco Varrone) codeste cose, aggiungo ore alla mia vita» (Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, testo latino a fronte, 5 voll., prefazione di Italo Calvino, saggio introduttivo di Gian Biagio Conte, nota biobibliografica di Alessandro Barchiesi, Chiara Frugoni e Giuliano Ranucci, traduzioni e note di Alessandro Barchiesi, Roberto Centi, Mauro Corsaro, Arnaldo Marcone e Giuliano Ranucci, Torino, Einaudi, 1982-1988, vol. I, Epistola dedicatoria, 17-18, p. 13). 46 Ibid., vol. II, XI, 4, p. 547. 48 appaiono mostruosi solo perché incontrano il nostro sguardo per la prima volta. Invece è proprio in quella diversità multiforme che l’universo cela i suoi prodigi più singolari: Ritengo […] di non dover tralasciare alcune notizie, soprattutto quelle concernenti popoli che vivono lontano dal mare, talune caratteristiche dei quali appariranno, ne sono certo, prodigiose e incredibili a molti. […] Quale fatto non sembra straordinario nel momento in cui se ne prende per la prima volta conoscenza? Quante cose non si ritengono impossibili, prima che accadano? La potenza e la maestà della natura in tutte le fasi del suo esplicarsi è incredibile, se la si considera solo parzialmente e non nel suo insieme.47 Fedele a questo principio, prendendo spunto soprattutto dalle opere di Ctesia e Megastene, il grande bibliofilo trasformò il libro VII della sua Naturalis Historia in una sorta di catalogo, nel quale far confluire tutte le etnie mostruose di cui aveva preso nota in più di un ventennio di letture accanite, accompagnando ognuna di esse con un breve profilo descrittivo.48 Trattandosi di creature meravigliose, altrettanto stupefacente non poteva che essere la terra in cui esse trovavano il loro habitat ideale, e cioè l’India: Soprattutto l’India e il territorio degli Etiopi pullulano di meraviglie. In India nascono gli animali più grandi: lo dimostrano i cani, che sono in quella terra più grossi che altrove. Gli alberi poi si dice che raggiungano tali altezze, da non poter essere superati dal lancio di una freccia – e la fertilità del suolo, la mitezza del clima e la ricchezza d’acqua fanno sì che, se ci si vuol credere, un solo fico riesce a dare riparo a interi squadroni di cavalieri […] È certo che in India molti uomini hanno una statura superiore a cinque cubiti [cioè a m 2,22], non sputano, non soffrono il mal di testa o il mal di denti o il mal d’occhi, e solo raramente di altri mali del corpo; sono infatti temprati da una distribuzione tanto equilibrata del calore del sole. […] Secondo Megastene, su un monte chiamato Nulo ci sono uomini con le piante dei piedi rivolte all’indietro e con otto dita per piede. Su molti altri monti si trovano invece uomini 47Ibid., VII, 6-7, pp. 11-13. 48 John Block Friedman, ha etichettato come ‘Plinian races’ le etnie mostruose di cui parla il grande enciclopedista, riconoscendogli il merito non soltanto di averle raccolte in maniera sistematica tutte insieme, ma anche di aver fornito, per alcune di esse, la prima testimonianza scritta (The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, p. 5). 49 con la testa di cane, vestiti di pelli di fiere, che emettono solo latrati e che vivono di caccia e uccellagione, procurandosi la preda con l’arma delle unghie: Ctesia afferma che, al tempo in cui scriveva, c’erano più di centoventimila individui di questo genere. Lo stesso Ctesia parla di una stirpe di uomini – i Monocòli – che hanno una gamba sola e sono straordinariamente agili nel saltare; essi sono chiamati anche Sciapodi, poiché quando la calura è più forte, giacendo a terra supini si proteggono con l’ombra del piede.49 E il resoconto prosegue con notazioni intorno ai Trogloditi, ai Satiri, agli Ermafroditi, agli Astomi, ai Pigmei e a diversi altri essere dalle mirabolanti caratteristiche anatomiche. Non manca, ovviamente, sebbene travisato da una tradizione indiretta, l’episodio erodoteo della caccia all’oro: Molti autori, i più illustri dei quali sono Erodoto e Aristea di Proconneso, scrivono che questo popolo è in continua guerra, nei pressi delle miniere, coi grifi, specie di animali volanti (così li descrive la tradizione) che estraggono l’oro dai cunicoli. Con grande ardore si lotta da entrambe le parti: le belve cercano di difendere l’oro, gli Arimaspi di impossessarsene.50 Letta, trascritta e consultata, anche attraverso compendi, lungo tutto il Medioevo e nel Rinascimento, la Naturalis Historia è stata per molto tempo considerata un grande libro di verità scientifica e ha in tal modo contribuito a fissare l’immaginario europeo sull’Oriente meraviglioso. Ampi stralci di questo capolavoro saranno ripresi da un autore ancora più celebre e apprezzato di Plinio fra gli scrittori cristiani del Medioevo, Caio Giulio Solino. Quasi nulla sappiamo di questo oscuro intellettuale, forse vissuto nel III secolo d.C., che non ha lasciato trapelare nessuna indiscrezione sulla propria esistenza all’interno dei suoi Collectanea rerum memorabilium.51 49 Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, vol. II, VII, 21-23, pp. 21-23. 50 Ibid., 10, pp. 13-15. 51 Per una discussione sull’incerta cronologia dell’opera e sulle scarne notizie biografiche dell’autore, si rimanda a Bruno Basile, Introduzione, in Caio Giulio Solino, Da Roma a Taprobane. Dai ‘Collectanea rerum memorabilium’, a cura di Bruno Basile, Roma, Carocci, 2010, pp. 9-15. Per un inquadramento di Solino all’interno della storia del pensiero scientifico e geografico, si vedano Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science. During the First Thirteen Centuries of our Era, 8 vols., New York, Columbia University Press, 1923-1958, I, 326-331; William H. Stahl, Roman Science. Origins, Development, and Influence to the Later Middle Ages, Madison, University of Wisconsin Press, 1962, pp. 182-90, 229-30, 292-93 (La scienza dei romani, traduzione di Iole Rambelli, Roma- Bari, Laterza, 1974); Paul Zumthor, La mesure du monde. Représentation de l’espace au Moyen âge, 50 In questa periegesi, dedicata alla descrizione complessiva del mondo allora conosciuto, lo scrittore procede dal centro alla periferia del mondo, dal noto all’ignoto, allontanandosi dalle certezze della storia e penetrando nelle foschie della leggenda, via via che si abbandona il cuore dell’Europa romana – la Spagna, la Gallia, la Grecia, il Nord Africa. Da qui egli raggiunge terre solo parzialmente esplorate come la Britannia, la Germania, prosegue oltre il limes delle conquiste imperiali, nelle pianure sarmatiche, attraversa i territori africani al di là dell’Etiopia e l’India. Coerente con i parametri della dicotomia etnologica greco-latina, Solino contrappone il mondo illuminato del Logos, coincidente con l’ecumene classico, a quello della Barbarìa, delle etnie tribali del tatuaggio e del cannibalismo. Proseguendo oltre, si entra nel regno del mito, dove i Pigmei lottano con le gru, gli Arimaspi hanno un occhio solo e gli ultimi bagliori di certezze territoriali svaniscono tra l’orizzonte di Taprobane (odierno Ceylon) e il mistero delle Isole Fortunate. Questo elemento mitico non risponde solo alla carenza di conoscenze scientifiche sulle terre lontane, ma anche a un’esigenza stilistica di ricchezza compositiva, come lo stesso autore segnala nella Praefatio dedicatoria: «vi ho aggiunto anche parecchi temi più o meno congruenti: se non altro, almeno la varietà narrativa può mitigare la noia di chi legge».52 Così giustificatosi nella sezione introduttiva del suo lavoro, Solino profitta di ogni occasione per inserire elementi bizzarri, non risparmiando neppure la vicinissima Grecia: [vi sono] due fiumi in Beozia che, pur possedendo ciascuno una diversa origine, non si distinguono per le loro straordinarie caratteristiche: se un gregge ovino beve in uno di essi, il vello che le ricopre prende il colore nero, e quando le pecore di colore scuro si abbeverano nell’altro fiume diventano bianche.53 Ma è nella presentazione dell’India che il periegeta può sbizzarrirsi nella catalogazione di curiosità umane e naturali, in cui non mancano, ancora una volta, i riferimenti agli ormai classici Ctesia e Megastene: Si legge in Ctesia che alcune donne indiane partoriscono una sola volta e che i neonati diventano subito canuti e, al contrario, che esiste un’altra razza che nella sua giovinezza presenta capelli bianchi, poi scuri in vecchiaia e capace di una vita più lunga del limite della nostra. Abbiamo letto che lì nascono anche i monocòli forniti di Paris, Seuil, 1993 (La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medioevo, traduzione italiana di Simona Varuaro, Bologna, Il Mulino, 1993). 52 Caio Giulio Solino, Da Roma a Taprobane, p. 35. 53 Ibid., p. 83. 51 una sola gamba e di una straordinaria agilità, i quali, quando desiderano proteggersi dal calore solare, si lasciano cadere supini per farsi ombra con l’enorme pianta dei piedi. Coloro che abitano presso le sorgenti del Gange vivono, senz’aiuto di alcun cibo, con l’aroma dei frutti silvestri, e quando effettuano lunghi viaggi prendono la precauzione di portarli con sé, proprio quelli per alimentarsi annusandoli. Quanto poi alla possibilità che possano respirare un effluvio assai disgustoso, ne consegue l’inevitabile perdita della vita. Raccontano anche che esiste una razza di donne capaci di concepire a cinque anni, ma inidonee a prolungare il tempo della vita oltre l’ottavo anno. Vi sono genti che sono prive della cervice e hanno gli occhi posti sugli omeri. Altre sono selvagge, con il corpo peloso, denti da cane, ed emettono ululati spaventosi.54 Questi pochi estratti valgono a esemplificare la ricchezza dei Collectanea rerum memorabilium, che sono un catalogo di piante rare, un policromo lapidario, e soprattutto un trattato di teratologia, in cui l’oscuro autore, convinto della diversità biologica dei mondi lontani, stila un resoconto su esseri abnormi viventi oltre i nostri climi. Questa sovrabbondanza narrativa, in cui il reale e l’immaginario risultano indissolubilmente fusi – il rinoceronte si abbevera allo stesso stagno in cui trova ristoro dalla sete il basilisco – fa di questo fervente compendiatore il padre dei bestiari medievali, ai quali egli trasmise tutte quelle strane creature che ne affolleranno le pagine per un intero millennio. Complice di questa fortuna fu il declino in occidente della lingua e della cultura greche e l’inevitabile oblio dei geografi ‘razionalisti’ (Strabone, come già accennato, Eratostene e Tolomeo). Dimenticanza che fece dei Collectanea un’opera indispensabile, un’agile summa trasformata in manuale consultato da tutti e usato infinitamente come fonte per altre enciclopedie: non sorprende trovare brani soliniani fin nei tesori eruditi del XIII secolo. Ma tutto questo universo, per poter accedere al Medioevo, avrebbe dovuto attraversare le maglie di un nuovo setaccio: il mondo cristiano non poteva inglobare semplicemente l’eredità geografica ed etnografica del mondo pagano, doveva ricondurla all’interno di una linea che originasse dall’autorità della Bibbia. E fu Agostino a mostrare la via di ricomposizione tra la meraviglia e la dottrina del nuovo credo. 54 Ibid., pp. 135-137. 52 1.2 An Enlightened Interlude: mostri e onnipotenza divina nelle parole dei primi autori cristiani La figura di Agostino spicca incontrastata fra i padri della Chiesa: oltre ad aver avuto un ruolo di primo piano nella vita ecclesiale del suo tempo, fu filosofo di grande originalità e i risultati della sua speculazione teologica influenzarono tutto il successivo sviluppo del pensiero cristiano.55 Protagonista di un travagliato percorso interiore dal paganesimo al cristianesimo, sotto questo segno può essere analizzata tutta la sua produzione letteraria, e nello specifico l’opera maggiore, la Città di Dio, scritta tra il 413 e il 426. La prima parte di questo ampio trattato (libri I-X) è incentrata sulla confutazione delle opinioni pagane, la seconda (libri XI-XXII) è invece dedicata all’esposizione della dottrina cristiana. Quest’ultima è discussa ripercorrendo la storia dell’uomo fin dalla creazione, distinguendo dialetticamente l’umanità tra coloro che si curano dell’amor di Dio e coloro che lo disprezzano. I primi appartengono alla civitas Dei, i secondi alla civitas diaboli. Nei libri XI-XIV Agostino narra la fondazione della città del diavolo, che si origina dalla caduta degli angeli ribelli. Nei successivi, è seguita invece la storia dell’umanità, dal primo uomo all’età contemporanea, 55 Agostino d’Ippona (354-430), nacque a Tagaste, in Numidia, da una famiglia della piccola borghesia locale; figlio di un pagano e di una cristiana, studiò retorica nella sua città natale, poi a Madaura, quindi a Cartagine e fu proprio negli anni della formazione che, postosi il problema della ricerca di Dio, decise di approfondire la conoscenza della fede cristiana. Tuttavia, la lettura della Bibbia si rivelò per lui deludente, poiché la trascuratezza della traduzione latina offendeva il suo ormai raffinato gusto letterario. Fu in questi stessi anni che gradualmente si accostò all’eresia manichea, che abbandonerà nel giro di poco tempo perché incapace di sciogliere i suoi dubbi religiosi. Deluso dai manichei e stanco dell’insegnamento in provincia, riuscì finalmente ad abbandonare Cartagine nel 383, imbarcandosi per Roma. Da qui, si mise ben presto di nuovo in viaggio alla volta di Milano, dove l’ascolto delle prediche di un altro grande padre della Chiesa, Ambrogio, lo pose di fronte a un’interpretazione delle Scritture capace di superare un accostamento banalmente letterale al testo sacro e di fornire risposte filosoficamente raffinate alle sue inquietudini. Rientrato quindi nuovamente in patria con l’intenzione di dedicarsi alla vita monastica poté farlo solamente per tre anni, poiché nel 391, durante una visita nella città di Ippona, fu acclamato prete dalla folla. Cinque anni dopo divenne vescovo. Assunta questa carica, si impegnò con grande attivismo per restituire unità alla Chiesa d’Africa, dilaniata da scismi ed eresie, ma questa non fu l’unica attività ad assorbire le sue energie: impegnato nella predicazione e in una fitta corrispondenza, delle quali rimane traccia nei Sermoni e nelle Lettere, trovò il modo di riflettere su tutti i problemi più sentiti del suo tempo. Agli anni dell’episcopato appartengono le sue opere più grandi: le Confessioni, La dottrina cristiana e la Città di Dio. Morì nel 430, mentre Ippona era assediata dagli invasori Vandali di Genserico. Per le informazioni relative alla biografia di Agostino, si è fatto prevalentemente riferimento allo studio, oramai classico, di Peter Brown, Augustine of Hippo. A Biography. New Edition with an Epilogue, London, Faber and Faber, 2000 (Agostino d’Ippona, traduzione italiana di Gigliola Fragnito, per l’Epilogo traduzione di Lilla Maria Crisafulli e Keir Elam, Torino, Einaudi, 2005), soprattutto i primi due capitoli. Brevi, ma utili ricostruzioni della vita del santo si possono trovare anche in Maria Bettetini, Introduzione a Agostino, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 3-37 e Giovanni Catapano, Agostino, Roma, Carocci, 2010, pp. 181-208. Per l’eresia manichea, si rimanda ai seguenti studi: Gherardo Gnoli (a cura di), Il manicheismo, 3 voll., Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2003-2008. 53 analizzando l’intersecarsi delle due civitates. L’opera si conclude prospettando la fine dei tempi, che sancirà la dannazione eterna dei reprobi e compenserà i giusti con la visione di Dio. È proprio nel racconto della prima fase, quella che va da Adamo al diluvio universale, che il filosofo si interroga sull’origine delle genie mostruose, con un capitolo intitolato: «se certe razze di uomini mostruosi siano uscite dalla discendenza di Adamo o dei figli di Noè». L’argomentare di Agostino prende origine da un breve collage di creature deformi in cui si riconoscono gli echi della tradizione sull’India inaugurata da Ctesia e proseguita dai suoi successori, ma in cui è adesso scomparsa ogni connotazione geografica. Il mostruoso, per un autore cristiano, è un tema che riguarda il creato nel suo complesso: Si narra che alcuni hanno un solo occhio in mezzo alla fronte, altri i piedi rovesciati all’indietro, altri siano di due sessi, con la mammella destra maschile e quella sinistra femminile, e unendosi tra loro si alternano a generare e partorire; altri non hanno bocca e vivono solo respirando col naso; altri sono alti un cubito e i Greci, dal cubito, li chiamano Pigmei; altrove le donne concepiscono a cinque anni e non vanno oltre l’ottavo anno di vita. Si parla pure di una razza dove hanno una gamba sola per i due piedi, non piegano il ginocchio, eppure sono velocissimi; li chiamano Sciopodi, perché nella calura stanno supini per terra e si fanno ombra con i piedi; alcuni sono senza collo e hanno gli occhi sulle spalle. Per non parlare di tutte le specie di uomini, o quasi uomini, che sono riprodotti nei mosaici della piazza marina di Cartagine, desunte dai libri di curiosità storiche. Cosa dire inoltre dei Cinocefali, le cui teste canine e gli stessi latrati dicono che sono più bestie che uomini?56 Dopo aver così sottoposto agli occhi del lettore quest’antologia di mostri, Agostino afferma nel modo più semplice che non bisogna necessariamente dar credito a tali racconti, molti dei quali potrebbero più semplicemente essere considerati favole o miti. D’altra parte, egli prosegue, se si vuol dar loro credito, potrebbe trattarsi di trasfigurazioni di animali, umanizzati dalla fantasia degli autori che ce ne danno testimonianza: «[…] se ignorassimo che le scimmie, i cercopitechi, le sfingi non sono esseri umani, bensì animali, quegli storici che si vantano delle loro conoscenze erudite 56 Sant’Agostino, La città di Dio, 2 voll., a cura di Domenico Marafioti, Milano, Mondadori, 2011, vol. II, XVI, 8, 1, pp. 923-924. 54 potrebbero ingannarci presentandole, con vaniloquio non smentito, come razze umane particolari».57 Il maggiore sforzo argomentativo è però compiuto di fronte alla terza ipotesi, quella secondo cui gli oggetti di descrizioni tanto meravigliose siano da considerare realmente esseri umani. In tal caso, insiste Agostino, «mai nessun fedele dovrà mettere in dubbio che derivi[no] da quell’unico prototipo plasmato per primo», cioè Adamo.58 Nel volere fornire una prova schiacciante di questo assunto, l’autore istituisce un parallelo che muove dal particolare all’universale: così come nella nostra razza si verificano nascite mostruose, alla stessa maniera possono esistere razze mostruose nell’intero genere umano. E con questa riflessione compie un gesto di straordinaria onestà intellettuale, riportando il deforme entro le mura della Città: «presso Ippona Zarito c’è un uomo con le piante dei piedi arcuate a mezzaluna con due dita soltanto; pure le mani sono simili. Se ci fosse un popolo di quel genere, si potrebbe aggiungere a quelle storie curiose e strane».59 A questo punto, avendo ricondotto anche l’aberrante umano alla progenie di Adamo, risulta chiarita la sua pertinenza all’imperscrutabile disegno divino: Dio è il Creatore di tutti, e lui sa dove, quando e cosa è o è stato opportuno creare, perché conosce la bellezza dell’universo e mette insieme le varie parti di somiglianza e dissomiglianza. Chi invece non riesce ad abbracciare la totalità è urtato dalla difformità di un aspetto, perché ignora a quale parte si adatta o si riferisce. Sappiamo che nascono uomini con più di cinque dita nelle mani e nei piedi, e questa è un’anomalia tra le più lievi. Guai, però, se qualcuno è così stolto da pensare che il Creatore si è sbagliato nel contare le dita umane, senza sapere perché lo ha fatto! Perciò, anche se si trovano diversità ancora maggiori, che cosa ha fatto lo sa colui la cui opera nessuno può giustamente criticare.60 Infine, dopo aver usato il caso particolare della singola nascita mostruosa per dimostrare il generale, cioè l’esistenza di intere stirpi prodigiose, Agostino mette in 57 Ibid., p. 925. 58 Ibid., p. 924. 59 Ibid., pp. 924-925. 60 Ibid. 55 atto un procedimento inverso, quasi virtuosistico, che si avvale delle lontane razze favolose per giustificare la presenza di esseri deformi entro le mura della Città: […] ammettiamo pure che siano uomini quelli descritti in quei racconti tanto sorprendenti. E se Dio avesse voluto creare proprio così alcuni popoli, perché davanti a quei mostri, che presso di noi nascono certamente dagli uomini, nessuno potesse pensare che, nel plasmare la natura, la sua sapienza sia incorsa in errore, come avviene per qualche artigiano non troppo bravo nell’arte? Non dovrebbe sembrare assurdo che, come in ogni singolo popolo ci sono alcuni uomini mostruosi, così nell’intero genere umano ci siano alcuni popoli mostruosi.61 In ultima analisi, è dunque l’asserita perfezione del disegno di Dio a essere strumentalizzata per legittimare quello che agli occhi di molti era ingiustificabile. Il vero cristiano non pone limiti all’onnipotenza del Creatore: Come non fu impossibile a Dio costituire le nature che ha voluto, così non gli è impossibile cambiarle in ciò che vuole. Di qui anche il pullulare di tutti i loro miracoli, che chiamano «monstra», «ostenta», «portenta» e «prodigia»; e quando arriverei alla fine di quest’opera se li volessi esaminare e ricordare tutti?62 Con questo interrogativo, Agostino puntellò retoricamente l’infinita creatività della volontà di Dio: la contraddizione tra l’ordine terrestre e le sue deformità venne ridimensionata a puro errore dello sguardo umano, incapace di cogliere la vastità e l’interezza del disegno divino. Di questo poderoso sforzo concettuale, rimase come eredità per gli scrittori successivi la fede che nulla, nella natura, esiste contra naturam. Fu questo anche l’approdo di Isidoro di Siviglia che, avendo ormai acquisito la lezione del suo predecessore, ricondusse alla divina volontà l’inesauribile molteplicità dei portenti.63 Un suo testo in particolare, frutto dell’ultimo ventennio d’instancabile 61 Ibid., pp. 925-926. 62 Ibid., XXI, 8, 5, p. 1309. 63 Isidoro di Siviglia (556-636), fu vescovo della città spagnola durante il dominio dei Visigoti e prominente esponente dell’ambiente culturale del suo tempo. Gli anni della sua infanzia sono avvolti nella nebbia delle testimonianze coeve, così come quelli concernenti la sua formazione e quell’esperienza monastica cui alludono alcune fonti agiografiche. Perduti i genitori e affidato alle cure di un anziano di virtù provatissima, che fosse per lui maestro di dottrina ed esempio di rettitudine, il giovane Isidoro trascorse quasi nell’ombra la prima parte della sua giovinezza, tutta dedicata allo studio 56 operato cristiano, contribuì a imprimerne il ricordo nella memoria delle generazioni successive: le celeberrime Etimologie o Origini (composte presumibilmente tra il 620 e il 636).64 Pensata come un immenso elenco di termini nel quale si sarebbe dovuto condensare lo scibile umano dell’epoca, l’enciclopedia di Isidoro ebbe un successo tale da essere per tutto il Medioevo uno dei testi fondamentali per la didattica.65 Suddivisa in venti libri, l’opera abbraccia in ordine sparso argomenti che possono essere tuttavia raggruppati in due grandi blocchi tematici: il primo (I-X) mette in risalto le definizioni di tutte quelle materie – dalla grammatica alla retorica, dalla matematica al diritto e alla teologia – che in qualche maniera sono utili alla crescita interiore dell’individuo; il secondo (XII-XX), invece, spaziando dalla zoologia alla mineralogia, dalla geografia all’antropologia, dalla pittura all’architettura – s’incentra su quelle discipline che fungono da strumento per l’uomo nell’analisi del mondo e delle sue bellezze. Fa da perno centrale a questi due nuclei d’interesse una parte interamente dedicata all’essere umano e alle sue caratteristiche fisiche e biologiche. Dotato di speciali capacità, l’uomo è dipinto come la più eccezionale delle creature di quella natura, «così chiamata in quanto fa nascere, [ed] è in grado di generare e creare».66 E poiché la «natura è Dio, dal quale è stato creato tutto ciò che esiste», questo principio deve essere ritenuto valido anche nel caso dei portenti.67 e all’apprendimento. Vescovo di Siviglia dal 602 o 603, la sua preoccupazione più grande consistette nel ridisegnare le norme secondo le quali si svolgeva la vita claustrale. A questo proposito, tra il 615 e il 618, redasse una Regula monachorum con la quale il cenobio veniva designato come quel luogo privilegiato in cui il futuro monaco, attraverso la preghiera e il lavoro manuale, la mortificazione e le letture, avrebbe potuto portare a compimento il proprio percorso individuale. Morì quattro giorni dopo la Pasqua del 636. Per le notizie biografiche si è fatto per lo più riferimento a Francesco Trisoglio, Introduzione a Isidoro di Siviglia, Brescia, Morcelliana, 2009. 64 Complessa è la vicenda editoriale di questa enciclopedia, vicenda che è stata ricostruita grazie allo scambio epistolare tra Isidoro e l’amico Braulione. A riguardo si veda Isidore of Seville, The Letters of St. Isidore of Seville, edited and translated by Gordon B. Ford Jr., Amsterdam, A.M. Hakkert Publisher, 1970, che raccoglie l'intero corpus costituito da 14 epistole. Per un quadro del problema si veda Angelo Valastro Canale, ‘Introduzione’, in Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, testo latino a fronte, 2 voll., a cura di Angelo Valastro Canale, Torino, UTET, 2004, vol. I, pp. 9-60. Per un quadro generale sulle Etimologie, si veda John Henderson, The Medieval World of Isidore of Seville. Truth from Words, Cambridge, Cambridge University Press, 2007; Adriano Caffaro, Giuseppe Falanga, Isidoro di Siviglia. Arte e tecnica nelle etimologie, Salerno, Arci Postiglione, 2009. 65 La fama di Isidoro e delle sue Etimologie fu così grande e duratura nel tempo che Dante Alighieri la immortalò nel ‘cielo dei sapienti’ della sua Commedia (La Divina commedia. Le Rime, I versi della Vita Nuova e le canzoni del Convivio, a cura di Cesare Garboli, Torino, Einaudi, 1954, ‘Paradiso’, X, vv. 130-132, p. 513: «Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro/ d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,/ che a considerar fu più che viro». 66 Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, vol. I, XI, 1, p. 875. 67 Ibid. 57 Il ragionamento di Isidoro prende avvio da una frase dell’erudito romano Marco Terenzio Varrone (116 a.C. – 27 a.C.): «i mostri sono quelli che noi vediamo nascere contro Natura».68 Negando questa affermazione, che egli leggeva da un’opera oggi per noi perduta, il vescovo di Siviglia definì le nascite mostruose non come inaccettabili aberrazioni della generazione, ma come sue varianti che sconvolgono perché sconosciute o inconsuete: «un portento […] si dà non contro natura, ma contro la natura conosciuta».69 Ne consegue che non è poi così indispensabile distinguere tra portenti e ostenta oppure tra mostri e prodigi, poiché essi sono sempre e comunque «frutto della volontà divina» e coincidono nell’unico proposito che è quello di essere un segno e di annunciare così un tragico avvenimento futuro: La generazione dei portenti è, in determinati casi, evidentemente destinata a predire, attraverso segni, avvenimenti futuri. Dio, infatti, vuole a volte, predire ciò che deve accadere attraverso malformazioni dei nuovi nati, così come si serve anche di sogni ed oracoli per ammonire ed indicare a popoli o individui una futura calamità […].70 Fatta quest’importante precisazione, Isidoro procede con un’ulteriore puntualizzazione volta a distinguere le sottigliezze semantiche che intercorrono tra l’uso del vocabolo portentus e quello di portentuosum. Mentre il primo andrebbe impiegato per indicare qualcosa di totalmente trasfigurato, come «il serpente che si racconta essere stato partorito da una donna in Umbria», il secondo sarebbe più indicato per sottolineare ciò che ha subito una mutazione lieve, come «un neonato con sei dita».71 Seguono numerosi esempi da includere nell’una o nell’altra categoria, dove troviamo, com’è facile immaginare, figure già care a quel canone dei mostri di cui l’autore si fa inconsapevolmente l’ennesimo sostenitore: Ermafroditi, Giganti, Ciclopi, Cinocefali, Sciapodi, Satiri e Antipodi. E l’inventario non finisce qui. Prendendo in prestito interi brani dai Collectanea rerum memorabilium di Solino, Isidoro riporta nuovamente in primo piano, dopo la pausa decretata da Agostino, il paese delle meraviglie per antonomasia, l’India: qui vivono uomini «la cui statura è pari a un cubito, cui […] danno il nome di Pygmaei»; c’è un popolo di donne, le cui 68 Con ogni probabilità, la frase di Varrone citata da Isidoro era contenuta nel De gente populi Romani, opera perduta della quale abbiamo notizia grazie ad Agostino (La città di Dio, vol. II, XVI, 8, 2, pp. 1305-1306). 69 Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, vol. I, XI, 3, p. 923. 70 Ibid., p. 925. 71 Ibid. 58 componenti «concepiscono a cinque anni e non superano gli otto di vita»; e non mancano altri «portenti umani, che non sono tuttavia reali, ma inventati»: gorgoni, sirene, cerberi, idre e centauri.72 Chiudono questo elenco campioni di esseri umani capaci di trasformarsi in bestie e per i quali Isidoro attinge apertamente al repertorio classico: ecco allora che si parla dei marinai di Ulisse tramutati in maiali dalla maga Circe, «degli Arcadi, che, quando il caso voleva che attraversassero un certo stagno, sarebbero stati mutati in lupi», dei compagni di Diomede che assunsero le sembianze di uccelli, com’è «affermato da qualcuno non già come menzogna favolosa, ma sulla base di una certezza storica».73 Del resto – prova a giustificare l’autore mutuando alcuni versi di Ovidio – anche in natura esistono molti esseri soggetti a mutazione, i quali, corrompendosi, assumono i tratti di specie diverse: è il caso delle api che emergono dalle carni putrefatte dei vitelli, così come dai cavalli fuoriescono i calabroni, dai muli le locuste e dai granchi gli scorpioni con la coda ricurva pronta a minacciare un potenziale aggressore.74 Con questo atteggiamento, che tutto riconduceva ad armonia attraverso la forza unificante del linguaggio, Isidoro scavava affannosamente il terreno duro e accidentato della parola per accogliere in uno sguardo totale le analogie e le diversità delle cose del mondo e del lessico che le descriveva. In questo immenso progetto del Dio-parola non potevano mancare i mostri e il segno che essi rappresentavano. Un’ambizione del tutto diversa, non teologica ma di intrattenimento letterario, ebbero tra il VI e il VII secolo altri intellettuali che, fingendo di scrivere da luoghi sconosciuti e lontani, consolidarono e diffusero la leggenda sull’India mirabilis, sguinzagliando le sue razze mostruose per i sentieri dell’Europa altomedievale. Fu questo il caso del De rebus in Oriente mirabilibus e dell’Epistola Alexandri ad Aristotelem Magistrum. 72 Ibid., pp. 929-933. 73 Ibid. 74 P. Ovidio Nasone, Metamorfosi, testo latino a fronte, a cura di Piero Bernardini Marzolla, con uno scritto di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1979, XV, vv. 359-371, pp. 621-623: «Ma se è giusto credere alle cose provate, non vedi come qualsiasi cadavere, una volta decompostosi per il passar del tempo o per il calor che lo squaglia, si trasformi in tanti animaletti? Accoppa dei bei tori e mettili in una fossa e (è cosa risaputa) dai visceri imputriditi nascono qua e là api raccoglitrici di polline, che alla maniera di coloro dai quali sono generate amano la campagna e lavorano di buona lena a sgobbare per il futuro. Dal battagliero cavallo, se si sotterra, nasce il calabrone. Se al granchio strappi le curve chele, e poi lo ricopri di terra, dalla parte sepolta verrà fuori uno scorpione, che ti minaccerà con la coda adunca». Della stessa idea era anche Marco T. Varrone: «Innanzi tutto le api nascono parte dalle api, parte dalle carogne dei bovini in putrefazione. Pertanto Archelao in un suo epigramma dice che esse sono ‘figlie vaganti di una vacca morta’. Lo stesso scrittore afferma che le ‘vespe sono generate dai cavalli, le api dai giovenchi» (Opere, testo latino a fronte, a cura di Antonio Traglia, Torino, UTET, 1974, De re rustica, III, 16, pp. 855-857). 59 1.3 The Marvels of the East, ovvero le mirabili corrispondenze A capostipite della letteratura teratologica del Medioevo, si pone il De rebus in Oriente mirabilibus, una «lettera» – come la definì il filologo francese Edmond Faral – diffusa da un originale in lingua greca (di cui si congettura solo l’esistenza), tradotto in latino non più tardi degli inizi del VI secolo.75 Il documento ci è pervenuto, oltre che negli ampi stralci riconoscibili all’interno degli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (XIII secolo), attraverso tre testimoni, redatti tra il VII e l’VIII secolo: la Epistola Premonis regis ad Traianum imperatorem, la Epistola Fermetis Divo Adriano, e il De rebus in Oriente mirabilibus, titolo con il quale è più comunemente conosciuto. Vale la pena tuttavia accennare ai due testi meno noti, che chiamano in causa niente meno che gli imperatori Traiano e Adriano quali destinatari del testo. In tal modo, l’anonimo autore costruiva una cornice parastorica, legittimando così l’epistola come una sorta di dispaccio dalla periferia al centro dell’Impero. Si avviava quindi un viaggio ideale attraverso tappe obbligatorie, per avere un assaggio di quelle meraviglie che l’immaginario dell’epoca associava ormai automaticamente a luoghi e percorsi orientali. Ciò che differenzia un’operetta come questa dall’immane sforzo enciclopedico affrontato da Agostino o da Isidoro è l’assoluta mancanza di indagine gnoseologica e precisione geografica, rimpiazzate invece dal puro gusto per il dato mirabile. Questo aspetto è esemplificato da un itinerario improbabile, che manifesta un’idea di viaggio tanto più evanescente quanto meno legata a tappe verosimili: balzando senza criterio apparente da Babilonia al Mar Rosso, alla Persia e poi di nuovo all’Egitto, quindi in Armenia e poi sulle coste dell’Oceano, l’ignoto compilatore mitiga appena il disordine espositivo precisando, di tanto in tanto, le distanze tra i luoghi: «Di là sino a Babilonia fanno centosessantotto stadi, corrispondenti a centoquindici leghe. […] Trecento stadi dividono la zona di Colonia dalla stessa Babilonia, mentre fanno duecento leghe da Archemedia».76 Tuttavia, non sfugge al lettore attento che, al di là di questa patina pseudoscientifica, il cuore del libretto è l’elemento fantastico, nel quale hanno ampio spazio le razze mostruose: i Cinocèfali (capitolo VII), le Blemmie 75 Cfr. Edmond Faral, ‘Une source latine de l’histoire d’Alexandre: la Lettre sûr les merveilles de l’Inde’, Romania, XLIII, 1914, pp. 199-215 e 353-370. 76 Anonimo, Le meraviglie dell’Oriente, a cura di Marcello Ciccuto, Pisa, ETS, 1994, II, p. 25. 60 (X), le donne barbute (XII), i Catini (XIV), i Donestri (XVI). Non mancano neppure riscritture di topoi ormai classici sull’India mirabilis, come la leggenda delle formiche che scavano l’oro: È qui che nascono le formiche grandi come cani, dalle zampe di locusta, rosse e nere, dedite allo scavo dell’oro; lo raccolgono di notte sotto terra sinanche all’ora quinta del giorno, e lo portano alla luce. I coraggiosi abitanti del luogo mirano sempre a sottrarre quell’oro, e fan così: si prendono fra i cammelli i maschi e le femmine coi loro piccoli; tengono poi questi legati al di là del fiume Gargulo, e caricano le femmine del prezioso materiale. Spinte dall’amore per la prole, le cammelle volano verso i figli mentre i maschi restano sul posto. Le formiche iniziano quindi la caccia, li trovano e li divorano. Così, mentre le formiche sono impegnate nella carneficina dei maschi, le femmine riescono a riattraversare il fiume con le guide. Tale è la velocità dell’azione che sembrano volare.77 Ormai l’immaginario sull’Oriente è consolidato, e continua a rimbalzare da un’opera all’altra, come vuole la viziosa circolazione dei materiali tra testi affini, che si snodano lungo un percorso che è sempre lo stesso, e che spesso trova un potente tratto unificante nelle formidabili imprese di Alessandro Magno. Le gesta del condottiero Macedone costituiscono, infatti, sovente l’estremo appiglio di verosimiglianza per i fatti più strani e incredibili: Altre donne di qua hanno denti di cinghiale e capelli sino ai piedi; code bovine spuntano da dietro e risulta che siano alte quindici piedi, splendide con quella loro pelle bianchissima; mostrano pure zampe di cammello e zampe asinine. Per via del loro orrido aspetto furono sterminate in massa dal nostro Alessandro il Grande di Macedonia: non essendo riuscito a catturarle vive, le uccise anche perché rappresentavano uno spettacolo osceno e ripugnante.78 In questo modo l’autore del De rebus in Oriente mirabilibus, oltre ad accentuare le sue pretese di storicità, collocava il suo libello nel novero delle opere medievali che riverberavano l’epopea di Alessandro Magno. Protagonista di questi testi, il grande generale appariva non soltanto come la figura storicamente attestata del conquistatore, 77 Ibid. IX, p. 31. 78 Ibid. XIII, p. 35. 61 ma anche come esploratore e soprattutto difensore dei confini, baluardo contro il dilagare in Occidente delle creature mostruose di cui sempre più si temeva l’imminente avanzata.79 Emblematico, a questo riguardo, è un altro celeberrimo resoconto di viaggio: l’Epistola Alexandri ad Aristotelem magistrum, una lettera apocrifa redatta nel VII secolo da un’anonimo autore, che raccoglieva, amplificava e arricchiva di elementi fittizi materiali storicamente verificabili, tratti dalla corrispondenza tra il Macedone e il suo maestro.80 L’Epistola si presenta ancora una volta come un rapporto dalla periferia del regno verso il suo centro; tuttavia questa volta a scrivere non è un comune funzionario che informa il suo sovrano, ma il re stesso che racconta in prima persona la grande impresa, rendendo partecipe l’unica persona che reputi degna di ricevere le sue impressioni, quell’Aristotele che, grazie anche a questa lettera, si affermerà come uno dei massimi sapienti dell’antichità:81 Sempre memore di te anche fra le dubbiose sorti delle mie imprese, maestro carissimo, nel mio cuore secondo solo alla madre e alle mie sorelle e la cui brama di sapere non ha veramente confini, ho deciso di informarti sulle contrade d’India, sullo stato del cielo e sulle infinite razze di serpenti, di belve e di uomini, perché con la conoscenza di nuove meraviglie il tuo studio e il tuo ingegno possano diventare più grandi.82 La sconfitta del re persiano Dario spalanca le porte dello Sconosciuto, e da qui in poi comincia uno straordinario repertorio di stranezze animali e umane: immani serpenti, giganteschi ippopotami, scorpioni, granchi, leoni, pipistrelli dai denti umani, topi dal 79 Sulla sopravvivenza del De rebus in Oriente mirabilibus nelle opere dei secoli successivi, e nello specifico, nelle grandi enciclopedie dei secoli XII e XIII, cfr. Marcello Ciccuto, ‘Le meraviglie d’Oriente nelle enciclopedie illustrate del Medioevo’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, Ravenna, Longo, 1994, pp. 79-116. 80 Abbiamo notizia dello scambio di missive tra Aristotele e il suo allievo grazie a Giulio Valerio, storico latino del III secolo d.C., che fu autore delle Res gestae Alexandri Magni, in tre libri. L’opera traduceva e ampliava, a sua volta, una biografia greca coeva del Condottiero, inaugurata da Callistene (370-320 a.C.), e, in seguito alla sua morte, completata da un autore anonimo oggi convenzionalmente identificato come Pseudo-Callistene. 81 Cfr. Jacques Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, traduzione italiana di Cesare Giardini, Milano, Mondadori, 1985, pp. 55 e sgg. (Les intellectuels au Moyen Âge, Paris, Seuil, 1957). 82 Anonimo, Lettera di Alessando il Macedone al suo maestro Aristotele suo sul viaggio in India e su quel paese, in AA. VV., Le meraviglie dell’India (Le meraviglie dell’Oriente, Lettera di Alessandro ad Aristotele, Lettera del Prete Gianni), a cura di Giuseppe Tardiola, in appendice i testi latini, Roma, Archivio Guido Izzi, 1991, p. 63. 62 morso fatale, e uno strano ibrido con la schiena ricoperta di scaglie, il petto di coccodrillo e due enormi teste, di cui una zannata come di elefante. Superate tutti questi ostacoli, Alessandro si addentra nell’oscura India interior ed è qui che affronta gli Ittiofagi, i Cinocefali e le donne acquatiche. Ma l’esperienza più sconvolgente è senz’altro la conoscenza anticipata del proprio destino, rivelata – su indicazione di due anziani incontrati per puro caso lungo il tragitto – dall’albero del Sole e da quello della Luna. Interrogato per primo, l’albero del Sole profetizza la morte prematura del Condottiero: Proprio allora vedemmo le sommità degli alberi investite dai fulgenti raggi di Febo, nella luce del tramonto; il sacerdote ci esortò: «guardate tutti in alto, e ciascuno pensi in silenzio dentro di sé a quelle cose su cui intende consigliarsi». […] Pensavo se, vinto il mondo intero, potessi ritornare trionfante alla patria, a Olimpiade mia madre, alle sorelle carissime, e subito l’albero, come bisbigliando, rispose in indiana favella: «Alessandro, mai sconfitto in guerra, come hai domandato, sarai il solo signore di tutto il mondo, ma non tornerai vivo in patria; così hanno stabilito i fati della tua vita».83 Superato l’iniziale sgomento, Alessandro chiede sul far della sera ulteriori delucidazioni all’albero della Luna: Chiedo dove sarei morto: al primo raggio di luna, accarezzato sulla punta e ricevuta luce, l’albero risposte, in greco: «Alessandro, giungi ormai alla fine della tua vita: morrai l’anno venturo, nel mese di maggio, in Babilonia. Riceverai morte da chi meno sospetti. […] Se ti rivelo il nome del traditore, tu cambieresti facilmente il destino che incombe sul tuo capo; con me si adirerebbero anche le tre sorelle, Cloto, Lachesi, Atropo, poiché con la mia rivelazione impedirei le loro trame. Pertanto, fra un anno e sette mesi morirai in Babilonia, non di ferro, come immagini, né di oro, né di argento, né di alcun altro metallo, ma di veleno. Tua madre, in una fine orribile e miserevole, verrà tempo che giacerà sulla strada senza sepoltura, pasto di uccelli e 83 Ibid., p. 85. 63 fiere. Le tue sorelle, invece, divenute come te, saranno a lungo felici; tu, infine, sta’ certo che, pur nel breve tempo che ti resta da vivere, diverrai re di tutto il mondo. Ora guardati dal chiederci altro».84 Su queste oscure note di morte la lettera si chiude, ma prima di cominciare un ritorno che non potrà compiersi, Alessandro erige due solidi pilastri d’oro di cento piedi e magnifici altari a Libero e ad Eracle. Questi monumenti e i riti di consacrazione a loro legati hanno una doppia funzione: da un lato segnare il nuovo confine raggiunto, dall’altro offrirlo alle proprie divinità, e farlo diventare una barriera magico-religiosa che imprigioni le mostruosità oltre il limes.85 Ma presto il costruttore di questo muro simbolico, come preannunziato dai due alberi sacri, verrà meno: allora il muro stesso potrà perdere la sua forza oppositiva e i mostri potranno crearsi un varco e penetrare senza controllo in Occidente. Col suo cupo finale, l’operetta dichiarava quindi un’angoscia contemporanea, diventando il grido di paura di un’intera civiltà, che cercava di dare una spiegazione a un disordine percepito come incomprensibile. Dal suo scriptorium carico di libri, l’anonimo monaco probabile autore dell’Epistola contemplava fantasmi mostruosi antichi di mille anni, che non potevano non apparirgli come tetre anticipazioni del demoniaco. Erano mostri nati tra le righe dei libri, ed egli stesso conosceva un’unica arma capace di respingerli: la luce della parola. L’esito a cui approdò fu di rinchiuderli in una prigione letteraria: una lettera fittizia di un fittizio Alessandro Magno a un altrettanto fittizio Aristotele. 1.4 I compare this Work with the Dark Sea: un intermezzo mostruoso Nel IX secolo, l’esigenza di dare «risposte su quelle […] specie viventi nel mondo che destano il più grande terrore negli uomini» l’avrebbe avvertita anche l’anonimo ideatore di quel museo di carta degli orrori altomedievali che è il Liber 86 Monstrorum. 84 Ibid., pp. 86-87. 85 Sull’uso di età ellenistica di porre trofei o monumenti al confine dei nuovi territori conquistati con finalità magico-religiose, cfr. Gilbert-Charles Picard, Les trophées romains. Contribution à l'histoire de la religion et de l’art triomphal de Rome, Paris, E. de Boccard, 1957, specialmente i capitoli I (‘Définition et origine du trophée grec’) e II (‘Naissance de l’art triomphal grec’). 86 Anonimo, Liber monstrorum (secolo IX), introduzione, edizione critica, traduzione, note e commento a cura di Franco Porsia, Napoli, Liguori, 2012, Prologo, p. 117. Franco Porsia aveva già curato, nel 64 Abile compilazione di notizie, tratte da fonti eterogenee e condensate in un trattatello che partecipa degli elementi compositivi del bestiario, della silloge di mitografia e della catalogazione di mirabilia, il Liber monstrorum si presenta al lettore in una serie di capitoletti, contenenti ciascuno la descrizione di un essere ‘anormale’, o dalle caratteristiche fisiche o biologiche abnormi. La materia è ripartita in tre libri, dedicati rispettivamente ai «parti mostruosi degli uomini, [al]le specie orribili ed innumerevoli delle fiere e [a]i funesti generi di draghi, serpenti, e vipere».87 Da un punto di vista strettamente compositivo, l’opera ci è pervenuta vittima di alcune mutilazioni: nella forma attuale ricostruita filologicamente, essa consta di una prefazione generale, di un libro I – dedicato ai mostri umani – completo di prologo e di epilogo; di un libro II – che tratta degli animali mostruosi – aperto da un prologo che contiene la definizione di belva, ma privo di epilogo; di un libro III – incentrato sui serpenti – in cui è assente il prologo, ma troviamo un paragrafo evidentemente conclusivo. Nonostante questa netta tripartizione, non emerge alcun criterio espositivo interno alle singole parti: le piccole sezioni, dedicate ognuna ad una creatura mirabile, si alternano in maniera casuale, come se l’autore avesse seguito il puro gusto di un libero favoleggiare tra i numerosi materiali letterari a lui noti. Ci troviamo infatti di fronte a un uomo di sicura cultura, ancora una volta con molta probabilità un monaco, che deve avere avuto a disposizione una ricca biblioteca: tra le pagine del Liber si leggono notizie provenienti dai padri della Chiesa (Agostino, Isidoro), dai poeti classici pagani (Virgilio, Ovidio, Lucano), dall’insieme di testi popolari noti come Romanzo di Alessandro, dalle Epistole sulle meraviglie d’Oriente, ma anche informazioni derivanti dalla tradizione orale o dalla personale esperienza dell’autore. Riguardo alle fonti, è inoltre particolarmente interessante un capitoletto, dedicato al gigantesco re dei Geati, Hygelac, in cui Franco Porsia ha intravisto un rapporto con il poema Beowulf, capostipite della letteratura inglese, dove ricorre lo stesso 1976, per la casa editrice Dedalo di Bari, una precedente edizione del Liber Monstrorum. Quest’ultima è stata rivista e aggiornata per la pubblicazione nella collana ‘Nuovo Medioevo’ diretta da Massimo Oldoni per Liguori. Tutte le citazioni dall’opera che seguiranno sono tratte da questa seconda edizione, che tiene conto anche della scoperta di un quinto manoscritto (identificato come testimone ‘E’). In lingua italiana, si veda anche Anonimo, Liber monstrorum de diversis generibus/Libro delle mirabili difformità, a cura di Corrado Bologna, Milano, Bompiani, 1977. 87 Ibid. 65 personaggio: questo legame segnalerebbe la pertinenza dell’opera all’ambiente anglosassone.88 Vale la pena, per comprendere la struttura dell’opera, riportare alcuni esempi di mostruosità umane, dove non sarà arduo riconoscere echi della tradizione di cui il Liber è l’ennesimo portavoce: 1.L’uomo di entrambi i sessi. All’inizio dell’opera testimonio che io stesso ho conosciuto un uomo di entrambi i sessi, che tuttavia, a giudicare dalla faccia e dal petto, ebbe apparenza più di uomo che di donna ed era ritenuto un uomo da chi era all’oscuro dei particolari; ma predilesse le occupazioni muliebri e ingannava gli ignari come una meretrice. Ma si dice che questo sia accaduto di frequente nella specie degli uomini. 2.Il re dei Geati Hygelac. E ne nascono di grandezza stupefacente, come il re Hygelac, che regnò sui Geati e fu ucciso dai Franchi: il suo cavallo non poteva reggerlo già da quando egli aveva dodici anni. Le sue ossa sono custodite in un’isola del fiume Reno, dove sfocia nell’Oceano, e sono mostrate a chi viene da lontano come un miracolo. […] 17.Gli Sciapodi E dicono che esiste un genere di uomini che i Greci chiamano sciapodi, poiché si difendono dall’ardore del sole con l’ombra dei piedi giacendo supini. Sono velocissimi e hanno un’unica gamba e le loro ginocchia sono rigide e non hanno articolazione. […] 21.Quelli che vivono solo di respiro. E ci sono uomini che le storie greche dicono non avere bocca come il rimanente genere umano e non nutrirsi di alcun cibo: si afferma che essi vivano soltanto di respiro attraverso le narici.89 Ho scelto di giustapporre questi brevi estratti per conservare l’impressione di rapida alternanza di figure che si ricava dalla lettura del Liber, dal suo stile vivace e sintetico. È come se l’autore, di ritorno dalle terre ignote in cui l’avevano catapultato le polverose letture, si fosse divertito a mostrarci le diapositive del suo lungo viaggio, 88 Cfr. Franco Porsia, Introduzione, in Anonimo, Liber monstrorum, pp. 71-97, in cui si discute l’identificazione dell’autore e del suo ambiente, e i rapporti tra il Liber e il Beowulf. 89 Anonimo, Liber monstrorum, pp. 127, 129, 167, 175. 66 con una velocità che sembra avere da un lato il compito di accrescere la nostra meraviglia con l’abbondanza di oscure immagini, dall’altro quello di rassicurarci, ingabbiandole sulla superficie della pagina. Prima opera interamente dedicata al tema del mostruoso, il Liber è perciò un unicum nel panorama teratologico dell’Alto Medioevo, prigione di pagine in cui i mostri rimarranno sotto chiave sino al penultimo quarto del XII secolo, quando un chimerico Prete Gianni, re e insieme sacerdote di sperdute lande orientali, diede loro nuovamente la libertà facendoli diventare gli ‘illustri’ abitanti del suo sconfinato regno. 1.5 I, Presbyter Johannes, the Lord of Lords, surpass all under Heaven in Virtue, in Riches, and in Power: la lettera di un imperscrutabile sovrano Nell’anno del Signore 1145, papa Eugenio III trascorreva il suo esilio volontario a Viterbo, quando un prelato siriano, proveniente nientemeno che da Gabula, a sud di Laodicea, si presentò al suo cospetto e gli chiese udienza. L’arrivo del misterioso presule orientale era collegato a un avvenimento drammatico per il mondo cristiano: la caduta, nell’anno precedente, di Edessa nelle mani dell’emiro Imadeddin Zenkis di Mossul. Quest’ultimo, infatti, approfittando dei complotti e delle lotte intestine fra i pretendenti al trono di Gerusalemme, aveva sferrato un tremendo attacco, costringendo la città, capitale tra l’altro della prima contea crociata in Terrasanta, a un’umiliante resa.90 Il religioso siriano bussava dunque alle porte dell’Occidente nel tentativo di costituire alleanze contro i seguaci di Maometto, tanto è vero che contava di proseguire senza esitazione per la Francia, dove si sarebbe fatto portavoce del medesimo appello al cospetto di Luigi VII. E, pur in un frangente così delicato, egli non dimenticava di annunziare la possibilità di fare affidamento sul sostegno di un potentissimo monarca, che sedeva a est del dominio islamico: un’eventualità, questa, che avrebbe permesso di schiacciare gli infedeli in una terribile morsa, dalla quale non avrebbero avuto nessuna via di scampo. Già qualche anno prima, ricordava il religioso, questo enigmatico sovrano aveva inflitto ai musulmani di Persia una dura 90 Queste note storiche sono desunte soprattutto dallo studio di Christopher Tyerman, God’s War. A New History of the Crusades, London, Allen Lane, 2006 (Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, traduzione italiana di Barbara Del Mercato, Torino, Einaudi, 2012). Si rimanda, tuttavia, anche al classico Steven Runcinam, A History of the Crusades, 3 vols, Cambridge, Cambridge University Press, 1951-1954 (Storia delle crociate, 2 voll., traduzione italiana di Emilio Bianchi, Aldo Comba e Fernanda Comba, Torino, Einaudi, 1966). 67 lezione, e, stando alle ultime voci, si trovava già in marcia verso il Santo Sepolcro, mosso dal desiderio di recare soccorso ai difensori della croce di Cristo.91 Tra i presenti al colloquio, sedeva il vescovo tedesco Otto von Freising che, dopo aver preso nota di quanto aveva ascoltato, non resistette alla tentazione di diffondere il più ampiamente possibile la curiosa notizia. Fu così che si cominciò a vociferare dello sconosciuto sovrano, «un certo Giovanni, re e sacerdote, che risiede con il suo popolo nell’estremo Oriente, di là dalla Persia e dall’Armenia, ed è Cristiano, seppure Nestoriano».92 Il clamore provocato dalla circolazione di queste informazioni fu immenso: potenti e deboli, ricchi e poveri, religiosi e laici, tutti iniziarono ad interrogarsi su chi potesse mai celarsi dietro l’anonimo regnante di quelle sperdute contrade orientali.93 E mentre gli animi ancora si affannavano nella speranza di soddisfare la curiosità che li attanagliava, alla corte di Bisanzio (siamo nel 1165) fu fatta recapitare una lettera apocrifa, che recava proprio la firma dell’ignoto rex et sarcerdos in persona. Giunta in maniera del tutto inaspettata, la sua missiva era indirizzata all’imperatore Manuele Commeno, al quale si rivolgeva con tono di sufficienza, definendosi «per virtù e potere di Dio e di Nostro Signore Gesù […] signore dei signori»: il sottinteso era che persino l’imperatore di Bisanzio dovesse considerarsi suo suddito.94 Poco più avanti, ad amplificare il proprio straordinario 91 L’evento storico al quale si fa qui riferimento è con ogni probabilità la vittoria (1141) del principe mongolo Ye-Lin Ta-che (protettore, sebbene buddista, dei cristiani nestoriani) sul sultano selgiucida della Persia, Sanjar, e che fondò su quelle ceneri l’impero dei Keraiti. A questo proposito, cfr. Michele Bernardini, Donatella Guida, I mongoli. Espansione, impero, eredità, Torino, Einaudi, 2012. 92 Otto von Freising, Ottonis episcopi Frisingensis Chronica sive Historia de duabus Civitatibus, Ed. altera, recognovit Adolfus Hofmeister, Hannoverae, Hahn, 1912, pp. 366-367. Seppur succinta, questa nota ci fornisce un’importante informazione riguardo al credo religioso del misterioso Prete Gianni: è cristiano, ma appartiene all’eresia nestoriana. Il nestorianesimo si diffuse grazie all’opera divulgativa del patriarca di Costantinopoli Nestorio (381-451), il quale sosteneva il difisismo, ovvero due nature separate in Cristo (umana e divina) riunite in un’unica manifestazione, e negava il ruolo di Maria come madre di Dio. Condannato nel concilio di Efeso del 431, il movimento eterodosso ebbe scarso peso in Occidente, ma conobbe vasta diffusione, attraverso la mediazione della chiesa persiana, in numerose regioni asiatiche. Cosma Indicopleuste dà notizia di chiese nestoriane a Ceylon e Malabar nel 552. In Cina, una stele del periodo T’ ang (datata 781) testimonia la presenza in quel lontano paese dell’eresia di Nestorio che, per altro, da ben due secoli allignava ormai fra le stirpi mongole. Fra le numerose conversioni, è importante segnalare qui quella dei Keraiti, avvenuta nel 1007, che sarà alla base del mito occidentale del Prete Gianni. Per ulteriori approfondimenti, si veda Arthur C. Moule, Christians in China before the Year 1550, London, Tavistock, 1930 e Yoshirō P. Saeki, The Nestorian Documents and Relics in China, Tokyo, Kawata Press, 1937. 93 L’avvenimento suscitò immediatamente vasto scalpore nel mondo cristiano d’Occidente, anche perché, come evidenzia Leonardo Olschki, «quanto il vescovo siriano ebbe a raccontare veniva a confermare ciò che si sapeva vagamente in Europa dell’esistenza di vaste e compatte popolazioni nestoriane in India e nell’Asia orientale. Infatti, già nel 1122 un sacerdote indiano di quella setta aveva narrato personalmente a papa Calisto II in Roma le meraviglie e i miracoli che illustravano la tomba di San Tommaso Apostolo presso Madras» (L’Asia di Marco Polo. Introduzione alla lettura e allo studio del Milione, Firenze, Olschki, 1957, pp. 377-378). 94 Tutte le citazioni sono tratte da Anonimo, La lettera del Prete Gianni, a cura di Gioia Zaganelli, Milano-Trento, Luni, 2000, p. 53 (prima edizione Parma, Pratiche, 1990). Vale la pena segnalare che la 68 potere, il Prete Gianni proseguiva offrendo all’interlocutore una panoramica delle spropositate dimensioni dei propri possedimenti, non risparmiando particolari pur di sbalordire a tutti i costi: la nostra Sovranità si estende sulle tre Indie e dall’India Maggiore, dove riposa il corpo dell’apostolo Tommaso, i nostri domini si inoltrano nel deserto, si spingono verso i confini d’Oriente e ripiegano poi verso Occidente sino a Babilonia deserta, presso la torre di Babele. Settantadue province sono a noi sottoposte e di esse poche sono cristiane e ognuna ha un suo re e ognuno di essi ci paga tributi.95 All’indescrivibile estensione delle proprietà terriere, non poteva che corrispondere la varietà della fauna locale, qui presentata priva di qualunque specificità geografica e climatica: nei nostri domini nascono e vivono elefanti, dromedari, cammelli, ippopotami, coccodrilli, metagallinari, cameteterni, tinsirete, pantere, onagri, leoni bianchi e rossi, orsi bianchi, merli bianchi, cicale mute, grifoni, tigri, sciacalli, iene, buoi selvatici, sagittari, […] un uccello chiamato fenice e pressoché ogni tipo di animale che vive sotto la volta del cielo.96 E se le specie animali abbondavano oltre ogni misura, quelle antropomorfe non erano certo da meno. Ecco, infatti, apparire subito alcuni popoli mostruosi che giungevano presente edizione contiene anche due volgarizzamenti dell’epistola: uno anglo-normanno in versi e uno antico-francese in prosa (entrambi con relative traduzioni in italiano). 95 Ibid., p. 55. Il Medioevo distingueva un’India Prima, Secunda e Tertia, oppure un’India Superior, Inferior e Meridiana, che corrispondono, grosso modo, all’India, alla regione compresa tra l’India e il Vicino Oriente e all’Etiopia. Si veda in proposito Henry Yule, Cathay and the Way Thither. Being a Collection of Medieval Notices of China, with a Preliminary Essay on the Intercourse between China and the Western Nations previous to the Discovery of the Cape Route, London, printed for the Hakluyt Society, 1914 e John K. Wright, The Geographical Lore of the Time of the Crusades. A Study in the History of Medieval Science and Tradition in Western Europe, New York, American Geographical Society, 1925.96 Anonimo, La lettera del Prete Gianni, p. 55. Non è questa la sede più adeguata per discutere nella dovuta ampiezza il mito e le valenze simboliche della Fenice, che tra l’altro, come abbiamo avuto modo di vedere, non appare solo nella Lettera del Prete Gianni, ma anche nel De rebus in Oriente mirabilibus e nell’Epistola Alexandri ad Aristotelem Magistrum. Per un esempio del lungo viaggio, nel tempo e nella letteratura, di questo animale leggendario, si vedano Anonimo, Il fisiologo, a cura di Francesco Zambon, Milano, Adelphi, 1975, pp. 45-46 e AA.VV., La Fenice. Da Claudiano a Tasso, a cura di Bruno Basile, Roma Carocci, 2004. Per un inquadramento critico, si rinvia, invece, ad alcuni fra i testi fondamentali al riguardo: Jean Hubaux, Maxime Leroy, Le mythe du Phénix dans les littératures grecque et latine, Liège et Paris, Bibliothèque de la Faculté de Philosophie et Lettres de l’Université de Liège, Fascicule LXXXII, 1939; Roelof Van Den Broek, The Myth of the Phoenix. According to Classical and Early Christian Traditions, Leiden, Brill, 1972; Silvia Fabrizio-Costa (a cura di), La Fenice. Mito e segno, Bern, Peter Lang, 2001; Francesco Zambon, Alessandro Grossato, Il mito della fenice in Oriente e in Occidente, Venezia, Marsilio, 2004. 69 da una lunga e lontana tradizione: «uomini selvatici, uomini cornuti, fauni, satiri, e donne della stessa specie, pigmei, cinocefali, giganti alti quaranta cubiti, monocoli, ciclopi».97 Questi suoi sudditi, tuttavia, come puntualizzava l’estensore dell’epistola, non erano tutti pacifici e amichevoli. Fra le numerose genti dislocate da un capo all’altro delle sue terre, ve n’erano alcune parecchio aggressive – «Gog e Magog, Amic, Agic, Arenar, Defar, Fontineperi, Conei, Samante, Agrimandi, Saltereim Armei, Anogragei, Annicefelei, Tasbei, Alanei» – la cui caratteristica distintiva era di cibarsi di sola carne, compresa quella dei loro consanguinei. 98 Quest’aspetto particolarmente truce della loro natura lo avrebbe potuto testimoniare al meglio il giovane Alessandro Magno che, trovatosi a doversi difendere dalla loro sete di sangue durante l’attraversamento delle Porte Caspie, le aveva respinte coraggiosamente e le «aveva rinchiuse tra monti altissimi, verso settentrione».99 In questa prigionia di rocciose alture rimasero internate per poco, sin quando la morte prematura del re dei Macedoni non restituì loro autonomia e indipendenza, e la possibilità di perpetuarsi per secoli. Fu così che questi «barbari» divennero vassalli del Prete Gianni, capace con il suo potere non soltanto di assoggettarli e dominarli, ma addirittura di sfruttarne la forza e la prestanza fisica in battaglia contro i suoi nemici. Era grazie alla sua costante e attenta opera di controllo su queste «generazioni malvage» che l’Europa poteva godere di momentanea sicurezza. Ma il misterioso sovrano avvertiva che, prima della fine del mondo, quando giungerà l’Anticristo, esse usciranno dai quattro angoli della terra […] e accerchieranno tutte le fortezze dei santi e la grande città di Roma, che ci siamo proposti di assegnare al figlio nostro, al primo che ci nascerà, insieme a tutta quanta l’Italia, a tutta la Germania, all’una e all’altra Gallia, all’Anglia e alla Bretagna e alla Scozia; gli assegneremo anche la Spagna e ogni terra sino al mare ghiacciato. E questo non deve stupire, poiché il loro numero è pari alla sabbia che c’è sulla riva del mare e invero ad esse nessun popolo, nessun regno potrà opporsi.100 Fatte queste constatazioni preliminari, il tono e il registro della Lettera cambiavano radicalmente: il Prete Gianni abbandonava, infatti, temi e toni apocalittici per dare 97 Anonimo, La lettera del Prete Gianni, p. 55. 98 Ibid. 99 Ibid. Il nome di Alessandro Magno è associato alle Porte Caspie sin da Plinio il Vecchio e lì fu, spesso, individuato il sito del mitico muro da lui costruito per fermare i popoli barbari. A questo proposito, cfr. Andrew R. Anderson, Alexander’s Gate, Gog and Magog, and the Enclosed Nations, Cambridge, Academy Publications, 1932. 100 Anonimo, La lettera del Prete Gianni, p. 57. 70 spazio all’esposizione delle incalcolabili risorse naturali, di cui beneficiava grazie alla benevolenza della provvidenza divina: la nostra terra stilla miele ed è ricolma di latte. […] Tra i pagani, in una delle nostre province, scorre un fiume che chiamano Indo. Questo fiume, che sgorga dal Paradiso, distende i suoi meandri in bracci diversi per l’intera provincia e in esso si trovano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, crisoliti, onici, berilli, ametiste, sardonici e molte altre pietre preziose.101 Questo strabordare di minerali preziosi non era, tuttavia, l’unico aspetto che faceva del suo regno un luogo eccezionale; si poteva parlare di un vero e proprio Eden senza correre il rischio di esagerare anche perché, oltre alla povertà, non erano ammesse nemmeno vecchiaia, malattie, e altre infermità fisiche: […] Ai piedi dell’Olimpo, sgorga una limpida fonte che ha in sé il gusto di tutte le spezie. Ma il gusto cambia ad ogni ora, tanto di giorno quanto di notte, e con un corso di tre ore la fonte si spinge sin nei pressi del Paradiso, dove fu scacciato Adamo. Chi bevesse per tre volte a digiuno da quella fonte, mai più in seguito patirebbe infermità, anzi sarebbe per tutta la vita come se avesse trentadue anni. In quella fonte si trovano delle pietre chiamate midriosi, che abitualmente e in gran quantità le aquile trasportano nelle nostre regioni, e grazie alle quali ritornano giovani e recuperano la vista. A chi portasse al dito una di queste pietre, mai verrebbe meno la vista.102 Alla ricchezza non si rinunciava nemmeno in momenti di belligeranza, poiché essa è sempre e comunque simbolo della superiorità di chi la possiede: «quando muoviamo in guerra contro i nostri nemici facciamo portare davanti alla nostra persona tredici croci grandi e molto alte, lavorate in oro e in pietre».103 E se non si poteva rinunciare all’ostentazione di vessilli così pregiati, perché farlo con le forze armate? «10.000 cavalieri […], 100.000 fanti armati, senza contare quelli che devono occuparsi delle salmerie, dei carri, e del trasporto delle vettovaglie dell’esercito» sono i numeri su cui 101 Ibid. 102 Ibid., pp. 59-61. Su questi aspetti di ricchezza e prosperità terrena come utopia dell’uomo medievale in balia della precarietà politica, sociale e materiale, cfr. il noto studio di Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, traduzione italiana di Mili Romano, Torino, Einaudi, 1979 (Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renassansa, Moskva, Izdatel’stvo Chudožestvennaja Literatura, 1965). 103 Anonimo, La lettera del Prete Gianni, p. 73. 71 può contare l’invincibile monarca. 104 Per non parlare delle Amazzoni, altro leggendario popolo mostruoso d’oriente, noto per il disprezzo nei confronti del genere maschile eppure, qui, disposto a sostenere le cause del Prete Gianni: le Amazzoni sono donne che hanno una loro regina; la loro dimora è un’isola che si estende per mille miglia nelle quattro direzioni, circondata da ogni parte da un fiume che non ha né inizio né fine, come un anello senza pietra. […] I mariti delle donne di cui stavo parlando non vivono insieme ad esse, né osano recarsi là dove esse dimorano, a meno che non vogliano morire all’istante; essi abitano invece sull’altra riva del fiume di cui si è detto. È infatti stabilito che ogni uomo muoia il giorno stesso in cui mette piede in quell’isola. Quelle donne si recano dai loro mariti e restano con essi per una settimana o per quindici giorni o anche più a lungo; poi i mariti le lasciano tornare presso le altre. Quando nascono dei bambini li allevano sino all’età di sette anni e poi li restituiscono ai padri. Quando invece nascono delle bambine le trattengono con sé. Queste Amazzoni sono abilissime in guerra e soprattutto con l’arco, [e] quando all’Altezza nostra piace di reclutarle, ne portiamo contro i nostri nemici un milione e anche di più, se vogliamo. E invero i loro mariti le seguono, non però per combattere, ma per onorarle quando tornano vittoriose dalla battaglia.105 Al temperamento sfrenato e prorompente delle Amazzoni faceva da contraltare la pacifica e perfetta esistenza (innaturale, dunque anch’essa per certi versi mirabilis) dei Bramani, il cui rigore dei costumi e delle abitudini era tale da sostenere metaforicamente tutta la cristianità: i Bramani sono una moltitudine di uomini semplici che conduce una vita virtuosa. Non desiderano possedere più di quanto esige il bisogno naturale. Si accordano su tutto e tutto sopportano. Definiscono superfluo ciò che non è necessario. Sono santi che vivono nel corpo. Quasi tutta la cristianità, in ogni sua parte, è sostenuta dalla loro santità e dal loro senso di giustizia, come crediamo, è ed è difesa dalle loro 104 Ibid., p. 75. 105 Ibid., pp. 75-79. 72 orazioni affinché non sia vinta dal diavolo. Costoro servono la Maestà nostra solo con le loro preghiere e noi non vogliamo avere da loro altra cosa che questa.106 La parte conclusiva della Lettera raccoglieva uno smodato sovrapporsi di iperboli messo astutamente in campo per sottolineare, ancora una volta, il lusso e l’agiatezza che caratterizzavano il grande palazzo dove risiedeva «la nostra Sublimità». Pietre sgargianti di ogni colore e proprietà, gradini di porfido, colonne di marmo, letti di zaffiri, incensi che pervadevano gli ambienti di ogni delizia olfattiva, lumi alimentati da balsamo, tavole imbandite di ogni bene, donne bellissime: sono queste solo alcune delle meraviglie che facevano del palazzo del Prete Gianni una reggia da Mille e una notte. Ed è proprio sull’effetto di queste battute finali, a proposito delle quali non fatichiamo a immaginarci un imperatore Manuele Commeno senza fiato, che il Prete Gianni prendeva commiato dal suo regale suddito e lo invitava, se fosse riuscito a trovare la strada, a fargli visita: ora non possiamo parlarti quanto dovremmo della nostra gloria e della nostra potenza. Ma quando verrai presso di noi dirai che in verità siamo signore dei signori di tutta quanta la terra. Per il momento sappi soltanto che i nostri domini si estendono da un lato, in larghezza, per circa quattro mesi di viaggio, mentre in verità nessuno può sapere sin dove essi si spingono dall’altro. Se tu potessi contare le stelle del cielo e la sabbia del mare, allora potresti misurare i nostri domini e la nostra potenza.107 Come si evince dai brevi passi estrapolati, dietro La lettera del Prete Gianni si nascondeva un «abile psicologo e scaltro interprete dei maggiori sogni esistenziali dei suoi contemporanei».108 Sensibile allo scorrere del suo tempo e agli eventi che maggiormente lo avevano segnato, egli si era inventato un fantomatico personaggio in grado di suscitare non soltanto curiosità e ammirazione, ma anche grande preoccupazione.109 Ma per quali ragioni egli si era dato così tanto da fare e quali erano 106 Ibid. Dal De moribus Brachmanorum dello Pseudo-Ambrogio al De vita solitaria di Francesco Petrarca, i Bragmani sono stati il modello morale a cui avrebbe voluto aspirare ogni uomo di buona volontà. A questo proposito, cfr. Giulio Bertoni, Poesie, leggende, costumanze del Medio Evo, Modena, Orlandini, 1917, pp. 95-103.107 Anonimo, La lettera del Prete Gianni, p. 91. 108 Giuseppe Tardiola, Atlante fantastico del medioevo, p. 71. 109 Nel 1117 partì la risposta ufficiale di papa Alessandro III, affidata al suo medico personale Filippo, nella quale si pretendeva che il Prete riconoscesse l’autorità papale, esortandolo al contempo a continuare questo inedito rapporto epistolare anche se in termini meno arroganti e supponenti, e, soprattutto, con modi e accorgimenti che non lasciassero alcun dubbio sull’autenticità delle sue ‘future’ 73 gli obiettivi che mirava a centrare? Probabilmente due: prima di ogni cosa, inserirsi nella diatriba concernente le ingerenze tra potere spirituale e temporale (che proprio in quegli anni, con Federico Barbarossa e il pontefice Alessandro III, stava toccando i livelli più cruenti), con l’affermazione di un’utopica figura di rex et sarcerdos insieme, capace di coniugare magistralmente in sé competenze religiose e politiche. In secondo luogo, attraverso l’esibizione impressionante e serrata di prodigi, l’autore intendeva ribadire l’esistenza degli ormai noti orizzonti mirabili, quelli che avevano costituito la specificità geografica dell’India e dell’Oriente estremo, e intorno ai quali – come suggerisce Jacques Le Goff – non avevano cessato di materializzarsi e agitarsi i sempre rincorsi e mai colti fantasmi dell’immaginario medievale: la fuga dallo spettro della carestia e della pestilenza, la ricerca della ricchezza e della libertà sessuale, e soprattutto del paradiso terrestre.110 Per quanto riguarda il primo dei due propositi, come ci insegna la storia, l’autore non ebbe successo, ma non fallì nel secondo, tanto è vero che il suo oriente mirabile passò in eredità ai grandi enciclopedisti del secolo successivo.111 1.6 Things brought to Venerable hearing in Leisure Hours: i grandi enciclopedisti del XIII secolo Per quanto il termine ‘enciclopedia’ non abbia fatto parte del vocabolario medievale, gli studiosi sono concordi nel chiamare così alcuni testi che furono redatti con lettere. Il testo di questa lettera è contenuto in Friedrich Zarncke, Der “Priester Johannes”, Abhandlungen der philologisch-historischen Klasse der Koeniglichen Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften, Leipzig, 1883, VIII, pp. 941-944. 110 Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, pp. 257-277. Uno degli esempi più rappresentativi di viaggio al ‘Paradiso’ è senza ombra di dubbio quella di Anonimo, Navigatio Sancti Brendani/ La navigazione di San Brandano, a cura di Maria A. Grignani, Milano, Bompiani, 1975, che prevede appunto avventure dei protagonisti cristiani tra mostri d’Oriente, meraviglie dell’India e topoi letterari risalenti direttamente alle tradizioni pagane. Su questo genere di letteratura, cfr. Arturo Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, Milano, Mondadori, 1984, soprattutto capitolo 4. 111 La figura del Prete Gianni non sparì dallo scenario europeo dopo la circolazione della sua celebre Lettera. Eccola, infatti, riapparire solo qualche decennio più tardi in uno dei cento componimenti che costituiscono l’antologia del Novellino: «della ricca ambasceria la quale fece lo Presto Giovanni al nobile imperatore Federico» (Il Novellino (1281-1300), testo critico, introduzione e note a cura di Guido Favati, Genova, Bozzi, 1970, pp. 120-124). Questo è però solo il caso più esemplare della duratura fortuna del rex et sacerdos nella letteratura dei secoli successivi: egli farà comparse nei Proverbia quae dicuntur super natura feminarum (XII secolo) e continuerà a mostrarsi nelle opere di Folgore da San Gimignano, Giovanni Boccaccio e Ludovico Ariosto. Su questo aspetto, cfr. Giuseppe Tardiola, Atlante fantastico del medioevo, pp. 77-89. 74 un’ambizione didattica di tipo enciclopedico e che conobbero una notevole fioritura nel Medioevo, in particolare nel XIII secolo.112 Conformemente all’etimologia greca (enkyklos paidèia: ‘educazione secondo un percorso circolare’), le enciclopedie nacquero per abbracciare un vasto ambito di conoscenze e si distinsero dal trattato per il loro interesse verso numerose discipline. Le enciclopedie del XIII secolo ponevano in primo piano l’inventario del Creato, con i regni naturali nella loro diversità e ricchezza, e procedevano per accumulazione di informazioni: si trattava essenzialmente di compendi di notizie provenienti da testi precedenti, utilizzati in virtù della loro auctoritas, cioè del loro valore di riferimento riconosciuto dalla tradizione scritta. L’elemento fondamentale di tutte le enciclopedie era pertanto la citazione, e la procedura principale era quella della compilatio, operazione in cui l’apporto principale dell’enciclopedista consisteva nell’ordinamento dei dati; l’organizzazione dei materiali adottata non era alfabetica, bensì tematica. Ciò rispondeva alle precise finalità di questo genere letterario, che intendeva produrre opere didattiche d’immediata consultazione; ecclesiastici e laici istruiti potevano così avere l’accesso a una conoscenza compendiata, ordinata e volgarizzata. Secondo la felice espressione di Badouin van den Abeele, l’enciclopedia del basso Medioevo disegnava una vera e propria «immagine del mondo», una sorta di «libro della natura delle cose» che mostrava l’Universo mediante lo specchio della conoscenza umana, come se il mondo vi si riflettesse.113 Tali opere avevano ovviamente degli antecedenti antichi (nel mondo latino, varrà per tutti il rinvio alla già citata Naturalis Historia di Plinio il Vecchio), ma il modello e il riferimento obbligato dell’enciclopedia medievale furono senz’altro le Etimologie di Isidoro di Siviglia (560-636 circa), che esercitarono una profonda influenza in tutti i campi del sapere. Dal VII al XV secolo, quest’opera enciclopedica e lessicografica fu infatti una delle più importanti cornici di riferimento per i letterati; 112 Per una definizione di ‘enciclopedia’ e una storia di questo genere letterario, si veda Robert L. W. Collison, Encyclopaedias. Their History throughout the Ages. A Bibliographical Guide with Extensive Historical Notes to the General Encyclopaedias issued throughout the World form 350 B.C. to the Present Day, New York-London, Hafner, 1964 e Fumagalli Beonio Brocchieri Mariateresa (a cura di), Le enciclopedie dell’Occidente medioevale, Torino, Loescher, 1981, che offre uno studio corredato di versioni italiane di passi importanti degli autori trattati. Sul 1300, invece, come secolo particolarmente favorevole alla fioritura delle grandi enciclopedie, si veda il saggio di Jacques Le Goff, ‘Pourquoi le XIIIe siècle a-t-il été plus particulièrement un siècle d’encyclopédisme?’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, pp. 23-40. 113 Badouin Van Den Abeele, ‘La tradizione enciclopedica e la descrizione del mondo dal XII al XV secolo’, in Storia della scienza, 10 voll., a cura di Sandro Petruccioli, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2001-2004, IV, pp. 549-554. 75 se ne possono contare centinaia di manoscritti conservati ed è persino impossibile elencarne le riscritture da parte di autori più tardi.114 Due secoli dopo la pubblicazione dell’opera di Isidoro, ne apparve in Germania un rifacimento, il De Universo o De rerum naturis di Rabano Mauro (776 circa-856), abate di Fulda e poi vescovo di Magonza. Si tratta di un’opera enciclopedica in 22 libri, in cui sono affrontati gli stessi argomenti trattati nelle Etimologie, ma in un diverso ordine di successione: Rabano Mauro aggiunse alle definizioni di Isidoro un commento allegorico o mistico, nella prospettiva generale di riorganizzarle e cristianizzarle più nettamente.115 Il XII secolo vide un nuovo sviluppo del genere enciclopedico con il Liber floridus (1120 circa) del canonico Lamberto di Saint-Omer, prima enciclopedia concepita fin dall’inizio come opera illustrata, le cui miniature sono di grandissimo interesse.116 In seguito, il Liber subtilitatum diversarum creaturarum naturarum di Ildegarda di Bingen (1098-1179), opera singolare per la sua forte componente medica, abbracciò, in nove libri, i diversi regni naturali, in una prospettiva propriamente enciclopedica. 117 Nel passaggio tra il XII e il XIII secolo, uno fra i maggiori 114 Ibid., p. 550; si vedano, inoltre, Bernhard Zimmerman, ‘Osservazioni sulla «enciclopedia» nella letteratura latina’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, pp. 41-51 e Manuel C. Díaz y Díaz, Enciclopedismo e sapere cristiano tra tardo-antico e alto Medioevo, traduzione italiana di Aldo Granata, Milano, Jaca Book, 1999, specialmente pp. 21-43. 115 Rabano Mauro, De Rerum Naturis: cod. Casin. 132. Archivio dell’Abbazia di Montecassino, commentari a cura di Guglielmo Cavallo, contributi di Guglielmo Cavallo et alii, Ivrea, Priuli & Verlucca, 1994. Per un inquadramento critico dell’opera, si vedano Marianne Reuter, Text und Bild im Codex 132 der Bibliothek von Montecassino «Liber Rabani de origine rerum». Untesuchungen zur mittelalterlichen Illustrationspraxis, München, Arbeo-Gesellschaft, 1984 (Metodi illustrativi nel Medioevo. Testo e immagine nel codice 132 di Montecassino “Liber Rabani de originibus rerum”, Napoli, Liguori, 1993) e Guglielmo Cavallo, L’universo medievale. Il manoscritto cassinese del “De rerum naturis” di Rabano Mauro, Ivrea, Priuli & Verlucca Editori, 1996. 116 Dell’opera di Lamberto di Saint-Omer non esistono edizioni critiche. L’unica copia autografa è conservata presso la Biblioteca dell’Università di Ghent (Ghent University Library Ms. 92). Per un inquadramento dell’opera: Albert Derolez, The Autograph Manuscript of the Liber Floridus. A Key to the Encyclopedia of Lambert of Saint-Omer, Turnhout, Brepols, 1998. 117 Ildegarda di Bingen, Physica. Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, herausgegeben von Reiner Hildebrandt und Thomas Gloning, Berlin, Gruyter, 2010. Per una traduzione italiana recente si veda Ead., Il libro delle creature. Differenze sottili delle nature diverse, a cura di Antonella Campanini, Roma, Carocci, 2011. Per le notizie biografiche e alcuni aspetti dell’opera della celebre badessa renana, cfr. Sabina Flanagan, Hildegard of Bingen. A Visionary Life, London, Routledge, 1989; Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, ‘Ildegarda, la profetessa’, in Ferruccio Bertini et al. (a cura di), Medioevo al femminile, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 144-169; Ead., In un’aria diversa. La sapienza di Ildegarda di Bingen, Milano, Mondadori, 1992 e Laurence Moulinier, ‘Une encyclopédiste sans précédent? Le cas de Hildegarde de Bingen’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, pp. 119-134. Per un excursus, invece, su alcune delle figure femminili più rappresentative e affascinanti nell’ambito del sapere medievale, si vedano Peter Dronke, Women Writers of the Middle Ages. A Critical Study of Texts from Perpetua to Marguerite Porete, Cambridge, Cambridge University Press, 1984 (Donne e cultura nel Medioevo. Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, prefazione di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, traduzione italiana di Eugenio 76 rappresentanti del genere fu il canonico inglese Alessandro Neckam (1157-1217), che nel De naturis rerum passava in rassegna la teologia, la cosmologia e le realtà naturali, queste ultime secondo lo schema dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco).118 Fu, tuttavia, il XIII secolo l’epoca dei grandi classici del genere enciclopedico, stagione che si apre con gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury.119 L’opera, ultimata intorno al 1220, si presenta come una serie di insegnamenti che hanno un duplice proposito, istruire e divertire il destinatario del libro, l’imperatore Ottone IV di Brunswick. Questo doppio intento rende gli Otia imperialia un’enciclopedia singolare, che sembra negare il proprio statuto dottrinale fin dal titolo, opponendo gli svaghi al labor della fatica intellettuale.120 Come segnala Fortunata Latella, Gervasio presentava in tal modo il suo lavoro come qualcosa di pertinente all’ambito della distrazione piuttosto che a quello dell’apprendimento, mettendo così in atto «uno scaltro espediente di orientamento della ricezione, che ben si addice all’educatore che sa che la doctrina passa più facilmente attraverso la delectatio».121 Randi, Milano, Il Saggiatore, 1986) e Patrizia Caraffi, Figure femminili del sapere (XII-XV secolo), Roma, Carocci, 2003. 118 Alexander Neckam, De naturis rerum libri duo with the Poem of the same Author De Laudibus divinae Sapientiae, edited by Thomas Wright, London, Longman, 1863. Sulla vita e l’opera dell’autore, si rimanda Richard W. Hunt, The Schools and the Cloister. The Life and Writings of Alexander Nequam (1157-1217), preface by Beryl Smalley, edited and revised by Margaret Gibson, New York, Clarendon Press-Oxford University Press, 1984. 119 Nato nella seconda metà del XII secolo, Gervasio di Tilbury (ca. 1150 – ca. 1228) compì studi giuridici, alla fine degli anni Settanta, nello studium di Bologna, dove si addottorò in diritto canonico. Fu poi a servizio presso Enrico II d’Inghilterra, quindi al seguito della figlia di Enrico, Giovanna, andata in moglie a Guglielmo di Sicilia. Dai primi anni del 1200, la sua presenza è attestata ad Arles, allora territorio imperiale. Qui probabilmente Gervasio conobbe Ottone di Brunswick, futuro imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Ottone IV, dal 1209 al 1215, quando fu scomunicato e deposto dal papa Innocenzo III. Proprio ad Ottone è dedicata l’opera maggiore di Gervasio, gli Otia Imperialia. Negli ultimi anni della sua vita, Gervasio abbandonò la vita secolare, per prendere i voti monastici, probabilmente nella sede premonstratense di Beleigh, nell’Essex. Per un profilo biografico e intellettuale dell’autore: Henry G. Richardson, ‘Gervase of Tilbury’, History, XLVI, 1961, pp. 102114; James W. Binns, Sarah E. Banks, ‘The Intellectual Development of Gervase of Tilbury’, in Nathalie Kruppa, Jürgen Wilke (Hrsg.), Kloster und Boldung in Mittelalter, Göttingen, Vandenhoek & Ruprecht, 2006, pp. 347-354.120 Il titolo dell’opera di Gervasio di Tilbury istituisce un parallelo con il De Nugis Curialium di Walter Map, raccolta di aneddoti curiosi composta nell’ultimo quarto del XII secolo alla corte di Enrico II Plantageneto; i due intellettuali condivisero il medesimo ambiente e i medesimi interessi per l’elemento meraviglioso. Per l’edizione critica si veda: Walter Map, De Nugis Curialium. Courtiers’trifles, edited and translated by Montague R. James, revised by Christopher N. L. Brooke and Roger A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press, 1983 (Svaghi di Corte, 2 voll., a cura di Fortunata Latella, Parma, Pratiche, 1990). Sui rapporti tra Tilbury e Map si veda Fortunata Latella, ‘Introduzione’, in Gervasio di Tilbury, Otia imperialia. Libro III. Le meraviglie del mondo, a cura di Fortunata Latella, Roma, Carocci, 2010, p. 26.121 Ibid., p. 16. 77 Concepito per un re (Enrico II Plantageneto, morto prematuramente nel 1189) e completato per un imperatore (il già citato Ottone IV di Brunswick), il libro, «assemblaggio e sutura di passi raccolti in tempi diversi», si presenta diviso in tre decisiones.122 La prima, ripartita in ventiquattro paragrafi, è incentrata sulla creazione del mondo, la sua composizione, la sua storia primordiale, nella cornice strutturale di un commento al libro della Genesi; la seconda, in ventisei paragrafi, disegna la geografia del mondo e traccia la storia dei suoi più importanti popoli. Insieme, queste due prime parti sembrano costituire una sorta di propedeutica alla terza sezione, che costituisce il fulcro del libro, e si compone di centotrenta paragrafi dedicati alle meraviglie del mondo. La ricchezza di questo terzo libro testimonia della speciale attenzione di Gervasio per il tema del meraviglioso, e della sua inesauribile opera di tesaurizzazione di fatti e fenomeni mirabolanti. È chiaro che in questa ricerca si incarna l’obiettivo di educare distraendo (e Gervasio non perde mai d’occhio né il fine didascalico né quello dilettevole), ma anche e soprattutto il gusto per tutto ciò che genera stupore. In questa mescolanza di obiettivi e di toni, Gervasio incarna perfettamente il ruolo dell’intellettuale immerso in quello che è stato giustamente definito il «paradosso della cultura medievale»: l’incontro-scontro di diverse spinte intellettuali, divergenti tra la tradizione classica e la cultura orale, le credenze religiose cristiane e il retaggio pagano.123 Un ambiente «multipolare» e «interazionale» – secondo la definizione di Schmitt – in cui il Tilberiense concilia, media, senza sfuggire talvolta al rischio della forzatura, i differenti poli cristiano/pagano, colto/popolare, clericale/laico.124 In quest’opera di mediazione, e negli imbarazzi che ne derivano, un ruolo centrale è assunto dal meraviglioso: Gervasio si trova cioè a risolvere il problema di come combinare l’autorevolezza di una enciclopedia con l’elemento fiabesco di un Oriente mirabile ormai reso materia imprescindibile di ‘studio’ dalla sua reiterazione letteraria. La soluzione di questo dilemma consiste nell’ammettere il 122 Ibid., p. 19. 123 Aron J. Gurevič, Contadini e santi. Problemi della cultura popolare nel Medioevo, traduzione italiana di Luciana Montagnani, Torino, Einaudi, 1986, p. XIII (Problemy srednevekovoj narodnoj kul’tury, Moskva, Iskusstvo, 1981). 124 Jean-Claude Schmitt, Religione, folklore e società nell’Occidente medievale, traduzione italiana di Lucia Carle, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 107-111 (edizione originale in lingua italiana). 78 meraviglioso all’interno del discorso enciclopedico, relativizzandolo però all’osservatore; il mirabile è posto cioè in relazione alla novità e alla rarità del fenomeno: I fatti verificatisi da poco suscitano stupore, in misura minore se frequenti, maggiore se rari. Apprezziamo ciò che viene recepito come singolare, sia per il mutamento del corso naturale che ci sorprende, sia per l’ignoranza del suo avvenire la cui ragione ci è imperscrutabile, sia perché vediamo cambiato ciò che per noi è consueto in qualcosa di strano senza conoscerne l’esatto fondamento. Da tutto questo discendono due esiti, miracoli e prodigi, e il risultato di entrambi è lo stupore.125 Anche i fenomeni diffusi e comuni non sono dunque meno degni di stupore, e sarebbero anzi considerati prodigiosi se l’umanità non ritenesse meravigliose soltanto le cose rare: è la novità che costituisce il fondamento dello sbalordimento, mentre l’iterazione e la familiarità di un fenomeno lo rendono ordinario. È il caso della calce, che se aspersa con acqua diaccia s’infiamma, quando invece ogni cosa si refrigera a contatto con l’acqua fredda; e non si riscalda invece se irrorata d’olio, benchè l’olio fomenti il fuoco. Se tutto questo si raccontasse di qualche minerale indiano, di cui non ci fosse possbile avere esperienza diretta, lo giudicheremmo senza dubbio un’invenzione, o comunque rimarremmo impressionati e meravigliati. Ma dal momento che esempi siffatti si pongono quotidianamente dinanzi ai nostri occhi, vengono sminuiti di valore, non perché siano di genere meno mirabile, ma per la loro ricorrenza; così ci mostriamo pronti a stupirci di fronte a fenomeni prodottisi in India per il fatto che essa si trova in una parte remota del mondo, mentre quando accadono vicino ci appaiono meno prodigiosi.126 Il meraviglioso di Gervasio è dunque relativizzato allo sguardo che lo osserva, e pone il lettore/spettatore di fronte alla propria limitatezza, nei confronti della quale l’autore conserva per sé un ruolo fondamentale: quello della recensione e del vaglio di tutte le 125 Gervasio di Tilbury, Otia imperialia. Libro III. Le meraviglie del mondo, a cura di Fortunata Latella, Roma, Carocci, 2010, p 103 (tutte le citazioni fanno sono tratte da questa edizione). Per l’edizione completa si veda Gervase of Tilbury, Otia imperialia. Recreation for an Emperor (1215), edited and translated by Sarah E. Banks and James W. Binns, Oxford, Clarendon Press, 2002. 126 Ibid., pp. 105-107. 79 narrazioni possibili, e, alla fine, dell’accurata scelta di quelle ritenute più autorevoli.127 Tale funzione di filtro, che Gervasio conserva per sé, è il mezzo con cui egli media le varie tradizioni, garantendo con la propria autorevolezza la loro veridicità. Per questo motivo egli invoca nell’esordio del terzo libro l’autorità della tradizione, delle Scritture e dell’esperienza, confermando nel corso dell’opera l’importanza della documentazione e, soprattutto, del riscontro personale: Nessuno perciò giudichi fantasiosi i racconti che riferiamo per iscritto: infatti li abbiamo raccolti non per intrattenere la vostra augusta attenzione con vuote chiacchiere, ma perché, messe da parte le fandonie che i buffoni mescolano a un minimo di verità, possiate apprendere cose prodigiose sconosciute ai venditori di ciance e attestate come veraci nei luoghi del loro manifestarsi o di autorevoli scrittori.128 Ma, al di là di queste prudenze, e delle garanzie fornite dall’autore, le maglie della rete di raccolta di materiali erano assi larghe. E non stupisce, perciò, che l’intera parte sulle razze mostruose orientali non sia altro che una riscrittura, con qualche taglio e qualche interpolazione di altre fonti, della Lettera De rebus in Oriente mirabilibus. Ed è così che, al paragrafo 73, su un’isola sconosciuta oltre l’Egitto, vediamo tornare le formiche che scavano l’oro: sono grandi quanto cagnolini, hanno sei piedi, il tronco come quello del gambero di mare, denti di cane, colore nero e custodiscono l’oro, che portano alla luce dal sottosuolo. Se vengono in contatto con un uomo o con un qualsiasi essere vivente lo divorano fino alle ossa. Sono poi velocissime, tanto che sembrano volare più che camminare. Dall’alba sino all’ora quinta estraggono l’oro sotto terra, dopo lo portano all’esterno. Glielo si sottrae ingegnosamente con un espediente: si conducono dei cammelli, il più possibile numerosi, e delle cammelle con i loro piccoli, e una volta raggiunta la riva del fiume da attraversare, si legano i piccoli ai cespugli che crescono sulle rive. Attraversato il fiume con i cammelli di entrambi i sessi, si carica l’oro sulle cammelle, che gravate dal peso ma spronate dall’amore per i figli, guadano il fiume 127 Tuttavia, come si vedrà nel prossimo capitolo, le meraviglie geograficamente lontane davano scarsi problemi di attendibilità, poiché si poneva come criterio sufficiente di verosimiglianza l’auctoritas delle fonti classiche che ne fornivano testimonianza. 128 Ibid., p. 107. 80 velocemente. Gli uomini, quando scorgono la schiera delle formiche che li insegue, abbandonano a bella posta sulla riva i cammelli maschi per farli divorare e traversano alla svelta il fiume. Le formiche, frodate dal furto dei predoni, vengono trattenute dal banchetto dei cammelli abbandonati; ostacolate dal fiume che si oppone loro, tutto ciò che possono fare è divorare i cammelli che trovano; è così che l’oro puro giunge sino a noi.129 In un’altra contrada, dove non si rischia di essere divorati dai famelici insetti, si incontrano gli ‘uomini cicogna’, che hanno «braccia candide fino agli omeri, polpacci neri, piedi rossi, testa tonda, naso lungo. Tali uomini si trasformano, in certe stagioni, in cicogne, e ogni anno dalle nostre parti partoriscono i piccoli».130 E se il tratto distintivo di questa popolazione possiamo immaginare che sia il collo lungo, in zone limitrofe ne risiede un’altra la cui caratteristica fisica più evidente è quella di essere senza testa: «c’è un’altra isola nel fiume Brisone, ove vivono uomini […] che hanno occhi e bocca nel petto».131 Ma non è tutto, ci sono anche intere comunità femminili che sono, in qualche modo, varianti mostruose del regno delle Amazzoni: Più o meno negli stessi luoghi esistono donne orrende, barbute sino alle mammelle; hanno testa piatta, si vestono di pelli, sono dedite alla caccia; allevano come cani da caccia animali da venagione d’aspetto e dimensione simili ai leopardi. Nelle vicinanze ci sono pure monti ove vivono donne che hanno denti di cinghiale, capelli che raggiungono i talloni e code bovine ai lombi; sono alte sette piedi, col corpo peloso come quello del cammello.132 Nei paragrafi successivi, il catalogo continua descrivendo altri esseri mostruosi (uomini con le corna e i piedi caprini; la fenice; uomini con otto piedi e altrettanti occhi), per abbandonare infine le meraviglie dell’Oriente e tornare ad analizzare fenomeni mirabilanti più vicini. Ma l’Oriente mostruoso non termina qui il suo cammino. Torna, occupandone un intero libro, in un’altra celebre enciclopedia del XIII secolo, il De natura rerum 129 Ibid., pp. 229-231. 130 Ibid., p. 231. 131 Ibid. 132 Ibid., p. 233. 81 (1240 circa) di Tommaso di Cantimpré.133 Divisa in venti libri, l’opera abbraccia l’intero scibile naturale, cominciando dall’anatomia umana, per ripercorrere a ritroso tutto il cammino della creazione: il regno animale (i quadrupedi, i pesci, gli uccelli, i rettili, i vermi), quello vegetale (gli alberi, le erbe), le acque, il regno minerale (le pietre, le proprietà dei metalli), le sette regioni del cielo, i sette pianeti, i fenomeni climatici, i quattro elementi, e infine le stelle, il sole e la luna.134 Al genere umano pertiene l’insieme dei primi tre libri, dedicati rispettivamente alle membra, alle malattie e alle cure (libro I), all’anima e alle sue virtù (libro II), e, ciò che più ci interessa, alle creature umane mostruose d’Oriente (libro III). La trattazione di quest’ultimo tema si apre con un paragrafo intitolato «E in primo luogo e in generale da dove derivino gli uomini mostruosi», in cui l’autore si domanda se gli uomini mostruosi, e specificamente gli ibridi uomo-animale, possano essere considerati discendenti di Adamo.135 Con un abile intarsio di rimandi alle auctoritates (Girolamo e Agostino), egli conclude con una risposta negativa, affermando l’impossibilità che tali creature possiedano un’anima. 133 Tommaso (1201-1272 circa), dal 1217 canonico agostiniano dell’abbazia di Cantimpré, presso Cambrai, vi risiedette per più di quindici anni, entrando poi, nel 1232, nell’ordine di San Domenico a Lovanio. Studiò teologia a Colonia, sotto l’ègida di Alberto Magno, per proseguire poi la sua formazione a Parigi. Tornò a Lovanio nel 1240, dove insegnò teologia e filosofia, fino alla morte, avvenuta presumibilmente nel 1272. Fu autore di numerose opere agiografiche, e di un trattato allegorico, il De bonum universale de apibus (1256-1263), in cui si delinea un’ideale vita cristiana sotto l’immagine della vita delle api. Per un profilo biobibliografico, si rimanda a Benedikt K. Vollman, ‘La vitalità delle enciclopedie di scienza naturale: Isidoro di Siviglia, Tommaso di Cantimpré, e le redazioni del cosiddetto «Tommaso III»’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, pp. 135-145 e Baudouin Van den Abeele, ‘Diffusion et avatars d’une encyclopédie: le Liber de natura rerum de Thomas de Cantimpré’, in Godefroid de Callata , Baudouin Van den Abeele (éd.), Une lumière venue d’ailleurs. Héritages et ouvertures dans les encyclopédies d’Orient et d’Occident au Moyen Age. Actes du colloque de Louvain-la-Neuve, 19-21 mai 2005, Louvain-la-Neuve, Brepols, 2008, p. 141-176.134 Tommaso fa precedere il testo da un indice molto speciale, un piccolo poemetto in venti esametri latini in rima baciata, nel quale ad ogni verso corrisponde il tema di uno dei libri: «Membra prius morbosque simul curasque videbo. / Inde quid est anima certa ratione docebo. / Hinc dixi vultus hominum formeque patebunt. / Quadrupedum species librum pro parte tenebunt. / Hinc volucres videas varium quas scema beavit. / Monstra maris que mira satis deus ipse creavit. / Fluminis atque maris pisces post ista locantur. / Serpentes varii vel queque nociva sequantur. / Vermes reptantes nichilominus inde coapta. / Silvarum ligna communibus usibus apta. / Hinc etiam sequitur lignum redolens specierum, / Herbarum virtus curis tutissima rerum, / Flumina vel fontes pia quos natura beavit, / Gemmarum virtus quas discolor irradiavit. / Hinc alkimie septena metalla notantur, / Aeris humores que septem regna vocantur; / Inde planetarum cursus si scripta requiris, / Qui tonitrus, fax, stella cadens, quid ventus et yris. / Quatuor hinc elementa vide. Post fine patescit, / cur venit eclipsis, scandit sol, luna recrescit» (Tommaso di Cantimpré, Liber de natura rerum. Editio princeps secundum codices manuscriptos, herausgegeben von Hans Boese, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 1973, p. 12). 135 Ibid., p. 97 [questa e tutte le altre traduzioni italiane da quest’opera sono di chi scrive]. 82 Passa poi ad analizzare le specie esotiche, dedicando un primo paragrafo monografico alle Amazzoni: Lì infatti ci sono le Amazzoni, donne notevoli nei combattimenti e nelle battaglie, che vivono presso i monti del Caspio in un’isola circondata da ogni parte da un fiume. Vi sono più di duecentomila di queste donne, che vivono separate in quell’isola senza coabitare con gli uomini, e tutte manovrano le spade e sono espertissime nella guerra. […] Una volta soltanto all’anno abbandonano l’isola raggiungendo i mariti per generare i figli. Al ritorno, se hanno concepito un maschio lo allevano per sei anni e poi lo mandano da suo padre. Se invece hanno partorito una femmina, se la tengono stretta e la custodiscono presso di loro.136 Fino a qui, Tommaso segue la tradizione sulle creature ‘mostruose’ orientali, ma subito dopo aggiunge un commento che, istituendo un parallelo con il mondo naturale, mira in qualche modo a ‘normalizzare’ il dato meraviglioso: «così come avviene presso alcuni uccelli, le femmine sono più forti dei loro uomini».137 Ma è nella frase successiva che l’autore mostra tutto il proprio intento educativo e moralizzante, indicando nella forzata e pretesa castità delle Amazzoni l’origine della loro straordinaria forza in battaglia: «e poiché dall’uso frequente della libidine molti spiriti si consumano, quanto più raramente si accoppiano tanto più quelle viragini sono forti e idonee al combattimento».138 La stessa volontà edificante nei confronti del lettore la troviamo nei due brevi capitoletti seguenti, dedicati a figure non propriamente mostruose ma che facevano entrambe parte della tradizione delle meraviglie orientali, i gimnosofisti e i bramani, e che Tommaso trasforma in una sorta di precursori degli eremiti cristiani: Ci sono alcuni uomini che chiamano exifraci ovvero gimnosofisti, cioè saggi nudi. Vanno nudi, in povertà e umiltà disprezzando la vanità fallace e transitoria di questo mondo. Abitano in tuguri e spelonche e non hanno casali o città. Non fanno male a 136 Ibid., pp. 97-98. 137 Ibid., p. 98. 138 Ibid. 83 nessuno e non difendono contro alcuno con le armi. I loro figli e le loro mogli abitano lontano con gli animali, che nutrono per sostenere la loro sobria vita.139 Nel quadro dell’aneddoto esemplare, Tommaso aggiunge poi un inedito incontro tra alcuni rappresentanti di questa comunità e Alessandro Magno, forse per la prima volta mettendo in luce non positiva il grande condottiero: Quando Alessandro il Macedone li incontrò, fortemente stupito, disse loro: «Chiedetemi quel che volete e ve lo darò». Ed essi: «Dacci l’immortalità che desideriamo sopra ogni cosa: infatti non curiamo le altre ricchezze». E allora Alessandro: «Sono mortale, come posso darvi l’immortalità?» e quelli a lui: «Se dunque tu sai di esser mortale, perché vai girando vagabondo nel mondo facendo tanti mali?».140 Meno duttili per una riscrittura in chiave cristiana, tutte le altre specie mostruose che Tommaso poteva recuperare dalla tradizione dell’Oriente meraviglioso sono relegate in un lungo catalogo, ‘Su altre specie umane, e sui loro costumi’, costituito da quaranta voci sintetiche. Qui ritroviamo, ancora una volta, i popoli mostruosi ormai noti: i Cinocefali («che hanno teste di cane, unghie adunche, si vestono con pelli di pecora e al posto della voce latrano come cani»), gli Astomori («che hanno la bocca così piccola che non riescono a mangiare se non cose liquide con una sottile cannuccia»), gli Antropofagi («che considerano immensa pietà e grande religione uccidere i propri genitori diventati troppo vecchi e imbandire le loro carni in pasto»), gli Àstomi («che vivono soltanto con l’odore di un frutto, e se capita loro di viaggiare lontano portano quel frutto con sé, altrimenti morirebbero se sentissero un cattivo odore»), i Pigmei («alti due cubiti, che fanno guerra contro le gru, partoriscono a tre anni e invecchiano a otto») e molti altri.141 Molti di questi materiali confluiranno nell’ultima grande enciclopedia latina del XIII secolo, vero trionfo del genere, il gigantesco Speculum Maius (1256 circa) di Vincenzo di Beauvais.142 L’opera ci è pervenuta, nelle copie a stampa, suddivisa in 139 Ibid. 140 Ibid. 141 Ibid., pp. 98-100. 142 Poco si sa di Vincenzo di Beauvais (1190 circa-1264), frate dell’ordine domenicano, e predicatore alla corte di re Luigi IX, il quale lo nominò lector della scuola del monastero cistercense di Royaumont-sur-Oise e precettore dei suoi figli. Intorno al 1250 scrisse per la famiglia reale il De 84 quattro parti (Speculum naturale, doctrinale, morale, et historiale), una delle quali, la terza, è oggi considerata apocrifa e attribuita ad un anonimo autore che l’avrebbe composta tra il 1310 e il 1325, compendiando Tommaso d’Aquino e alcuni altri teologi morali.143 Il progetto di questa immane opera compilativa è esposto esplicitamente fin dal prologo generale: «mi è sembrato opportuno […] scegliere alcuni fiori da ciò che ho potuto leggere, sia dei nostri, cioè dei Dottori Cattolici, sia dei Gentili, ovvero dei Filosofi, dei Poeti, e degli Storici, e comporli con sintesi ed ordine in un’unica opera».144 Subito dopo, Vincenzo enumerava due motivi per accingersi a questo lavoro gigantesco. Il primo, rimettere ordine nelle falsità che si sono accumulate nelle riscritture e nei commenti dei grandi autori del passato; il secondo, inserire all’interno del grande universo del sapere la storia della chiesa, dalla sua infanzia apostolica alle prime persecuzioni, fino alla pace costantiniana, alle grandi guerre ereticali, alla sapienza dei Dottori (Atanasio, Ilario, Basilio, Ambrogio, Agostino): «scegliendo queste e altre cose similmente utili e dilettevoli, le ho raccolte diligentemente e le ho ricomposte nel loro giusto ordine cronologico».145 Nella descrizione di questi due obiettivi, si percepisce lo sforzo intellettuale tipico delle grandi menti di questo secolo nel mediare tra la grande tradizione pagana e il patrimonio dottrinale cristiano, facendoli coesistere senza contraddizioni. Non è un caso, dunque, che in questa prospettiva l’autore possa citare tra le sue fonti indiscriminatamente voci rappresentative di entrambi i filoni culturali: Aristotele per gli animali, Avicenna per la medicina, Plinio per la storia naturale, dei Giudei Giuseppe, e dei nostri Agostino a proposito della città di Dio, del Salterio e eruditione filiorum regalium, opera di pedagogia fondata sui Libri Sapienziali della Bibbia, mentre è degli ultimi anni della sua vita il Tractatus Consolatorius (1260), composto in occasione della prematura scomparsa del principe erede al trono di Francia. Per un inquadramento critico, si rimanda a Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science. During the First Thirteen Centuries of our Era, II, pp. 457-476; Astrik L. Gabriel, The Educational Ideas of Vincent of Beauvais, Paris, University of Notre Dame Press, 1956; Serge Lusignan, Monique Paulmier-Foucart, ‘Vincent de Beauvais et l’histoire du Speculum maius’, Journal des Savants, 1, 1990, pp. 97-124; Monique Paulmier-Foucart, Vincent de Beauvais et le Grand Miroir du monde, Turnhout, Brepols, 2004. 143 Sullo Speculum Morale come apocrifo, cfr. Tomas Zahora, ‘Thomist Scholarship and Plagiarism in the Early Enlightenment: Jacques Echard Reads the Speculum morale, Attributed to Vincent of Beauvais’, Journal of the History of Ideas, 73, 4, 2012, pp. 515-536. 144 Vincenzo di Beauvais, Speculum quadruplex sive Speculum Maius: Naturale/ Doctrinale/ Morale/ Historiale, 4 voll., Graz, Akademische Druck-Universität Verlangsanstalt, 1964, Prologus, I, col. 1 [questa e tutte le altre traduzioni italiane da quest’opera sono di chi scrive]. 145 Ibid., coll. 1-2. 85 del Vangelo di Giovanni, oltre agli scritti morali del beato Gregorio. […] Perciò, di mio pugno ho aggiunto poche cose, anzi quasi nessuna.146 In questo modo, compendiando e ordinando, Vincenzo disegnò una grandiosa immagine del proprio mondo culturale, e non casualmente le diede il titolo con cui oggi è conosciuta: perché i lettori più facilmente possano distinguere le singole parti di quest’opera, la volli dividere in libri e capitoli e scelsi di chiamarla Speculum Maius, perché essa è uno specchio di ogni cosa che è degna di speculazione, cioè di ammirazione e di imitazione. Tutte le cose che sono state create nel mondo visibile o invisibile dall’inizio fino alla fine dei tempi, tutte le parole che sono state dette, tutto ciò che è destinato a essere in futuro e che ho potuto raccogliere da una serie quasi innumerevole di libri, qui è contenuto, sinteticamente, nel corpo di un solo libro.147 Questo vasto corpo di molteplici saperi è così suddiviso: nei 32 libri dello Speculum naturale Vincenzo espose nozioni di scienze naturali, nei 17 libri dello Speculum doctrinale, sostenendo la necessità che l’uomo si elevi mediante la conoscenza, diede una raccolta di notizie su arti e dottrine, mentre nello Speculum historiale, in 31 libri, compendiò la storia dell’umanità da Adamo al proprio tempo. Le razze mostruose dell’Oriente appartenevano tradizionalmene al dominio delle scienze naturali ed è quindi normale trovarle nella prima parte dell’enciclopedia, che seguendo un uso ormai consolidato, e che abbiamo visto adottato anche da Tommaso di Cantimpré, dispose la materia secondo l’ordine dei sei giorni della creazione.148 Alle specie esotiche sono, infatti, dedicati alcuni capitoli (124-131) del 146 Ibid., IV, col. 4. 147 Ibid., III, col. 3. 148 Se Tommaso di Cantimpré andava a ritroso dall’uomo, ultima creatura, per arrivare ai cieli, lo Speculum naturale di Vincenzo segue l’ordine secondo cui la creazione si svolge nella parole del libro della Genesi. Al Creatore e alle opere del primo giorno sono dedicati i libri I-II (Dio, gli angeli, la luce e le tenebre, la caduta di Lucifero); alle opere del secondo giorno i libri III-IV (il cielo, il fuoco, l’aria); delle opere del terzo giorno trattano i libri V-XIV (le acque, le proprietà della terra, i minerali, i metalli, le pietre preziose, le erbe, gli alberi, i frutti, gli estratti curativi e quelli velenosi); il libro XV tratta delle opere del quarto giorno (gli oggetti celesti e il clima); i libri XVI-XVII delle opere del quinto giorno (gli uccelli del cielo e le creature del mare); nei libri XVIII-XXII si parla delle opere del sesto giorno (le specie animali, il loro nutrimento, il moto e la generazione); infine, tutta l’ultima parte è dedicata all’uomo: l’anima e le sue funzioni (libri XXIII-XVII), l’anatomia (libro XXVIII), il destino (libro XXIX), la mente umana e lo stato edenico (libro XXX), la caduta dell’uomo nella colpa e la varietà degli uomini (libro XXXI), la distribuzione dell’uomo nel mondo e le età del genere umano (libro XXXII). A proposito dell’opera dei sei giorni come modello compositivo delle enciclopedie naturali, 86 XXXI libro dello Speculum Naturale. Ma Vincenzo non trasse dal confratello di Cantimpré soltanto la disposizione della materia, attinse anche copiosamente ai contenuti del predecessore; il suo catalogo di razze orientali prende, infatti, avvio da una trascrizione quasi letterale del paragrafo che Tommaso aveva scritto sulle mitiche principesse guerriere, le Amazzoni, e nell’intento di mettere ordine nel caos delle razze esotiche, l’operazione compilativa di Vincenzo prosegue poi raccogliendo insieme una lunga serie di popolazioni femminili: Dal libro De natura rerum. […] Nei luoghi suddetti ci sono anche donne molto belle che abitano in un fiume caldo, hanno orride vesti e usano armi d’argento perché non conoscono il ferro. Ve ne sono anche altre nei boschi dell’India che hanno barbe lunghe sino alle mammelle, si vestono con pelli di animali e non vivono se non di caccia; al posto dei cani hanno tigri e leopardi e altre specie di belve feroci. Vi sono colà donne bellissime che abitano un fiume, bianche come la neve, ma la loro bellezza ha questo difetto: esse non hanno denti umani ma di cane. Nelle estreme regioni della Burgundia, intorno alle Alpi, ci sono alcune donne che hanno la gola pendente sino al ventre, grande come un’anfora o come una zucca. Isidoro. Dicono che in India c’è un popolo di donne che concepiscono a cinque anni e non superano l’ottavo anno di vita. Solino. Apollonio dice che in Scizia nascono donne che si chiamano Bithiae e che hanno due pupille per ogni occhio e se, fortemente irate, guardano qualcuno, lo uccidono con lo sguardo, e queste vivono anche in Sardegna.149 Accostando in questo modo le sue fonti (Tommaso, Isidoro e Solino), Vincenzo realizza un collage di popolazioni mostruose al femminile, che ci offre sin da subito un esempio del suo operare. Dopo un capitolo (CXXV) dedicato ai colossi, l’elenco va avanti entrando nel vivo delle genti mostruose, con un interessante preambolo che riprende un concetto già espresso da Agostino: «come nei singoli popoli si verificano delle nascite mostruose, così nel complesso del genere umano esistono intere razze cfr. Badouin van den Abeele, ‘La tradizione enciclopedica e la descrizione del mondo dal XII al XV secolo’, p. 551. 149 Vincenzo di Beauvais, Speculum quadruplex sive Speculum Maius, Speculum naturale, CXXIV, col. 2391. 87 mostruose».150 E attraverso un procedimento sinfonico, esposto il tema, seguono le variazioni: sono detti Cinocefali quelli che hanno teste canine e che per il loro latrato si direbbero più bestie che uomini: questi nascono in India. […] Dicono che i Panozi vivono nella Scizia e hanno orecchie tanto grandi che possono rivestire tutto il corpo. […] Si dice che in Etiopia viva un popolo, i cui membri hanno una sola gamba e straordinaria velocità, e che i Greci chiamano Sciàpodi perché durante le ore più calde, giacendo supini per terra, si fanno ombra con la grandezza del loro piede. […] In Scizia ci sono gli Ippòpodi che hanno forma umana e zampe equine.151 Ma più che la mostruosità delle sembianze, Vincenzo stigmatizza quella dei costumi, coerente con lo scopo edificante che è uno dei motori dell’opera. Scorrono così, sotto i nostri occhi, crimini come l’unione incestuosa dei Persiani, la promiscuità sessuale dei Garamanti, il cannibalismo degli Antropofagi, che si nutrono delle carni dei loro anziani. Per controbilanciare un simile degrado etico, Vincenzo chiude l’ampio excursus sull’Oriente dedicando un intero capitolo agli eremiti dell’India, Gimnosofisti e Bramani, come esempio non soltanto di rettitudine, ma di vita cristiana in territorio ancora non evangelizzato: ci sono anche i Bramani che abitano oltre il fiume Gange; una mirabile religione, l’innocenza, i costumi e tutta la vita li rendono straordinariamente degni di onore. Un loro discepolo, Didimo, interrogato da Alessandro Magno, gli scrisse una lettera magnifica sulla vita e i costumi santi di costoro, sul loro culto verso un unico dio e sull’eternità del Padre e del Figlio. Dice, infatti, egli tra le altre cose che Dio è verbo e che quel verbo creò il mondo e che per mezzo di lui vivono tutte le cose. E anche noi onoriamo questo verbo, anche noi lo adoriamo. Dio è spirito e mente e perciò non ama altro che la mente pura.152 Ma quelle orientali non sono le uniche mirabili difformità di cui Vincenzo ritenne importante dare notizia; nel suo progetto enciclopedico, infatti, non manca spazio, seppure in misura minore, nemmeno per l’altra tradizione mostruosa, quella che ho 150 Ibid., CXXVI, col. 2392. 151 Ibid., CXXVI-CXXVII, coll. 2392-2393. 152 Ibid., CXXXI, col. 2396. 88 definito sopra ‘tradizione dei prodigi individuali’ e che leggeva nelle creature malformate dei messaggi inviati da Dio all’uomo. Infatti, dopo aver trascritto il passo delle Etimologie di Isidoro di Siviglia in cui si analizzavano le parole ostenta, prodigia e monstra, Vincenzo riporta una oscura tradizione riguardante un figlio mostruoso di Alessandro Magno: Alessandro ebbe da sua moglie un figlio mostruoso, che aveva le membra superiori del corpo umane, ma morte e le inferiori di diverse bestie, ma vive. Questo mostro significava l’imminente fine del re: le parti peggiori erano infatti sopravvissute a quelle migliori.153 In questa testimonianza e nel commento successivo, Vincenzo sembra aderire completamente all’idea del prodigio come significazione divina, ma non tutti i portenti presenti nel mondo sottintendono future calamità per l’uomo. Spesso, al contrario, essi servono soltanto a ricordare il continuo intervenire di Dio nell’universo: se […] Dio avesse costituito dall’inizio dei tempi e una volta per tutte la creazione, se le concedesse di permanere immutabile nel suo ordine, si potrebbe pensare che la natura si amministri da sola e l’opera di Dio cadrebbe in oblio presso gli uomini. Per questo motivo la natura viene sovvertita rispetto al suo ordine: per ricordare che Dio è l’artefice delle nature e perché sia manifesto che egli non una volta soltanto, ma ogni giorno compie la sua opera.154 Vincenzo giustificava dunque l’esistenza del mostro come modalità che Dio sceglie per ricordarci il suo intervento costante nel susseguirsi degli eventi. La nascita mostruosa è una delle tante parole del linguaggio attraverso cui l’onnipotenza celeste ‘parla’ agli uomini. Senza tralasciare, quindi, nessun aspetto del mostruoso umano, sia quello esotico sia quello domestico, Vincenzo riscriveva entrambe le tradizioni, mescolandole e facendole coesistere all’interno del suo progetto onnicomprensivo. In questo lavoro di rielaborazione, mediazione, scelta e ordinamento, vediamo in atto il 153 Ibid., CXIX, col. 2388. 154 Ibid. CXVIII, coll. 2387-2388. 89 suo prodigioso talento compilativo, che innesta il patrimonio pagano nel pensiero cristiano, lo seleziona e lo moralizza, consegnandoci non soltanto una delle ultime e più compiute enciclopedie in lingua latina, ma anche il più rappresentativo specchio del mondo medievale. A partire dalla metà del XIII secolo, le enciclopedie latine furono affiancate da alcune opere in volgare francese, seguite ben presto da traduzioni dei modelli latini in varie lingue. Una delle più importanti, per dimensioni e originalità, fu il Tresor del fiorentino Brunetto Latini. 155 Unanimemente riconosciuto come uno dei personaggi più influenti nella vita politica della sua città nella seconda metà del Duecento, è ricordato da Dante Alighieri in uno dei più celebri canti dell’Inferno, il XV: qui il poeta, che lo descrive come il maestro ideale, incontra Brunetto fra i ‘violenti contro natura’. Dopo un lungo, toccante dialogo, al momento del commiato, l’antico maestro gli raccomanda proprio «il mio Tesoro, / nel qual io vivo ancora».156 Scritto tra il 1260 e il 1266, il Tresor è dedicato a Carlo I d’Angiò ed è un’opera che si distingue dall’enciclopedia di Vincenzo di Beauvais non soltanto per la lingua utilizzata, ma per l’intero progetto intellettuale, caratterizzato da una finalità pratica e laica, destinato agli amministratori del governi Comunali italiani.157 Tale intento appare manifesto fin dal prologo del libro, in cui l’autore presenta la partizione 155 Brunetto Latini (1220-1293), notaio fiorentino di parte guelfa, fu uno dei personaggi politici più attivi del suo tempo. La sua presenza nella cornice della vita pubblica della sua città è attestata già a partire dal 1260, anno in cui egli esercitò la carica di sindaco presso il comune di Montevarchi. Esiliato dopo la vittoria ghibellina di Montaperti nel 1260, visse in Francia per sei anni, fino a quando la vittoria di Carlo d’Angiò a Benevento (1266) aprì la strada al ritorno dei guelfi a Firenze e al loro definitivo dominio sulla città. A questo periodo di forzata permanenza oltralpe si può ascrivere l’elaborazione e il completamento del Tresor. La sua carriera pubblica è attestata da documenti sino al 1292 e toccò le più alte cariche del comune fiorentino, culminando col priorato nel 1287. Al contrario di quanto è stato detto per gli altri enciclopedisti, ancora in parte trascurati dalla critica, la bibliografia su Brunetto Latini è invece ponderosa. Si segnalano qui, pertanto, soltanto gli studi più significativi: Bianca Ceva, Brunetto Latini. L’uomo e l’opera, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965; Roberta Cella, ‘Gli atti rogati da Brunetto Latini in Francia (tra politica e mercatura, con qualche implicazione letteraria)’, Nuova Rivista di Letteratura Italiana, 6, 2003, pp. 367-408; Giorgio Inglese, ‘Latini, Brunetto’, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 64, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2005, pp. 4-12 e Pietro G. Beltrami, Introduzione, in Brunetto Latini, Tresor, testo a fronte, a cura di Piero G. Beltrami et al., Torino, Einaudi, 2007, pp. VII-XXVI. 156 Dante Alighieri, La Divina commedia. Le Rime, I versi della Vita Nuova e le canzoni del Convivio, ‘Inferno’, XV, vv. 119-120, p. 98: «sieti raccomandato il mio Tesoro / nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».157 Sulla composizione dell’opera, cfr. Piero G. Beltrami, ‘Appunti su vicende del Tresor: composizione, letture, riscritture’, in Michelangelo Picone (a cura di), L’enciclopedismo medievale, pp. 311-328. 90 delle materie trattate con una metafora tutta terrena, che nulla più condivide con il quadro teologico dei suoi predecessori: Questo libro è intitolato Tesoro. Perché, così come il signore che vuole accumulare in poco spazio cose di grandissimo valore, non soltanto per il proprio piacere, ma per accrescere la propria potenza e rendere sicuro il proprio stato in guerra e in pace, raccoglie le cose più care e i gioielli più preziosi che può secondo la sua buona intenzione, del tutto similmente il corpo di questo libro è composto di sapienza, essendo tratto da tutte le parti della filosofia in un breve sommario. E la prima parte di questo tesoro è paragonabile al denaro contante, da spendere sempre in cose necessarie; vale a dire che tratta sommariamente del principio del mondo, dell’antichità delle vecchie storie, della composizione del mondo e della natura di tutte le cose […]. La seconda parte, che tratta dei vizi e delle virtù è di pietre preziose, che danno all’uomo piacere e virtù, cioè tratta di quali cose si devono e quali non si devono fare, e mostra per quale ragione […]. La terza parte del tesoro è d’oro puro, vale a dire che insegna a parlare secondo la dottrina della retorica, e come il signore deve governare le genti che gli sono sottomesse, in particolare secondo gli usi degli italiani […]. Perché come l’oro supera tutte le specie di metalli, così la scienza del ben parlare e di governare gli uomini è la più nobile di ogni arte del mondo.158 Diviso dunque in tre libri, di cui il primo seguiva il percorso enciclopedico tradizionale attraverso la teologia, la storia e le scienze naturali, il secondo era consacrato all’etica, e il terzo alla retorica e alla politica, il Tresor si presentava, oltre che come enciclopedia, come manuale del buon governo, dedicato ad un principe e destinato ad una classe colta di funzionari e amministratori statali. In questo contesto laico e pratico, pochissimo spazio è dato al mostruoso orientale; si comincia qui ad intravvedere l’inizio del tramonto di questa tradizione, di cui Brunetto fa sopravvivere limitati frammenti, che potremmo definire di abbellimento, all’interno di trattazioni storiche, geografiche o zoologiche. 158 Brunetto Latini, Tresor, testo a fronte, a cura di Piero G. Beltrami et al., Torino, Einaudi, 2007, I, 14, p. 5. 91 Un breve capitolo è dedicato alle Amazzoni, ma solo nell’ambito di un racconto storico/mitologico sulle età della terra. Mai esse vengono presentate come popolo vivo nel presente: Il regno delle donne ebbe inizio quando il re di Scizia e tutti gli uomini della sua terra mossero contro gli egiziani e furono tutti uccisi; e quando le donne lo seppero, elessero regina del paese una dama della loro gente e stabilirono che mai nessun uomo potesse abitare nella loro terra, e che le figlie fossero allevate e i maschi no, e che ciascuna si tagliasse la mammella sinistra per meglio portare scudo ed armi. E per questo che sono chiamate amazzoni, cioè ‘senza una mammella’; e furono queste che vennero in soccorso di Troia. E fece ciò la loro regina Pentesilea, di cui si dice che amò Ettore di vero amore. Ma di questo non se ne ha la certezza, se non che morì con gran parte delle giovani donne.159 Pochi altri cenni ai popoli mostruosi d’Oriente Brunetto li dissemina in due ampi capitoli dedicati rispettivamente alla geografia dell’Asia e dell’Africa. Particolarmente interessante è che, in tutti i popoli citati, la mostruosità (o, al limite, l’anormalità) non pertiene all’ambito fisico ma a quello dei costumi: Ci sono gli Antropofagi, una popolazione molto rozza e feroce. […] E sappiate che in India e nella terra che sta oltre ci sono molte varietà di uomini; perché ce ne sono certi che non vivono che di pesce, e certi che uccidono i loro padri prima che questi periscano per vecchiaia o malattia, e se li mangiano ed è per loro un atto di grande pietà. […] Là si trovano le popolazioni dei nasamoni e dei trogloditi e le popolazioni degli amanti, che costruiscono case di sale.160 Poco altro si trova di meraviglioso nella trattazione del fiorentino: nella parte zoologica dell’enciclopedia trovano spazio qualche animale mitico (la fenice, la manticora, l’unicorno rispettivamente nei capitoli 162, 192 e 198), un cenno al leggendario Prete Gianni (che donò un elefante a Federico II, capitolo 187), e infine, diciotto secoli dopo la versione erodotea, l’ennesima riscrittura della favola delle formiche che scavano l’oro.161 159 Ibid., I, 30, p. 59. 160 Ibid., I, 122 e 124, pp. 199-201, 217. 161 Ibid., I, 188, pp. 315-317. 92 Ben poco dunque dell’Oriente meraviglioso supera la selezione operata da Brunetto per la sua compilazione. A questa scelta avrà senz’altro contribuito l’impostazione laica e pratica imposta dall’autore al suo manuale, ma è certo rilevante che, per la prima volta, le specie esotiche non appaiano come una parte irrinunciabile del processo di formazione culturale della persona. Da questo punto di vista, Brunetto ci appare come il rappresentante di un vero e proprio punto di svolta, un momento in cui, come vedremo tra poco, la forza delle auctoritates non è più sufficiente a dare credibilità ai racconti sulle meraviglie orientali. 1.7 I asked and searched at lenght, but I found nothing: a caccia di mostri orientali nella letteratura di viaggio dei secoli XIII e XIV I grandi enciclopedisti medievali avevano reso mostri e meraviglie d’oriente una voce obbligatoria nelle loro mastodontiche summae dello scibile umano, permettendo così alla lunga tradizione che li aveva tramandati di sopravvivere di riscrittura in riscrittura. Salvo alcune eccezioni, infatti, questi infaticabili eruditi non si erano mai preoccupati di verificare né l’esistenza né la veridicità delle creature straordinarie di cui avevano collezionato notizia, accontentandosi di saperle relegate in una rassicurante distanza ai margini del mondo. E se per alcuni di questi dotti uomini, come ad esempio Gerald of Wales oppure Ranulph of Hidgen, questi margini del mondo strabordanti di mostri e altre stranezze varie andavano tracciati a occidente dell’occidente, per la stragrande maggioranza dei loro contemporanei, e successori, era verso est che bisognava volgere lo sguardo per poterli scorgere all’orizzonte.162 162 Per Gerald of Wales, le meraviglie (e dunque anche i mostri) più stupefacenti si trovavano a ovest dell’occidente conosciuto, e nello specifico, in Irlanda: «Just as the countries of the East are remarkable and distinguished for certain prodigies peculiar and native to themselves, so the boundaries of the West also are made remarkable by their own wonders of nature. For sometimes tired, as it were, of the true and the serious, she draws aside and goes away, and in these remote parts indulges herself in these secret and distant freaks» (The History and Topography of Ireland, translated with an introduction by John J. O’Meara, London, Penguin, 1982, p. 31; Agli estremi confini d’Occidente. Descrizione dell’Irlanda (Topographia Hibernica), edizione italiana a cura di Melita Cataldi, Torino, UTET, 2002). Della stessa identica opinione fu, un secolo più tardi, anche il monaco benedettino Ranulph Higden: «At the farthest reaches of the world often occur new marvels and wonders, as though Nature plays with greater freedom secretly at the edges of the world [in Ireland] than she does openly and nearer us in the middle of it» (Polychronicon Ranulphi Higden monachi cestrensis, together with the English Traslation of John Trevisa and an Unknown Writer of the Fifteenth Century, 9 vols., edited by Churchill Babington and Joseph Rawson Lumby, London, Rolls Series 41, 1865-1886, I, p. 361). Un quadro sulle modalità di viaggio nel Medioevo è offerto da Hans C. Peyer, Von der Gastfreundschaft zum Gasthaus. Studien zur Gastlichkeit im Mittelalter, Hannover, Hahnsche Buchhandlung, 1987 (Viaggiare nel Medioevo. Dall’ospitalità alla locanda, traduzione italiana di Nicola Antonacci, Roma- Bari, Laterza, 1990). 93 Un evento storico che segnò in maniera profonda la prima metà del XIII secolo avrebbe offerto ad alcuni impavidi pellegrini la possibilità di toccare con mano l’estrema lontananza che li separava da quei confini: l’invasione mongola. Fra il 1230 e il 1250 l’Europa fu letteralmente scossa dal terremoto dei mongoli, un popolo, come sottolinea Attilio Brilli, «dalla ferocia inaudita, venuto da quello stesso Oriente da cui giungevano sin dall’antichità miti seducenti, incredibili leggende e pregiatissime spezie, ma di cui ben poco realmente si sapeva».163 Materializzatisi dal nulla come vapore, i ‘cavalieri dell’Apocalisse’ erano dilagati nelle pianure sarmatiche e sotto la guida del loro magnetico condottiero, Gengis Khan, erano giunti nel 1241 a minacciare Vienna. Alle genti travolte dalla loro incontrastabile avanzata sembrò senza dubbio di vedere Gog e Magog e gli altri eserciti dell’Anticristo di cui il Prete Gianni, alcuni decenni prima, aveva preannunciato la venuta e la conseguente distruzione della cristianità.164 Poi, di colpo, con la stessa celerità con cui si erano manifestate, le orde barbariche erano svanite, retrocedendo lentamente verso le lande desolate dalle quali erano provenute. La ritirata precipitosa era stata causata dalla morte per avvelenamento del Gran Khan Ögödei, allora in carica sulla federazione tribale, e dalle lotte di successione che ne erano irrimediabilmente derivate. I dolorosi segni del loro passaggio erano, tuttavia, ancora evidenti e se da una parte restava pressante il timore di una ripresa delle selvagge scorrerie, dall’altra era nata in Occidente l’idea di sapere di più su quei bellicosi guerrieri e di coinvolgerli, dove possibile, in una comune azione contro la potenza islamica. Innocenzo IV, nel concilio di Lione del 1244, si fece promotore di questa strategia dell’alleanza. E in corrispondenza di questo evento, si situa la prima spedizione diplomatica ufficiale nelle misteriose contrade d’oriente: quella di Giovanni di Pian del Carpine.165 163 Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 10.Dello stesso autore, si veda anche il più ampio studio Il viaggio in Oriente, Bologna, Il Mulino, 2009. 164 A questo proposito, cfr. Arturo Graf, ‘La leggenda di Gog e Magog’, in Id., Roma nelle leggende e nelle immaginazioni del Medio Evo, 2 voll., Torino, Loescher, 1882-1883, II, pp. 754-800 e Jurgis Baltrušaitis, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, introduzione di Massimo Oldoni, traduzione italiana di Fulvio Zuliani e Franco Bovoli, Milano, Adelphi, 1977, pp. 189-192 (Le Moyen Âge fantastique. Antiquités et exotismes dans l’art Gothique, Paris, Flammarion, 1955). 165 Giovanni da Pian del Carpine (1182 circa-1252) fu uno dei primissimi seguaci di S. Francesco d’Assisi. Per conto di quest’ultimo risiedette, infatti, a lungo in Germania, paese del quale divenne provinciale nel 1228. Nel 1230, fondò l’ordine dei Frati Minori in Lotaringia e da qui organizzò diverse missioni di confratelli in Boemia, Ungheria, Danimarca e Norvegia. Nel 1243 passò alla corte di 94 Giovanni, uno dei primi discepoli di san Francesco d’Assisi, partì da Lione per la Tartaria nel 1245. Tornato ad Avignone nel 1247, scrisse la sua Historia mongolarum, che ha come scopo la descrizione di queste genti e della loro storia politica e militare. L’opera divenne subito celebre, tanto che, appena nel 1256, Vincenzo di Beauvais la accoglieva nel suo Speculum historiale. L’opera comprende un prologo e nove capitoli suddivisibili in quattro grandi blocchi tematici: il primo (capitoli I-IV) ha come obiettivo la descrizione del territorio Mongolo, dei costumi locali, dei suoi mercati e prodotti; il secondo (capitolo V) racconta la storia recente, con particolare riferimento alle gesta di Gengis Khan; il terzo (capitoli VI-VIII), di argomento squisitamente militare, descrive l’esercito, le armi e le tattiche belliche; infine il quarto (capitolo IX) ripercorre nei dettagli tutte le tappe dell’estenuante viaggio del frate. Nel prologo, Giovanni fa esplicito riferimento all’autorevolezza della propria parola, ben consapevole del proprio ruolo di primo testimone oculare dello sconosciuto Oriente: Dovete credere ad ogni cosa che noi scriviamo a vostro giovamento con una certezza tanto più sicura, in quanto o noi stessi abbiamo visto con i nostri occhi tutte quelle cose – dal momento che abbiamo viaggiato attraverso quei territori in compagnia di quegli uomini e siamo stati fra loro per un anno e quattro mesi e più –, o le abbiamo udite dai cristiani che sono loro prigionieri e che, come crediamo, sono degni di fede.166 Il tono generale del libro mantiene questa promessa: uno degli aspetti di maggiore interesse dello scritto di Giovanni è proprio il suo sguardo meticoloso, amante dei dettagli nelle descrizioni degli accampamenti, del culto, delle abitudini e dei costumi del popolo mongolo. Il francescano osserva e annota le norme igieniche, le consuetudini che regolano la vita quotidiana, i rapporti fra uomini e donne, fra padri e Innocenzo IV, su iniziativa del quale fu inviato come legato della Santa Sede al gran khan dei Tartari. Per un inquadramento biografico, si veda Raimondo Michetti, ‘Giovanni da Pian del Carpine’, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 56, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2001, pp. 344-346 e Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, pp. 28-35. Un altro esauriente profilo biografico si trova in Enrico Menestò, Claudio Leonardi, Maria Cristiana Lungarotti, ‘La figura e l’opera di Giovanni di Pian del Carpine’, in Giovanni da Pian del Carpine, Storia dei Mongoli, edizione critica del testo latino a cura di Enrico Menestò, traduzione italiana di Maria C. Lungarotti, note di Paolo Daffinà, introduzione di Luciano Petech, studi storico-filologici di Claudio Leonardi, Maria C. Lungarotti e Enrico Menestò, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1989, pp. 47-92.166 Giovanni da Pian del Carpine, Storia dei Mongoli, p. 338. 95 figli, il sistema gerarchico, il culto dei morti e i riti di sepoltura, le abitudini alimentari e le regole in battaglia, e non manca di descrivere le assemblee e le cerimonie politiche. In questo rigoroso sguardo documentario sembrerebbe non esserci spazio per l’Oriente immaginario che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti, e che dovrebbe svaporare nell’incontro con un Est tanto più reale e tanto più duro. E invece quella creazione più che millenaria esercita ancora una forza potente, che emerge quando Giovanni racconta per sommi capi la storia di Gengis Khan (capitolo V). È come se, anche di fronte all’evidenza, l’uomo d’Occidente non riuscisse a sfuggire ad un tòpos consolidato e resistente, di fronte al quale la realtà deve cedere spazio al fantastico, e se non si può comprovarlo con i propri occhi, resta sempre la possibilità di riferirlo come racconto di seconda mano: Si diressero ancora più a nord e giunsero presso i Parossiti, che hanno stomachi piccoli e bocche piccolissime, come ci è stato riferito, e non mangiano carne, ma la cuociono e, dopo cotta, si siedono accanto alla pentola e ne aspirano il fumo: soltanto di questo si nutrono.167 Al di là della diversa denominazione, non è difficile riconoscere in questo popolo echi degli Àstomi, così come, poco oltre, riconosciamo i tratti di un’altra specie immaginaria ormai ben nota, i Cinocefali: Arrivarono ad un territorio che si affaccia sull’oceano, dove trovarono dei mostri, come ci è stato detto con certezza, che in tutto avevano aspetto umano, ma i cui piedi terminavano in zoccoli bovini e che avevano la testa di un uomo e il volto di cane. Dicevano due parole come gli uomini, e alla terza latravano come i cani; così, ad intervalli, inframezzavano dei latrati, ma poi tornavano al loro comportamento naturale; così si poteva capire ciò che dicevano.168 Ancora poche righe, e ci imbattiamo in altri ‘mostri’ della tradizione, gli incredibili corridori con una sola gamba, gli Sciàpodi: Mentre i suoi uomini attraversavano una regione deserta, trovarono anche lì dei mostri, come ci è stato assicurato, che avevano aspetto umano, ma avevano un solo 167 Ibid., V, p. 361 [il corsivo è di chi scrive]. 168 Ibid. [il corsivo è di chi scrive]. 96 braccio con la mano in mezzo al torace ed un solo piede; in due scagliavano frecce con un solo arco e correvano così velocemente, che i cavalli non potevano raggiungerli.169 Ma non solo i mostri della tradizione entrano nel racconto di Giovanni: nel discutere delle conquiste e delle imprese belliche della gente mongola, il francescano ci fa incontrare persino il Prete Gianni; in una delle sue numerose campagne, il Gran Khan guidò poi l’esercito nella battaglia contro i Cristiani che abitano l’India maggiore. Saputo ciò, il re di quella terra, comunemente chiamato Prete Gianni, dopo aver radunato l’esercito, andò contro di loro. Fabbricati dei fantocci di rame con del fuoco all’interno ad immagine di uomini, li pose in sella ai cavalli sistemando alle loro spalle uomini forniti di mantici. Si avviarono a combattere contro i tartari con molti di questi fantocci e cavalli in tale assetto. Quando giunsero sul luogo di battaglia, misero i cavalli in fila uno vicino all’altro. Gli uomini che erano dietro gettarono non so che sul fuoco contenuto nei fantocci soffiandovi fortemente con i mantici: per cui avvenne che gli uomini e i cavalli furono bruciati dal fuoco greco e il cielo fu offuscato dal fumo. Allora lanciarono frecce sui Tartari, dalle quali molti uomini rimasero feriti e uccisi e così caoticamente li cacciarono dal loro territorio; né mai si è saputo che vi siano più tornati.170 Il racconto del passato mitico di Gengis Khan fornisce dunque a Giovanni la possibilità di non rinunciare ad un Oriente mirabile cui l’immaginario occidentale si era ormai abituato. Con questo stratagemma letterario, il frate di Pian del Carpine riuscì a mescolare sia una cornice leggendaria, in cui ricomporre un breve campionario di mostri e meraviglie che erano tradizionalmente legati all’Asia, sia una descrizione di terre, città, usi e costumi di quei lontani popoli, che costituisce il primo importante documento sulla reale natura di un mondo fino ad allora praticamente sconosciuto. Non molto tempo dopo la Historia mongolarum di Giovanni di Pian del Carpine si situa il Milione di Marco Polo, ampia relazione del viaggio e della permanenza dell’esploratore veneziano alla corte del Gran Khan Kublai.171 169 Ibid., pp. 361-362 [il corsivo è di chi scrive]. 170 Ibid., p. 354. 171 Marco Polo (1254-1324) fu un mercante e viaggiatore veneziano. Aveva quindici anni quando, nel 1269, il padre Niccolò e lo zio Matteo tornarono da un lungo viaggio in Oriente con un’ambasceria 97 Il testo è diviso in capitoli, introdotti da rubriche che ne sintetizzano i contenuti, in cui sono descritti sistematicamente diversi paesi d’Oriente e tali descrizioni sono inframmezzate talvolta dal racconto di guerre e battaglie. La corte del Gran Khan è descritta nell’ampia sezione centrale del libro, in cui vengono esposte le vicende storiche e militari del regno. Ed è proprio in questa porzione del libro che fa la sua comparsa una delle pochissime tracce dell’Oriente mirabile al quale la tradizione ci ha ormai assuefatto: il Prete Gianni, rex et sacerdos. Ma il trattamento a cui sottopone l’antico mito ebbe, come vedremo fra poco, esiti sorprendenti. È al capitolo LII che Marco nomina per la prima volta il Prete Gianni, come sovrano avido di rendite, e questo per spiegare come mai i Tartari sentissero il bisogno di unirsi in nazione e darsi un capo. Essi, infatti, non aveano signore, ma faceano rendita a un signore, che vale a dire in francesco Preste Giovanni; e di sua grandezza favellava tutto il mondo. Gli Tarteri gli davano d’ogni dieci bestie l’una. Or venne che gli Tarteri moltiplicarono molto. Quando Preste Giovanni vidde ch’egliono moltripicavano così, pensò ch’egliono lo puotessero nuocere, e pensò di partirgli per più terre. Adunque mandò de’ suoi baroni per far ciò; e quando gli Tarteri viddono quello che ’l signore voleva fare, egli ne furono molto dolenti. Allora si partirono tutti insieme e andarono per luoghi diserti inviata dal Gran Khan al papa Clemente IV. Due anni dopo, i due mercanti ambasciatori ripartirono da Venezia portando con sé il giovane Marco e giunsero nuovamente alla corte di Kublai Khan nel 1275. Nel lungo periodo di permanenza in Asia, Marco svolse attività diplomatiche e amministrative per conto del sovrano dei Tartari, fino a quando, nel 1292, i Polo salparono dal porto di Zaitun per cominciare il lungo viaggio di ritorno, conclusosi a Venezia nel 1295. Tre anni dopo, durante la battaglia navale di Curzola, nell’ambito della guerra tra la Serenissima e la repubblica di Genova, Marco fu fatto prigioniero. Fu proprio durante questa reclusione nelle carceri della potenza marinara avversaria che Marco fece la conoscenza di Rustichello da Pisa, al quale dettò il resoconto del suo viaggio, il futuro Milione. Liberato nel 1299 al termine delle ostilità fra le due repubbliche, tornò a Venezia, e dopo questa data di lui si hanno sempre meno notizie. L’ultima informazione che si ha di lui è che nell’agosto del 1307 inviò una copia del suo libro a Carlo di Valois. La bibliografia su Marco Polo, e di conseguenza sul Milione, è sterminata; si segnalano qui, dunque, solo alcuni tra gli studi più significativi: Alvise Zorzi (a cura di), Marco Polo. Venezia e l’Oriente, Milano, Electa, 1981; Id., Vita di Marco Polo, Milano, Bompiani, 2000; Maurizio De Benedictis, Antonio Lanza, L’avventura di Marco Polo, Roma, Editori Riuniti, 1982; Marcello Ciccuto, ‘L’India del Milione: sistemazione enciclopedica di una scoperta’ in Id., L’immagine del testo. Episodi di cultura figurativa nella letteratura italiana, Roma, Bonacci, 1990, pp. 63-102; Michael Burgan, Marco Polo. Marco Polo and the Silk Road to China, Mankato, Compass Point Books, 2002; Gino De Vecchis (a cura di), Verso l’altro e l’altrove. La geografia di Marco Polo, oggi, Roma, Carocci, 2005; Laurence Bergreen, Marco Polo. From Venice to Xanadu, London, Quercus, 2007; Vito Bianchi, Marco Polo. Storia del mercante che capì la Cina, Roma-Bari, Laterza, 2009 e Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, pp. 74-86. 98 verso tramontana, tanto che ’l Presto Giovanni non poteva loro nuocere; e rubellaronsi da lui e no’ gli facevano nulla rendita. E così dimorarono un gran tempo.172 Più avanti, Marco racconta come si venne alla grande battaglia che doveva decretare la sconfitta del Prete Gianni ad opera di Gengys Khan. Quando, in una data che il veneziano colloca nel 1200, egli oppose un secco rifiuto alla proposte del Khan di sposare una delle sue figlie, questi organizzò una spedizione contro di lui. Si giunse così ad uno scontro sanguinoso e disastroso negli esiti per il mitico monarca che, oltre al regno, perse anche la vita: Appresso quel dì, s’apparecchiano l’una parte e l’altra, e combattosi insieme duramente; e fu la maggiore battaglia che mai fosse veduta. E fu il maggiore male dall’una parte e dall’altra; ma Cinghys Cane vinse la battaglia, e fuvvi morto lo Preste Giovanni, e da quel die innanzi perdeo sua terra tutta. E andolla conquistando, e regnò sei anni sopra questa vittoria, pigliando molte provincie.173 Così come era stato per il suo predecessore fra’ Giovanni di Pian del Carpine, Marco si trovava nell’imbarazzo di far coincidere le creature dell’immaginario con la realtà che aveva davanti agli occhi. Pertanto corresse la vulgata, che collocava il mitico sovrano in una regione dell’India, e identificò con certezza la terra del favoloso monarca in corrispondenza della provincia di Tenduc, nella Mongolia interna. Come segnala opportunamente Leonardo Olschki, «Marco Polo aveva recato con sé il ricordo di quel favoloso sovrano, applicandone il titolo là dove un nome o qualche fortuita allusione permettevano di evocarlo».174 172 Marco Polo, Il libro di Marco Polo detto Milione, nella versione trecentesca dell’«ottimo», a cura di Daniele Ponchiroli, prefazione di Sergio Solmi, Torino, Einaudi, 1954, LII, p. 56. 173 Ibid., LVI, p. 59. 174 Leonardo Olschki, L’Asia di Marco Polo, p. 391. Lo studioso prosegue ancora dicendo che l’esploratore veneziano, con quel nome (quello del Prete Gianni), designò un personaggio storico, «identificato […] coll’Unc Khan Togrul o Togril che era stato prima fratello in armi di Gengis Khan agli inizi della sua sanguinosa e gloriosa carriera, e poi, in circostanze chiarite dalla Storia segreta dei Mongoli e da fonti cinesi, suo ultimo nemico e vittima cruenta. Inoltre Marco ne ricorda i discendenti che regnarono più tardi nella provincia di Tenduc, ai margini nord-occidentali dell’impero cinese, come vassalli del Gran Cane, il quale, per ininterrotta tradizione, ha sempre dato una delle sue figlie […] al signore di quella regione, abitata da un popolo prevalentemente cristiano di setta nestoriana. Con ciò Marco ha stabilito la stretta e lunga relazione che univa la dinastia gengiskhanide alla dinastia cristiana dei Mongoli Kerait, riflettendo in forma aneddotica un fatto storico confermato da altri episodi della storia asiatica orientale» (ibid., p. 387). 99 Poco altro sopravvive, nel Milione, delle meraviglie d’Oriente. Al capitolo CXLIII, Marco si sforza di farci intravedere un unicorno nella descrizione di un rinoceronte: Egli hanno leonfanti assai salvatichi, e unicorni che non sono guari minori che leonfanti. E sono di pelo di bufali, e piedi come leonfanti. Nel mezzo della fronte hanno un corno nero e grosso: e dicovi che non fanno male con quel corno, ma co’ la lingua, ché l’hanno ispinosa tutta quanta di spine molte grandi. Lo capo hanno come di cinghiaro, la testa porta tuttavia inchinata verso la terra; ed istà molto volentieri tra li buoi: ella è molto laida bestia a vedere. 175 E, poco oltre, nel capitolo CXLIX, solo un brevissimo cenno, al mitico popolo dal volto di cane: Agama (Angaman) èe [sic] una isola; e non hanno re, e sono idoli. E sono come bestie salvatiche; e tutti quegli di questa isola hanno capo di cane e denti e naso a simiglianza di gran mastino. Egli hanno molte ispezie. E sono mala gente, e mangiano tutti gli uomeni che possono pigliare, da quegli della contrada in fuori.176 Ma non è che qualche sporadico relitto: per il resto il resoconto procede sul piano della documentazione reale, senza per questo risultare meno degno del titolo di Livre des Merveilles col quale conquistò immediatamente il pubblico francese, e nel giro di poco tempo quello dell’intera Europa. Non mancò, tuttavia, chi colse l’occasione di accertarsi ancora personalmente dell’esistenza delle meraviglie orientali e delle strabilianti notizie sul regno del Prete Gianni che circolavano in Occidente. Si tratta di uno degli ultimi viaggiatori europei del Medioevo che raggiunse la Cina e ne visitò le zone limitrofe, spingendosi sino al remoto Tibet dove fu il primo – e per molti secoli il solo – esploratore ad aver messo piede: Odorico da Pordenone.177 175 Marco Polo, Il libro di Marco Polo detto Milione, CXLIII, p. 179. 176 Ibid., CXLIX, p. 184. 177 Odorico da Pordenone (1280-1331) entrò ancora adolescente nel convento di san Francesco, a Udine, e qui fu ordinato sacerdote nel 1290. Si distinse, così come testimoniano alcuni suoi contemporanei, per zelo e austerità, e soprattutto per quel fervore missionario che lo porterà, nel 1318, a lasciare il proprio paese per l’Asia Minore. La sua opera di apostolato in Oriente gli fece meritare il titolo di ‘Apostolo dei Cinesi’. Per un inquadramento biografico del religioso, si veda Andrea Tilatti, ‘Odorico da Pordenone’, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 79, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2013, p. 184 e Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi 100 Frate predicatore, Odorico peregrinò in Asia per dodici anni, a partire dal 1318. Oscure sono le ragioni della spedizione, mentre ben note sono le tappe del lungo tragitto: nella prima parte del viaggio, il frate si muove via terra, da Costantinopoli a Trebisonda, poi sul Mar Nero a Tabriz e quindi al porto di Ormuz; nella seconda parte, invece, Odorico si muove prevalentemente via mare, lungo la costa occidentale dell’India, a nord di Bombay, e poi su quella orientale, a Madras, con una sosta nell’isola di Ceylon. L’itinerario prosegue poi per Giava, Sumatra, il Borneo, toccando i porti dell’Indocina e infine il Catai, dove rimane per tre anni. Di qui prende avvio il viaggio di ritorno, via terra, attraverso il Tibet e le sconfinate pianure steppose kirghise e sarmatiche. Le impressioni, le esperienze, le suggestioni riportate furono raccolte nell’Itinerarium fratris Odorici, dovuto all’amanuense fatica di fra’ Gugliemo di Solagna, che nel 1330, dalla viva voce del missionario, raccolse, a Padova, il racconto dell’immane viaggio. Segno evidente della notevole popolarità del racconto sono le molte copie che circolarono di questa prima relazione e che ci hanno tramandato numerose versioni difformi del testo.178 Tutte si aprono con un evidente intento predicatorio: «incominciano le molte e diverse istorie narrate dal Beato Odorico sovra i riti e le condizioni di questo mondo e sovra il martirio di quattro frati dei Minori».179 Ma a questa dichiarazione segue un resoconto ricco e dettagliato, in cui ampio spazio trovano non solo le questioni religiose ma anche – forse soprattutto – quelle commerciali: troppo puntuali sono le sue annotazioni sui prodotti, sui luoghi di produzione, e sulla disponibilità di vettovaglie, per figurare come mere voci di una sommaria e di commerci, pp. 36-41. Si veda inoltre il recente studio di Alvise Andreose, La strada, la Cina, il cielo. Studi sulla Relatio di Odorico da Pordenone e sulla sua fortuna romanza, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012. 178 Due di esse, la versione del Solagna e la cosiddetta ‘versione minore’ sono contenute nel secondo volume dell’opera Navigazioni e viaggi di Giovanni Battista Ramusio (1485-1557); questi, diplomatico, geografo e umanista veneziano, redasse il primo trattato geografico dell'età moderna, riunendo più di cinquanta memoriali di viaggi e di esplorazioni dall'antichità classica fino al XVI secolo. Per i viaggi di Odorico: Giovanni Battista Ramusio, Delle navigazioni et viaggi, 3 voll., Venezia, Giunti, 1555-1559, II, 245 v-256 r. In edizione moderna è possibile consultare Giovanni Battista Ramusio, Navigazioni e viaggi, 6 voll., a cura di Marica Milanesi, Torino, Einaudi, 1978-1988. 179 Odorico da Pordenone, Viaggio del Beato Odorico da Pordenone, a cura di Giorgio Pullé, con introduzione, note, bibliografia, carte e incisioni, Milano, Alpes, 1931, I, p. 77. 101 enciclopedia e non far pensare che, accanto alla cura delle anime, Odorico tenesse in debito conto gli interessi delle compagnie mercantili di Venezia.180 La stessa ‘doppia anima’ sembra di intravvederla anche nella strutturazione del viaggio, reale e immaginario insieme, in cui alla esattezza documentaria che descrive le città degli uomini, i mercati, i porti, fa spesso controcanto la ricerca dei luoghi biblici e la loro forzata collocazione lungo il cammino: il monte Ararat su cui si posò l’Arca di Noè, il paese dei Re Magi, il sito della Torre di Babele. Questo doppio sguardo non manca di riconoscere, seppure in quantità molto minore rispetto a quanto egli si sarebbe aspettato, e parecchio scolorite, le creature di cui la sua immaginazione occidentale era imbevuta. Giunto presso una delle isole Nicobare, ad esempio, afferma che una di queste è assai grande, avendo una circonferenza di almeno duemila miglia, e dove uomini e donne hanno viso canino […]. Quando capiti ad essi di far prigioniero qualche nemico, il quale non possa riscattare sé con denaro, subito lo mangiano; se può offrire il prezzo del riscatto, gli permettono di andarsene libero.181 Davvero poco, è rimasto, dei favolosi Cinocefali, dei quali riconosciamo a mala pena il volto, e così, altrettanto ridotto risulta l’episodio dedicato ai Pigmei: Questo fiume passa attraverso la terra dei Pigmei, cioè dei Biduini, la cui città è detta Tocara. […] Questi Pigmei sono alti tre palmi, ed essi fanno le maggiori opere in gotomina, cioè in bambagia, che tutti gli altri uomini che siano nel mondo. […] Tanto i maschi quanto le femmine sono ben formati e a seconda della loro grandezza; e i maschi sposano al quinto anno. E codesti Pigmei hanno un’anima ragionante come noi.182 Perduto il riferimento alla mitica guerra con le gru, questi piccoli uomini possono conservare soltanto pochi elementi tradizionali, come la maestria nella filatura del cotone e le nozze precoci. Sembra quasi di assistere, nelle relazioni di viaggio, ad un 180 Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, p. 38. Cfr. anche con Francesco Surdich, La via della seta. Missionari, mercanti e viaggiatori europei in Asia nel Medioevo, Genova, Il Portolano, 2007. 181 Odorico da Pordenone, Viaggio del Beato Odorico da Pordenone, XVI, pp. 165-166. 182 Ibid., XXIV, pp. 198-199. 102 lento e progressivo svanire di una tradizione ormai più che millenaria, e insieme alla pervicace volontà di farne sopravvivere almeno qualche impoverito frammento. È ciò che accade nell’episodio forse più ricco di elementi mostruosi testimoniato dal frate friulano, che ricorre ad uno stratagemma narrativo per raccogliere i mostri tutti insieme in una sorta di Wunderkammer del Signore del Catai: Le bestie poi di tante sorti strane, sono infinite che lui tiene; fra le quali erano sei cavalli, che havevano sei piedi e sei gambe per uno: e viddi dui grandissimi struzzi, e dui piccioli dietro di loro con dui colli per ciascuno, e dui teste, dalle quali mangiavano; senza far menzione di altri huomini salvatichi che stanno nello giardino di detto Signore, e donne tutte pelose di un pelo grande e bigio, quali han forma humana, e si pascono di poma et d’altre bevande che gli ordina il Signore che s’egli dia. Fra’ quali erano huomini non più grandi di due spanne, e questi chiamano Gomiti. Ne la corte ho visto huomini di un occhio nella fronte, che si chiamavano Minocchi. Et a quel tempo furono appresentati al Signore dui, un maschio ed una femina, quali havevano una spanna di busto, colla testa grossa, e le gambe lunghe e senza mani, e s’imboccavano con uno dei piedi. E viddi un gigante grande circa venti piedi, che menava due leoni, l’uno rosso e l’altro nero, e l’altro haveva in guardia leonesse e leopardi, e con sì fatte bestie andava il Signore a far caccia a prender cervi, caprioli, lupi, cinghiali, orsi ed altre bestie salvatiche.183 Il processo di svuotamento dell’immaginario sull’Oriente passa dunque dalla sua riduzione spaziale e concettuale: tutte le creature mostruose di cui in Occidente si favoleggia da secoli, non sono altro che la collezione di giochi di natura raccolta da un re, per il proprio personale divertissement. La medesima operazione di ridimensionamento è messa in atto quando Odorico varca le soglie di quello che pretende di riconoscere come il regno del Prete Gianni. Se Marco Polo era giunto fino a farlo morire per mano di Gengis Khan, il francescano di Pordenone ne riduce lo sconfinato dominio alle dimensioni di un piccolo borgo italiano: Partendomi da codesta Cataio e venendo verso ponente ossia occidente, e viaggiando per cinquanta diete attraverso molte città e terre venni verso la terra di Presizanne, del 183 Ibid., XXVI, p. 213, n. 10 [Versione minore del Ramusio]. 103 quale non è vera la centesima parte di quanto quasi per certo si dica di lui. La sua principale città è detta Cosan, di cui però si dice che la stessa Vicenza è assai migliore.184 Giunto alle porte di Cassan, la poliana Tenduc, Odorico sembra provare il fastidio di chi, svegliatosi da un lungo bellissimo sogno, tocca con mano la pochezza della cruda realtà. Tanta è la disillusione che il discorso sul Prete Gianni s’interrompe bruscamente, e il viaggiatore si pone sulla via del ritorno, come a scolpire un epitaffio sulla fine del miraggio, a lungo fantasticato, di un grande regno cristiano posto ad est dell’Islam, e con cui realizzare un’invincibile alleanza contro gli infedeli. L’ultimo ‘viandante’ di cui intendo dare qui notizia si situa cronologicamente all’autunno del Medioevo – per rievocare il titolo del celebre studio di Johan Huizinga – ed è senza ombra di dubbio il più singolare.185 Questa eccezionalità, tuttavia, non è tanto legata ai contenuti del resoconto della sua esperienza, quanto al fatto che egli fu, per citare le parole di Claude Kappler, «un viaggiatore attorno alla sua camera»: Sir John Mandeville.186 Due secoli di ricerche non sono riusciti a sciogliere le incertezze nutrite da diversi studiosi sulla figura storica dell’autore, la cui identità resta pertanto oscura; altre indagini, invece, hanno fugato ogni dubbio sulla natura di finzione letteraria dei suoi acclamati Viaggi, compiuti da sir John comodamente seduto a un tavolino, pronto a cedere sotto il peso di quei libri che potevano generare un Oriente da fiaba nella mente di chiunque, senza il bisogno di muoversi da casa.187 184 Ibid., XXXII, 1, p. 229. 185 Johan Huizinga, Autunno del Medio Evo, traduzione dall’olandese di Bernardo Jasink, Firenze, Sansoni, 1942 (Herfsttij der Middeleeuwen, Leiden, Brummel, 1919). 186 Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, a cura di Franco Cardini, traduzione italiana di Maria C. Cardini, Firenze, Sansoni, 1983, p. 46 (Monstres, démons et merveilles à la fin du Moyen Âge, Paris, Payot, 1980). 187 Pochissime e scarne sono le informazioni relative a Sir John Mandeville. Dal Prologo dei suoi celebri Viaggi, apprendiamo non soltanto il nome con cui è divenuto noto nella letteratura occidentale, ma anche il titolo di «cavaliere» e la «nazionalità inglese», quest’ultima deducibile dalla nascita nella città di St. Albans (nello Hertfordshire). Sino alla seconda metà dell’Ottocento, questi dati, variamente affinati e integrati, furono utilizzati a suffragio della diffusa e indiscussa convinzione che Mandeville fosse il più celebre dei viaggiatori inglesi del Medioevo. In seguito, tuttavia, l’analisi incrociata dei diversi manoscritti che ci hanno tramandato la sua opera cominciò a dimostrare che la lingua originale del testo non era l’inglese, bensì il francese. Questa teoria si rafforzò in maniera decisiva quando, verso la fine del secolo, alcuni studiosi giunsero alla conclusione che Mandeville non era mai esistito, se non nella fantasia di un medico di Liegi, Jean de Bourgogne, detto anche «Jean à la Barbe». Costui, scrittore dilettante vissuto in Inghilterra, si era ispirato, per la creazione del suo ‘celebre’ viaggiatore, a un cavaliere realmente esistito con quel nome all’epoca di Edoardo II (i primi a negare l’esistenza di Mandeville furono Edward B. Nicholson, Henry Yule, ‘Mandeville, Jehan de’, in The Encyclopeadia Britannica, IX, 1881, pp. 472-495. Lo stesso atteggiamento di negazione fu adottato anche da George P. Warner, ‘Mandeville, Sir John’, in Dictionary of National Biography, vol. 12, London, 1893, pp. 908-914). Le cose si complicarono ulteriormente quando, nel 1932, il curatore dell’edizione dei Viaggi 104 Il resoconto di viaggio del fantasioso Mandeville inizia con un prologo, nel quale egli, dopo aver parlato della magnificenza della Terrasanta, si presenta succintamente, per poi passare, quasi subito, ad elencare le tappe dell’infinito percorso seguito alla volta dell’Asia: io, John Mandeville, cavaliere (sia pure indegno), nato in Inghilterra, nella città di St. Albans, avendo preso il mare nell’anno del Signore 1322, il giorno di San Michele, ed essendo rimasto a lungo al di là di esso, dopo aver percorso e visitato molti paesi, molte province e regni e isole, passando attraverso la Turchia, l’Armenia Minore e Maggiore, attraverso la Tartaria, la Persia, la Siria, l’Arabia, l’Alto e il Basso Egitto, attraverso la Libia, la Caldea e gran parte dell’Etiopia, attraverso l’Amazzonia, gran parte dell’India Minore e Maggiore, e attraverso molte altre isole che stanno intorno all’India, dove abitano popolazioni assai diverse, con diverse usanze e culti, e uomini di forma diversa, vi parlerò qui di seguito più ampiamente di tutte quelle terre e isole.188 In tutta la prima parte del viaggio, dedicata alla descrizione dei luoghi santi, il viaggiatore, pur attento all’elemento bizzarro e talvolta orrido, si mantiene su un tono per lo più realistico; ma, appena varca i confini dell’Asia profonda, comincia a far sfilare l’umano abnorme. Dal capitolo XVII, incurante dei viaggiatori che in questi stessi anni riportano notizie veridiche su quelle lande desolate, Mandeville raccoglie e dispiega l’intero patrimonio teratologico che può desumere dalle sue sconfinate letture. per la Early English Text Society avanzò un’altra congettura, e sostenne che il vero autore non era il medico Jean de Bourgogne, ma il notaio Jean d’Outremeuse, suo amico e biografo (Peter Hamelius, Introduction, in Mandeville’s Travels translated from the French of Jean d’Outremeuse, 2 vols., London, Early English Society, 1919-1923, pp. 8-13). In seguito, altri studiosi tentarono di restituire consistenza storica all’uomo Mandeville, ma senza raggiungere risultati particolarmente soddisfacenti. La critica degli anni ’50 del ’900, al contrario, si è concentrata nel rivendicare l’origine inglese assunta dall’autore nei suoi Viaggi, giustificando il collegamento con Liegi con una permanenza sotto falso nome di Mandeville in quel luogo al fine di esercitare la professione medica (si vedano, ad esempio, Malcolm Letts, Sir John Mandeville. The Man and his Book, London, The Batchworth Press, 1949, pp. 10-22 e Josephine W. Bennett, The Rediscovery of Sir John Mandeville, New York, Modern Language Association of America, 1954, p. 182). Nemmeno quest’ipotesi, tuttavia, avvalorata da corrispondenze linguistiche in oltre sessanta manoscritti, è riuscita a gettare un po’ di luce sulla reale identità di Mandeville, che resta, di fatto, un enigma. Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a studi più recenti come: Ian M. Higgins, Writing East. The “Travels” of Sir John Mandeville, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1997; Giles Milton, The Riddle and the Knight. In Search of Sir John Mandeville, London, Sceptre, 2001; Sebastian Sobecki, ‘Mandeville’s Thought of the Limit. The Discourse of Similarity and Difference in The Travels of Sir John Mandeville’, The Review of English Studies, 53, 3, 2002, pp. 329–343 e Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, pp. 20-28. 188 John Mandeville, Viaggi ovvero trattato delle cose più meravigliose e più notabili che si trovano al mondo, a cura di Ermanno Barisone, Milano, Il Saggiatore, 1982, p. 5. 105 Si comincia con un compiuto ritratto della repubblica delle Amazzoni, delle quali sir John racconta sia l’antico mito di fondazione, sia i ben noti costumi casti e guerreschi; da qui in poi gli incontri con il mostruoso umano diventano sempre più frequenti: ecco gli Sciapodi (ancora nel capitolo XVII), gli Antropofagi (XX), i Cinocefali (XXI). Ma è al capitolo XXII, tra le infinite isole del golfo del Bengala e del mare Cinese, che Mandeville espone tutto il suo campionario di creature stravaganti: In una di queste isole, c’è gente di grande statura, come i giganti. Ma è spaventosa da guardare. Hanno un solo occhio che sta in mezzo alla fronte, e non mangiano che carne e pesci crudi. In un’altra isola, verso sud, abita gente di corporatura orrenda e di natura malvagia, che è senza testa ed ha gli occhi sulle spalle. La bocca è storta come un ferro di cavallo, ed è posta in mezzo al petto. In un’altra isola c’è ancora gente senza testa, che ha sulle spalle sia gli occhi che la bocca. […] In un’altra isola, ci sono abitanti piccoli come nani [che] invece della bocca hanno un piccolo buco rotondo, e quando devono mangiare o bere usano una canna o un tubo o qualcosa di simile e si mettono a succhiare. […] In un’altra isola c’è gente che ha orecchie enormi, tanto lunghe da pendere fino alle ginocchia. In un’altra isola, c’è gente con piedi di cavallo. Si tratta di uomini forti e poderosi, di veloci corridori, che riescono ad acchiappare di corsa gli animali selvatici, e se li mangiano. […] In un’altra isola, c’è gente che è nello stesso tempo uomo e donna, partecipando della natura di tutti e due i sessi. Questi hanno una sola mammella da un lato, e niente dall’altro. Sono però provvisti di organi genitali sia maschili che femminili, e li usano entrambi come vogliono, una volta l’uno, una volta l’altro. Così quando usano l’organo maschile, procreano figli; mentre, quando usano l’organo femminile, li partoriscono. […] Nelle altre isole dei dintorni ci sono poi ancora molti altri generi di gente, ma sarebbe troppo lungo parlarne, perciò passo rapidamente oltre.189 Navighiamo in un arcipelago di reperti dell’immaginario, raccogliendo bozzetti con spirito collezionistico: proprio negli anni in cui i viaggi d’Oriente spogliano di verità 189 Ibid., XXII, pp. 137-138. 106 le genie mostruose, l’autore varca per l’ultima volta i confini fra il corpo umano e l’immaginazione.190 E poi, superate le isole dei mostri, si arriva alle terre del Khan, smisurate non tanto per la mostruosità dei suoi abitanti, quanto per la ricchezza e il potere del sovrano e, ancora più in là, il regno del Prete Gianni, resuscitato dalla morte che gli era stata inflitta, solo pochi anni prima, da Marco Polo, e reintegrato sul trono da cui Odorico da Pordenone lo aveva spodestato. Ecco, dunque, il suo palazzo principale, che è così ricco e nobile da non potersene apprezzare il valore se non si vede. Al di sopra della torre maestra del palazzo, ci sono due pomi rotondi d’oro, e in ciascuno di essi due grandi, enormi carbonchi che brillano vivacemente nella notte. Le porte principali del palazzo sono d’una pietra preziosa che si chiama sardonice, mentre il bordo e le sbarre sono d’avorio. Le finestre dei saloni e delle camere sono di cristallo. Le tavole dove mangiano, alcune sono di smeraldo, altre d’ametista e altre ancora d’oro, con pietre preziose incastonate […]. I gradini per salire al trono dove lui siede, sono uno d’onice, un altro di cristallo, un altro di diaspro verde, un altro di ametista, un altro di sardonice, un altro di cornalina, e il settimo, sul quale lui poggia i piedi, è di crisolito. Tutti questi gradini sono bordati d’oro fine, con altre pietre preziose incastonate, e grosse perle d’oriente incastonate. […] Nella sua camera vi sono colonne d’oro fine, con pietre preziose e con molti carbonchi che nella notte mandano una gran luce a tutta la gente.191 Oltrepassato il pacifico regno del Prete Gianni, Mandeville incontra una nuova successione di isole abitate da esseri mostruosi o per conformazione fisica o per costumi, «altre immagini grottesche che tornano ad esprimere paure primordiali sul comune senso delle proporzioni (i giganti), sulla sessualità (i cadeberiz), sulla supposta superiorità dell’uomo rispetto alle bestie e sulla sua fragile individualità».192 Tutte queste paure svaniscono nell’isola di Bragman, la leggendaria terra dei Bramani, dove le contraddizioni non esistono, le divisioni sono finite, le tensioni esistenziali placate. 190 Nella sua ‘Introduzione’ ai Viaggi, Ermanno Barisone sostiene che nelle parole di questo capitolo «sembrano cadere tutte le frontiere fra il corpo umano e il mondo e si fa avanti un’umanità […] che contesta ogni senso delle proporzioni, qualsiasi netta distinzione fra animale e umano, grande e piccolo, maschio e femmina, sessuato e asessuato, e quindi tra realtà e illusione, esperienza e fantasia» (John Mandeville, Viaggi, p. XXXVI). 191 John Mandeville, Viaggi, XXX, p. 186. 192 Ermanno Barisone, ‘Introduzione’, in John of Mandeville, Viaggi, p. XXXVII. 107 Da qui il viaggio ricomincia, al contrario, verso il ritorno, attraversando Ceylon, il Tibet e di nuovo il Catai. Ma c’è un’ultima tappa del viaggio cui vale la pena fare un cenno. Sulla via del ritorno, sir John si ferma a Roma: esposi la mia vita al nostro santo padre il papa, e fui assolto da tutto ciò che mi pesava sulla coscienza, e di diversi punti dolenti che necessariamente deve avere chi sia vissuto fra tanta gente di diverse sette e credi, come ho fatto io. E soprattutto gli mostrai questo trattato, che avevo composto in base ad informazioni datemi da uomini che conoscevano cose che io non avevo visto, oltre che in base alle cose meravigliose e alle usanze che avevo visto io stesso, fin dove Dio me ne diede grazia. E pregai sua santità affinchè il mio libro fosse esaminato e corretto secondo il parere del suo saggio e discreto consiglio. E il santo padre, per sua grazia speciale, dispose che il mio libro fosse vagliato e sottoposto al giudizio di tale consulto, dalla quale il mio testo fu approvato come veritiero.193 Questo episodio sembrerebbe rientrare in un topos degli scritti di viaggio, che era uso sottoporre ad una autorità che li validasse (così Giovanni da Pian del Carpine aveva inviato il testo a Innocenzo IV, Marco Polo a Carlo di Valois). Ma qui il gioco letterario di sir Mandeville si fa scopertamente ironico: negli anni in cui egli afferma di aver redatto il proprio libro, tra il 1322 e il 1356, a Roma non c’era nessun papa che potesse leggerlo ed approvarlo, poiché fra il 1309 e il 1377 il soglio di Pietro era stato trasferito ad Avignone. Personaggio curioso, imperscrutabile quanto il Prete Gianni, letterato consapevole di scrivere alla fine di una grande stagione, l’anonimo che passa sotto il nome di John Mandeville redige un ultimo zibaldone di meraviglie che, nel suo finto finale riverente, appare come una sorta di ‘parodia’ dei viaggi francescani, e in particolare dell’ultimo, quello di Odorico. In questo disegno le genie mostruose compaiono per l’ultima volta in tutta la loro policroma ricchezza, affermando l’estrema rivalsa dell’immaginazione sulla realtà. Fu questa esatta alchimia tra erudizione e fantasia, che mescola Plinio e Brunetto Latini, la lettera del Prete Gianni e Vincenzo di Beauvais, Isidoro e Odorico, ma soprattutto un grande talento affabulatorio, che consentì ai Viaggi di Mandeville di 193 John Mandeville, Viaggi, XXXIV, pp. 212-213. 108 catalizzare per secoli l’attenzione dei lettori europei di ogni classe sociale, anche in epoche in cui nel mondo non esistevano più terre incognite.194 * * * In queste pagine, ho voluto ripercorrere la genesi, lo sviluppo e il declino dell’immaginario sul mostruoso orientale che, originatosi nell’antichità classica, conobbe una straordinaria vitalità fino alla fine del Medioevo. Arricchitosi progressivamente, di riscrittura in riscrittura, fino alla grande stagione delle enciclopedie latine, esso fu profondamente indebolito dalla delusione dei primi esploratori, che non trovarono le meraviglie a lungo sognate, e sulle cui relazioni di viaggio ho tracciato un breve profilo nell’ultima parte della trattazione. Nel 1291, inoltre, con la conquista di Acri, i musulmani riprendevano possesso della Terrasanta e, poco meno di un secolo dopo, nel 1370, l’avvento al potere in Cina dei Ming, ostili a qualsiasi influenza esterna, sancì la rottura piena di ogni contatto fra l’Europa e l’Oriente.195 Fu allora che, nel tramonto dell’Età di Mezzo, la fortuna delle specie esotiche subì un rallentamento a favore dell’altra tradizione, quella dei mostri come prodigi individuali: il deforme umano entrò prepotentemente entro i confini della civitas, ponendo, come vedremo a breve, nuovi problemi ideologici e concettuali, sui quali si confrontarono filosofi e medici. 194 A testimonianza di quest’enorme diffusione, ancora due secoli più tardi, non sorprenderà trovare un certo «Mandavilla» tra le letture preferite di un popolano autodidatta, Domenico Scandella detto Menocchio, che a proposito del libro di questo autore confessò che «lo aveva inquietato profondamente, spingendolo con le sue affermazioni inaspettate a pensare pensieri nuovi». L’universo di questo incredibile mugnaio friulano del Cinquecento è stato brillantemente ricostruito da Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino, Einaudi, 1976, p. 40. 195 Sulla chiusura dei Ming nei confronti del mondo esterno, e in particolare dell’Occidente, dopo la loro ascesa al potere, si vedano Eileen Power ‘The Opening of Land Routes to Cathay’, in Arthur P. Newton (ed.), Travel and Travellers of the Middle Ages, London, Kegan Paul, 1926, pp. 124-154 e Charles O. Hucker, The Traditional Chinese State in Ming Times, 1368-1644, Tucson, University of Arizona Press, 1961, soprattutto i primi due capitoli. 109 CAPITOLO SECONDO We should marvel not at the Exception, but the Rule: i mostri in Europa dal XIII al XVI secolo, un dilemma epistemologico tra filosofia e medicina Perché ti meravigli tanto di questa cosa? Perché sei sorpreso, perché sei confuso? […] So che l’oscurità che ti avvolge, ricopre e spinge all’errore tutti coloro che sono incerti sulle leggi che governano il mondo. Poiché l’anima, imbevuta di meraviglia e di ignoranza, quando considera da lontano, con orrore, gli effetti delle cose, senza indagare le cause, non si è ancora spogliata della propria confusione. Adelard of Bath, Quaestiones naturales [Conversations with his Nephew], 1116. 2 Quando per la prima volta vidi queste acque e considerai le loro proprietà, che paiono al di là della natura di altre acque e altre sorgenti, mi meravigliai non poco, e non avendo trovato cause completamente soddisfacenti di quelle proprietà, fui a lungo incerto. Ma ora, col passare degli anni, ho imparato e dedotto da lunga esperienza che non vi è nulla che non sia meraviglioso e che il detto di Aristotele nel libro primo delle Parti degli Animali, secondo cui in ogni fenomeno naturale v’è qualcosa di meraviglioso, anzi vi sono molte meraviglie, è vero […]. Ma di molti fenomeni che sono ugualmente meravigliosi, la consuetudine, l’uso quotidiano e la frequenza eliminano o riducono la nostra meraviglia. Per questa ragione, dunque, non mi meraviglio come prima, ma trovando tutto meraviglioso e riflettendoci sopra, mi son proposto di non meravigliarmi troppo di nulla. Giovanni Dondi Dall’Orologio, De fontibus calidis agri Patavini, 1382. * * * Nel 1317, il cronista fiorentino Giovanni Villani così riportava notizia della nascita di un bambino mostruoso nei dintorni della sua città: E nel detto anno del mese di gennaio […], nacque a Terraio in Valdarno uno fanciullo con due corpi così fatto, e fu recato in Firenze, e vivette più di venti dì; poi morì allo spedale di Santa Maria della Scala, l’uno prima che l’altro: e volendo essere recato vivo a’ priori, ch’allora erano, per maraviglia, non vollono ch’entrasse in palagio, recandolsi a pièta e sospetto di sì fatto mostro, il quale, secondo l’openione degli antichi, ove nasce era segno di futuro danno.1 Diversamente dalla delusione dei viaggiatori che, in questi stessi anni toccavano con mano l’inconsistenza dei racconti sulle razze mostruose orientali, Villani sottolineava invece l’orrore e il timore generati da una nascita mostruosa a due passi da casa. Questa reazione emotiva del cronista fiorentino segnala che le stesse caratteristiche di deformità fisica, quando si presentavano in un’intera popolazione orientale non erano affatto considerate deformi (nelle trattazioni enciclopediche, anzi, erano date per normali in quei luoghi lontani, e ricondotte alla varietà della natura). Al contrario, quando si manifestavano in una città d’Occidente sotto forma di ‘prodigio individuale’, erano interpretate come una rottura dell’ordine morale, in quanto prodotto e segno di peccato, oppure presagio di futura sventura.2 Tanta era la straordinarietà di questi eventi da lasciare memoria di sé a lungo nel tempo: lo dimostra il fatto che, venticinque anni dopo la testimonianza di Villani, Francesco Petrarca ricordava vividamente l’effetto che quello stesso evento aveva avuto sulla sua famiglia: Alcuni amici di Firenze ci spedirono un disegno [dei due gemelli siamesi] in Francia, dove noi abitavamo e una folla enorme di persone venne apposta per vederlo. Io avevo sette anni quando vidi l’immagine nelle mani di mio padre. Quando chiesi 1 Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di Giovanni Porta, 3 voll., Parma, Fondazione Pietro Bembo/Guanda, 1991, II, 10, 79, p. 284.2 Sulla distinzione tra la tradizione delle ‘specie esotiche’ orientali e quella dei ‘prodigi individuali’, cfr. sopra, l’Introduzione. 113 cos’era, egli me lo disse, mostrandomelo, e mi ordinò di ricordarlo e di raccontare la storia ai miei figli (come egli disse allora). E io difatti lo dirò ai miei nipoti.3 Questa diversa modalità di lettura del mostro era motivata da necessità pratiche: la nascita mostruosa locale richiedeva una rapida decisione riguardo alle azioni da compiere nell’immediato. Se, infatti, le genie mostruose orientali potevano essere oggetto di speculazione intellettuale, nel caso raccontato da Villani e Petrarca i genitori, la levatrice, il prete avevano da sciogliere tutta una serie di inquietudini: dovevano determinare se la creatura fosse umana, se dovesse essere battezzata e, in caso affermativo, se lo dovesse essere come una sola persona o come due. I priori fiorentini e la popolazione, da parte loro, dovevano interrogarsi sulla necessità di intraprendere atti formali di penitenza pubblica e privata per evitare qualsiasi possibile disastro.4 Per tutte queste ragioni, le nascite mostruose ‘domestiche’ ponevano problemi di credibilità completamente differenti rispetto alle trattazioni libresche, e necessitavano di prove certe che ne attestassero la veridicità. La dimostrazione dell’autenticità delle razze mostruose orientali presentava, infatti, un grado di urgenza molto minore, in primo luogo perché gli enciclopedisti medievali non si muovevano tanto nel campo della plausibilità quanto in quello, che potremmo definire ‘filologico’, della raccolta e testimonianza di materiali letterari preesistenti.5 In secondo luogo, la mentalità teologica medievale era propensa ad accettare che il Creato presentasse una forte variabilità spaziale, quasi che la distanza dal centro europeo favorisse la fantasia divina. Inoltre, la dottrina cristiana, ammettendo la possibilità che Dio interrompa di tanto in tanto la regolarità delle leggi da lui stesso stabilite, alimentava il senso di dovere del credente di prestar fede agli eventi incomprensibili. Queste categorie culturali e religiose favorivano la credenza nell’esistenza remota delle razze esotiche. Malgrado tutti questi presupposti, tuttavia, non mancavano, come abbiamo visto nel capitolo precedente, autori di resoconti che anche a proposito delle razze 3 Francesco Petrarca, Rerum memorandum libri, a cura di Giuseppe Billanovich, Firenze, Sansoni, 1943, IV, 120, pp. 270-271.4 Su questo aspetto particolare, cfr. John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981, capitolo 9. 5 Su questo atteggiamento collezionistico da parte dei compilatori antichi, più attenti alla raccolta del maggior numero possibile di fonti che all’analisi della loro veridicità, si veda Paul Veyne, Did the Greeks believe in their Myths? An Essay on the Constitutive Imagination, Chicago, Chicago University Press, 1988, specialmente capitolo 1. 114 orientali nutrivano dubbi di attendibilità: in particolare, a fronte del marcato atteggiamento compilatorio degli enciclopedisti, i viaggiatori mostrarono una maggiore preoccupazione di verità, portando a garanzia del lettore ora la propria esperienza diretta ora la testimonianza di persone attendibili.6 In questa ricerca della verità, alcuni viaggiatori arrivarono a negare l’auctoritas delle fonti classiche. Fu il caso di Guglielmo di Rubruck, che manifestò, con queste parole, la propria delusione per non aver trovato tra i Tartari le stranezze di cui aveva letto nella biblioteca del suo monastero: «molto ho chiesto anche dei mostri e degli uomini mostruosi di cui parlano Isidoro e Solino; mi hanno risposto di non aver mai visto cose simili, e sarei molto sorpreso se esistessero davvero». 7 Alcuni anni più tardi, Giovanni da Montecorvino espresse il medesimo disappunto annotando che «delli omini da meravigliare, cioè chontrafatti da gli altri, e delli animali, e del paradizo terestro, mouto adimandai e cierchai; alcuna chosa trovar none potti».8 Un simile atteggiamento ‘razionalista’ era però abbastanza raro: la gran parte dei viaggiatori faticava a negare risolutamente la realtà delle meraviglie descritte dagli autori antichi, ormai profondamente istituzionalizzate nella tradizione narrativa e iconografica. Essi, come abbiamo discusso precedentemente, tentavano piuttosto di far coincidere le creature note dai libri con il loro dato esperienziale. La delusione di Guglielmo di Rubruck o di Giovanni da Montecorvino di fronte all’assenza delle razze pliniane è solo apparentemente in opposizione con la volontà dei viaggiatori di forzare la realtà d’Oriente a coincidere con le verità dei libri: entrambi questi atteggiamenti indicano una risolutezza nel credere alle specie esotiche, strettamente connessa con il sentimento della meraviglia per la creazione. D’altra parte, per tornare alla Cronica di Giovanni Villani dalla quale siamo partiti, 6 Per un’accurata disamina delle strategie retoriche dei viaggiatori, si veda Claude Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del medioevo, a cura di Franco Cardini, traduzione italiana di Maria C. Cardini, Firenze, Sansoni, 1983, pp. 45-65 (Monstres, démons et merveilles à la fin du Moyen Âge, Paris, Payot, 1980). 7 Gugliemo di Rubruk, Viaggio in Mongolia (Itinerarium), a cura di Paolo Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori, 2011, p. 199. Guglielmo di Rubruk (1220 circa-1293 circa), francescano fiammingo, viaggiò nelle terre dei Mongoli tra il 1253 e il 1255. Sul suo viaggio in Oriente, cfr. Attilio Brilli, Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci, pp. 42-47. 8 Giovanni da Montecorvino, Epistolae, in Sinica franciscana. Relationes et epistolas fratrum minorum saeculi XIII. et XIV. collegit, ad fidem codicum redegit et adnotavit p. Anastasius Van Den Wyngaert, Quaracchi (Firenze), Barbera, Alfani e Venturi, 1929, pp. 340-355, Epistola I, 8, p. 342. Giovanni da Montecorvino (1247-1328), francescano e fondatore della missione cattolica in Cina, compì un primo viaggio tra il 1279 e il 1289; nel 1290 tornò a Roma, per essere poi inviato in Oriente dal papa Nicola IV col compito di impiantarvi le prime missioni. Morì a Pechino. Per un profilo biobibliografico, si veda Luigi Canetti, ‘Giovanni da Montecorvino’, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 56, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2001, pp. 100-103. 115 l’urgenza di testimoniare con dovizia di dati l’assoluta verità di una nascita mostruosa locale è sintomo di una frenesia di veridicità che, a ben guardare, è intrinsecamente associata con il sentimento della paura e del timore dell’ira divina. Ma la meraviglia dei viaggiatori di fronte alla fantasia di Dio, come l’orrore o il timore per la sua vendetta testimoniato dagli autori di cronache, sentimenti generati dal contatto col mostruoso, altro non sono che due sfumature di uno stesso complesso emotivo, che tutto unifica, teologicamente, sotto il segno dell’onnipotenza celeste: alla fine del Medioevo, il mostro suscitava sempre, dunque, una reazione di meraviglia moralmente positiva, volta a generare ammirazione e rispetto per l’opera di Dio. La riflessione della filosofia naturale di quel tempo, tuttavia, presentava la meraviglia in maniera più ambivalente. Il mostro, infatti, specialmente se entro le mura della città, poneva problemi interpretativi del tutto nuovi. Come vedremo in questo capitolo, filosofi e medici risposero a tale inquietudine in maniera contrastante. 2.1 Look more closely, consider the Circumstances, propose Causes, and you will not wonder at the Effects: istruzioni per porre fine alla meraviglia Un’opera in cui il sentimento della meraviglia non è posto in luce positiva, come segno di ammirazione per l’opera divina, sono le Quaestiones naturales di Adelardo di Bath.9 Il trattato consiste in una serie di 76 domande sull’ordine naturale poste all’autore da suo nipote, ad esempio: perché le piante crescono in luoghi dove non sono state piantate? Perché gli esseri umani non hanno corna? Perché il mare è salato?10 9 Adelardo (1080-1152) fu uno dei pionieri della trasmissione nell’Europa latina del sapere greco mediato dagli arabi. Dopo avere studiato in due delle più importanti scuole francesi, Tours e Laon, si imbarcò in un lungo viaggio per la Sicilia e il vicino Oriente (1100-1106 circa). Tornato a Bath con una buona conoscenza dell’arabo e un buon numero di volumi in quella lingua, si dedicò anima e corpo alla diffusione di quegli antichi saperi. A lui si deve la prima traduzione latina degli Elementi di Euclide, che divenne il testo di riferimento della matematica in Europa. Sulla figura e l’opera di Adelardo, cfr. Charles Burnett (ed.), Adelard of Bath. An English Scientist and Arabist of the Early Twelfth Century, London, Warburg Institute, 1987 e Louise Cochrane, Adelard of Bath. The First English Scientist, London, British Museum Press, 1995. Sulla sua opera di traduttore si vedano David C. Lindberg, ‘The Transmission of Greek and Arabic Learning to the West’, in Id., Science in the Middle Ages, Chicago, Chicago University Press, 1978, pp. 52-90 e Marie-Thérèse D’Alverny, ‘Translations and Translators’, in Robert L. Benson, Giles Constable (eds.), Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, Cambridge, Harvard University Press, 1982, pp. 421-462.10 Questa alternanza di domande e risposte ha portato i curatori dell’edizione inglese a tradurre Quaestiones con Conversations: cfr. Adelard of Bath, Conversations with his Nephew. On the Same and the Different, Questions on Natural Science, and on Birds, edited and translated by Charles Burnett, with the collaboration of Italo Ronca, Pedro Mantas España and Baudouin van den Abeele, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. Non esistendo un’edizione italiana di quest’opera, le 116 Verso la fine dell’opera, il nipote chiede conto dell’origine del tuono, e il filosofo ne dà spiegazione come di una collisione tra due nubi gelate, cogliendo l’occasione per rimproverare il giovane della sua ignoranza: «perché ti meravigli tanto?», domanda con sorpresa il filosofo, e prosegue accusando il nipote di avere la mente avvolta nella tenebra; una cecità che conduce all’errore tutti coloro che sono inconsapevoli del vero ordine delle cose. La meraviglia di cui egli è vittima lo atterrisce, e tale terrore è originato dalla contemplazione stupefatta degli effetti senza la considerazione delle cause. Il rimprovero dello zio si conclude con un’esortazione a scrutare il mondo circostante più da vicino, con meno sentimento e più ragionevolezza: «proponi delle cause, e non ti meraviglierai degli effetti».11 Nelle parole di Adelardo, dunque, la meraviglia è inquadrata non come qualcosa di ammirevole o piacevole ma, al contrario, come qualcosa di molto prossimo all’orrore, la cui unica origine è identificata nell’arretratezza intellettuale. Per il filosofo inglese la meraviglia non era associata alla pietà o alla reverenza, ma alla superstizione e alla confusione: il sapiente aveva il dovere di contemplare e indagare l’ordine naturale come una catena complessa e in parte autonoma di cause seconde, che dipendono solo lontanamente dalla causa prima, e cioè Dio. Lungi dall’apparire in luce moralmente positiva, come segno di ammirazione per l’opera del creatore, la meraviglia risulta dunque in Adelardo sempre accostata a significati fortemente connotati in senso negativo: confusione, oscurità, ignoranza. Stigmatizzata come sentimento banale e scontato, del tutto inappropriato alle sottigliezze del pensiero, alla meraviglia è chiusa ogni possibilità di cittadinanza nel territorio della filosofia: «Non mi meraviglio della tua meraviglia, poiché il cieco parla così della luce».12 Questa risolutezza nel negare la meraviglia può essere compresa solo se collocata all’interno di un preciso programma intellettuale, che Adelardo condivideva con altri pensatori del XII secolo, volto al recupero della filosofia greca dopo un’eclisse plurisecolare. Nell’opera sopra citata, la figura del nipote incarnava chiaramente il ruolo del filosofo latino, di mente ristretta, succube dell’autorità religiosa e con poca familiarità non solo con le cause dei fenomeni naturali ma anche con il concetto stesso di indagine naturale; Adelardo rappresentava invece l’ideale di indicazioni bibliografiche delle citazioni saranno tratte dall’edizione inglese sopra citata; tutte le traduzioni italiane dal latino sono di chi scrive. 11 Adelard of Bath, Conversations with his Nephew, pp. 37-38. 12 Ibid., p. 43. 117 spiegazione razionale del mondo, identificato con il sapere greco, che proprio in questi anni tornava in auge in Occidente, tramite la mediazione della speculazione araba. Come segnalano Lorraine Daston e Katharine Park, in realtà Aristotele non nutriva alcun sospetto nei confronti della meraviglia,13 anzi, come emerge dal primo libro della Metafisica, egli poneva questo sentimento a fondamento della ricerca filosofica: Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia, mentre da principio restavano meravigliati davanti alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo.14 Questo testo, tuttavia, era ignoto ad Adelardo, al quale era familiare piuttosto la meraviglia della teologia agostiniana, non legata alla regolare maestosità della natura – come in Aristotele – ma all’elemento insolito. Era questa la postura intellettuale della teologia latina cui il pensatore di Bath non riconosceva sufficiente sensibilità nell’analisi della natura, e contro la quale manifestava, come si è visto poco sopra, assoluto disprezzo.15 In tale generale rigetto del meraviglioso, sminuito quasi a superstizione popolare, rientrarono ovviamente tutti i fenomeni insoliti, ridotti a puri accidenti figli del caso, indegni di qualunque attenzione intellettuale. Questo snobismo nei confronti del fenomeno accidentale si originava dalla principale antinomia che i filosofi naturali del XII e XIII secolo si trovarono ad affrontare: quella tra il desiderio di una conoscenza immutabile e l’incostante mutevolezza della natura. I filosofi ambivano alla scientia – in greco, epistème – che Aristotele aveva chiaramente definito come scienza certa, a differenza di altre forme d’indagine, che potevano aspirare soltanto a 13 Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, 1150-1750, New York, Zone Books, 1998, p. 111 (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, traduzione italiana di Michelangelo Ferraro e Barbara Valotti, Roma, Carocci, 2000). Sulla meraviglia in Aristotele cfr. inoltre Patrizia Pinotti, ‘Aristotele, Platone e la meraviglia del filosofo’ in Diego Lanza, Oddone Longo, Il meraviglioso e il verosimile tra antichità e medioevo, Firenze, Olschki, 1989, pp. 29-55.14 Aristotele, La Metafisica, a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1997, I, 2, 10-18, p. 11. 15 Nel corso del XIII e XIV secolo, prevalse tra i filosofi naturali l’atteggiamento ostile alla meraviglia inaugurato da Adelardo. Per una discussione approfondita di questo aspetto, si vedano ancora Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, pp. 110-120. 118 opinioni probabili: «dell’accidente non c’è scienza. Ogni scienza, infatti, riguarda ciò che è sempre o per lo più».16 Seguendo il dettame del Filosofo, per l’aristotelismo duecentesco la scienza costituiva un corpo privilegiato di verità universali e necessarie, che dovevano essere conosciute con certezza assoluta. In questo campo, nessuno spazio poteva essere quindi lasciato all’elemento insolito e meraviglioso, costituito da spicciole nature particolari e contingenti. Esemplificativo di questa visione aristocratica della scienza fu Alberto Magno, il quale sottolineò l’importanza marginale delle specie particolari proprio nel suo De vegetabilibus (anteriore al 1260), una sorta di erbario dedicato all’analisi di alcuni tipi di piante.17 Quasi a volersi giustificare per la scelta di un tema così frivolo, egli così si esprimeva nell’introduzione al sesto libro: Sto compiacendo la curiosità degli studenti piuttosto che la filosofia, poiché non può esistere nessuna filosofia dei particolari, e in questo libro sesto intendo descrivere alcune proprietà di piante particolari […]. Tra quelle di cui darò conto, ne ho esaminato alcune io stesso e ne ho prese altre dalle opere di coloro che giudico non abbiano scritto in maniera superficiale e che abbiano affermato solo cose controllate con l’esperienza. Poiché solo l’esperienza produce certezza in cose di tal genere, ed è impossibile costruire un sillogismo intorno alle nature particolari.18 Poiché il sillogismo era lo strumento principe della filosofia, era dunque evidente che le nature particolari, sempre mutevoli, non potevano costituire oggetto nobile del pensiero; esse erano nient’altro che diletto per gli studenti, non certo materia per i filosofi, scienziati dell’assolutamente certo e dimostrabile. Se l’esclusione valeva per le nature particolari, dotate di una certa costanza e ‘ripetitività’ come le piante, essa valeva, a maggior ragione, per i fenomeni rari o 16 Aristotele, La Metafisica, 6.2, 1027a, 20-21, p. 277. 17 Alberto Magno di Bollstädt (1206-1280), vescovo e dottore della Chiesa, fu un appartenente all’Ordine Domenicano. È considerato il più importante filosofo e teologo tedesco del basso Medioevo. Maestro di Tommaso d’Aquino, i suoi interessi spaziarono dalle scienze sperimentali alla teologia, dalle arti liberali alla musica. Per un inquadramento generale cfr. Hieronymus Wilms, Albert der Grosse, München, Kösel & Pustet, 1930 (Alberto Magno, prefazione di Egidio Guinassi, traduzione italiana di Isnardo Marega, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1931); James A. Weisheipl (ed.), Albertus Magnus and the Sciences. Commemorative Essays 1980, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1980 (Alberto Magno e le scienze, traduzione italiana di Alberto Strumia, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1994) e Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Massimo Parodi, Storia della filosofia medievale, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 304-307. 18 Alberto Magno, De vegetabilibus libri VII, in Id. Opera omnia, 38 voll., édit par Auguste Borgnet, Paris, Ludovicus Vives, 1890-1899, X, VI, 1, 1, pp. 159-160 [traduzione dal latino di chi scrive]. 119 unici, ad esempio «quando qualcosa, in natura accade di là dall’intenzione della natura stessa, come un sesto dito, o due teste su un unico corpo, o la mancanza di un dito».19 Menzionando esplicitamente le nascite mostruose umane, Alberto Magno le collocava al di fuori del corso ordinario della natura, senza con ciò voler affermare che esse fossero governate da cause diverse da quelle che presiedono al resto dell’universo: quelle cause, violando le aspettative abituali, si erano combinate in modi non specificabili e imprevedibili, per produrre qualcosa che era del tutto contingente, quindi, ancora una volta, lontano dalla sfera dell’universale e del necessario. In questo territorio, la meraviglia era cittadina indesiderata, come è bene espresso nel De mirabilibus mundi, scritto nel XIII secolo ed erroneamente attribuito ad Alberto Magno, ma comunque coerente con la sua visione: «è proprio del sapiente porre fine alla meraviglia che appare allo sguardo ingannevole degli uomini».20 Il filosofo scolastico quindi non vede la meraviglia. O meglio, la osserva da un mondo lontano e rarefatto di verità traslucide e intoccabili: da lassù, nascite mostruose o particolari meteorologici o topografici rari, che stupiscono così tanto il profano, appaiono solo come i necessari, per quanto imprevedibili, effetti di cause note e universali. È tuttavia importante sottolineare che l’idea di immutabilità delle norme naturali propria della scienza medievale è molto diversa da quella che si svilupperà a partire dal XVII secolo con la Rivoluzione Scientifica. Benché, infatti, i filosofi naturali del XIV secolo facessero talvolta ricorso alla parola lex per riferirsi all’ordine naturale, quasi sempre la intendevano piuttosto nel senso di regula: essi non concepivano il corso della natura come inesorabile nelle sue azioni, ma piuttosto come regolare, scandito da abitudine (habitus), inclinazione (inclinatio) o intenzione (intentio), ma in cui erano sempre possibili le eccezioni.21 E anche questo era un tema 19 Alberto Magno, Fisica, in Id. Opera omnia, III, II, 1, 17, pp. 151-152 [traduzione dal latino di chi scrive]. 20 Alberto Magno, De secretis mulierum libellus, scholiis auctus, & a mendis repurgatus. Eiusdem de virtutibus herbarum, lapidum, et animalium quorundam libellus. Item de mirabilibus mundi, ac de quibusdam effectibus causatis a quibusdam animalibus, &c.. adiecimus et ob materiae similitudinem Michaelis Scoti philosophi de secretis naturae opusculum, Lugduni [Lione], s.n. 1560, sig. X7v [traduzione dal latino di chi scrive]. 21 Su tali distinzioni semantiche: Robert McQueen Grant, Miracle and Nature Law in Graeco-Roman and Early Christian Thought, Amsterdam, North-Holland, 1952; John R. Milton, ‘The Origin and Development of the Concept of the Laws of Nature’, Archives of European Sociology, 22, 1981, pp. 173-195; Jane E. Ruby, ‘The Origins of Scientific Law’, Journal of the History of Ideas, 47, 1986, pp. 341-359. 120 in cui non mancavano le sottigliezze speculative: i filosofi della scolastica dovevano, infatti, precisare il rapporto tra le eccezioni che si manifestavano naturalmente e quelle riconducibili al miracolo, cioè al diretto intervento divino. Spettò a Tommaso d’Aquino, allievo di Alberto Magno, il compito di articolare con chiarezza questa distinzione.22 Così egli si esprime nel libro terzo della sua Summa contra gentiles (scritta tra il 1258 e il 1264): L’ordine che Dio impone alle cose corrisponde a quello che accade più di frequente, non già a quello che accade dovunque e sempre: poiché molte cause naturali producono i loro effetti nello stesso modo il più delle volte, ma non sempre. Talora, infatti, sebbene in pochi casi, capita diversamente, o per un difetto della virtù attiva, o per un’indisposizione della materia, o per un eccesso da parte di una virtù attiva, come quando la natura produce sei dita nell’uomo […]. Perciò se una virtù creata può determinare che l’ordine della norma più comune passi al caso eccezionale, senza mutazione della divina provvidenza, molto più la virtù di Dio può agire in certi casi, senza pregiudizio della sua provvidenza, al di fuori dell’ordine impresso da Dio alle cose naturali. Infatti talora Egli fa questo per manifestare la sua potenza.23 Da questo passo evinciamo che, per la filosofia tomista, potevano avere luogo tre tipi di accadimenti fisici: il primo era naturale, nel senso usato da Aristotele, cioè di «ciò che è sempre o per lo più»; il secondo, che si potrebbe definire ‘preternaturale’, era rappresentato da avvenimenti inusuali che dipendevano solo da una irregolare successione di cause seconde, e non implicavano la sospensione della normale provvidenza divina (è questo il tipo di avvenimenti tra i quali Tommaso colloca esplicitamente la deformità umana: l’uomo con sei dita); il terzo, l’unico veramente definibile ‘soprannaturale’, comprendeva i miracoli, compiuti direttamente da Dio senza scomodare le cause seconde, per manifestare la propria onnipotenza.24 22 Tommaso d’Aquino (1225-1274), fu un frate domenicano, definito doctor Angelicus dai suoi contemporanei. È Dottore della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. San Tommaso rappresentò una delle colonne portanti della teologia cattolica, costituendo il punto di raccordo tra la cristianità e i più importanti autori della filosofia classica, Socrate, Platone, Aristotele. Per un inquadramento generale sulla vita e sull’opera di Tommaso, si vedano Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Massimo Parodi, Storia della filosofia medievale, pp. 310-328; Raimondo Spiazzi, San Tommaso d'Aquino. Biografia documentata, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1997 e Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Bari-Roma, Laterza, 2002. 23 Tommaso d’Aquino, Somma contro i gentili, a cura di Tito S. Centi, Torino, UTET, 1975, 3.99, 910, pp. 87-88.24 Sul miracolo nella filosofia scolastica, si vedano Corrado Bologna, ‘Natura, miracolo, magia nel pensiero cristiano dell’alto Medioevo’, in Paolo Xella (a cura di), Magia. Studi di storia delle religioni 121 Una simile, sottile, distinzione tra preternaturale e soprannaturale comportava due importanti conseguenze concettuali: da un lato, è evidente che per Tommaso la nascita mostruosa (l’uomo con sei dita) non implicava l’intervento divino, e questo toglieva ogni possibilità all’interpretazione prodigiosa del mostro. Dall’altro, l’introduzione della duplice categoria di preternaturale e soprannaturale istituiva una diversa giustificazione del sentimento della meraviglia: il preternaturale risultava meraviglioso solo per i non istruiti, incapaci di leggere in esso il momentaneo intoppo del corso consueto della natura, mentre il miracoloso era – giustamente – meraviglioso per tutti. Da ciò derivava un preciso compito per il filosofo, quello di spiegare il preternaturale, di scoprirne i meccanismi causali per porre fine alla disprezzata meraviglia. Si trattava tuttavia di un impegno eccessivamente gravoso, data la natura sfuggente ed eterogena della materia di studio: al preternaturale i filosofi ascrivevano, infatti, giochi di prestigio, negromanzia, sostanze naturali dotate di proprietà occulte, e poi, naturalmente, fenomeni fortuiti e accidentali come, appunto, le nascite mostruose. Eppure, spogliare questo vasto corpus di preternaturale dal suo aspetto meraviglioso, per ricondurlo soltanto al dominio della natura, sembra essere stato un vero e proprio cruccio della filosofia scolastica, costantemente impegnata a sminuire la questione del meraviglioso. Vi erano due motivazioni alla base di questo impegno reiterato e quasi ossessivo: una di carattere filosofico (come abbiamo visto, spiegare causalmente la meraviglia, per porvi finalmente fine) e una di carattere sociale e teologico (opporsi alle credenze popolari e profane, erronee, e potenzialmente eretiche). Entrambe si condensarono in maniera completa e sistematica nel De causis mirabilium di Nicola di Oresme.25 in memoria di Raffaella Garosi, Roma, Bulzoni, 1976, pp. 253-272 e Benedicta Ward, Miracles and the Medieval Mind. Theory, Record and Event, 1000-1215, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1982, pp. 3-9; sul rapporto tra meraviglia e miracoli, Caroline Bynum Walker, ‘Wonder’, American Historical Review, 102, 1997, pp. 1-26. 25 Nicola d’Oresme (1323-1382), matematico, fisico, astronomo, filosofo, fu uno dei più famosi e influenti pensatori del tardo Medioevo; fu inoltre un teologo appassionato, traduttore competente, influente consigliere di re Carlo V di Francia e vescovo di Lisieux. Per la vastità dei suoi interessi, è considerato uno dei più originali pensatori del XIV secolo. Sulla sua vita e opera, si veda Ulrich Taschow, Nicole Oresme und der Frühling der Moderne: Die Ursprünge unserer modernen quantitativ-metrischen Weltaneignungsstrategien und neuzeitlichen Bewusstseins und Wissenschaftskultur, Halle, Avox Medien-Verlag, 2003. 122 Nella prefazione a questo trattato, collocabile cronologicamente intorno al 1370 e specificamente dedicato all’indagine delle cause degli eventi meravigliosi, l’autore dichiarò esplicitamente gli obiettivi che intendeva perseguire: Per dilettare un poco le menti delle persone, sebbene vada oltre la mia intenzione originaria, vorrei mostrare le cause di alcuni effetti che sembrano meraviglie, e dimostrare che questi effetti accadono secondo le leggi della natura, come fanno tutti gli altri di cui normalmente non ci meravigliamo. Non c’è alcun bisogno di ricorrere ai cieli, l’ultima risorsa delle menti semplici, o ai demoni, o al nostro sempiterno Dio, come se Egli causasse personalmente questi effetti, più di quanto non determini quelli le cui cause noi crediamo ben note.26 Come indica questo passo, uno dei punti cari a Nicola di Oresme sembra essere quello di combattere la fastidiosa tendenza profana di invocare Dio o i demoni come spiegazioni dei fenomeni preternaturali. Per molti versi, quindi, il trattato di Oresme proseguiva e completava la tradizione ostile alla meraviglia che ho descritto in questo paragrafo: egli insisteva, come i suoi predecessori, sulla contrapposizione tra le cause universali – le uniche indagabili dalla filosofia – e gli effetti particolari. Infatti, egli argomentava, era forse possibile indagare le cause di una categoria generale di eventi meravigliosi, ma non lo era spiegare ogni singola meraviglia individuale, allo stesso modo in cui si poteva descrivere il meccanismo della fame in generale, ma era impossibile delineare la differenza di fame e sete tra le singole persone: «chi può rappresentare le cause e le differenze particolari in tutti questi casi individuali? Certo solo Dio».27 Rispetto ai suoi predecessori, Oresme poneva tuttavia una nuova attenzione sulla varietà e diversità dei fenomeni naturali: se, infatti, la visione aristotelica della natura poneva l’accento sulla sua regolarità – abituale se non inviolabile – il filosofo parigino insisteva piuttosto sulla ricchezza delle differenze: Se sapessimo quali e quanti presupposti e circostanze sono necessari affinché il bisogno di mangiare si produca naturalmente, e quali e quante perché si generi 26 Nicola Oresme, De causis Mirabilium, in Bert Hansen (ed.), Nicole Oresme and the Marvels of Nature. A Study of his De causis mirabilium with Critical Edition, Translation and Commentary, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1985, pp. 136-137. Non esistendo un’edizione italiana di quest’opera, le indicazioni bibliografiche delle citazioni saranno tratte dall’edizione inglese sopra citata; le traduzioni italiane dal latino sono di chi scrive. 27 Ibid. pp. 224-225. 123 spontaneamente il desiderio sessuale, non ci meraviglieremmo circa le diversità in queste cose […]. È importante sottolineare questo: dobbiamo meravigliarci più quando la natura procede e agisce in modo tanto ordinato, rispetto a quando, talvolta, è alterata o devia dal suo cammino usuale, perché nel primo caso sono indispensabili moltissime cause ordinate. Infatti, si può centrare il bersaglio in un solo modo, ma in molti modi si può mancarlo.28 Ribaltando in questo modo la visione ormai tradizionale sulla ‘ripetitività’ della natura, Oresme suggeriva, in modo straordinariamente moderno, che non dovremmo meravigliarci dell’eccezione, ma della regola. Egli fece un’osservazione simile quando trattò delle nascite mostruose, delle quali, in linea con Tommaso, negava ogni lettura portentosa o soprannaturale, notando che è più degno di meraviglia il fatto che la natura il più delle volte non commetta errori in questo processo, che non quando fallisce. Ed è più degno di meraviglia che essa porti a compimento tutte le cose ordinatamente, visto che il fallimento può avere numerose cause, ma in un modo soltanto essa può compiere tutte le cose con successo, e per questo unico modo sono indispensabili molte condizioni.29 Oresme dimostrava in questo modo un minor pregiudizio nei confronti della molteplicità dei casi particolari quasi, si potrebbe dire, una ammirata curiosità. Il filosofo parigino anticipava in tal modo il percorso che sarebbe stato compiuto negli anni immediatamente successivi da alcuni medici di corte italiani per i quali le meraviglie (specie le proprietà miracolose di alcune piante o metalli) esercitarono un fascino irresistibile. Grazie alla loro mediazione si aprì uno spiraglio per un reintegro della meraviglia nel campo dell’indagine filosofica. È a questo momento di riscatto che rivolgeremo adesso la nostra attenzione. 28 Ibid. pp. 222-225. 29 Ibid. pp. 240-241. Sul mostruoso nell’opera di Oresme, cfr. Stefano Caroti, ‘Mirabilia e monstra nei Quodlibeta di Nicole Oresme’, History and Philosophy of the Life Science, 6, 1984, pp. 133-150. 124 2.2 To whatever Thing we first turn our Eyes, it is a Wonder and full of Wonders, if only we examine it for a Little: soluzioni per riabilitare la meraviglia Quasi contemporaneamente alla stesura del De causis mirabilium di Nicola Oresme, in Italia vedeva la luce il De fontibus calidis agri Patavini, nel quale erano raccolti i risultati di una ricerca sulle sorgenti termali, condotta sul campo da un medico padovano, Giovanni Dondi dall’Orologio.30 Nel suo trattato, Dondi indagava l’origine delle acque termali, dandone un’interpretazione innovatrice: mentre l’opinione generale riteneva che il calore delle acque fosse causato dal loro passaggio attraverso miniere sotterranee di zolfo, egli obiettò che se così fosse stato tutte le acque termali avrebbero dovuto essere anche sulfuree e calde per natura, e dimostrò, in accordo coi principi dei libri naturali aristotelici, che è invece il calore del suolo l’agente che rende calde le acque. Il trattato proseguiva illustrando la natura e le prescrizioni terapeutiche dei fanghi e si concludeva con una serie di consigli ai pazienti.31 Già nelle prime pagine dell’opera si percepisce un atteggiamento inedito nei confronti del meraviglioso. Di fronte alle straordinarie proprietà curative delle acque termali, Dondi confessa senza alcun complesso la propria originaria meraviglia, e anzi sottolinea come negli anni sia cresciuta, fino alla consapevolezza di un mondo in cui nulla esiste che non sia meraviglioso: «siamo nati in mezzo le meraviglie, e fra esse viviamo, da esse siamo circondati su ogni lato, in modo tale che qualsiasi cosa verso cui dirigiamo il nostro sguardo si rivela una meraviglia ricolma di meraviglie, se solamente la indaghiamo un po’».32 Il tono e il contenuto del passo appena citato sono del tutto nuovi, poiché con queste parole l’autore non soltanto abbandonava l’atteggiamento ostile alla meraviglia, tipico dei filosofi naturali cui ho accennato nel paragrafo precedente, ma 30 Giovanni Dondi dell’Orologio (1330-1388) fu un medico, astronomo, filosofo, poeta ed orologiaio italiano. Studiò medicina, astronomia, filosofia e logica presso l’università di Padova, nella quale insegnò dal 1354. La sua fama è legata soprattutto all’astrario (o sfera armillare), oggi perduto, da lui progettato e costruito a Padova. Per un profilo biobibliografico, si rinvia a Tiziana Pesenti, ‘Dondi dell’Orologio, Giovanni’, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 41, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1992, pp. 96-104. 31 Giovanni Dondi dell’Orologio, ‘De fontibus calidis agri Patavini’, in De balneis omnia quae extant apud Graecos, Latinos et Arabas, Tommaso Giunti, Venezia, 1553, foll. 94r-108v. Per un commento all’opera si veda Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science. During the First Thirteen Centuries of our Era, 8 vols., New York, Columbia University Press, 1923-1958, III, pp. 392396. 32 Ibid. fol. 95v [traduzione dal latino di chi scrive]. 125 aggiungeva che un esame accurato della realtà, lungi dal por fine alle meraviglie, ne moltiplicava il numero. Dondi apriva così la strada ad una vera e propria riabilitazione della meraviglia, e in questo ruolo di precursore un peso non marginale ebbe la sua formazione nelle scienze pratiche e non puramente speculative. Gli artefici di questo mutamento di prospettiva non furono, infatti, i filosofi accademici, bensì uomini con una formazione naturalistica che operavano in medicina, alchimia, farmacologia, magia.33 Tale nuovo atteggiamento nasceva, infatti, da un’esigenza eminentemente pratica, ovvero l’interesse verso tutte le meraviglie naturali da cui si potevano obiettivamente trarre benefici per l’essere umano: il primo campo d’indagine empirica sulla meraviglia fu quindi quello delle pratiche di cura (sostanze vegetali o animali dotate di particolari proprietà curative, sorgenti minerali o termali) che portarono così alla nascita di una vera e propria «terapeutica meravigliosa».34 Ma questi ambiti di studio non esaurivano l’interesse dei medici rinascimentali per gli aspetti meravigliosi della pratica medica. Gli autori di testi medici prestavano anche una crescente attenzione a specifiche condizioni fisiche: la prima e più originale opera su questo tema fu il De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis (1507), una raccolta di casi straordinari compilata dal medico fiorentino Antonio Benivieni.35 All’interno dell’opera, egli elencava una serie di 111 particolarità mediche, in gran parte ricavate dalla propria esperienza professionale: persone che vomitavano vermi, 33 Nel XIV secolo, i medici costituiscono un gruppo sociale compatto, i cui membri condividono una mentalità urbana, un orientamento laico coerente con i valori cortigiani dei loro protettori. Per un ritratto di questo ambiente si veda Paola Findlen, ‘Courting Nature’, in Nicholas Jardine, James A. Secord, Emma C. Spary (eds.), Cultures of Natural History, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 57-74.34 Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, pp. 137-146. Su questo argomento si vedano anche Jole Agrimi, Chiara Crisciani, Malato, medico e medicina nel Medioevo, Torino, Loescher, 1980, pp. 179-185; Edocere medicos. Medicina scolastica nei secoli XIII-XV, Milano, Guerini e Associati, 1988 e Nancy G. Siraisi, Medieval and Early Renaissance Medicine. An Introduction to Knowledge and Practice, Chicago, Chicago University Press, 1990, pp. 141-152. 35 Antonio Benivieni (1443-1502) fu un medico italiano del Rinascimento. Pioniere dell’anatomia patologica nel contesto più generale di ripresa, in Europa, della pratica autoptica caduta in disuso durante il periodo medievale, Benivieni fu inoltre l’autore dei primi studi empirici in campo teratologico. Il suo De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis fu pubblicato, postumo, dal fratello Girolamo. Per un profilo biobibliografico, si rinvia a Ugo Stefanutti, ‘Benivieni, Antonio’, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 8, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1966, pp. 543-545. Si vedano inoltre Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, IV, pp. 586-592 e Nancy G. Siraisi, The Clock and the Mirror. Girolamo Cardano and Renaissance Medicine, Princeton, Princeton University Press, 1997, pp. 152-158. Per un quadro generale dell’ambiente medico fiorentino, si veda Katharine Park, Doctors and Medicine in Early Renaissance Florence, Princeton, Princeton University Press, 1985. 126 una ragazza priva di vulva, un ladro che era sopravvissuto all’impiccagione, malattie croniche guarite con la preghiera, un uomo colpito dal fulmine, e così via. Ma più ancora della copiosa lista di mirabilia mediche sono significative le argomentazioni con le quali il medico fiorentino difendeva la propria scelta di studiare l’elemento meraviglioso. Così si esprimeva nella lettera dedicatoria del suo trattato: un medico che cura molti pazienti per molti anni conosce numerosi e differenti fenomeni degni di meraviglia. Desiderando, pertanto, affrontare questo tema, tutelato dalla mia età e dalla mia esperienza, racconterò brevemente di quelle cose che, nell’epoca in cui viviamo, sembrano meravigliose, o almeno da non rigettare. Ritengo che queste mie fatiche saranno sperabilmente un poco utili a molti, che potranno così conoscere dall’interno le cause segrete della natura.36 Si trattava dunque di un preciso programma d’indagine, in cui la ‘conoscenza dall’interno’ veniva affrontata in maniera letterale: Benivieni fu, infatti, fra i primi medici europei a riprendere la pratica delle autopsie dopo la sua eclissi nel Medioevo. La grandissima importanza dell’opera benivieniana, per cui egli è definito il padre dell’anatomia patologica, consiste nel fatto che tra le pagine del suo trattato il reperto clinico è, in un notevole numero di casi (circa venti fra gli oltre duecento presentati), corredato da quello necroscopico: egli ricercava nel cadavere le cause di morte e si sforzava di stabilire un parallelo tra la sintomatologia riscontrata in vita e le lesioni anatomiche rilevate nell’esame autoptico.37 Sulla scorta del lavoro di Benivieni, seguirono nel corso del Cinquecento numerose opere dedicate a casi medici straordinari, tra le quali troviamo il De admirandis curationibus et praedictionibus morborum di Girolamo Cardano (1565), il De monstres et Prodiges di Ambroise Parè (1573) e il voluminoso De medica historia mirabili di Marcello Donati (1586). Queste pubblicazioni, insieme a molte altre simili, testimoniano la ricchezza degli scritti di ‘medicina meravigliosa’ nel corso del XVI 36 Antonio Benivieni, De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis, a cura di Giorgio Weber, Firenze, Olschki, 1994, p. 49 [traduzione dal latino di chi scrive]. 37 Sull’uso degli esami autoptici, si veda Katharine Park, ‘The Criminal and the Sciently Body. Autopsy and Dissection in Renaissance Italy’, Renaissance Studies, 47, 1994, pp. 1-33. Sull’importanza, invece, dell’ambiente medico italiano per la riscoperta dell’uso della dissezione, si veda Roger French, Medicine before Science. The Business of Medicine from the Middle Ages to the Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, p. 113, il quale sottolinea che «in one studium, that of Bologna, the medical student in the first half of the fourteenth century would have met something unusual: human dissection». A questo tema, lo storico inglese ha interamente dedicato anche il suo Dissection and Vivisection in the European Renaissance, Aldershot, Ashgate, 1999. 127 secolo, non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa e, conseguentemente, la presenza di un pubblico entusiasta, bramoso di queste specifiche letture. Questo processo di riscatto della meraviglia, inaugurato come si è visto dalla classe medica, fu favorito da altri due fattori culturali indipendenti, ma che agirono sinergicamente nell’immaginario colto del Cinquecento: da un lato, la scoperta del Nuovo Mondo, l’età delle esplorazioni e il successivo affollarsi nel Vecchio Continente di meraviglie di ogni sorta;38 dall’altro, la nascita e lo sviluppo, negli ambienti d’élite di tutta Europa, della moda collezionistica, che esploderà in quegli scrigni stracolmi di pezzi rari d’arte e di naturalia che sono le Wunderkammern.39 Forzata da tutte queste pressioni, anche la filosofia subì una vera e propria rivoluzione: cause di tipo preternaturale (gli spiriti, l’immaginazione, le influenze celesti, le anime elevate) abbondano, ad esempio, nella cosmologia del più importante e influente filosofo del Quattrocento italiano, Marsilio Ficino.40 Ma fu nell’opera di Girolamo Cardano, medico, erudito e professore di medicina nelle università di Pavia e Bologna, che la meraviglia divenne non solo una parte importante della filosofia, ma in un certo senso il fulcro stesso dell’intera impresa filosofica.41 38 A questo proposito, Stephen Greenblatt, Marvelous Possessions. The Wonder of the New World, Chicago, University of Chicago Press, 1991, pp. 29-30 e 49-50 (Meraviglia e possesso. Lo stupore di fronte al Nuovo Mondo, traduzione italiana di Giovanni Arganese e Marco Cupellaro, Bologna, Il Mulino, 1994) ha dimostrato come questa retorica della meraviglia servisse a sostenere la conquista e l’assoggettamento della popolazione del Nuovo Mondo. 39 La letteratura critica sul collezionismo nel Rinascimento è molto vasta. Si segnalano qui Adalgisa Lugli, Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa, Milano, Gabriele Mazzotta, 1983; Oliver Impey, Arthur MacGregor (eds), The origins of museums. The Cabinet of Curiosities in Sixteenth-and Seventeenth-Century Europe, Oxford, Clarendon Press, 1985; Krzysztof Pomian, Collectors and Curiosities. Paris and Venice, 1500-1800, translated by Elizabeth Wiles-Portier, Cambridge, Polity Press, 1990; Giuseppe Olmi, L’inventario del mondo. Catalogazione della Natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 1992. 40 Marsilio Ficino (1433-1499), umanista e filosofo fiorentino, studiò i classici latini e greci, contribuendo alla nuova diffusione nell’Europa latina della filosofia aristotelica e platonica. La sua opera di traduzione ebbe un notevole influsso nel pensiero rinascimentale. Ficino vedeva nell’antica sapienza dell’Ellade la presenza di una rivelazione, di una pia philosophia che esiste dall’inizio dei tempi, ma che si è attuata compiutamente solo nel Cristianesimo: il suo ruolo principale fu appunto la mediazione tra le filosofie classiche e il credo cristiano. Per un inquadramento generale su Ficino: Cesare Vasoli, ‘Ficino, Marsilio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 47, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1997, pp. 378-395; si vedano inoltre Paul Oskar Kristeller, Die Philosophie des Marsilio Ficino, Frankfurt am Main, Klostermann, 1972 (Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, traduzione italiana di Patrizia Rossi, Firenze, Le Lettere, 1988) e Giancarlo Garfagnini, Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, 2 voll., Firenze, Olschki, 1986. 41 Girolamo Cardano (1501-1576 circa), fu matematico, medico, astrologo e filosofo. Studiò a Pavia, quindi a Padova, dove divenne dottore in medicina nel 1524. Dal 1534 insegnò matematica a Milano, svolgendo nel contempo la professione di medico. Dal 1547 al 1551 insegnò medicina a Pavia e dal 1562 a Bologna, per trasferirsi infine a Roma, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, subendo anche un processo per eresia. Per un inquadramento generale su Cardano (oltre al già citato volume monografico di Nancy G. Siraisi, The Clock and the Mirror. Girolamo Cardano and Renaissance Medicine) si vedano Giuliano Gliozzi, ‘Cardano, Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 128 Cardano interpretava, infatti, l’universo come una rete di interazioni occulte, percorsa dagli effetti della contingenza e del caso, in cui il raro e il meraviglioso divennero la chiave interpretativa del mondo fisico. Questo approccio allo studio della realtà appare chiaramente nella sua opera enciclopedica di filosofia naturale, il De rerum varietate (1557), che illustra il ruolo chiave svolto dalla meraviglia. Il trattato inizia con un esame di vari luoghi e regioni, seguiti da quelle che Cardano chiamava le meraviglie delle terra (ad esempio, i terremoti in Italia meridionale), le meraviglie dell’acqua (un lago pietrificante irlandese), le meraviglie dell’aria (i venti irresistibili dell’Assiria), le meraviglie dei cieli (la nascita di un mostro o di un muto). Seguivano ulteriori meraviglie, tratte dagli altri regni della natura – metalli, pietre, animali, piante e creature umane – con la constatazione che «il nostro tempo non ha conosciuto nulla che non sia meraviglioso, e la natura gioca altrettanto meravigliosamente nelle cose piccole che in quelle grandi».42 In tale apprezzamento della bellezza inesauribile della natura, che procede per accumulazione compulsiva, pare di riconoscere la medesima passione collezionistica che animava i proprietari delle Stanze di meraviglie. Ma qui, diversamente che in quelle collezioni di rarità, il filosofo giocava un ruolo di selezione accurata: egli analizzava i fenomeni, e proponendone le cause, decideva in quali casi la meraviglia fosse lecita, e in quali fosse invece dovuta soltanto all’ignoranza o alla superstizione: l’intento evidente di questa disamina era di riabilitare la meraviglia agli occhi della filosofia, presentandola come un sentimento estremamente differenziato, la cui intensità era attentamente calibrata sul suo oggetto dalla mente del saggio. Da un lato egli purgava dunque la filosofia dalle false meraviglie, ma proprio nello stesso momento riscattava il sentimento della meraviglia, proiettandola in una dimensione in cui non era più esito dell’ignoranza, ma – al contrario – della virtù e del gusto raffinato. 19, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1976, pp. 759-763; Alfonso Ingegno, Saggio sulla filosofia di Cardano, Firenze, La Nuova Italia, 1980; Nancy G. Siraisi, ‘Girolamo Cardano and the Art of Medical Narrative’, Journal of the History of Ideas, 52, 1991, pp. 581-602. 42 Girolamo Cardano, De rerum varietate, in Id., Opera omnia, 10 voll., Jean Antoine Huguetan, Marc Antoine Ravaud, Lyon, 1663, III, 8.43, p. 162 [traduzione dal latino di chi scrive]. 129 * * * Nel lungo percorso che ho delineato, la meraviglia è stata al centro di un vero e proprio dilemma, divaricato tra negazione e riabilitazione. Infine vincente, essa non è più né il motore della conoscenza come in Aristotele, né lo stupore devoto di Agostino, né la superstizione di Adelardo: è divenuta il campo privilegiato dell’indagine filosofica, quello in cui si misura la sottigliezza dell’intelletto. In questo cammino, un ruolo centrale fu quello della classe medica, che stimolò una libera e laica riflessione sulle cose meravigliose, facendole diventare un elemento talmente intessuto nella cultura della prima età moderna che essa si è potuta giustamente definire ‘Età della meraviglia’: this period can be called with justice an “age of wonder”. Wonder and wonders commanded attention – as objects of philosophical analysis, as the focus of a selfconscious sensibility, and as a nexus of cultural symbols – not only in the natural philosophy and medicine of the age, but also in its literature and art.43 In questa età delle meraviglie, ebbe senz’altro un ruolo centrale, baricentrico, quasi ossessivo, lo studio, la narrazione e l’interpretazione delle nascite mostruose di esseri umani. Ed è in questa direzione che d’ora in poi dirigeremo il nostro sguardo. 43 Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 172. 130 CAPITOLO TERZO Rather than a Wonder, they appear the Common Course of Nature: nascite mostruose tra orrore e curiosità, un modello d’indagine per la prima età moderna The scripture sayth, before the ende / Of all thinges shall appeare, / God will wounders straunge thinges sende / As some is sene this yeare. / The selye infantes, voyde of shape / The Calves and Pygges so straunge, / With other mo of such mishape / declareth this worldes chaunge. John D., A Description of a Monstrous Chylde, 1562. 3 Amongst all the thinges whiche maye be viewed under the coape of heaven, there is nothyng to be seene, which more stirreth the spirite of man, whiche ravisheth more his senses, whiche doth more amaze hym, or engendreth a greater terror or admiration in al creatures, than the mo[n]sters, wonders and abhominations, wherein we see the workes of Nature, not only turned arsiversie, misseshapen and deformed, but (which is more) they do for the most part discover unto us the secret judgem[en]t and scourge of the ire of God, by the things that they present, which maketh us to feele his marvellous justice so sharpe, that we be constrained to enter in our selves, to knocke with the hammer of our conscience, to examin our offences, and have in horrour our misdeeds, specially when we reade in Histories sacred and prophane, that oftentimes, the elementes have bene harolds, trumpetters, ministers and executioners of the Justice of God. Edward Fenton, Certaine Secret Wonders of Nature, 1569. * * * In un trattato pubblicato nel 1575, Cornelius Gemma, professore di medicina a Lovanio, stilava una lista di ‘razze mostruose’ orientali: Fauni, Satiri, Androgini, Ittiofagi, Ippopodi, Sciapodi, Imantipodi, Ciclopi. [Ma], non è necessario recarsi nel Nuovo Mondo per trovare esseri di tal gener; molti di questi, e altri ancora più orrendi, si possono trovare anche qua, in mezzo a noi, ora che le regole della giustizia sono calpestate, la natura umana ridicolizzata e ogni religione distrutta.1 Nel commento posposto all’elenco, Gemma suggeriva una nuova distribuzione geografica dei mostri, che avevano ormai invaso l’Europa, e la connetteva direttamente a una precisa involuzione di costumi morali e religiosi. Questo mutamento concettuale nella considerazione di un mostruoso ormai divenuto ‘domestico’ mette in luce che la nuova collocazione spaziale delle creature umane deformi non derivava soltanto dalla nuova immagine del mondo generata dalla grande stagione delle esplorazioni geografiche. È vero infatti che, da quando gli Europei avevano iniziato a conoscere e sperimentare personalmente la ricchezza esotica del Nuovo Mondo, le categorie di margini e centro erano state messe profondamente in crisi; ma questa spiegazione, come segnalano Lorraine Daston e Katharine Park, è soltanto parziale: il mutamento di sguardo nei confronti della deformità fisica era già pronunciato alla fine del Quattrocento, quando l’epoca delle spedizioni oltremare era ancora agli albori.2 Dopo avere pubblicato sei fogli volanti illustrati, in latino e in tedesco, su una serie di nascite mostruose avvenute tra il settembre 1495 e l’aprile 1496, l’umanista tedesco Sebastian Brant scelse invece di non pronunciarsi pubblicamente sulla nascita di un bambino con due teste avvenuta nel mese di giugno. Egli espresse con queste parole la motivazione del suo rifiuto: «alcune persone mi hanno sollecitato a scrivere, 1 Cornelius Gemma, De naturae divinis characterismis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, Antwerp, Christopher Plantin, 1575, pp. 7576 [traduzione dal latino di chi scrive]. Sul fisico e astronomo Cornelius Gemma (1535-1578) si veda Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science. During the First Thirteen Centuries of our Era, 8 vols., New York, Columbia University Press, 1923-1958, III, pp. 406-408. 2 Cfr. Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, 1150-1750, New York, Zone Books, 1998, p. 175 (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, traduzione italiana di Michelangelo Ferraro e Barbara Valotti, Roma, Carocci, 2000). 133 [e lo farei], se non fosse che i mostri sono diventati così frequenti. Piuttosto che una meraviglia, mi sembra che essi rappresentino il corso comune della natura nel nostro tempo».3 È chiaro che «il corso comune della natura nel nostro tempo» cui Brant si riferisce non può indicare un incremento numerico dei casi di nascite mostruose; le sue parole segnalano piuttosto che le notizie di parti straordinari circolavano con più facilità, grazie alla recente invenzione della stampa. Ma non soltanto: soprattutto esse testimoniano che i mostri erano oggetto di un’attenzione definibile a buon diritto quasi ossessiva. Dall’analisi dei numerosissimi opuscoli e fogli volanti che raccontavano, illustravano, decifravano le nascite mostruose, appare infatti evidente che la deformità fisica, letta e percepita come prodigio in chiave politica, religiosa, sociale, e poi gradualmente fatta oggetto di spettacolo e di indagine scientifica o parascientifica, costituì dall’inizio del Cinquecento un potentissimo filtro di interpretazione della realtà, sia a livello popolare sia colto. Questa straordinaria pervasività, se da un lato costituì l’ossatura di una visione del mondo radicata e duratura, dall’altro appare oggi un importante campo di indagine per la comprensione della storia culturale europea nei primi secoli dell’età moderna.4 Si trattò di un vero e proprio cambio di prospettiva di fronte alla mostruosità umana. Come ho segnalato nell’introduzione, la tradizione dei mostri come ‘prodigi individuali’ (nascite mostruose avvenute nel contesto della comunità locale, interpretate come segni della volontà divina) sopravvisse dall’antichità e per tutto il Medioevo, convivendo con un’altra tradizione complementare, quella delle ‘razze mostruose’ orientali (interi popoli che si riteneva avessero delle caratteristiche morfologiche peculiari, percepite come elementi di varietà all’interno del mondo naturale). Soltanto Agostino aveva cercato di unificare queste due tradizioni, 3 Il passo è citato da Dieter Wuttke, ‘Sebastian Brants Verhältnis zu Wunderdeutung und Astrologie’, in Walter Besch (hrsg.), Studien zur deutschen Literatur und Sprache des Mittelalters: Festschrift für Hugo Moser zum 65. Geburstag, Berlin, Erich Schmidt Verlag, 1974, p. 284 [traduzione italiana di chi scrive]. Cfr. inoltre Claude Kappler, ‘L’interprétation politique du monstre chez Sébastienne Brant’, in Marie-Thérèse Jones-Davies (éd.), Monstres et Prodiges au temps de la Renaissance, Paris, Jean Touzot, 1980, pp. 100-110. È possibile trovare riproduzioni di questo e altri fogli volanti in Sebastian Brant, Flugblätter, herausgegeben von Paul Heitz, mit 25 Abbildungen, Strassburg, Heitz und Mündel, 1915. Sebastian Brant (1458-1521), umanista, giurista e poeta alsaziano, è noto soprattutto per l’opera Das Narrenschiff (1494), una satira allegorica illustrata da Albrecht Dürer. Cfr. Sebastian Brant, Das Narrenschiff, mit allen 114 Holzschnitten des Drucks Basel 1494, herausgegeben von Joachim Knape, Stuttgart, Reclam, 2005. Per un’edizione italiana, si veda Id. La nave dei folli, con incisioni di Albrecht Dürer, Milano, Spirali, 1984.4 A questo proposito, Lorraine Daston e Katharine Park segnalano «the dramatic emergence of the prodigy tradition, in the years around 1500, as a matter of urgent and nearly universal concern» (Wonders and the Order of Nature, p. 175). 134 sminuendone l’intrinseca differenza, e riconducendo ogni manifestazione del mostruoso alla fantasia creatrice di Dio. Ma per tutto il Medioevo le due tradizioni continuarono ad esistere, parallele e distinte, fino appunto al XVI secolo, quando la tradizione dei ‘prodigi individuali’ assunse un ruolo egemone e le ‘razze mostruose’ persero centralità culturale. In questa evoluzione asimmetrica, un motivo non certo marginale fu l’interesse per l’elemento meraviglioso da parte della classe medica alla fine del Medioevo: alle ricerche di questi eruditi, come ho descritto nel secondo capitolo, va riconosciuto il merito di aver restituito alla meraviglia (e quindi a quella sua speciale manifestazione che è il ‘mostruoso’ umano) quello spazio di dibattito colto che le era stato negato dalla filosofia naturale. Anche le nuove conoscenze geografiche contribuirono a questo processo, così come la passione per gli oggetti bizzarri, raccolti con mai sazia curiosità dai collezionisti del Vecchio Continente. Ma con ogni probabilità la motivazione principale dell’irrompere di un vero e proprio immaginario prodigioso nell’Europa del Rinascimento è da ricercare nell’inquietudine religiosa che costituì l’humus da cui prese forma la rivoluzione luterana. Tutti questi elementi, convergenti, diedero risonanza ad una specifica ‘epifania’ della meraviglia – le nascite mostruose – che assunse un ruolo centrale nell’immaginario della prima età moderna. In uno studio apparso nel 1981, Lorraine Daston e Katharine Park cercarono di tracciare una linea di sviluppo dell’interesse moderno per le nascite mostruose, distinguendo tre momenti cronologicamente successivi, caratterizzati da tre distinti atteggiamenti culturali. In una prima fase, corrispondente agli anni immediatamente successivi al 1500, i mostri sarebbero stati trattati come prodigi (insieme ai terremoti, le inondazioni e le altre catastrofi naturali), cioè come segni della volontà divina, una lettura diffusa e amplificata dai conflitti religiosi; in una seconda fase, a cavallo tra XVI e XVII secolo, le creature deformi avrebbero perso il ruolo di ‘segno’, per essere intese solo come meraviglie di natura, esito della ricchezza della creazione più che dell’ira di Dio; infine, nell’ultimo decennio del XVII secolo, la mostruosità umana avrebbe perduto ogni legame con la lettura prodigiosa, per essere integrata completamente nella disciplina medica. In questa rigida scansione cronologica, quindi, il mostro sarebbe stato prima un prodigio, poi una meraviglia naturale, infine oggetto di indagine medica.5 5 Katharine Park, Lorraine Daston, ‘Unnatural Conceptions: the Study of Monsters in Sixteenth and Seventeenth-Century England and France’, Past & Present, 92, 1981, p. 23. Una medesima partizione 135 Alcuni anni dopo, un’analoga e altrettanto schematica partizione cronologica è stata proposta e arricchita da Dudley Wilson, che ricostruisce un’evoluzione dipanata in quattro distinte «attitudes»: la prima (dagli inizi del XVI secolo) vede i mostri deliberatamente inviati da Dio come segni della sua volontà; la seconda (cronologicamente molto ridotta: fine XVI – inizi XVII secolo) corrisponde alla curiosità per l’elemento naturale bizzarro, che trova la sua più evidente manifestazione nella fortuna del collezionismo; la terza, sebbene ancora intrisa di elementi teologici, è legata allo sviluppo delle riviste scientifiche del pieno XVIII secolo; la quarta, infine, corrisponde alle ricerche teratologiche del XIX secolo, caratterizzate da una reale e laica impostazione scientifica.6 Sebbene utili per articolare l’evoluzione di un immaginario complesso e variegato, queste scansioni appaiono, a mio avviso, caratterizzate da un eccessivo schematismo – estraneo alle naturali sovrapposizioni e convivenze di atteggiamenti diversi – e che può condurre talvolta a letture semplificate.7 I fenomeni culturali hanno natura più sfumata, e conoscono intrecci, rallentamenti, arresti, riprese; non stupisce, dunque, che due studiose attente come Lorraine Daston e Katharine Park, nel loro vasto studio intitolato Wonders and the Order of Nature (1998), abbiano rivisto sostanzialmente il loro modello, e sostituito, alle tre rigide fasi introdotte nell’articolo del 1981, tre diversi «complessi emotivo-cognitivi» – ovvero tre differenti reazioni di fronte al mostruoso umano – duttilmente sovrapponibili alle stesse altezze cronologiche: instead of three successive stages, we now see three separate complexes of interpretations and associated emotion – horror, pleasure, and repugnance – which cronologica era già in Georges Canguilhem, ‘Monstruosity and the Monstrous’, Diogène, 40, 1962, pp. 27-42 e Jean Céard, La Nature et les Prodiges, Geneva, Droz, 1977, pp. 365-373. 6 Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, p. 1.7 Ad esempio, mi pare di individuare un’eccessiva semplificazione da parte di Dudley Wilson: analizzando quella da lui definita la seconda «attitude», caratterizzata dal prevalere del gusto del bizzarro, e quindi dalla spettacolarizzazione del bambino ‘mostruoso’ a fini di lucro, lo studioso suggerisce che «the birth of a monster might well be a blessing consciously vouchsafed to a poor family by a benevolent creator» (Signs and Portents, p. 72, corsivo di chi scrive), leggendo così il mostro come ‘dono divino’, e mezzo di rivalsa sociale per i genitori. In realtà credo sia opportuna una lettura più cauta, che vede nel mostro un fenomeno polisemico: da un’analisi attenta dei resoconti, emerge che spesso, anche quando il mostro è fonte di speculazione economica, rimane comunque prodigio, e può continuare ad essere letto almeno parzialmente come messaggio d’ira divina (cfr. Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 50). 136 overlapped and coexisted during much of the early modern period, although each had its own rhythm and dynamic.8 In quanto portenti che annunciavano ira divina e catastrofi imminenti, i mostri suscitavano orrore: in essi, la sospensione delle consuete leggi di natura era letta come segno di una rottura nell’ordine morale. In quanto meraviglie, essi invece destavano piacere: creature rare ma non minacciose, riflettevano un’estetica della varietà e dell’ingegnosità della natura. In quanto deformità o errori naturali, infine, i mostri ispiravano ripugnanza; non erano né funesti né ammirevoli, bensì deplorevoli: il prezzo da pagare, di tanto in tanto, per la bellezza e la regolarità della natura. Il concetto di «complesso emotivo-cognitivo», introdotto da Daston e Park, è persuasivo e potente.9 Con la sua commistione di aspetti conoscitivi ed emozionali, la nozione di ‘complesso’ traccia i contorni di una visione del mondo articolata, e allo stesso tempo segnala la possibilità di sovrapposizioni e convivenze tra reazioni diverse. Ciò che non convince fino in fondo è, tuttavia, la scelta di identificare tre differenti ‘complessi’ (orrore, piacere, ripugnanza). La terza reazione proposta da Daston e Park sarebbe – secondo le due studiose – tipica della mentalità scientifica sviluppatasi tra la fine del Seicento e il Settecento, e legata all’identificazione del ‘mostro’ come violazione della ‘norma’ naturale; tale errore desterebbe, appunto, una reazione di ripugnanza. Ma, per quanto attiene alle fonti inglesi del periodo 15501715, oggetto della mia ricerca, questa reazione non è ancora attestata; anzi, come discuterò nell’ultimo capitolo di questo lavoro, la reazione dei medici – tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo – sarà, ancora, di curiosità e di interesse, inevitabili ‘motori’ della ricerca scientifica, e del piacere della conoscenza. Nelle pagine che seguono, ho scelto perciò di analizzare due sole reazioni di fronte al ‘mostro’, precisando ancora che non si tratta di due fasi che si succedono, ma di due ‘complessi emotivo-cognitivi’ che convivono lungo tutto il periodo esaminato. Essi caratterizzarono – insieme – la reazione al mostruoso umano nel corso della 8 Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 176. 9 Cfr. Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 176: «this complexes of reactions to monsters were at once cognitive and emotional». La definizione data dalle due studiose si può agevolmente confrontare con quella suggerita dalla psicanalisi, nell’ambito della quale si definisce ‘complesso’ «un insieme organizzato di rappresentazioni e di ricordi con forte valore affettivo, parzialmente o totalmente inconsci» (Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 74; Vocabulaire de la psychanalyse, Paris, Presses Universitaires de France, 1967). Usata in questo specifico senso, la parola definisce l’esistenza di una ‘rappresentazione parzialmente inconscia’, che determina sia il modo in cui il soggetto (ri)conosce l’oggetto che ha davanti, sia la reazione emotiva che si accompagna all’atto cognitivo. 137 prima età moderna, e saranno definiti e analizzati separatamente solo per esigenze di trattazione. Comincerò esplorando il ‘complesso dell’orrore’, che vedeva nei mostri il segno della collera divina, per prendere poi in esame il ‘complesso della curiosità’, in cui il mostro umano era oggetto di stupore, rarità da contemplare, caso da studiare. 3.1 God doth send them as Presages and Forewarnings of Sorrowfull Adventures, Motions, Brutes, Troubles and Commotions to come: i mostri e l’orrore Nel marzo 1512, lo speziale fiorentino Luca Landucci annotava sul suo diario: A Ravenna era nato d’una donna un mostro, el quale venne qui disegnato; e aveva in su la testa un corno ritto in su che pareva una spada, e in iscambio di braccia avea due ali a modo di pipistrello, e dove sono le poppe, avea dal ritto un fio, e dall’altra avea una croce, e più giù, nella cintola, due serpe, e ove è la natura era di femmina e di maschio; di femmina era di sopra nel corpo, e maschio di sotto; e nel ginocchio ritto avea un occhio, e ’l piè manco avea d’aquila. Lo vidi io dipinto, e chi lo volle vedere, in Firenze.10 Come è evidente dalla descrizione del Landucci, il mostro di Ravenna rappresenta una costruzione iconografica complessa, in cui con ogni probabilità materiali figurativi diversi e di differenti provenienze sono stati consapevolmente incastonati su una nascita mostruosa reale (fig. 1). 11 Particolarmente interessante è la notizia che 10 Luca Landucci (1437-1516), speziale fiorentino, condusse la vita ordinaria del modesto commerciante al minuto, lontano da qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica. Non ricoprì, infatti, cariche di governo, amministrative o diplomatiche per la Repubblica, né ebbe posti di rilievo nell’arte di appartenenza. Fu un attento osservatore degli eventi che segnarono il suo tempo, e di questa attenzione è testimone il suo Diario. Per un profilo biografico, si veda Stefano Calonaci, ‘Landucci, Luca’, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 63, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2004, pp. 543-546. Il passo appena citato è tratto da Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516. Continuato da un anonimo fino al 1542, a cura di Iodoco Del Badia, Firenze, Sansoni, 1883, p. 314. La prima testimonianza sulla creatura ravennate è quella del cronista romano Sebastiano di Branca Tedallini: «Al dì 8 marzo. Come in Ravenna è nato di una monica et un frate un mammolo a questo modo che te scrivo. Haveva la testa grossa, con un corno nella fronte et una bocca grande; nello petto tre lettere come vedi qua: YXV, con tre peli allo petto; una gamba pelosa con una zampa de diavolo, l’altra gamba de homo con un occhio in mezzo alla gamba; mai homo se recorda simile cosa. Lo governatore dela tera mandàne nella carta a papa Iulio 2°» (Diario romano dal 3 maggio 1485 al 6 giugno 1524, a cura di Pietro Piccolomini, in Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXIII, parte III, appendice 3, Città di Castello, Lapi, 1907, p. 327). 11 Questa e tutte le altre figure citate nel testo sono raccolte nell’appendice iconografica posta alla fine del lavoro. Sul mostro di Ravenna, sulla sua costruzione iconografica e la sua interpretazione, si 138 Landucci riferiva subito dopo aver descritto il mostro. Diciotto giorni dopo la sua nascita, continuava infatti il cronista fiorentino, truppe papali, spagnole e francesi presero Ravenna e saccheggioronla e feciono molte crudeltà [...]. Vedi se ’l mostro indovinava loro qualche gran male! E pare che sempre seguiti qualche gran cosa a quella città dove nascono tal cose: così intervenne a Volterra ch’andò a sacco, e poco tempo innanzi vi nacque un simile mostro.12 Nel redigere il suo diario, Landucci ricalcava in un certo senso le orme di un altro cronista di cui ho parlato all’inizio del capitolo secondo: Giovanni Villani. Come il suo predecessore, lo speziale fiorentino raccontava una nascita mostruosa, e descriveva con ricchezza di dettagli la non comune creatura. Ma se Villani esprimeva un generico orrore di fronte all’evento straordinario, due secoli dopo Landucci istituiva uno specifico legame con un preciso evento politico.13 Non si tratta di una differenza di poco conto, piuttosto di un chiaro segno di una vera e propria ‘cultura del presagio’ che – come è stato studiato da Ottavia Niccoli nell’ambito della società italiana del Rinascimento – coinvolse capillarmente l’intera società europea della prima età moderna, senza distinzioni di ceto e di livello culturale, «tra il banco e la piazza, tra il pulpito e la navata, nelle botteghe e nei mercati dove stampe e fogli volanti venivano mostrati, venduti, discussi».14 Questa straordinaria pervasività della ‘cultura del presagio’, favorita dalla diffusione della stampa, esplose in un primo momento nell’Italia e nella Germania della fine del Quattrocento, in relazione a particolari contesti politici e religiosi: in Italia, prese avvio dagli insegnamenti apocalittici di guide spirituali come Girolamo Savonarola, e si nutrì del senso di crisi generato dalle invasioni delle armate francesi e imperiali, e dalle disastrose sconfitte degli eserciti locali; in Germania, essa costituì vedano Rudolf Schenda, ‘Das Monstrum von Ravenna. Eine Studie zue Prodigienliteratur’, Zeitschrift für Volkskunde, 56, 1960, pp. 209-225 e Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 52-77.12 Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, p. 315. 13 Come segnalano Lorraine Daston e Katharine Park, la creatura mostruosa era solitamente interpretata come segno di una catastrofe collettiva, che giungeva a punire l’intera comunità, rea tutta insieme di una qualche colpa: «because such catastrophes were communal, Christians usually interpreted monsters as signaling not individual but collective sin» (Wonders and the Order of Nature, p. 181). Questo è in parte vero per nascite che venivano interpretate come annuncio di catastrofi naturali, pestilenze, o guerre. È tuttavia opportuno essere cauti e non generalizzare, poiché – come si vedrà nei casi inglesi discussi nei prossimi capitoli – non mancano esempi in cui la nascita mostruosa è letta come punizione specifica per la famiglia, spesso in relazione alla condotta peccaminosa della madre. 14 Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, p. 4. 139 una reazione alla minaccia turca, oltre che alla continua tensione politica interna tra l’imperatore e i principi tedeschi.15 In entrambi questi contesti, la pubblicistica raccoglieva il senso di angoscia, e lo restituiva, diffondendolo e amplificandolo. Infatti, come è stato segnalato da Lorraine Daston e Katharine Park, l’insieme di vocaboli a cui gli autori di opuscoli e fogli volanti facevano ricorso per descrivere gli eventi prodigiosi non lasciavano dubbi sull’emozione che essi avrebbero dovuto provocare sui lettori, indipendentemente dalla lingua utilizzata: per fare solo alcuni esempi, in italiano, le nascite erano descritte come orrende, orrevoli, horribili, spaventevoli, o stupende; in francese espouventable, terribles, horribles; in tedesco erschroeckliche, grausame, grewliche; in inglese dreadful, horrible, terrible. Questa scelta lessicale, omogenea pur nelle differenti lingue europee, evidenzia che i mostri, come altri prodigi quali i terremoti o le comete, suscitavano un’emozione di paura intensa, identificata come orrore.16 Gli opuscoli e i fogli volanti sulle nascite mostruose, che costituivano i vettori principali della ‘cultura del prodigio’, possedevano un alto grado di variabilità strutturale, oltre che di lunghezza e di livello di elaborazione. Alcuni erano semplicemente descrittivi, costituiti da un’immagine fortemente icastica accompagnata da poche righe di commento, che indicavano la data e l’ora di nascita, i nomi dei genitori e degli eventuali testimoni. Altri, come i Flugblätter di Sebastian Brant, contenevano un lungo testo fortemente moralizzante e allegorico, con l’immagine in secondo piano rispetto alle riflessioni sul significato spirituale o politico da attribuire alla creatura deforme. Ma tutti appartenevano a quel genere letterario che è stato definito da Maria Josè Vega teratoscopia, e che leggeva nel mostro un segno da interpretare. Alla studiosa spagnola si deve, infatti, una rigorosa analisi e partizione della ‘letteratura prodigiosa’ nel XVI secolo, distinta in tre diversi modelli testuali di riferimento, a cui corrispondevano tre diversi approcci al prodigio 15 Per un quadro del contesto italiano in cui si sviluppò la cultura dei presagi, Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, specialmente i capitoli 1 e 2; per il contesto tedesco Dieter Wuttke, ‘Sebastian Brants Verhältnis zu Wunderdeutung und Astrologie’, pp. 272-286; Id., ‘Sebastian Brant und Maximilian I. Eine Studie zu Brants Donnerstein-Flugblatt des Jahres 1492’, in Otto Herding, Robert Stupperich, (hrsgg.), Die Humanisten in ihrer politischen und sozialen Umwelt, Boppard am Rhein, Harald Boldt Verlag, 1976, pp. 141-176; Id., ‘Wunderdeutung und Politik. Zu den Auslegungen der sogenannten Wormser Zwillinge des Jahres 1495’, in Kaspar Elm, Eberhard Gönner, Eugen Hillenbrand (hrsgg.), Landesgeschichte und Geistesgeschichte. Festschrift für Otto Herding zum 65. Geburstag, Stuttgart, W. Kohlhammer, 1977, pp. 217-244; Irene Ewinkel, De Monstris. Deutung und Funktion von Wundergeburten auf Flugblättern im Deutschland des 16 Jahrhunderts, Tübingen, Niemeyer, 1995, soprattutto pp. 102-118 e 227-237. 16 Cfr. Lorraine Daston, Katherine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 181. 140 in generale e alla nascita mostruosa in particolare: le teratoscopie, le cronologie (o cronache) e le taumatografie (o historiae monstrorum).17 La teratoscopia (dalla parola greca téras, che indica sia l’essere mostruoso che il segno del cielo) sottintende precisamente il filone dell’arte divinatoria che si occupa di interpretare il mostro come segno della volontà divina, o come nunzio di cose future. Nell’approccio teratoscopico, il mostro viene letto, analogicamente o allegoricamente, nella convinzione che la sua causa ultima sia la volontà divina di significare qualcosa.18 Il secondo gruppo di testi sui prodigi è quello delle cronologie o cronache, che proponevano una compilazione di tutti gli avvenimenti portentosi della storia del mondo, disposti secondo un rigoroso ordine cronologico, e sempre seguiti da un’interpretazione sul significato dottrinale, allegorico o profetico; le fonti spaziavano dalle Scritture, agli storici greci, latini e cristiani, per giungere fino ai prodigi del presente: attraverso l’accumulazione di casi particolari, si tentava di sistematizzare una sorta di alfabeto occulto della divinità.19 Per quanto ordinate in modo diverso e con finalità non sempre analoghe, le teratoscopie e le cronologie del Cinquecento condividono una tesi comune e fondante: i fenomeni del meraviglioso annunciano avvenimenti futuri, o calamità prossime, o addirittura l’imminente apocalisse. Diversa è invece la natura della terza tipologia testuale identificata da Maria Josè Vega, la taumatografia, che si avvicina all’evento meraviglioso dal punto di vista della filosofia naturale, ricercandone le cause, ed escludendo più o meno esplicitamente una lettura divinatoria. 20 Nata nel XVI secolo, ma sviluppatasi 17 María José Vega, Mostri e prodigi all’epoca della Riforma, traduzione italiana di Samanta Martelli, illustrazioni di Carolina Valcárcel, Roma, Salerno Editrice, 2008 (Los libros de prodigios en el Rinacimiento, Barcellona, Bellaterra, 2002), pp. 10-15. 18 Sulla diffusione della divinazione legata alle nascite mostruose, specie in ambito protestante, si veda specificamente Maria Josè Vega, ‘La monstruosidad y los signos: formas de la presignificaciòn en el Renacimiento y la Reforma’, Signa, 4, 1995, pp. 225-242. La diffusione della parola “teratoscopia” nel XVI secolo si deve a Gaspar Paucer, professore a Wittenberg, che la scelse come titolo di una delle parti del suo trattato sulla divinazione, uno dei più diffusi in ambito protestante: Caspar Peucerus, Commentarius de praecipuis divinationum generibus in qua a prophetiis divina autoritate traditis, et Physicis praedictionibus, separantur Diabolicae fraudes et superstitiosae observationes, et explicantur fontes ac causae Physicarum praedictionum, Diabolicae et superstitiosae confutata damnatur, Witebergae, Johannes Cratus, 1553. 19 Il catalogo di prodigi più importante del XVI secolo è la lunga cronaca di Licostene: Konrad Wolffhart Lykosthenes, Prodigiorum ac ostentorum Chronicon: quae praeter naturae ordinem, motum, et operationem, et in superioribus et his inferioribus mundi regionibus, ab exordio mundi usque ad haec nostra tempora, acciderunt, Basilea, H. Petri, , 1557. 20 Una ricca taumatografia, così definita fin dal titolo, è quella di Joannes Jonstonius, Thaumatographia Naturalis, in 10 classes distincta, in quibus admiranda 1. Coeli. 2. Elementorum. 3. Meteorum. 4. Fossilium. 5. Plantarum. 6. Avium. 7. Quadrupedum. 8. Exanguium. 9. Piscium. 10. Hominis, Amstelodami, Apud Guglielmum Blaeu, 1632. 141 piuttosto in quello successivo, la taumatografia cerca di spiegare i mostri e i prodigi a partire dai meccanismi naturali noti, e li intende come errori casuali e come curiosità di natura, non più come segni.21 Le teratoscopie e le cronologie costituirono tuttavia l’apice colto della ‘cultura del prodigio’ cinquecentesca, e in esse domina l’idea di fondo che Dio marchi con precisi segnali i momenti più importanti della storia del mondo, le fasi di passaggio da un’era all’altra, l’arrivo di grandi profeti o di uomini dotti, i fatti politici più rilevanti e soprattutto il momento in cui si avvicina il Giudizio. Ed è proprio questa la visione della nascita mostruosa condivisa dai compilatori di opuscoli e fogli volanti. Come abbiamo visto nel Diario di Luca Landucci da cui siamo partiti, talvolta di fronte al mostro il narratore si limitava a leggere un disastro imminente o a spiegarlo, retrospettivamente. Ma c’era chi, invece, si spingeva ancora oltre, facendo specifico riferimento ai peccati che avevano generato l’ira e l’avvertimento divino, e mettendo in relazione con tali peccati anche la configurazione fisica del mostro, quasi che il corpo deforme fosse una scrittura cifrata da fare oggetto d’ermeneutica. A proposito del mostro di Ravenna, ad esempio, il cronista francese Johannes Multivallis diede una lettura molto più esplicitamente allegorica rispetto a quella di Landucci: il corno [significa] superbia; le ali, la leggerezza mentale e la volubilità; l’assenza delle braccia, una mancanza di opere buone; il piede da rapace, avarizia, usura e ogni tipo di cupidigia; l’occhio sul ginocchio, un’attitudine morale esclusivamente rivolta 21 In realtà, molti autori del Cinquecento tentarono di conciliare le due visioni contraddittorie del mostro come segno e come errore casuale della natura, affermando che la scoperta delle cause naturali di un fenomeno non implica un suo impoverimento allegorico: l’eclissi è certamente un’ombra interposta, ma fu Dio a determinare che avvenisse in coincidenza con la crocifissione. Emblema di questa conciliazione, spesso introdotto all’inizio dei libri prodigiorum come giustificazione della liceità della divinazione, fu l’episodio di Lampone narrato da Plutarco nella vita di Pericle (Plutarco, Vite parallele, 3 voll., introduzione, traduzione e note di Carlo Carena, Milano, Mondadori, 1981, I, Vita di Pericle, 6, pp. 550-551). A questo proposito, si legga Maria Josè Vega: «Un giorno fu portata al maestro [di Pericle, il filosofo Anassagora,] la testa di un ariete che aveva un solo corno. L’indovino Lampone, che era presente, interpretò il fenomeno come un segno certo del futuro della Stato: la rivalità tra i due partiti che si disputavano il potere – quello di Tucidide e quello dello stesso Pericle – si sarebbe risolta con la vittoria e il predominio di uno solo dei due. Anassagora, invece, spezzò il cranio in due parti e mostrò che il cervello dell’animale si era spostato nel luogo in cui si trovava la radice dell’unico corno. Il testo segnala che Anassagora conquistò l’ammirazione di tutti, ma che, poco dopo, ad essere ammirato fu Lampone, quando, con la caduta di Tucidide, tutto il potere della repubblica passò nelle mani di Pericle. Niente avrebbe impedito – osserva Plutarco – la coincidenza delle interpretazioni del filosofo e dell’indovino, dato che il primo ha indicato le cause e il secondo ha segnalato i fini. L’uno analizzò cosa fosse accaduto e come si fosse originato, l’altro chiarì il senso e il significato del fatto. La scoperta delle cause non comporta la distruzione o l’invalidazione dei segni» (Mostri e prodigi all’epoca della Riforma, p. 16). 142 alle cose terrene; il doppio sesso, sodomia. A motivo di questi vizi, l’Italia è devastata dalla guerra, che il re di Francia non ha compiuto con la sua propria forza, ma soltanto in quanto flagello di Dio.22 In questa lettura moralizzante, il mostro, gli eventi politici, la rottura dell’ordine morale e il castigo divino costituivano un unico nucleo concettuale, e la creatura ravennate risultava infine un sigillo apposto da Dio sulla storia.23 Ci si potrebbe a questo punto domandare se un tale complesso di segni e di significazioni sia un caso isolato, e strettamente legato ad una costruzione iconografica che ha chiari tratti di artificiosità. Come si è accennato sopra, infatti, se non si può certo escludere che nel marzo 1512 a Ravenna si sia effettivamente verificata la nascita di una creatura deforme, è certo che le sue raffigurazioni, così come descritte da Luca Landucci, e da Johannes Multivallis, furono quasi totalmente costruite operando un ‘montaggio’ di materiali figurativi preesistenti. Tuttavia, letture allegorizzanti altrettanto esplicite si possono trovare anche a proposito di nascite mostruose che non hanno subito alcun processo di elaborazione figurativa. È il caso, reale, di una bambina nata a Marano, alle porte di Bologna, nel gennaio 1514.24 La piccola, figlia dell’ortolano Domenico Malatendi, aveva due facce, due bocche, tre occhi e nessun naso. In cima alla testa aveva un’escrescenza, che fu definita una cresta rossa, oppure anche una vulva. Fu portata a Bologna per essere battezzata la domenica del 9 gennaio, probabilmente giorno della nascita, e qui il sacramento le fu impartito nella cattedrale di San Pietro dal vescovo in persona, il cardinale Achille Grassi, segno di quanto significato si riponesse nella sua nascita. La bambina, cui fu posto il nome di Maria, visse solo quattro giorni, ma ebbe notevole notorietà, favorita anche da altri eventi prodigiosi concomitanti con la sua nascita.25 22 La citazione di Johannes Multivallis Tornacensis è tratta dalla sua prosecuzione della cronaca di Eusebio di Cesarea: Eusebii Caesarensis episcopi Chronicon, Henri Etienne, Paris, 1512, fol. 175 r-v [traduzione italiana di chi scrive]. 23 Sulla mescolanza di coloritura politica e sfumatura religiosa nella descrizione di Multivallis, cfr. Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, pp. 76-77. 24 Le fonti di questo caso sono: Giovanni F. Negri, Annali della patria, VII, c. 145 r. (Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 1107); Cronica di Friano degli Ubaldini, c. 32 v. (Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 430); Cronaca della città di Bologna di Nicolò Seccadinari, III, non paginato (Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 437); Cronica Bianchetti, II, p. 366 (Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, ms. Malvezzi 60). Tutte queste fonti sono citate in Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, p. 78. 25 Fu Marino Sanuto a istituire una connessione tra la nascita di Maria Malatendi, il terribile incendio che arse il fondaco di Rialto a Venezia la notte del 10 gennaio 1514 e i tre soli, le tre lune e il fuoco misterioso visti in cielo nell’arco del giorno 11 (Diarii, 58 voll., a cura di Rinaldo Fulin et al., Venezia, Visentini Editore, 1879-1903, XVII, coll. 458-61, 506, 530). 143 La bambina bicefala bolognese fu subito fatta oggetto di pronostico e, come segnala Ottavia Niccoli ripercorrendo la diffusione di questo caso tra diversi fogli volanti, essa fu intesa come segno di pestilenza, come annuncio di terremoto o presagio di guerra. Tutte queste letture, tuttavia, erano generiche e non strettamente legate alla particolare anatomia della creatura. Assai più interessante è invece una lettera anonima inviata da Roma a Venezia, all’indirizzo dell’oratore pontificio Pietro Dovizi da Bibbiena, in cui l’analisi del corpo mostruoso si faceva chiaramente simbolica e politica. A partire proprio dall’interpretazione dell’escrescenza sulla testa, intesa come vulva, l’anonimo scriveva: de la vulva voglio esprimere con le lacrime a li ochii, videlicet Italia è diventata questo monstro con li ochii serrati e con due facie che guardano in due diverse parte per la sua divisione, riguardando una parte secondo la afectione et propri commodi a ponente, et l’altra secondo le passioni a tramontana; e cussì divisa et excecata, heu misera! è diventata un monstro. La vulva aperta in capite è quella patria et provintia la quale sì longamente ha conservato et defeso la beleza, la virginità et pudicizia di la calamitosa Italia; da poi così prostrata et con la vulva aperta, sono venuti a luxuriar et debacar tanti externi che abbiamo visti in facia; insino a questa hora, ancora invita de li altri più estranei. Et notate bene, che questo monstro nato nel bolognese ha due facie, et per le due boche – come scrive il governatore di quella città – piglia el latte et nutrimento, el quale descende per uno loco medesimo ne lo stomaco, perchè li dui visi rispondeno a uno collo solo, et il resto del corpo è facto di femmina, ad instar di la povera Italia, de la quale ogni homo fa suo disegno come di femmina e meretrice.26 L’anonimo autore della lettera collegava dunque direttamente la nascita della bambina bolognese all’ambiguità della politica papale: nell’inverno 1513-1514, infatti, Leone X oscillava tra la volontà di accordo con la Francia o con l’Impero, e nel frattempo le truppe imperiali saccheggiavano l’Italia, mentre Venezia sembrava propensa a chiedere aiuto ai Turchi. Maria Malatendi portava scritta sul corpo l’intera struttura di questo conflitto: i suoi occhi ciechi e il duplice volto significavano un’Italia accecata e divisa, volta ora a ponente, ora a settentrione, mentre la vulva aperta sul suo capo (in un’immagine potente in cui il corpo femminile era immagine della terra, e la terra era descritta attraverso l’anatomia femminile) indicava il territorio ormai dischiuso ad 26 La lettera è riportata da Marino Sanuto, Diarii, XVIII, col. 34. 144 ogni violenza, che lasciava libero il passaggio agli stranieri, e anzi sembrava chiamarne di sempre più lontani («invita de li altri più estranei»).27 L’analisi della lettera anonima mostra dunque chiaramente come non soltanto mostri creati ad hoc, come la creatura di Ravenna, ma anche nascite mostruose ‘reali’ venissero interpretate come ‘segni’ soprannaturali relativi a precisi avvenimenti politici, in chiave di aperta propaganda, e non soltanto nella pubblicistica ma anche nell’ambito dell’epistolografia. Questa attenzione allegorizzante sui dati anatomici della creatura deforme spiega peraltro anche i motivi per cui tanti resoconti di nascite mostruose contenevano immagini: oltre a costituire un richiamo potentissimo per i potenziali fruitori (e in molti casi essendo l’unica possibilità di fruizione per un pubblico non alfabetizzato), le immagini potevano essere lette allegoricamente e usate come oggetti di meditazione, che aiutavano a richiamare alla mente i peccati (o in senso lato le scelte politiche) da evitare e le conseguenze che si sarebbero potute verificare contravvenendo alla volontà divina.28 Dalla breve disamina fin qui condotta di quello che è stato definito il ‘complesso dell’orrore’, appare chiaro che quando il mostro è interpretato come prodigio, fortissimo è il suo legame con i grandi eventi pubblici; nutrendosi di un’angoscia collettiva, il complesso dell’orrore trae forza da condizioni politiche e sociali di notevole instabilità, come invasioni, guerre civili, conflitti religiosi. In Italia il punto più alto nell’interesse per i prodigi si toccò nel periodo tra il 1494 e il 1530, cioè durante la fase più violenta delle guerre italiane. In Germania, invece, l’interesse per i prodigi sorse negli anni della riforma Luterana e proseguì fino a buona parte del Seicento, alimentato dallo scontro tra principi cattolici e protestanti, che rappresentò a lungo la minaccia principale per la stabilità della società tedesca, e si può considerare concluso solo con la pace di Vestfalia (1648). In questo conflitto tra sostenitori e oppositori di Martin Lutero, fin dagli anni venti del Cinquecento, i mostri divennero un punto di riferimento costante nella guerra di propaganda. 27 Il caso del mostro di Bologna, qui brevemente descritto, è ampiamente documentato e discusso da Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, pp. 78-86. 28 Sull’importanza delle immagini come oggetto di meditazione religiosa, si vedano David Freedberg, The Power of Images. Studies in the History and Theory of Response, Chicago, University of Chicago Press, 1989, pp. 161-191 (Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, traduzione italiana di Giovanna Perini, Torino, Einaudi, 1993) e Jennifer Spinks, Monstrous Births and Visual Culture in Sixteenth-Century Germany, London, Pickering & Chatto, 2009. 145 L’opuscolo più significativo di questa propaganda fu proprio il Deuttung der czwo grewlichen Figuren di Filippo Melantone e Martin Lutero, illustrato da Lucas Cranach il Vecchio e apparso nel 1523.29 In questo piccolo testo si ‘interpretavano’ due mostri recenti, il cosiddetto ‘asino-papa’ (fig. 2) e il ‘vitello-monaco’ (fig. 3), come rimproveri divini per la corruzione papale e monastica. La prima creatura si diceva fosse stata trovata a Roma nel dicembre 1495, quando le acque del Tevere, ritirandosi dopo una tremenda alluvione, rivelarono in mezzo al fango una creatura ibrida, costituita di parti animali e umane, e il cui tratto più spaventoso ed evidente era la testa asinina sul corpo d’uomo; la seconda era invece il feto deforme trovato nell’utero di una vacca a Walterdorf presso Freiberg, in Sassonia, l’8 dicembre 1522.30 Uno degli aspetti più interessanti dell’operetta, è la consapevolezza (tanto in Melantone che si occupa dell’asino-papa, quanto in Lutero che descrive e interpreta il vitello-monaco) di un doppio livello di lettura del mostro: da un lato vi è un’interpretazione più generale e di tipo profetico (per la quale sono chiamate in causa le scritture, e in particolare il libro di Daniele) secondo cui l’addensarsi di mostri nell’era presente non è altro che un annuncio dell’imminente fine dei tempi. Dall’altro, tuttavia (ed è questo il livello di lettura che maggiormente ci interessa), vi è un’esegesi più sottile, allegorica, che non esclude o elimina la precedente, ma si sovrappone ad essa, e secondo la quale ogni singolo mostro possiede una specifica significazione, che può essere intesa, leggendo con cura le caratteristiche della sua 29 Philipp Melanchthon, Martin Luther, Deuttung der czwo grewlichen Figuren, Baptesels czu Rom und Munchkalbs zu Freijberg ijnn Meijsszen funden, in Martin Luther, Doctor Martin Luthers Werke. Kritische Ausgabe, 102 voll., Weimar, Böhlaus, 1883 e ss., XI, pp. 370-385. L’operetta circolò a lungo in Europa, e fu anche tradotta in inglese: Philip Melancthon, Martyn Luther, Of Two Woonderful Popish Monsters, to Wyt, of a Popish Asse which was found at Rome in the Riuer of Tyber, and of a Moonkish Calfe, calued at Friberge in Misne. Which are the very foreshewings and tokens of Gods Wrath, against Blinde, Obstinate, and Monstrous Papistes. Witnessed, and declared, the One by Philip Melancthon, the Other by Martyn Luther. Translated out of French into English by Iohn Brooke of Assh, next Sandwich, [London, imprinted by Thomas East, dwelling by Paules Wharfe], these books are to be sould in Powles Churchyard at the Signe of the Parat, [1579] [STC (2nd ed.), 17797]. Su questa traduzione, si veda, oltre il capitolo quarto. 30 Sull’analisi di questo pamphlet, Jean Céard, La Nature et les Prodiges, Geneva, Droz, 1977, pp. 7984; Ronnie Po-Chia Hsia, ‘A Time for Monsters. Monstrous Births, Propaganda, and the German Reformation’, in Laura Lunger Knoppers, Joan B. Landes (eds), Monstrous Bodies / Political Monstrosities in Early Modern Europe, Ithaca-London, Cornell University Press, 2004, pp. 67-92; sull’asino papa, si veda il recentissimo Lawrence P. Buck, The Roman Monster. An Icon of the Papal Antichrist in Reformation Polemics, Kirksville, Truman State University Press, 2014; sul vitello monaco, Ottavia Niccoli, Profeti e popolo, pp. 163-167 e Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post-Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005, pp. 28-34. 146 struttura anatomica. Ogni creatura mostruosa è un geroglifico divino, che descrive uno specifico aspetto dell’ira di Dio. Così, per Melantone, il corpo deformato del mostro rappresenta la lacerazione della Chiesa, le sue squame significano il potere temporale; la mano in forma di proboscide d’elefante è segno della repressione ecclesiastica, mentre quella umana significa, ancora, la pretesa del potere secolare; la tensione verso i due poteri è rappresentata inoltre dai due diversi piedi: lo zoccolo e l’artiglio; il seno femminile e l’ombelico sono simbolo dei peccati della carne, usuali presso l’élite cardinalizia, mentre il volto di vecchio che il mostro porta sulla schiena rappresenta un potere ormai al tramonto, sul punto di morire; infine, l’orrore suscitato dalla testa d’asino sul corpo umano – l’aspetto forse più raccapricciante del mostro tiberino – è segno di quanto sia orribile porre a capo della Chiesa il vescovo di Roma. D’altra parte, per Lutero, la plica carnosa sul collo del vitello è un chiaro riferimento alla cocolla di un monaco, e tutte le caratteristiche del feto mostruoso (gli occhi chiusi, evidente segno di cecità, la lunga lingua che pronuncia preghiere inutili, le grandi orecchie che spiano i peccati dei credenti nel sacramento della confessione) ‘parlano’ chiaramente dell’ipocrisia della vita monastica, che tutta insieme non è altro che un’apparenza falsa e menzognera. Il mostro viene dunque portato all’interno del vivace dibattito che in questi stessi primi mesi del 1523 Lutero sta sviluppando intorno all’inutilità, anzi alla dannosità dei voti monastici. Nel mese di gennaio, infatti, egli aveva scritto la M. Lutheri ad Brismannum epistola de voti monasticis; una predica risalente allo stesso periodo insisteva a lungo sull’ipocrisia delle buone opere senza la fede, che ricopriva i monaci come una lebbra; fra aprile e maggio era stata composta e pubblicata la Ursach und Antwort dass Jungfrauen Klöster göttlich verlassen mögen, con cui Lutero appoggiava la fuga dal convento di Nimpschen di dodici monache che il 7 aprile si erano rifugiate presso di lui.31 All’interno di questo contesto dottrinale antimonastico, Lutero poteva a buon diritto collocare la sua lettura allegorica del vitello di Sassonia. Forse non immaginava, tuttavia, che altre letture sarebbero state tentate, e che il vitello monaco, in un imprevedibile gioco di specchi, avrebbe rivolto contro il suo stesso creatore la propria mostruosa immagine. 31 Martin Luther, Doctor Martin Luthers Werke. Kritische Ausgabe, 102 voll., Weimar, Böhlaus, 1883 e ss., I, 11, pp. 284-291; 9-11; 394-400. 147 Nel febbraio del 1523, infatti, Lutero scrisse un’operetta contro il teologo domenicano Johannes Cochlaeus, intitolata Adversus armatum virum Cokleum.32 In questo scritto, il riformatore di Wittenberg giocava sul significato della parola latina cochlaea (chiocciola, che tuttavia egli traduceva erroneamente come tartaruga), deridendo il domenicano Cochlaeus chiuso dentro il suo guscio di vane argomentazioni e ponendolo nel novero di «queste tartarughe, lumache, talpe, lucertole, larve, locuste, bruchi, vespe, vipere e tarantole che […] muoiono nell’immondizia dei loro sofismi».33 Nella sua risposta, risalente all’aprile di quello stesso anno, Cochlaeus identificò esplicitamente Lutero con il vitello monaco, e quest’ultimo con il Minotauro, costruendo una dotta parodia mitologica in cui la piccola chiocciola combatteva con il gigantesco mostro del labirinto.34 In tutta l’opera, Lutero è definito «vitello sassone», «bove con la cocolla», «Minotauro fanfarone», e – pesantemente, ma coerentemente con il contesto del mito cretese scelto come sfondo polemico – «gran figlio della Pasifae di Boemia». Il tono dell’operetta è chiaramente quello dell’invettiva, in cui l’argomento retorico e mitologico prevale su quello profetico e simbolico, salvo che nel finale, in cui il mostro di Sassonia viene letto come immagine della Germania: «Dio ottimo e massimo guarisca questi strazi della Germania, e chiuda le ferite aperte». Le scissurae presenti nel corpo del vitello monaco sono ora divenute il segno della lacerazione religiosa che divide la Germania.35 Il vitello monaco divenne perciò, nel mondo cattolico, una chiara immagine dell’eretico di Wittenberg, come testimonia anche la circolazione italiana di stampe dedicate al ‘mostro di Sassonia’ in chiave apertamente antiluterana. Già il 26 maggio del 1523 il cronista modenese Tommasino Lancellotti scriveva: Fu portato in Modena una depintura de uno monstro nato in Saxonia de una vacha, el quale ha una testa quasi humana et ha una chierica et uno scapulario de pele come 32 Ibid., pp. 295-306. 33 Ibid., p. 305 [traduzione italiana di chi scrive]. 34 Johannes Cochlaeus, Adversus cucullatum Minotaurum Wittembergensem, herausgegeben von Joseph Schweitzer, Münster, Aschendorff, 1920. Su Cochlaeus e la polemica con Lutero: Remigius Bäumer, Joannes Cochlaeus (1479-1552). Leben und Werk im Dienst der Katolische Reform, Münster, Aschendorff, 1980 e Gotthelf Wiedermann, ‘Cochlaeus as Polemist’, in Peter Newman Brooks (ed.), Seven-Headed Luther. Essays in Commemoration of a Quincentenary, 1483-1983, Oxford, Oxford University Press, 1983, pp. 195-205.35 Johannes Cochlaeus, Adversus cucullatum Minotaurum, p. 13 e p. 57 [traduzione italiana di chi scrive]. 148 uno scapulario de frate, et le braze denanze e le gambe e pede como de porcho, e la coda de porcho; se dice è uno frate che se domandava Martin Utero che è morto, el quale pochi anni fa predicava la heresia in Lamagna.36 Questa è una delle più antiche notizie su Martin Lutero che sia possibile reperire nelle cronache italiane, e attesta che agli inizi del 1523 di lui si parlava storpiandone il nome, dandolo per morto e identificandolo con l’aborto mostruoso di una vacca. Come afferma Ottavia Niccoli, che riporta il brano citato del Lancellotti, è chiaro che fin dagli anni venti Lutero è fatto oggetto di una durissima propaganda già controriformista.37 L’immagine di Lutero mostro ebbe un’incidenza profondissima nella propaganda italiana, se ancora anni dopo l’analisi di un’altra creatura mostruosa serviva alla polemica antiluterana. Agli inizi del 1526, infatti, circolava a Venezia un foglio volante stampato su un solo lato, recante una piccola incisione e un breve testo, fittamente composto e privo di dati di edizione (non vi compaiono titolo, autore, data, stampatore e luogo di stampa; fig. 4).38 Il documento informava della nascita di un essere diforme et monstruoso sotto Castelbaldo a li Maxi del M. D. XXV a dì 28 de decembrio con tre gambe, et la terza gamba infra le due revolta in suso, e tra la destra gamba et quela di mezo ha la natura di donna et di dreto ha il membro masculino, et in lo corpo ha come una bala tonda, over come una testa, et un brazo di dreto imperfecto. Seguiva, come ormai di consueto, l’analisi anatomica del mostro, accompagnata dalla lettura simbolica e divinatoria di ogni suo membro: [la gamba rivolta in su] significa un capo over uno pseudoprofeta che predicarà il falso, et sì come un piede non puol caminare revolto contro natura, così costui non potrà caminare cioè non durarà longo tempo che serà anichilito. El brazo imperfecto significa le opere imperfecte che mostrerà observar la sancta fede de Jesù Christo, et 36 Tommasino Lancellotti, Cronaca modenese, 12 voll., a cura di Carlo Borghi, Parma, Fiaccadori, 1862-1884, I, p. 440.37 Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, p. 169. 38 Il foglio volante si trova incollato all’interno del manoscritto originale dei Diarii di Marino Sanuto (Biblioteca Marciana di Venezia, ms. it. VII 268) e riprodotto nell’edizione a stampa: Marino Sanuto, Diarii, XL, coll. 652-653. 149 la guasterà, et si come è di dreto contra natura, così andarà al contrario de la sancta fede, et per la natura de la donna si è che ’l prometterà che la lascivia non sia alcun peccato. Et per il membro masculino, qual è di dreto via, significa il grandissimo et spuzolente peccato contra natura che oggidì regna al mondo, per il qual Dio prometterà questo falso profeta che ’l vegni a flagelar la christianidade. Non è difficile intravedere Lutero nella filigrana di questo «falso profeta», che si è rivoltato contro il corpo di cui è membro, le cui opere sono imperfette e che promette che la lascivia non sia peccato: uno degli aspetti della polemica italiana contro il riformatore di Wittenberg si fondava, infatti, proprio sulla smodata libertà sessuale che si presumeva da lui favorita.39 In questo modo, l’anonimo autore del foglio volante avvicinava implicitamente Lutero al mostro di Castelbaldo, accostava la degenerazione morale dell’uno alla deformità fisica dell’altro e preannunciava l’imminente castigo divino per l’eresiarca («non durarà longo tempo che sarà anichilito»). Ancora una volta intorno ad una creatura mostruosa si creava un complesso di senso, che metteva insieme il dato fisico, la lettura allegorica, la polemica religiosa e l’auspicio di una prossima fine per colui che, in ambito cattolico, incarnava ormai il Nemico: quel Martin Lutero che lacerando la Chiesa, non era soltanto uomo della discordia, ma vero e proprio Anticristo.40 Le nascite mostruose analizzate in questo paragrafo, e l’insieme delle reazioni da loro suscitate, dimostrano la straordinaria sensibilità della letteratura sui mostri alle circostanze politiche e religiose nel cui contesto tale letteratura si colloca: il mostro di Ravenna e quello di Bologna attestano l’importanza dell’instabilità politica italiana per l’interpretazione delle nascite di bambini deformi nelle prime due decadi del Cinquecento; la lettura luterana dei mostri di Roma e di Sassonia, e le risposte italiane a tale polemica, così come il più tardo mostro di Castelbaldo possono adeguatamente fornire strumenti per comprendere la polemica religiosa tra Riforma e Controriforma. Lasciando per un attimo da parte il caso dell’Inghilterra, che sarà specifico oggetto della seconda parte di questo lavoro, è invece interessante posare un attimo lo sguardo sulla Francia: la serie in sei volumi delle Histoire prodigieuses, ampia raccolta di fatti prodigiosi che si dipana nell’arco di 34 anni, mostra chiaramente quanto le circostanze politiche e religiose condizionino il ‘complesso dell’orrore’, 39 Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, p. 173. 40 Su Lutero come artefice della rottura del corpo mistico cristiano, si veda Ronnie Po-Chia Hsia, ‘A time for monsters’, pp. 72-80. 150 favorendolo nei momenti di instabilità, e togliendogli invece forza nei momenti di minore angoscia.41 Nei primi due volumi, redatti da Pierre Boaistuau (1560) e Claude Tesserant (1567) in anni di relativa tranquillità politica, i mostri e gli altri prodigi venivano associati alla punizione divina, ma anche interpretati in maniera meno inquietante. Secondo Boaistuau, la causa principale delle nascite mostruose era sì il castigo divino inflitto alle persone sessualmente smodate, come segno evidente e terribile dell’«orrore del loro peccato»; tuttavia egli menzionava anche cause ‘naturali’ di nascite mostruose, quali l’immaginazione materna, l’eccesso e il difetto di seme, l’indisposizione dell’utero.42 Ugualmente, sei anni dopo, Claude Tesserant riteneva che i mostri nati a Padova e a Venezia nel 1487 potessero essere stati presagi delle disgrazie che di lì a poco avrebbero colpito l’Italia, ma mostrava un atteggiamento più scettico a proposito di due gemelli siamesi nati vicino ad Heidelberg nel 1486, notando che nessuna disgrazia si fosse verificata in Germania in quell’anno.43 Il terzo, quarto e quinto volume della serie uscirono tra il 1575 e il 1582 (compilati rispettivamente da François de Belleforest, Rod Hoyer et Arnauld Sorbin), proprio al culmine delle guerre francesi di religione: non casualmente, in questi volumi l’atteggiamento scettico scompare, e gli autori affermano chiaramente che tutti i mostri sono prodigi, inviati direttamente da Dio al fine di esortare i cristiani al pentimento e alla penitenza.44 Al contrario, l’anonimo autore del sesto volume, pubblicato nel 1594 durante un periodo di relativa pace, preoccupato che i volumi precedenti avessero annoiato i lettori, promise di «suscitare più piacere nei lettori, per lo più curiosi di storie di cose stupefacenti».45 Pur notando che gli anni tra il 1567 e il 1573 erano stati particolarmente ricchi di nascite mostruose, a causa della giusta indignazione di Dio nei confronti degli eretici insorti contro la vera fede di Cristo, egli si ripromise di raccontare tutte le cose non comuni e che avevano destato «grande admiration».46 In questo modo, egli dimostrava una chiara consapevolezza del legame tra mostri e circostanze politico-religiose, ma nello stesso tempo suggeriva che il 41 Pierre Boaistuau et al., Histoires prodigieuses et mémorables, extraictes de plusieurs fameux Autheurs, Grecs & Latins, sacrés & prophanes, divisées en 6 livres, Lyon, Jean Pillehotte, 1598. 42 Ibid., I, pp. 29-30 e 314-315. 43 Ibid., II, p. 404. 44 Ibid., IV, p. 958. 45 Ibid., VI, p. 110. 46 Ibid., VI, p. 114. 151 mostruoso, e con esso tutte le altre meraviglie, potessero suscitare non soltanto orrore, ma anche piacere. È questo secondo ‘complesso emotivo-cognitivo’, che ho definito sopra ‘complesso della curiosità’, che ora tenterò di mettere in luce. 3.2 It was a Strange Sight to me, I confess, and what pleased me Mightily: i mostri e la curiosità Un anno dopo aver raccontato del mostro di Ravenna, e averlo connesso con il sacco della città avvenuto nel marzo 1512, lo speziale fiorentino Luca Landucci dava testimonianza di un altro caso di nascita mostruosa, documentando questa volta una reazione emotiva completamente diversa di fronte al mostruoso umano, quella che sopra ho definito il ‘complesso della curiosità’. Il mostro non suscitava, cioè, reazioni di orrore per il suo aspetto prodigioso; piuttosto, in quanto capriccio della natura e oggetto di spettacolo, destava stupore in spettatori disposti a pagare molti denari pur di poterlo ammirare: Venne a Firenze uno spagniuolo el quale aveva seco un garzonetto di circa 13 anni, el quale garzonetto era nato con questa voglia, o vogli dire mostro, el quale andava mostrando per la città e guadagnava molti denari; el quale gli usciva del corpo una altra creatura che aveva el capo in corpo suo e fuori pendevano le gambe colla natura sua e parte del corpo, el quale cresceva come il garzonetto, e orinava col detto mostro, e non dava molto affanno al garzone.47 Il testo di Landucci, risalente al 1513, è particolarmente rilevante proprio per la coincidenza quasi esatta tra due nascite mostruose presentate con atteggiamenti opposti: da un lato il mostro di Ravenna, dall’altro il gemello parassitico di Firenze, a dimostrazione che i due diversi campi su cui era polarizzata la reazione al mostruoso umano, orrore/curiosità, potevano tranquillamente convivere alla stessa altezza cronologica e nel medesimo contesto. D’altra parte, nel pieno delle guerre di religione, nel 1531, le esibizioni pubbliche di esseri umani mostruosi erano ufficialmente autorizzate: nel dicembre di quell’anno, il cronista modenese Tommasino Lancellotti annotò l’esistenza a Ficarolo, 47 Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, p. 343. 152 nel Polesine, di una donna dalla mostruosità imprecisata, che aveva «la patente del vicario del vescovo di Ferrara, e chi la vole vedere paga». 48 Nel corso del Cinquecento, simili notizie di esposizioni pubbliche di creature mostruose sono piuttosto comuni, e non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa. E allo stesso modo capitava che anche bimbi mostruosi morti poco dopo la nascita, e imbalsamati, potessero essere oggetto di spettacolo, o comunque di lucro. Lo dimostra il diario di Lucia Pioppi, una suora modenese, che nel 1550, ricordando un’esperienza d’infanzia, annotò sul suo diario: Il dì detto messer padre, cioè messer Giovanni Lodovico Pioppi, pagò un bolognino per ciascun di noi di casa un forastiero di terra tedesca, hovero Francese, il quale si fece vedere in casa nostra in una cassetta un puttino morto imbalsamato, che avea doi teste, con le faccie bellissime, che parevano due volti di bambini, et poi del resto un solo corpo bellissimo da vedere, et di bella carne, cosa meravigliosa.49 I brani qui citati (di Landucci, Lancellotti e Pioppi), confrontati con quelli coevi, menzionati nel paragrafo precedente (Sanuto e ancora Landucci e Lancellotti), mostrano che i due complessi cognitivo-emotivi dell’orrore e della curiosità di fronte alle creature mostruose costituivano due reazioni contemporaneamente disponibili agli spettatori della prima età moderna: lo stesso Landucci che presentava il mostro di Ravenna come segno premonitore del sacco della città, poteva raccontare del «garzonetto spagniuolo» che destava curiosità nel pubblico fiorentino; il medesimo Lancellotti che narrava della donna mostruosa ferrarese, esposta a pagamento con la «patente del vicario del vescovo», aveva potuto, in un altro contesto, raccontare del mostro di Sassonia in chiave ‘orrorosa’ e antiluterana; se Lucia Pioppi ricordava il «puttino morto imbalsamato, che avea doi teste» come di «cosa meravigliosa», pochi anni prima Marino Sanuto collezionava un foglio volante in cui il mostro di Castelbaldo era segno dell’eresia luterana, e della conseguente ira divina. I due ‘complessi’ esistevano, dunque, parallelamente: a seconda delle circostanze, talvolta uno prevaleva sull’altro, talvolta essi erano intrecciati. Ma qual era, allora – quando esisteva – il discrimine tra l’orrore e il piacere? In parte, come ho già avuto modo di constatare, la reazione era diversa a seconda 48 Tommasino Lancellotti, Cronaca modenese, IV, p. 23. 49 Lucia Pioppi, Diario (1541-1612), a cura di Rolando Bussi, Modena, Panini, 1982, p. 7. 153 delle circostanze politiche e religiose esterne (in periodo di conflitto politico o religioso, il mostro veniva interpretato quasi necessariamente come presagio, e destava orrore); in parte, la reazione era condizionata dalla conformazione stessa del mostro e dalla possibilità di determinarne facilmente una causa naturale: sapendo che tali esseri avevano una spiegazione naturale semplice, e priva di qualsiasi componente morale, li si poteva osservare con piacere, in quanto manifestazioni della varietà della natura o, al limite, in quanto capricci del caso. Le spiegazioni più comuni, che rendevano meno ‘orribile’ il mostro, erano l’eccesso o il difetto di materia (ad esempio, per i nani, i giganti, i gemelli siamesi o le persone con arti mancanti o in soprannumero), l’immaginazione della madre (ad esempio, per gli irsuti), oppure l’equilibrio tra contributo materno e paterno (ermafroditi e persone dal sesso incerto).50 In realtà, tuttavia, lo stesso mostro poteva suscitare reazioni diverse: queste creature straordinarie erano collocate in uno spazio di confine tra naturale e soprannaturale, perciò il fatto che la loro esistenza potesse essere motivata con cause riconoscibili non escludeva che le si potesse leggere anche come prodigi. Gli unici mostri che procuravano univocamente orrore erano tanto insoliti e bizzarri (come gli ibridi uomo-animale, il mostro di Ravenna, l’asino-papa) che per essi ogni causa naturale era a priori esclusa, e la loro orribile presenza poteva essere ricondotta soltanto alla volontà divina di comunicare all’uomo un messaggio ominoso. Ma la maggior parte dei mostri non apparteneva a questa categoria, per così dire, estrema: della grande maggioranza delle creature deformi che sopravvivevano alla nascita, si poteva almeno ipoteticamente immaginare un’occasione di esposizione pubblica. I contesti in cui il mostruoso poteva essere fonte di curiosità, o addirittura di piacere, erano molteplici: non mancavano, ad esempio, imbalsamati o in rappresentazioni pittoriche, nelle collezioni del tempo, sia in quelle dei principi che in quelle dei collezionisti professionisti, accanto ad altri mirabilia di natura. Nella collezione di Isabella d’Este, a Mantova, trovava posto insieme a cammei, coralli, vasi antichi e conchiglie, anche il corpo imbalsamato di un cucciolo di cane mostruoso, che aveva due corpi uniti, otto piedi e due code, ma una sola testa.51 Alla fine del 50 Cfr. Lorraine Daston, Katharine Park, Wonder and the Order of Nature, p. 192. 51 Il cucciolo era stato partorito da Mamia, cagnolina di proprietà della stessa Isabella d’Este. Cfr. Giuseppe Olmi, ‘Musei, orti botanici e teatri anatomici’, in Enciclopedia Italiana. Ottava appendice. Il contributo italiano alla storia del pensiero -Scienze, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, 2013, pp. 30-37. 154 Cinquecento, la collezione dei Gonzaga includeva anche un feto umano con quattro occhi e due bocche,52 mentre la collezione di Ferdinando II del Tirolo conteneva i ritratti di un gigante e di un irsuto di Tenerife, Pedro Gonzalez, rappresentato con tutta la sua famiglia, insieme alla moglie e ai figli, molti dei quali affetti dalla medesima forma di ipertricosi.53 Ma il gusto per i mostri come oggetto di esposizione non era ovviamente limitato al ristretto ambito delle collezioni di corte: gli spettacoli in cui erano esibite le loro bizzarrie anatomiche erano un pezzo forte dei mercati e delle fiere. Particolarmente ricca, a questo proposito, è la documentazione sulla Londra seicentesca: Samuel Pepys, ad esempio, alla data del 21 dicembre 1668, annotò nel suo diario di aver visto a Holborn una donna barbuta, danese, di circa quarant’anni: «it was a strange sight to me, I confess, and what pleased me mightily».54 Questa forma di piacere, d’altra parte, riscuoteva anche vibranti critiche: Thomas Bedford, ad esempio, il pastore che presiedette al rito funebre per una coppia di gemelli siamesi nati a Plymouth il 20 ottobre 1635, rimproverò duramente i fedeli per il piacere illecito che essi traevano dalle creature mostruose, ridotte a chiacchiere da tavolo e sminuite nel loro significato di segni divini.55 Le dure reprimende di predicatori come Bedford contro la spettacolarizzazione delle creature mostruose, tuttavia, costituiscono una delle prove più significative dell’abitudine a intendere il mostro come oggetto di meraviglia piacevole, spogliata del suo ruolo di presagio. Oggetto di spettacolo e di collezione, i mostri erano anche spesso tema di discussione, come testimoniano i ‘manuali di conversazione’ stampati alla fine del Cinquecento, un nuovo genere indirizzato a lettori di libri in volgare che desiderassero 52 Cfr. Dario Franchini et al., La scienza a corte. Collezionismo eclettico, natura e immagine a Mantova fra Rinascimento e Manierismo, Roma, Bulzoni, 1979, p. 108. 53 Cfr. Elisabeth Scheicher, Die Kunstkammer. Kunsthistorisches Museum, Sammlunge Schloss Ambras, Innsbruck, Kunsthistorisches Museum, 1977, pp. 149-153. Sulla vicenda di Pedro Gonzàlez, si veda Roberto Zapperi, Il selvaggio gentiluomo. L’incredibile storia di Pedro Gonzàlez e dei suoi figli, Roma, Donzelli, 2005 (Der wilde Mann von Teneriffe, München, Beck, 2004). 54 Samuel Pepys, The Diary of Samuel Pepys, 8 voll., edited by Henry B. Wheatley, London, G. Bell and Sons, 1924, VIII, p. 174. La donna barbuta di cui parla Samul Pepys è identificabile con Barbara Urslerin (1629-1668?), donna affetta da ipertricosi e musicista: alla sua vicenda è dedicato, in questa ricerca, il paragrafo 6.3.55 Thomas Bedford, A True and Certaine Relation of a Strange-Birth, which was borne at Stonehouse in the Parish of Plimmouth, the 20. of October. 1635. Together with the Notes of a Sermon, preached Octob. 23. 1635. in the Church of Plimmouth, at the Interring of the said Birth. By Th. B. B. D. Pr. Pl., London, Printed by Anne Griffin, for William Russell in Plim mouth, 1635 [STC (2nd ed.), 1791.3]. Per una discussione approfondita del pamphlet, si veda, oltre, il paragrafo 6.1. 155 accrescere la ricchezza e la varietà della propria cultura.56 Uno dei più famosi fu il libro di Guillaume Bouchet, Serées, in cui l’autore descriveva alcune cene, ravvivate da canzoni, pagliacci e soprattutto conversazioni, i cui argomenti spaziavano tra i vari campi dello scibile umano, e non mancavano – ovviamente – di includere i mostri.57 Per parlare di questo argomento, riferisce Bouchet, gli uomini si chiudevano a discorrere senza le donne, perché i racconti non influenzassero negativamente l’immaginazione delle madri (come si ricorderà, l’immaginazione materna era considerata una delle cause ‘naturali’ delle malformazioni del feto). 58 La conversazione ruotava attorno alle cause mediche dei mostri, al loro statuto legale e teologico, alla loro collocazione geografica (e in questo caso, tornava utile la tradizione delle ‘razze mostruose’ orientali), alla loro natura di prodigio oltre, ovviamente, ad alcuni casi specifici. Il fatto che i mostri trovassero posto in questi ‘esperimenti di conversazione’ dimostra ulteriormente che essi erano oggetto di gradimento e vivace interesse da parte di un pubblico cortigiano, ma non limitato solo ai litterati. Poté esistere, quindi, nei confronti del mostruoso umano, anche un interesse privo di qualsiasi sfumatura angosciosa, anzi un vero e proprio gusto per la bizzarria deforme. Questo apprezzamento fu assecondato anche da alcuni uomini di scienza, come il medico genovese Fortunio Liceti, il quale nel suo trattato De monstrorum causis, natura et differentiis (1616), propose una nuova etimologia della parola monstrum, alternativa a quella tradizionale che associava i mostri ai segni divini. Monstrum deriva sì da monstrare, ma non perché Dio utilizzi le nascite mostruose come segno della propria volontà: «sono dunque detti ‘mostri’, non perché siano segni che mostrano agli uomini le cose future; ma, al contrario, perché, a motivo della loro novità e straordinarietà, provocano tanta ammirazione e stupore nell’essere guardati 56 Sull’uso di racconti meravigliosi nella buona società del XVII secolo, cfr. Steven Shapin, A Social History of Truth. Civility and Science in Seventeenth-Century England, Chicago-London, University of Chicago Press, pp. 80-85. Non tutti i manuali di conversazione erano ovviamente aperti ad inglobare racconti fantastici o di meraviglie. Ve ne erano, infatti, alcuni che raccomandavano una storia sobria rispetto a «all the Helpes to Discourse which our weake Pamphletters can publish» e mettevano in guardia dalla conversazione che «may seem either fabolous or impertinent» (Richard Brathwait, The English Gentleman. Containing Sundry Excellent Rules or Exquisite Observations tending to Direction of every Gentleman, of Selected Ranke and Qualitie; how to demeane or accomodate himselfe in the Manage of Publike and Private Affaires, London, printed by Iohn Haviland, and are to be sold by Robert Bostock at his shop at the signe of the Kings head in Pauls Church-yard, 1630. [STC (2nd ed.), 3563], pp. 210-211). 57 Guillaume Bouchet, Les serées de Guillaume Bouchet, Sieur de Brocourt, 6 voll., édit par C. E. Roybet [Charles Royer et Ernest Courbet], Paris, Alphonse Lemerre, 1873, III, 20, pp. 250-266. 58 Sul potere dell’immaginazione materna come causa di nascite mostruose, si veda Marie-Hélène Huet, Monstrous Imagination, Harvard, Harvard University Press, 1993, specialmente pp. 1-103. 156 che ognuno li mostra agli altri».59 Contestando un’etimologia prestigiosa, che risaliva a Cicerone, Liceti respingeva così l’idea che i mostri fossero errori nel corso della natura, e a maggior ragione negava che avessero alcun legame con l’alfabeto dell’ira divina. Per lui la natura era come un artista, che di fronte all’imperfezione dei materiali coglie l’occasione dell’imprevisto per creare una forma ancora più degna di ammirazione. In questa prospettiva, le creature mostruose non rivelavano affatto una natura che sbaglia, bensì una potenza generatrice che reagisce ad una materia ribelle (un utero ristretto, un seme imperfetto) cogliendo la sfida e vincendola in modo spettacolare, preferendo alla perfezione la vita – e la sua ricchezza: «dove infatti la natura non ha potuto fare ciò che avrebbe voluto, cioè un’opera in tutto perfetta, ha fatto ciò che ha potuto, cioè un’opera in parte imperfetta».60 Non tutti gli intellettuali condivisero tuttavia l’entusiasmo di Liceti, e alcuni di essi svilupparono un atteggiamento più neutro, ovviamente lontano dalla lettura del mostro come prodigio, ma anche dalla meravigliata emozione che si è appena descritta. Per questi intellettuali, il mostro era chiaramente un errore della natura, da indagare però con attenta curiosità. Nel 1560, il filosofo Benedetto Varchi pubblicò due lezioni che aveva tenuto dodici anni prima all’Accademia Fiorentina: la prima riguardava la generazione del corpo umano, la seconda i mostri.61 Nel prologo della prima lezione, Varchi lodava la natura in quanto creatrice di meraviglie, ma nella seconda escludeva i mostri da questa felice creatività della natura, e li definiva esplicitamente errori. Per il filosofo fiorentino, così come era stato per Aristotele, il carattere meraviglioso della natura stava nella sua regolarità, nelle leggi che sovrintendono ai movimenti del cielo, alla generazione ordinata di vegetali e animali, non negli errori casuali che di tanto in tanto ne ostacolano l’opera. Varchi si poneva di fronte a questi errori con un sentimento che pareva di aperta avversione (essi erano, nelle parole del filosofo, «sozza e rea cosa»), ma che celava, invece, un’attrazione irresistibile, una curiosità 59 Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura, et differentiis libri duo: in quibus ex rei natura monstrorum historiae, caussae, generationes, & differentiae plurimae a sapientibus intactae, cum generatim & in plantarum, & belluarum genere, tum seorsum in humana specie tractantur. Multis illustrium autorum locis difficillimis explanatis, Patavii, apud Paulum Frambottum, 1634, p.7 [traduzione italiana di chi scrive]. Per un profilo biobibliografico su Fortunio Liceti, cfr. Giuseppe Ongaro, ‘Liceti, Fortunio’, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 65, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2005, pp. 69–73. 60 Ibid., p. 40 [traduzione italiana di chi scrive]. 61 Benedetto Varchi, La prima parte delle lezzioni di M. Benedetto Varchi nella quale si tratta della natura della generazione del corpo humano, et de’ mostri, Firenze, Giunta, 1560. 157 cui risultava impossibile sfuggire.62 Nella sua descrizione dei gemelli siamesi nati a Firenze dodici anni prima, infatti, egli sottolineava che essi erano stati rappresentati dal Bronzino, oltre che dissezionati nei giardini della famiglia Rucellai, alla presenza di un gruppo di eccellentissimi medici e pittori. Quello che cominciava a manifestarsi con Varchi era dunque un tipo di curiosità che si potrebbe già definire ‘scientifica’, e che osservava il mostro da un angolo visuale più neutro: da questo nuovo punto di vista, lo straordinario serviva a studiare, per opposizione, la regula, nel momento stesso in cui essa veniva violata. Alla base di questo atteggiamento, riscontrabile alla fine del Cinquecento nelle opere di anatomisti come Jean Riolan, si poneva la dottrina aristotelica, che cercava l’accordo tra forma anatomica e funzione fisiologica: i mostri erano quindi organismi che non erano riusciti a raggiungere il loro tèlos, la loro finalità.63 Da questa nuova prospettiva, i mostri continuarono a comparire nella letteratura anatomica per tutto il Seicento, e fino al Settecento: notizie di dissezioni erano regolarmente riportate su riviste scientifiche come le Philosophical Transactions of the Royal Society of London, la Histoire et Mémoires de l’Académie Royale des Sciences di Parigi, o i Miscellanea curiosa medicophysica Academiae Naturae Curiosarum di Lipsia. Le descrizioni dei casi studiati erano dettagliate e realistiche, autenticate dall’esame autoptico.64 Via via che si avanza verso il Settecento, lo studio anatomico dei mostri appare sempre più frequente, raccomandato per la conoscenza che poteva fornire del funzionamento ordinario della fisiologia umana, più che per la meraviglia suscitata dai singoli casi. Questo concetto fu espresso con lucidità (e quasi con parole poetiche) da Bernard de Fontenelle, Segretario Perpetuo dell’Académie Royale des Sciences di Parigi, quando nel 1709 si accingeva a redigere una storia della prestigiosa istituzione: Non si devono tralasciare i mostri [...]. Il meccanismo nascosto in una certa specie o in una struttura ordinaria si sviluppa in altre specie o in una struttura non comune, e si 62 Ibid. foll. 104v-105r. 63 Jean Riolan il Giovane (1577-1657), anatomista francese, fu uno dei più influenti studiosi dell’Università parigina. Medico conservatore, si oppose alla teoria sul sistema linfatico di Thomas Bartholin, e a quella sulla circolazione sanguigna di William Harvey. Egli espose le sue idee sui mostri come violazione delle norme naturali nel trattato Discours sur les hermaphrodites, Paris, Pierre Ramier, 1614. Cfr. Theo Vetter, ‘Jean Riolan, second du nom, qui ne fut pas doyen des écoles de Paris,’ Presse médicale, 73 (1965), pp. 3269–3274; Gweneth Whitteridge, William Harvey and the Circulation of the Blood, London-New York, MacDonald & Co., 1971, pp. 175-200. 64 Su questo argomento si veda, nel presente lavoro, il capitolo ottavo. 158 potrebbe quasi dire che, moltiplicando e trasformando le proprie stesse opere, la Natura non possa evitare, talvolta, di svelare il suo segreto.65 Questo tipo di curiosità scientifica, che indaga i mostri ‘per antifrasi’, ricercando in essi spiegazioni sulla fisiologia ‘normale’ (il concetto di ‘norma’ comincia a formarsi proprio in questi anni), divenne comunissimo nei primi anni del Settecento. Nel 1704, ad esempio, un feto umano privo di cervello suggerì argomenti sulla sede dell’anima e degli spiriti animali; mentre un bambino nato morto e senza bocca, ma solo con un piccolo buco tra le orecchie, consolidò l’ipotesi che il feto si nutra attraverso il cordone ombelicale e non attraverso il cavo orale.66 All’inizio del Settecento, perciò, almeno al livello più elevato dell’indagine scientifica, i mostri tendono ad essere ‘normalizzati’, nel senso che vengono messi in relazione ad uno standard che comincia a definirsi di ‘normalità’ funzionale. Oggetto di una curiosità ‘fredda’, spogliata tanto dell’orrore quanto della meraviglia, si può affermare, secondo la felice espressione di Canguilhem, che il mostro tenda ad essere, infine, «subjected to the rule».67 * * * Il percorso che ho delineato in questo capitolo ha voluto mostrare l’articolazione di due risposte emotivo-cognitive generate dal mostruoso umano, talvolta chiaramente distinte, talvolta convergenti tra loro fin quasi a non poter essere scisse. Riprendendo la suggestiva definizione di Lorraine Daston e Katharine Park, ho scelto di identificare anche io tali risposte come due ‘complessi’: il ‘complesso dell’orrore’, per il quale il mostro è visto come segno divino che suscita paura, e il ‘complesso della curiosità’, che legge nel mostro ora una bizzarria di natura da contemplare con piacere, ora un errore del creato da analizzare per afferrarne, antinomicamente, le leggi. 65 Bernard de Fontenelle, Histoire de renouvellement de l’Académie Royale des Sciences en M. DC. XCIX. et les éloges historiques, Amsterdam, Pierre de Coup, 1709, p. 11 [traduzione italiana di chi scrive]. Bernard Le Bouyer de Fontenelle (1657-1757), matematico, filosofo, scienziato francese, fu Segretario perpetuo della prestigiosa Accademia Reale delle Scienze dal 1699 al 1737. Per un profilo biobibliografico, cfr. la monografia di Alain Niderst, Fontenelle, Paris, Pion, 1991. 66 Sul feto privo di cervello: Alexis Littre, ‘Observation sur un foetus humain mostreaux’, Histoire de l’Académie Royale des Sciences, Année 1701, Paris, 1704, pp. 88-94; sul bambino privo di bocca: Anonyme, ‘Diverses observations anatomique’, Histoire de l’Académie Royale des Sciences, Année 1715, Paris, 1718, pp. 13-14.67 Georges Canguilhem, ‘Monstruosity and the Monstrous’, Diogène, 40, 1962, p. 34. 159 Ho indugiato sulla coesistenza di questi due complessi, sull’impossibilità di scandire cronologicamente una loro successione, sul loro intrecciarsi (talvolta persino tra le pagine di una stessa opera), nell’intento di mostrare che, soltanto insieme, entrambi ci forniscono la chiave di lettura per comprendere la reazione di fronte al mostruoso umano nell’Europa della prima età moderna. Questi due complessi, a ben vedere, poterono convivere e mescolarsi poiché condividevano una medesima origine: l’incapacità di accontentarsi del puro dato sensibile, il bisogno di cercare un senso ulteriore all’insensato. Il mostro non poteva cioè risolversi in se stesso, e per essere accettato intellettualmente, o anche solo emotivamente, doveva essere letto come un enigma da sciogliere, doveva poter essere decifrato. Esattamente a questo argomento – la necessità di andare a vedere cosa si cela nel cuore nascosto delle cose – il grande umanista Erasmo da Rotterdam dedicò Sileni Alcybiadis, una delle più articolate paremiologie della sua monumentale opera, gli Adagia (1536). Il testo partiva da un dato archeologico (le piccole statuette d’aspetto mostruoso che nascondevano al loro interno immagini divine, dette appunto ‘sileni’) per costruire un ampio discorso sulla necessità di guardare oltre l’apparenza delle cose. E proprio quest’opera fu tradotta nel 1543 in Inghilterra, pubblicata con una veste editoriale che ne accentuava l’aspetto teratologico: il mostro, con il suo significato nascosto, rivelava «ye State & Conditio[n] of this Present World».68 Da qui, da questa potente connessione tra il mostro e il mondo, prendeva le mosse la ricca vicenda del mostruoso all’interno di un sistema culturale reso peculiare dalla geografia e dalle specificità storiche e religiose: quello dell’Inghilterra della prima età moderna. 68 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image or Monstrus Shape of a Maruelous Stra[n]ge Fygure called, Sileni alcibiadis presentyng ye State & Conditio[n] of this Present World, & inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste, wryte[n] in the Laten Tonge, by that Famous Clarke Erasmus, & lately translated in to Englyshe, London, imprinted by [N. Hill for?] me, Iohn Goughe, cum Priuilegio Regali. And also be for to sell in Flete-strete betwene the Two Temples, in the Shoppe of Hary Smythe Stacyoner, [1543?] [STC (2nd ed.), 10507]. 160 INTERMEZZO When they were close had a Monsterous Shape, when opened, sodenly thei shewid as Godes: un ‘elogio’ della mostruosità But vnder this shamefull foly. O Immortall god how excellent and florysshed wysdom is hyd, If thou regarde but the vtter parte of the Euangelyke parables who wolde not reken them to be som foles sayynge. But yf thow breke the nutte vndoutydly thou shalte fynde the preuy and very wisdom. The more excellent any natural or mystical thyng is the farther hyd is sett in the inner parte & farther from the outwarde syghte, lykewise in knowlege of thinges the kyndely truthe alway lyeth preuy in depthe whiche nother lyghtely nor of many is founde out. Erasmo da Rotterdam, Here folowith a Scorneful Image, 1543. * * * * Il 19 gennaio 1543, a Milano, per ordine del Sant’Uffizio, gli scritti del monaco tedesco Martin Lutero venivano date alle fiamme;1 sullo stesso rogo, finivano ridotte a un cumulo di cenere anche le opere del grande umanista olandese Erasmo da Rotterdam.2 Nello stesso anno, l’editore londinese John Goughe dava alle stampe, cum privilegio regali, un pamphlet di 72 pagine in 8°, sul cui frontespizio campeggiava l’immagine di una creatura acefala, con il volto incastonato nel petto (fig. 5). La figura riproduceva un’incisione tratta dalla Chronica Mundi di Hartmann Schedel, e rappresentava una blemmia, mostro ormai ben noto alla tradizione sulle meraviglie d’Oriente.3 Le poche parole che precedevano l’illustrazione recitavano quanto segue: Here folowith a Scorneful Image or Monstrous Shape of a Marvelous Stra[n]ge Figure called, Sileni alcibiadis presentyng ye State & Conditio[n] of this Present World, & Inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste, wryte[n] in the Laten Tonge, by that Famous Clarke Erasmus, & lately translated in to Englyshe.4 1 Cfr. Giuseppe O. Longo, Il gesuita che disegnò la Cina. La vita e le opere di Martino Martini, Milano, Springer, 2010, p. 129.2 La letteratura critica su Erasmo da Rotterdam, pseudonimo di Desiderius Erasmus Roterodamus (1466/1469-1536), è straordinariamente ricca. Per un inquadramento biografico, si rimanda ai seguenti studi: Stefan Zweig, Triumph und Tragik des Erasmus von Rotterdam, Frankfurt am Main, Fischer, 1934 (Erasmo da Rotterdam, introduzione e traduzione italiana di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Mondadori, 1950); Johan Huizinga, Erasmo, traduzione dell’olandese di Bernardo Jasink, Torino, Einaudi, 1941 (Erasmus, Leiden, Haarlem, 1924); Roland H. Bainton, Erasmus of Christendom, New York, C. Scribner’s Sons, 1969 (Erasmo della cristianità, traduzione italiana di Aldo Biondi, Firenze, Sansoni, 1989); Pierre Mesnard, Erasmo. La vita, il pensiero, i testi esemplari, traduzione italiana di Palmiero Perugini, Milano-Firenze, Accademia Sansoni, 1971 (Érasme, Paris, Seghers, 1969); Cornelis Augustijn, Erasmus von Rotterdam. Leben-Werk-Wirkung, Munchen, C. H. Beck, 1986 (Erasmo da Rotterdam. La vita e l’opera, traduzione italiana di Margherita Isnardi Parente, Brescia, Morcelliana, 1989); Silvana Menchi Seidel, Erasmo in Italia (1520-1580), Torino, Bollati Boringhieri, 1987; Léon E. Haklin, Erasmo, introduzione e traduzione italiana di Eugenio Garin, Roma-Bari, Laterza, 1989 (Érasme parmi nous, Paris, Fayard, 1987); Achille Olivieri, Erasmo e le utopie del ’500, Milano, Unicopli, 1996.3 Per l’immagine della blemmia, si veda Hartmann Schedel, Chronica Mundi, Secunda etas mundi, Augsburg, 1497, fol. XIIr. 4 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image or Monstrus Shape of a Maruelous Stra[n]ge Fygure called, Sileni alcibiadis presentyng ye State & Conditio[n] of this Present World, & inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste, wryte[n] in the Laten Tonge, by that Famous Clarke Erasmus, & lately translated in to Englyshe, London, imprinted by [N. Hill for?] me, Iohn Goughe, cum Priuilegio Regali. And also be for to sell in Flete-strete betwene the Two Temples, in the Shoppe of Hary Smythe Stacyoner, [1543?] [STC (2nd ed.), 10507]. Su questa traduzione, che, come si vedrà nel seguito, è di fondamentale importanza per comprendere il processo di allegorizzazione del mostro nell’Inghilterra della prima età moderna, non si è adeguatamente appuntata l’attenzione critica. Solo una citazione, senza approfondimenti, si trova in Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post-Reformation England, Baltimore163 Si trattava dunque, stando all’anonimo curatore del pamphlet, della traduzione in inglese di un breve testo, originariamente scritto in latino da Erasmo, a proposito di «una figura mostruosa e insieme meravigliosa […] adatta a rappresentare lo spirito e la condizione del tempo presente». Il lettore che, incuriosito dalla raffigurazione e dalla sua didascalia, avesse aperto l’operetta, avrebbe letto il suo titolo, Sileni Alcybiadis, percorrendo poi le argomentazioni dell’autore, che, a cominciare dalla spiegazione di un proverbio greco, costruiva una dura reprimenda contro la corruzione della Chiesa del suo tempo.5 Estrapolato dal corpo complessivo degli Adagia di Erasmo (1536), il capitolo sui sileni di Alcibiade veniva dunque proposto ai lettori inglesi come lettura autonoma, e preceduto dal significativo, e per certi versi fuorviante, frontespizio sopra descritto. Lo scritto si inseriva in tal modo nel turbolento contesto degli ultimi anni del regno di Enrico VIII, in quell’arco temporale che va dall’ ‘Atto di Supremazia’ (1534), al momento in cui, morente, avrebbe affidato il regno ad un fragile sovrano fanciullo (1547).6 I Sileni erasmiani, con il loro sorprendente ‘elogio del mostruoso’, si collocano pertanto in uno snodo essenziale della storia inglese, e – significativamente – costituiscono la prima di una lunga serie di pubblicazioni (pamphlet, ballate, fogli volanti) apparse oltre Manica a partire dalla seconda metà del Cinquecento, e dedicate a raccontare, testimoniare, elaborare, interpretare il mostruoso umano. Per il momento davvero aurorale in cui il testo pone il problema della lettura allegorica del mostro, e per il suo tema centrale, il potente j’accuse contro la secolarizzazione del clero, il London, The John Hopkins University Press, 2005, p. 4, dove peraltro l’immagine della blemmia che compare sul frontespizio è attribuita non al suo vero autore, Hartmann Schedel (si veda sopra, nota 3), ma, erroneamente, a John Mandeville. 5 Sileni Alcybiadis, il pamphlet tradotto singolarmente per i tipi dello stampatore N. Hill nel 1543, costituisce il capitolo 2201 degli Adagia, il più grande repertorio paremiografico mai realizzato in età moderna. La sua composizione ossessionò per più di quarant’anni l’umanista fiammingo Erasmo da Rotterdam, che dei suoi motti in lingua latina, in gran parte risalenti al mondo classico, s’impegnò a ricostruirne l’origine fornendo note esplicative che andavano anche al di là della mera illustrazione filologica. L’ultima redazione dell’opera, stampata a Basilea nel 1536, arrivò a contenere quasi quattromiladuecento voci, che superano le diecimila se si contano tutti i proverbi e le sentenze citati nel testo. Per un inquadramento critico su questo e altri aspetti degli Adagia, si rimanda alla bibliografia ragionata, e aggiornata, contenuta in Erasmo da Rotterdam, Adagi, prima traduzione italiana completa a cura di Emanuele Lelli, Milano, Bompiani, 2013, pp. pp. LXVIII-LXXVIII. A questa medesima edizione si farà riferimento per le citazioni in latino, che accompagneranno in nota quelle del testo inglese di Sileni Alcybiadis. 6 L’Act of Supremacy (1534) conferì a Enrico VIII il titolo di capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, rendendo così ufficiale la separazione definitiva da Roma. Per un quadro sintetico degli interventi di Enrico VIII in materia religiosa e per un profilo bibliografico sul tema, si veda oltre e, in particolare, la nota 23. 164 libello di Erasmo costituisce un passaggio obbligato, un ponte di senso tra il continente e il regno inglese nella grande rivoluzione della Riforma, e un vero proemio all’incredibile fioritura di mostri e prodigi che il dibattito religioso avrebbe scatenato in Inghilterra negli anni immediatamente successivi. * * * Il testo di Erasmo, come usuale negli Adagia, partiva dalla spiegazione del modo di dire «Sileni Alcybiadis». Nelle raccolte di proverbi greci l’espressione veniva adoperata per intendere ciò che al primo aspetto appare ridicolo o addirittura mostruoso, ma all’interno risulti splendido e ammirevole, come «that man / whose behauoure & countenaunce shewyth far wyde from the inwarde entente of the harte & mynde».7 Fin dalle prime righe, Erasmo mostrava dunque i due intenti principali del capitolo sui sileni: da un lato l’invito al ribaltamento dello sguardo, per osservare il significato riposto che sta oltre le apparenze; dall’altro, il profondo significato morale e religioso che egli intendeva attribuire a questo scandaglio dentro gli abissi del reale. Il discorso si faceva subito limpidamente chiaro nella descrizione dei sileni, cioè le statuette mostruose che nascondevano immagini divine: Some say that Sileni were certayn Images karuen and grauen and made after suche a fasshion that they might be opened & closed agayne / which when they were close had a scorneful and monsterous shape / & when they were opened sodenly thei shewid as godes.8 «Sileni di Alcibiade» sono dunque, per estensione, tutte quelle persone, quegli oggetti, quei fenomeni di apparenza ridicola, povera o addirittura mostruosa, all’interno dei quali, però, a un’analisi più attenta, è possibile scorgere significati riposti, addirittura divini. Sileno era, infatti, un personaggio della mitologia greca, un satiro figlio di Pan o di Ermes, dalle orrende sembianze, ma dotato di grandissima saggezza, precettore del dio Dioniso. Già per gli antichi, riferiva Erasmo, Sileno era 7 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image, p. 1. «De homine, qui habitu vultuque longe minus prae se ferat, quam in animo claudat» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1734). 8 Ibid. 165 divenuto una metafora, se è vero che nel Simposio di Platone il giovane Alcibiade elogiava Socrate proprio con un paragone silenico, poiché ben diversa dal suo aspetto era, per chi avesse avuto la fortuna di percepirla, la sua essenza. La lunga digressione su Socrate, e poi su altri celebri saggi dall’aspetto ripugnante (Antistene, Diogene, Epitteto), impegna Erasmo per alcune pagine, tutte volte a convincere il lettore sull’importanza del non fidarsi delle apparenze nel giudizio morale. Fino ad arrivare all’esempio silenico più sorprendente, che si spinge al limite della blasfemia: Was not crist a wonderfull Image [?] / if a man may so boldely after suche maner speke of hym. and veryly / I see no cause why but euery man that ys a chrystyan may / myght / and shulde speake of hym and declare hym after what facion so euer he wyll / so that he hurte not the cristen fayth. 9 Cristo stesso fu dunque un sileno, disprezzabile e disprezzato fino al sacrificio ultimo, perché si compissero le parole del profeta «non ha né forma né bellezza».10 Eppure, prosegue Erasmo, se si apre questo magnifico sileno, O Immortall god / what an vnspecable tresure a man shall fynde there / what preciouse stone in suche vyle place / what hye and excedynge gretnes / in so lowe and lyttel thyng / what maruelous riches in so poure a thynge / what excellente strengthe in so weake a thynge / what honourable glory in so shamefull and abiecte a thynge what absolute rest in so paynful labours / and to be shorte / what euerlastynge fountayne or well of Immortallytye in so bytter and cruell deth / why now abhor they this Image / whyche yet boste them selfe in the tytle of hym / that is to say to be callyd christians [?] 11 Qui si nasconde il più potente nucleo morale dell’opera di Erasmo: quella necessità, che certo gli veniva dall’avere aderito alla devotio moderna e al suo ideale ascetico, di 9 Ibid., p. 7 [integrazione di chi scrive]. «An non mirificus quidam Silenus fuit Christus? Si fas est de hoc ad eum loqui modum, quem equidem haud video cur non omnes pro virili debeant exprimere, qui Christiani nomine gloriantur» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1736). 10 Erasmo alludeva alle parole del profeta Isaia (Is., 53, 2: «he hath nether bewtye nor fauoure», nella versione della Great Bible, 1540). 11 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image, pp. 8-9 [integrazione di chi scrive]. «Deum immortalem, quam ineffabile reperies thesaurum, in quanta vilitate quale margaritum, in quanta humilitate quantam sublimitatem, in quanta paupertate quantas divitias, in quanta infirmitatem quantam incogitabilem virtutem, in quanta ignominia quantam gloriam, in quantis laboribus quam absolutam requiem, denique in morte tam acerba perennem inmortalitatis fontem. Cur sic abhorrent ab hac imagine qui titulo tamen illius se iactitant?» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1736). 166 riportare la Chiesa alla sua povertà originaria, a quelle abitudini ‘mostruose’ dei primi cristiani, nel cui scandalo insopportabile stava la vera grandezza. Sileni mostruosi erano i profeti, viventi nella solitudine, come bestie; sileno lo stesso Giovanni Battista, sporco, coperto di pelli, cui unico cibo erano le locuste; sileni gli apostoli, nella loro incondizionata eroica povertà. Quanto difforme dalla Chiesa del presente, soffocata di gioielli e smodate ricchezze: If a man wolde throwly beholde the iner strength & nature of thinges, he shal fynde none farther from the very wysdom then those which with magnified tytles, furred hoddes, shynyng gyrdels and rynges set full of precious stones, processe absolute wysdom. […] None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge bysshoppes couet to holde ye chyefe rowme. And that none ar more oftentimes farther from trew relygion, which thynge I wolde were vntrue, then they whiche in name apparral and ceremonyes professe absolute and parfyt relygion.12 Non è inutile segnalare quanto quest’apostrofe suonasse potente nell’Inghilterra appena uscita dall’orbita romana: la formula «None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge bysshoppes couet to holde ye chyefe rowme», al di là dell’ambiguità suggerita dall’uso della forma plurale, poteva essere letta solo in chiave inequivocabilmente antipapista. Da qui in poi, l’opera di Erasmo abbandona i sileni da cui il discorso aveva preso l’avvio, per rispondere all’esigenza morale di un’ampia requisitoria contro i costumi del suo tempo. Un tempo in cui, ovunque si posi l’occhio, si vedono solo tiranni, magistrati corrotti, preti malvagi, vescovi inadeguati, mistici impostori. E il popolo, abbagliato, non vede che l’aspetto esteriore delle cose. È il mondo capovolto della moltitudine: The grose multytude bycause yt hathe a [per]uerse iugement estemyng al thyng by those thynges whiche chyefely ment wyth the sensys of the body slydeth and euery 12 Ibid., pp. 12-15. «Si quis rerum vim ac naturam penitus introspiciat, reperiet nullos a vera sapientia longius abesse quam istos, qui magnificis titulis, qui sapientibus pileis, qui splendidis cingulis, qui gemmatis anulis absolutam profitentur sapientiam […]. Nullos esse minus episcopos quam qui inter episcopos primas tenent […]. Saepenumero longissime semotos esse a vera religione, qui titulo, qui cultu, qui cerimoniis religione absolutam profitentur» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, pp. 1738-1740). 167 where fallyth in errour and is deluded with the false similytudes of good thynges & yl, turneyng the image as they say in and out as whiche then they wondre & maruelously beholde. 13 In questo mondo alla rovescia, anche e soprattutto i valori fondamentali del cristianesimo appaiono capovolti, tanto che nella gerarchia delle priorità morali la più importante delle facoltà umane, lo spirito, è del tutto scomparsa: The spryte which is our beste parte of whome as of the lyuely fountayne, all oure felycytye spryngeth fourthe / by whome also we are coupelyd to god / ys not so moche had in regarde of the multitude that they once inquire not / whether there be any suche or not / or what is the spririt of whome yet Paule so often speakith hereof puttyth out the paruers Iugement of the multytude whyche gyue moste honoure to suche thynges as ar leste to be reuerensed / moste hyely couetynge those thynges whiche are moste in contempte.14 Perciò, al mondo rovesciato corrisponde la chiesa rovesciata: perché, se il popolo ha perso la capacità di vedere il vero, che è sempre nascosto ad uno sguardo di superficie, la responsabilità di questo ‘traviamento’ è dei ministri di Dio, che non sanno prendersi cura delle loro anime. Loro, le anime, sono la vera Chiesa, e nessuno può minacciarne la purezza più di un cattivo pastore: they call the churche preestes, bysshopes, & popes / whan verely they are no other thyng but euen the mynysters of the churche. For the church is the chrysten people whome Christ hym selfe calleth greatter than the bysshoppes can mynyster vnder / 13 Ibid., pp. 18-19. «Crassum vulgus, quoniam praepostere iudicat, nimirum ex his quae maxime sensibus corporis obvia sunt aestimans omnia, passim et labitur et errat ac falsis bonorum et malorum simulachris deluditur inversosque Silenos miratur ac suspicit» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1740). 14 Ibid., pp. 26-27. «Spiritum optimam nostri partem, a quo ceu fonte felicitas omnis nostra proficiscitur quoque deo copulamur, adeo non habent in pretio, ut nec illud inquirant, sitne aut quid sit spiritus, de quo tamen Paulus toties inculcat. Atque hinc praeposterum de rebus multitudinis iudicium, ut quibus primus debebatur honos […], in contemptissimis ducant» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1744). 168 beynge vnable in seruyce […] But yf a enemye of the churche ought to be hated, tell on / whether there can be any enemye more hurteful or more dedely, than an vngodly prelate.15 Su questo punto, il discorso di Erasmo si fa vibrante: una e una soltanto è la soluzione possibile al rovesciamento di ogni legge morale, e cioè il ritorno alla povertà evangelica, all’autenticità ideale della chiesa primitiva. Qui l’umanista di Rotterdam dispiega tutta la sua capacità oratoria, costruendo una ricca pagina di contrapposizioni tra la falsa opulenza del presente e la purezza originaria del passato, unica fede vera che sana ogni male: I wolde that the bysshoppes shulde be ryche but with the Euangelyke matter / but with the heuenly ryches / whiche the larglyer they dystrybute abrode amonge all men / ye more yet haue they in theyr owne kepynge. I wyll that they shulde haue defence but with the apostels weapyns, and with the buckeler of fayth / with the helmyt of Iustyce / with the sworde of helthe, whyche is the worde of god / I wyll that they shulde kepe contynuall warre. But agayne, the very enemyes of ye church / Symony, pryde, & lechery / desyre of honoure, wrothe, enuy, and other lyke vngodlynesse. These are the veryest turkes that the chrysten men shuld alway take hede of / and alwaye fyght agayne: To suche warre the bysshoppes shulde be bothe exortours and chefe capytaynes. I wyll the preestes shuld be regarded amonge the chefe, nat for the tyranus romblynges, but for the excellency of holy doctryne. And for theyr prestable vertues, I that they shuld be receyued nat for theyr gloryous names or tragycal vesture, but for theyr holy lyuyng and sad demeanour. I wyll that they be fered nat as tyrantes, but as fathers. To be shorte I wyll that they shulde be ryche / but in suche thynge as the rude multytude nat knowen, nat regardeth / and for yt the more sure swet & profytable / wylte thou here the true ryches of the hye bysshop. Here nowe 15 Ibid., pp. 32-34. «Ecclesiam vocant sacrificos, episcopos, ac summos pontifices, cum hi revera nihil aliud sint quam ecclesiae ministri. Caeterum ecclesia populus est Christianus, quem Christus ipse maiorem vocat, ut cui recumbenti ministrent episcopi […]. Verum cedo, siquidem hostem ecclesiae iuvat odisse, num esse possit hostis ecclesiae perniciosior aut capitalior quam impius pontifex?» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1746). 169 what the chefest nexte to Chryst / sayd «golde and syluer I haue none / that I haue that gyue I the: in the name of Iesu / a ryse & walke». 16 Dal ricordo di Pietro e dei suoi miracoli al confronto con i suoi indegni successori sul soglio pontificio il passo è breve.17 Se infatti Pietro affermava di non possedere né oro né argento, come è possibile che si ammanti di ricchezza chi si proclama continuatore della sua opera? Why estemest yu Peters successour by these ryches, whiche Peter hym selfe reioysed that he had nat / why wylte thou that the apostels were alway redy and delygente to trede vnder fete / why callest that Peters patrymony whiche Peter hym selfe neuer had and greatly reioysed that euer possessyd it? why entangelyst thou Chrystes vycars with ryches whyche Chryste hym selfe callyd thorons, why buthenyst hym whose chefe and appropryate offyce is to sewe seed of goddes worde with ryches, by whyche the good seed sewen is chauked.18 E dopo che la polemica ha raggiunto il suo apice, giungendo fino alla cattedra di san Pietro, il finale dell’operetta torna sui passi da cui era partita, torna a guardare il 16 Ibid., p. 48-50. «Cupio quam maxime divites esse pontifices, sed evangelico margarito, sed coelestibus opibus, quas quo largius in omnes effuderint hoc ipsi magis abundabunt, nec periculum erit ne ‘benignitas’ pereat ‘benignitate’. Volo quam munitissimos esse, sed armis apostolicis, nempe ‘scuto fidei, lorica iustitiae, gladio salutis quod est verbum dei’.Volo bellacissimos esse, sed adversus veros illos ecclesiae hostes, simoniam, superbiam, libidinem, ambitionem, iracundiam, impietatem. Hi Turcae sunt semper observandi, semper oppugnandi Christianis. Ad huiusmodi bella dux sit et hortator episcopus. Volo cum primis suspiciendos esse sacerdotes, at non tyrannico strepitu, sed excellentia doctrinae sanctae, sed eximiis virtutibus. Volo reverendos esse, sed ob integritatem ac severitatem vitae, non tantum ob titulos aut ornatum tragicum. Volo timeri, sed ut patres non ut tyrannos. Volo timeri, sed a malis duntaxat, imo tales esse volo, ut improbi revereantur potius quam formident oderintve. Denique volo deliciis affluere, sed raris ac longe quam quas vulgus novit suavioribus. Vis audire vere summi pontifici divitias? Audi a pontificum principe proximum: ‘Aurum et argentum non est mecum, quod autem habeo, hoc tibi do. In nomine Iesu, surge et ambula’» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1752). 17 La guarigione del paralitico, citata da Erasmo, si trova negli Atti degli Apostoli: «Syluer and golde haue I none such as I haue, geue I the. In the name of Iesus Chryst of Nazareth, ryse vp and walke» (At. 3:6, nella versione della Great Bible, 1540). 18 Ibid., pp. 56-57. «Cur Petri successorem his opibus aestimas, quas ipse Petrus se non habere gloriatur? Cur apostolicos principes eis ornamentis magnos videri vis, quibus calcandis magni fuerunt apostoli? Cur illud Petri patrimonium vocas, quod ipse Petrus se non habere gloriatus est? Cur Christi vicarios opibus irretiendos putas, quas ipse Christus appellavit spinas? Cur eum, cuius ut proprium ita praecipuum officium est divini verbi semen iacere, divitiis obruis, quibus vel maxime iactum praefocatur?» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1754). 170 sileno, e invita ad aprirlo, a scrutare la sua immagine interna, per ribaltare di nuovo i rapporti rovesciati fra le cose. Bisogna lasciare che the tenporall rulers haue ye rowme and auctoryte in temporall thynges / that that is meanest in a bysshoppe passeth the hyest rowme of all temporall kyngdomes. The more the spirytualte receyue of the worldly possessyons, the lesse shall it receyue of the goodnes of god / the poorer that it is of the one, the rycher shal it be of the other. Thou seest nowe how euery thyng sheweth contrary to the vtter syghte yf thou marke and beholde the inner fassyon. Suche as semed moost true & faythfull to the prynce, are often proued for traytours & hys enemyes. And suche as semed to mayntayne and prayse moost the bysshoppes dygnyte moost often decayeth and defayleth it.19 Tuttavia, questo invito a lasciare ai profani le cose profane, coerentemente con il desiderio di Erasmo di modificare la chiesa dall’interno, senza giungere a uno scontro diretto e violento come era stato quello di Lutero, si chiude senza esplicita istigazione alla rivolta. Anzi, il teologo di Rotterdam, sottolinea il livello tutto interiore della sua proposta: But I speke nat this for that purpose / yt whatsoeuer lande or rent chaunce to the spirytualtie shulde be plucked and taken from them. But verely I wolde they shulde haue remembraunce & knowlege of theyr excellent hyghnes, that euer they shulde vtterly cast fro theym these conmon fylthy thynges and hethen ryches / or els they shulde at ye lest set no store by them. And as Paule sayeth, they shulde haue theym as they had them nat. Farthermore I wolde they shulde be so moche inflamed with Chrystes ryches, that what so euer they receyue of the worldly treasures, shulde eyther be darked with the bryghtnesse of the letter, or receyued for vyle or abiecte in 19 Ibid., pp. 67-68. «Habeant prophana prophani; in episcopo quod infimum est totius imperii superat fastigium. Quo plus addideris de mundi bonis, hoc minus de suis impertiet Christus. Quo ab illis erit purgatior, hoc effusius hisce locupletabitur. Vides opinor ut tota res in diversum exeat, si Silenum inverteris. Qui principi Christiano maxime favere videbantur, hos proditores et hostes principis maxime deprehendis. Quos pontificum dignitatem tueri dixisses, ab his conspurcari comperis» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, p. 1758). 171 regarde of ye other / so shall it ende that what so euer they poscesse / they shal possesse it with more ioye and suretye / neyther shal they feare or be troubled, lest any man wyll take them from them.20 Malgrado questa prudenza, la forza del pensiero innovatore di Erasmo non poteva non urtare contro la furia conservatrice della Controriforma romana: iscritte nell’Index librorum prohibitorum, le opere del teologo olandese furono condannate al rogo nel 1543.21 Tuttavia, nulla la collera del potere inquisitorio aveva potuto sul suo corpo mortale: Erasmo si era spento pochi anni prima, nel 1536, a Basilea. Le sue ultime parole («lieve God», Dio caro) erano state un ringraziamento per quella ricerca di purezza e verità che aveva informato tutta la sua vita.22 * * * La pubblicazione londinese dei Sileni Alcybiadis non era certo solo un tributo a un dotto di grande spessore intellettuale, che per un lungo periodo della sua vita aveva fatto di Oxford la sua seconda dimora. Le ragioni della fortuna dei Sileni, più volte ristampati, sono da ricercare nella precisa aderenza dei temi affrontati da Erasmo con le esigenze spirituali dei lettori inglesi. Vi erano infatti due forti nuclei concettuali, alla base del libello erasmiano, che potevano essere accolti con grande favore in Inghilterra nei primi anni quaranta del XVI secolo. Da un lato, il senso di profonda crisi dei tempi presenti, che il teologo attribuiva in ultima istanza alla corruzione del clero e alla conseguente mancanza di una seria e disinteressata guida spirituale; dall’altro, l’insistenza sulla necessità di andare oltre uno sguardo superficiale sulla realtà, ricercando i veri significati, spesso nascosti, delle cose. Il fatto che l’oggetto da 20 Ibid., pp. 68-69. «Neque vero haec dixerim, quod sacerdotibus eripiendum putem si quid quocunque modo contigit vel ditionis vel opum, […] verum illos suae magnitudinis conscios ac memores esse volo, ut ista plebeia, ne dicam ethnica, vel reiiciant vitro et infimis cedant vel certe contemptim possideant et iuxta Paulum sic habeant quasi non habeant. Denique sic eos Christi opibus ornatos esse volo, ut quicquid accesserit ex huius mundi splendore, aut meliorum obscuretur luce aut sordidum etiam ex collatione videatur. Ita fiet ut et quod possident hoc felicius possideant quo securius; nec enim angentur metu, ne quis eripiat» (Erasmo da Rotterdam, Adagi, pp. 1758-1760). 21 Hugh Trevor-Roper, Religion, the Reformation and Social Change, London, Macmillan, 1967 (Protestantesimo e trasformazione sociale, traduzione italiana di Luca Trevisani, Roma-Bari, Laterza, 1994), p. 17: «the age of Erasmus was that golden age which lay between the European discovery of printing and the invention of its antidote, the Index Librorum Prohibitorum». 22 Le ultime parole di Erasmo, raccolte da un testimone della sua morte, sono citate da Johan Huizinga, Erasmo, p. 177. 172 ‘aprire’, da ‘decifrare’, fosse proprio la figura mostruosa del sileno, suggeriva che il difforme e il divino potessero convivere nello stesso fenomeno. Il passaggio concettuale successivo era vicinissimo: il ‘mostro’ doveva essere, proprio come il sileno di Alcibiade, un geroglifico da decrittare, e il suo senso era connesso con la decadenza spirituale del tempo presente. Questo passaggio, estraneo ad Erasmo, fu compiuto dall’anonimo curatore del libello, nella costruzione del frontespizio sopra descritto: la «Scorneful Image of monstruos shape», accentuata dalla creatura senza testa, cioè senza guida, veniva dichiarata senza mediazione come un’allegoria dello «State & Conditio[n] of this Present World, & Inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste». In questo ‘riambientamento’, fortemente moralizzante, quello che risultava amplificato era il colore apocalittico del testo erasmiano, del tutto a discapito delle sfumature ottimistiche (e in certi tratti anche fortemente ironiche) del testo originale. Questa scelta culturale nasceva da motivazioni profonde: quando il testo di Erasmo sbarcò oltre Manica, l’Inghilterra era reduce da anni di cambiamenti tanto radicali quanto dolorosi e sconvolgenti. Nel novembre 1534, infatti, Enrico VIII si era separato da Roma, promulgando l’Act of Supremacy, con il quale, dichiarandosi «the supreme head of the Church of England», affermava che il fine principale della sua separazione dall’autorità romana sarebbe stato di «increase of virtue in Christ’s religion within this realm» e soprattutto di «repress and extirpate all errors, heresies, and other enormities and abuses»: il capo supremo della Anglicana Ecclesia avrebbe deciso in prima persona, senza più ingerenze da «foreign authority», quale fosse la vera fede di Cristo e quali gli abusi.23 Gli atti successivi, tuttavia, corrisposero solo in parte a questi iniziali propositi. Infatti, dalla metà degli anni Trenta, Enrico presentava la sua Chiesa come un’istituzione equidistante tra la tradizione cattolica e l’innovazione luterana, affermando che essa sarebbe stata al tempo stesso scritturale e sacramentale. Ma le vere e proprie formulazioni dottrinali, diffuse confusamente a seguito di dispute anche 23 La bibliografia su Enrico VIII è piuttosto vasta; si rimanda qui, pertanto, solo ad alcuni tra gli studi più significativi relativi allo scisma: John Bowle, Henry VIII. A Study of Power in Action, Boston, Little Brown, 1964; David Starkey, The Reign of Henry VIII. Personalities and Politics, London, Juliet Gardiner, 1992; Richard Rex, Henry VIII and the English Reformation, Basingstoke, Macmillan, 1993; Susan Brigden, New World, Lost Worlds. The Rule of the Tudors, 1485-1603, London, Allen Lane-The Penguin Press, 2000, specialmente pp. 101-139 (Alle origini dell’Inghilterra moderna. L’età dei Tudor (1485-1603), traduzione italiana di Ida Di Vicino, Bologna, Il Mulino, 2003); Elisabetta Sala, L’ira del re è morte. Enrico VIII e lo scisma, Milano, Ares, 2008. 173 velenose fra i vari vescovi e fra i vescovi e il re, lasciarono nello sconcerto il clero e soprattutto il popolo. Una dopo l’altra, cadevano tutte le certezze sui meccanismi della salvezza. Si metteva in dubbio l’esistenza del purgatorio, quindi si mettevano in discussione i sacramenti cattolici: l’ordine sacerdotale, l’estrema unzione, la cresima e anche la confessione. Ma, poiché veniva negato anche il principio luterano della giustificazione tramite la sola fede, non era più chiaro quale fosse la via da percorrere per ottenere la salvezza dell’anima: la volontà di equilibrio tra due visioni alternative della redenzione risultava perciò solo fonte di confusione per i sudditi. Gli unici interventi davvero definiti e concreti di Enrico, gli unici storicamente determinanti e determinabili nel corso del suo regno, furono irrilevanti dal punto di vista dottrinale: da un lato la soppressione dei monasteri, che consentì alla corona di ottenere introiti considerevoli dalla confisca, dall’altro l’obbligo di leggere la bibbia in inglese e non più in latino. In questo clima di profondo sconcerto, in cui davvero la chiesa di Inghilterra poteva apparire mostruosa e acefala come una blemmia, si colloca dunque la traduzione londinese dei Sileni Alcybiadis dalla quale siamo partiti. Quell’ardita operazione editoriale testimonia non soltanto il generale interesse per il pensiero del teologo di Rotterdam, ma anche e soprattutto la volontà di sottolinearne l’aspetto morale, ‘usando’ l’autorevole voce di Erasmo per denunciare un’angoscia presente.24 Un’angoscia della quale non si intravedeva la fine: il re che l’aveva generata, abbandonando il porto romano, ora lasciava i suoi sudditi nel buio del mare aperto. Disinteressato ormai alle questioni dottrinali, Enrico VIII sembrava non avere che un pensiero, la questione dinastica. Nel 1537, una delle sue sei mogli, la ventenne Jane Seymour, era riuscita a esaudire il suo sogno partorendo un figlio maschio.25 L’impresa aveva avuto un prezzo altissimo, la vita della stessa regina, ma quel 24 Non sarà forse superfluo ricordare una certa continuità nella diffusione dei testi erasmiani, e più in generale una coltivazione di alcuni ideali umanistici, nella prima fase della ‘Riforma’ inglese: uno dei primi atti del successore di Enrico VIII, suo figlio Edoardo VI, fu infatti un decreto regio con il quale si stabiliva che le Parafrasi dei Vangeli di Erasmo dovessero trovarsi in ogni chiesa. Cfr. Roland H Bainton, The Age of Reformation of the Sixteenth Century, Boston, The Beacon Press, 1952, p. 188 (La riforma protestante, prefazione di Delio Cantimori, appendice bibliografica a cura di Leandro Perini, traduzione italiana di Francesco Lo Bue, Torino, Einaudi, 1958). 25 Sulle vicende matrimoniali di Enrico VIII, cfr. almeno Alison Weir, The Six Wives of Henry VIII, London, Bodley Head, 1991; Antonia Fraser, The Six Wives of Henry VIII, London, Weidenfeld & Nicolson, 1992 (Le sei mogli di Enrico VIII, traduzione italiana di Paola Mazzarelli, Milano, Mondadori, 1993) e David Starkey, Six Wives. The Queens of Henry VIII, London, Vintage, 2004. 174 sacrificio non era stato vano e l’Atto di Successione del 1544, che garantiva al piccolo l’ascesa al trono prima delle sorelle maggiori, Maria e Elisabetta, ne era la testimonianza.26 Restava solo un problema da risolvere: la reggenza. Chi avrebbe guidato il ‘divino infante’ in caso di ascesa al potere prima della maggiore età? Questo dilemma cadenzò, come le lancette di un orologio, la vecchiaia di Enrico VIII: nell’includere o allontanare aspramente i pericolosi aristocratici che ruotavano intorno alla sua corte, egli sperava, come suggerisce Susan Brigden, di poter continuare a governare anche dalla tomba, ma non gli fu consentito.27 Il lungo regno di Enrico VIII giunse al suo atto conclusivo così come si era aperto, macchiato dal sangue e consumato dalle invidie e dai complotti. Il successore, di appena nove anni, si trovò le gracili spalle gravate da una pesante eredità: «a schism without heresy».28 * * * Edoardo VI occupò il posto del padre il 20 febbraio del 1547, ma il passaggio di consegne si concretizzò solo nelle parole: de facto, il fanciullo non fu che un fantasma durante gli anni del suo regale mandato.29 In sua veste, a intrecciare i fili delle marionettes sul palco della politica, ci sarebbe stato lo zio materno Edward Seymour, duca di Somerset.30 Nella sua attività politica, un ruolo centrale ebbe la questione religiosa. Questi condivise le posizioni di alcuni fra gli evangelici più radicali, e incoraggiò la diffusione e l’attecchimento di un protestantesimo estremo, culminato in un Ordine di Comunione revisionato, imposto universalmente dalla Pentecoste del 26 Sulla discendenza di Enrico VIII, cfr. Alison Weir, Children of England. The Heirs of Henry VIII, London, Pimlico, 1996 e più recentemente John Guy, The Children of Henry VIII, Oxford, Oxford University Press, 2013.27 Susan Brigden, New World, Lost Worlds, p. 139. 28 Roland H. Bainton, The Age of Reformation of the Sixteenth Century, p. 190. 29 Per un quadro sul brevissimo regno di Edoardo VI (nato nel 1537, regnante dal 1547 al 1553) si vedano almeno Wilbur K. Jordan (ed.), The Chronicle and Political Papers of King Edward VI, London, George Allen & Unwin, 1966; Jennifer Loach, George Bernard, Penry Williams (eds), Edward VI, New Haven, Yale University Press, 1999; Stephen Alfrod, Kingship and Politics in the Reign of Edward VI, Cambridge, Cambridge University Press, 2002 e Chris Skidmore, Edward VI. The Lost King of England, London, Weidenfeld & Nicolson, 2007. 30 Sulle controversie che seguirono la morte di Enrico VIII e che portarono all’elezione di Edward Seymour come Lord Protettore, si vedano Glyn Redworth, In Defence of the Church Catholic. The Life of Stephen Gardiner, Oxford, Blackwell, 1990, soprattutto pp. 231-237; Eric Ives, ‘Henry VIII’s Will. A Forensic Conundrum’, Historical Journal, 35, 4, 1992, pp. 782-799 e Susan Brigden, ‘Henry Howard, Earl of Surrey, and the Conjoured League’, Historical Journal, 23, 1994, pp. 507-537. Sui primi anni di reggenza, si rimanda invece a Wilbur K. Jordan (ed.), Edward VI, the Young King. The Protectorship of the Duke of Somerset, London, George Allen & Unwin, 1968. 175 1549. L’emendamento prevedeva che la comunione fosse ricevuta da tutti, laici e non, sotto le due specie del pane e del vino, ma cercava allo stesso tempo di rimuovere il concetto che il sacerdote, attraverso essa, offrisse in sacrificio il sangue e il corpo di Cristo.31 Tuttavia, la rinuncia all’elevazione durante la consacrazione (il momento del rito di maggiore forza e intercessione), al segno di pace, la cancellazione del grande ciclo dei giorni festivi dedicati alla celeste schiera dei santi, l’uso dell’inglese in sostituzione del latino e l’evidente impulso riformatore che si celava dietro il nuovo rito, resero il Book of Common Prayer un testo inaccettabile per tutti coloro che avevano idee conservatrici. Ne derivarono irrimediabilmente scontri e conflitti, soprattutto nel sud-ovest del paese, dove, ad esempio, la teca, che conteneva l’ostia benedetta, posta sopra l’altare, era stata il centro della devozione eucaristica popolare. Per molti, la nuova messa era quanto mai assurda e blasfema e in molte comunità la sua imposizione scatenò la rivolta. Le sommosse furono brutalmente sedate, ma la loro soppressione segnò la fine di chi le aveva commissionate. Una congiura architettata all’interno delle stesse mura di Hampton Court fece, infatti, ben presto, cadere in rovina Somerset, e con il suo conseguente arresto la posizione di indiscusso rilievo che aveva occupato fu assunta nel 1550 da John Dudley, signore di Warwick e duca di Northumberland.32 Quest’ultimo, tuttavia, non si rivelò essere così diverso dal suo predecessore; i problemi del passato divennero i problemi del presente, ma con una differenza sostanziale: ora erano anche più gravi. Se, infatti, da un punto di vista spirituale, la distruzione in massa di tutti i libri delle funzioni cattoliche causò confusione e smarrimento solo nei devoti, l’implacabile epidemia di sudor Anglicus che esplose tra la primavera e l’estate del 1551, mietendo ovunque un numero indefinito di vittime, scaraventò l’intera popolazione nel terrore più profondo. E se in molte contee lo spauracchio della fame, e soprattutto della tomba, era divenuto l’unico conforto quotidiano, come era possibile allora che dove invece sembrava esserci ancora un briciolo di linfa vitale, essa produceva solo orribili mostri, così orrendi da 31 A questo proposito, cfr. Catharine Davis, A Religion of the World. The Defence of the Reformation in the Reign of Edward VI, Manchester, Manchester University Press, 2002 e Diarmaid MacCulloch, The Body King. Edward VI and the Protestant Reformation, Berkley, University of California Press, 2002. 32 Cfr. Wilbur K. Jordan (ed.), Edward VI, the Threshold of Power. The Dominance of the Duke of Northumberland, London, George Allen & Unwin, 1970; Dale Hoak, ‘Rehabilitating the Duke of Northumberland. Politics and Political Control’ in Jennifer Loach, Robert Tittler (eds), The Mid-Tutor Polity c. 1540-1560, London, Macmillan, 1980, pp. 29-51 e David M. Loades, John Dudley Duke of Northumberland, 1504-1553, Oxford, Clarendon Press, 1996. 176 travestirli in emissari dell’inferno? A «Damenwald», nei pressi di «Wodstocke», era accaduto proprio questo: […] A farmers wife brought forth a Monster which Fincelius discribeth. Al the Childs body was of a bright Bay, his heade had hornes, his eyes were greate and hanging out, he had no nose, his mouth broade a span long, amid whiche appeared a white tong and foure square, he had no neck, for his head grew close to hys shoulders, all his body was puffed up, and full of wrinkles, hys armes did sticke in his loynes, his feete were slender, and from his Navill there hung down to his feete a kinde of loose bowel.33 Come bisognava interpretare simili accadimenti? Sembrava che fosse la mano divina a punire violentemente l’Inghilterra per la propria confusione in materia di fede. Il Parlamento tentò di riportare ordine nella dottrina, e nell’aprile del 1552, su spinta di Warwick, approvò un nuovo Atto di Uniformità. Con esso veniva abolito l’Agnus Dei, eliminato qualunque riferimento al Purgatorio e alle orazioni in suffragio dei defunti. Ma non si poneva fine al caos generato dai continui stravolgimenti della liturgia: «the uniformity in the practice» era ancora distante.34 Ecco perché, un mese dopo il provvedimento parlamentare, la nascita di una coppia di gemelli siamesi – fusi in un unico corpo deforme come a rappresentare figurativamente la mostruosa mescolanza di dottrine diverse – sembrò divenire lo strumento attraverso il quale l’Altissimo denunciava, in carne e ossa, il suo dispiacere per quella disarmonica incongruenza. 33 Stephen Batman, The Doome warning all Men to the Judgemente: wherein are contained for the most Parte all the Straunge Prodigies hapned in the Worlde, with Divers Secrete Figures of Revelations tending to Mannes stayed Conversion towardes God: in Maner of a Generall Chronicon, gathered out of Sundrie approved Authors, [London], imprinted by Ralphe Nubery assigned by Henry Bynneman. Cum priuilegio Regali, Anno Domini 1581 [STC (2nd ed.), 1582], p. 356. 34 Roland H. Bainton, The Age of Reformation of the Sixteenth Century, p. 187. 177 CAPITOLO QUARTO Let this Monster them teach to mend the Monstrous Life they show: i mostri nella propaganda religiosa dell’Inghilterra riformata And seing wordes of warnyng toke no plays with you, God for his loving mercie hathe barned you also by monstrous marvailes on the earthe, and horrible wonders in thelement [sic], to put you beside all maner of excuses. What wonderfull monstres have ther now lately ben borne in Englande? What celestial signes most horrible? A childe borne besides Oxforde in the yeare, M. D. LII. with two heades and two partes of two evil shaped bodyes ioyned in one. A childe borne at Coventree, in the yeare M. D. LV. without armes or legges. A childe borne at Fulha[n] by Londo[n] even now this yeare, with a great head, evil shaped, the armes with bagges hanging out at the Elbowes and Heles, and fete lame […]. But what were these? Only bare signes? No, certaynly, they doo and must signifie the great wrathe and indignacion of God. 4 John Ponet, A Shorte Treatise of Politike Power, 1556. These strange and monstrous things Almighty God sendeth amongst us that we should not be forgetful of his almighty power, nor unthankful for his great mercies so plentifully poured upon us, and especially for giving us his most Holy World, whereby our lives ought to be guided, and also his wonderful tokens, whereby we ought to be warned. But if we will not be instructed by his Word, nor warned by his wonderful works, then let us be assured that these monstrous sights do foreshow unto us that his heavy indignation will shortly come upon us for our monstrous living. Anonymous, The Description of a Monstrous Pig, 1562. * * * Nell’estate del 1552, lo stampatore John Day diede alle stampe un foglio volante scritto da mano anonima, il cui contenuto era destinato a suscitare non poco scalpore tra i lettori londinesi. Il documento, stampato verticalmente e finemente illustrato a colori, si componeva di due brevi componimenti poetici e un testo in prosa (fig. 6). Quest’ultimo, rivolgendosi direttamente al «Chrysten Reader», riassumeva brevemente un fatto di cronaca che aveva provocato sbigottimento tra gli abitanti di «Middleton Stonye», una piccola comunità rurale situata «XIII Miles from the University of Oxforde at the In».1 Qui, «the thyrde daye of Auguste last past», la vedova di un certo John Kenner aveva dato alla luce il frutto della sua unione con il consorte, scomparso prematuramente proprio durante la gravidanza. Nulla veniva raccontato sulle circostanze del parto che, tuttavia, dovette essere lungo ed estremamente doloroso per la giovane puerpera, soprattutto se si pensa al fatto che la creatura che aveva portato in grembo si rivelò essere una coppia di gemellini siamesi uniti per la vita e con gravi malformazioni anatomiche: Thys Double Chyld, […] yet linving, [had] II. Heads. II bodies. IIII. armes. IIII. hands of good and parfit shape and fashion, welfavoured and faire of bisages lyke unto other children, but with one onley belly, one navel and one only fundment, at which they voide both bryne and ordure. Then have they . II. legges wyth the feete on 1 Anonymous, Thou shalte understande (Chrysten Reader) that the Thyrde Daye of August last past, Anno. M. CCCCC. LII. betweene the Houres of .X. and XI. at after noone in a Towne called Myddleton Stonye .VIII. Miles from the Universite of Oxforde at the In, called the Sygne of the Egle. There the Good Wyfe of the Same, was delivered of thys Double Chylde, begotten of her Late Housbande John Kenner, whyche is dysceased. The forme and shape of the Same Children, both the fore partes and hynderpartes, is above shewed, London, imprinted by John Daye dwellinge over Aldersgate beneth S. Martyns, 1552 [STC (2nd ed.), 14932.5]. L’esemplare consultato appartiene alla collezione Hans Sloane del British Museum (qui riprodotto alla fig. 6), è mutilo della parte inferiore; non così l’altro esemplare esistente, contenuto nel fondo Johann J. Wick della Zentralbiblioteck di Zurigo, che, integro, conserva ancora la riga con i dati editoriali. Su questo specifico aspetto, cfr. Sheila O’Connell, The Popular Print in England, London, British Museum Press, 1999, p. 128, illustrazione a colori n. 1. Su questo, che è uno dei primi fogli volanti illustrati dedicati al racconto di una nascita ‘mostruosa’ umana, un cenno si trova in Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post- Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005, pp. 7-9. La studiosa si limita a segnalare che il documento si caratterizza come una sorta di «Protestant lesson», senza tuttavia analizzarne accuratamente i temi e le modalità espositive. Anche Paige M. Walker cita brevemente questo documento senza analizzarlo (ignorando tra l’altro la ballata latina), semplicemente rilevando l’esplicita identificazione del destinatario, il «Chrysten reader», e il conseguente suggerimento a dare della nascita mostruosa un’interpretazione religiosa (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readership’, Berkeley Undergraduate Journal, 26, 2, 2013, pp. 227-228). 181 one syde of good reasonable forme and shape, and on the other syde but one legge wyth .II. feete having but .IX. toes, monstrous both legge and feete, as ye maye perceive by the Pycture.2 La levatrice che presiedette l’estenuante travaglio rimase costernata quando si trovò davanti i due bambini fusi in un unico corpo e, temendo che non sarebbero sopravvissuti a lungo, decise di battezzarli immediatamente.3 Ma i due neonati, contrariamente a ogni previsione, non morirono: «they were fedde .II. dayes wyth Cow milcke, and did not suck of a woman til the thyrd day. They are of good lyking and in good possibilitye (by all mens judgements that have sene them) to lyve».4 Il breve ‘report’ dell’evento proseguiva segnalando il trasferimento dei piccoli nella parrocchia locale.5 A questo punto la narrazione si interrompeva e, come tracce della vasta eco che il fatto lasciò di sé nella piccola borgata, il documento che sto descrivendo tramanda due ballate, quasi un corollario dell’evento e della sua scarna ricostruzione. Si tratta di due brevi testi, uno in distici elegiaci latini, e l’altro, in inglese, composto da tre quartine di tetrametri e trimetri giambici in rima alternata (ABAB/CDCD/EFEF). E se è senz’altro arbitrario attribuirli al pastore di Middleton Stoney, è quasi certo che essi riproducano da vicino lo sgomento e la riprovazione che dovettero alimentare le successive perorazioni del religioso. Vale la pena di soffermarsi un attimo ad analizzare questi due componimenti che, incastonati tra l’immagine (che occupa la metà superiore del foglio) e il testo in prosa (che chiude il foglio volante, in basso), costituiscono probabilmente la parte più interessante di tutto il documento. La ballata latina è composta da quattro distici elegiaci: Quisquis in hanc flectis mirantia lumina chartam [Antonite † ] pavidum discute mentis onus. Haec est altisoni divina potentia Iouae Hec tibi vibratae virga timenda manus. 2 Anonymous, Thou shalte understande (Chrysten Reader). 3 Ibid.: «And also these sayde Chyldren were baptised by the Mydwyfe and named John e Johane». 4 Ibid. 5 Ibid.: «And after [they were] brought to the Church, alowed also by the Curate, and receyved by him into the Congregation». 182 Ne fias animo qui non es corpore monstrum [Mensue sit † ] horrendus contaminata notis. Iam sape, monstrosa fugendo relinquito vitam. Atque vias vigili dirige mente tuas.6 Rivolgendosi direttamente al lettore (Quisquis in hanc flectis mirantia lumina chartam, «chiunque tu sia che volgi gli occhi a guardare questa carta»), la ballata lo invitava per prima cosa a riverire la divina potentia, e a temere la punizione della sua mano; quindi arrivava rapidamente all’apice, morale e poetico, del componimento, che giungeva nell’accorato monito del verso centrale: ne fias animo qui non es corpore monstrum, ovvero «non essere mostro nell’animo, tu che non lo sei nel corpo», così istituendo un rapporto retoricamente strutturato tra la ripugnanza fisica e quella morale. La breve ballata si chiudeva poi con un consiglio di retta via: Iam sape, monstrosa fugendo relinquito vitam / atque vias vigili dirige mente tuas («Abbi giudizio, trascorri la vita fuggendo le mostruosità, e con mente vigile percorri le tue vie»). Il tono di questi distici latini era allusivo, severo, evidentemente destinato a una ricezione colta e litterata. Ben diverso, e ben più chiaro, era invece il registro dei giambi inglesi, in cui il parallelismo tra il corpo mostruoso dei due gemelli e la mostruosità dei vizi che affliggevano l’Inghilterra era espresso con tratti vividi, e con un tono colloquiale, in cui a parlare erano chiamati gli stessi gemelli: Such as we be, such is this age Behold and you shal se. So far in vice, do then outrage That monsters they may be. Our bodies growe, al out of kinde Our shape is straunge to syght, So Sata[n] hath drawe[n] ma[n]s mo[n]strous mynd From God, from truth and right. 6 Ibid. [Le traduzioni italiane citate d’ora in poi nel testo sono di chi scrive]. 183 Wo[n]der no more, make straight your waies Stand tall and feare to fall, The Lorde hath sent us in these dayes, An Image for you all.7 Rispetto al testo latino, quello in volgare aveva un tono retorico molto diverso, destinato a colpire profondamente, con la propria icasticità: i vocaboli scelti («vice», «outrage») erano focalizzati sull’orrore morale; l’esplicito riferimento a Satan richiamava con tutta evidenza la potenza malefica che dilaniava il tempo presente, così come la perorazione finale si focalizzava sul timore della Caduta («stand tall and feare to fall»). La nascita dei gemelli come emblema del peccato presente era espressa con chiarezza, non più solo allusa, e ribadita per ben quattro volte: il parallelismo era manifesto fin dal primo verso («such as we be, such is this age»), poi espresso per la seconda volta nei versi successivi: tanto in avanti si era spinto il vizio morale, tanto insopportabile l’oltraggio di ogni legge, che la porta del mostruoso si era definitivamente spalancata: «monsters they may be». E come non bastasse, ancora più chiaramente il concetto era spiegato (e siamo alla terza, più vasta esposizione) nei quattro versi successivi: i corpi dei gemelli erano «out of kinde» in proporzione diretta della misura in cui Satana aveva reso mostruoso l’animo umano, allontanandolo «from God, from truth and right». Uno solo era il modo per ribaltare il disegno, per rovesciare nuovamente i rapporti tra le cose: rispettare il monito «make straight your waies» (unica consonanza con il testo latino, vias vigili dirige mente tuas, «con mente vigile percorri le tue vie»). Non fosse ancora sufficiente, l’autore della ballata per la quarta volta rammentava la precisa connessione tra la mostruosità morale dei tempi presenti e quella fisica dei gemelli: essi erano stati inviati da Dio, come «an Image for you all». I testi discussi manifestano per la prima volta sul suolo inglese, e con grande efficacia, l’istituzione di un preciso rapporto tra una nascita mostruosa e la decadenza morale dei tempi presenti. E la volontà di espressione di questo rapporto è tanto più rilevante quanto più è ribadita, non solo all’interno di un singolo testo, ma anche nell’amplificazione che deriva dalla giustapposizione di più registri formali. Il foglio di John Day, da questo punto di vista, è un documento incredibilmente polisemico, che fa innanzitutto campeggiare l’immagine, grande ed evidente, destinata a tutti, 7 Ibid. 184 anche a chi non può leggere;8 al di sotto, colloca un resoconto preciso e circostanziato (con date, nomi, testimoni) che attesta la veridicità del racconto; infine, aggiunge una lettura moralizzante nelle due ballate, una in latino, per i litterati, l’altra in volgare per chi il latino non conosce.9 Siamo cioè, per la prima volta, di fronte ad un documento che, pubblicizzando una nascita mostruosa, differenzia il messaggio sulla base dei destinatari: un tentativo, quasi un prototipo, che negli anni successivi conoscerà modifiche ed evoluzioni, ma che fin d’ora mostra la volontà dell’anonimo autore di pervenire al maggior numero possibile di lettori.10 Il documento stampato da John Day mostra perciò l’esigenza di smuovere quante più coscienze, un atteggiamento morale che sempre si accompagna ai tempi di grande incertezza. E certo i primi anni cinquanta del XVI secolo, in Inghilterra, non promettevano quiete. 8 Interessante, a proposito dell’uso delle immagini in questo tipo di documenti, il rilievo di Tessa Watt, Cheap Print and Popular Piety, 1550-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, p. 149, che legge in questo genere di raffigurazioni «some of the demand for the supernatural and the miracoulous, in the absence of religious prints», ovviamente rilevando che «it would be crude to think of monstrous creatures directly ‘replacing’ saints and pietàs; indeed in France the canards [si tratta di brevi pamphlet in ottavo, ma anche talvolta fogli volanti] existed side by side with devotional images». Simile la lettura di Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 190, nota 26, a proposito del rapporto tra agiografia e teratologia: «what I argue here is less that stories of monsters replaced stories of saints than that they told religious stories in increasingly inventive and polemical ways». Si tratta cioè di una nuova mitopoiesi, inserita all’interno della polemica religiosa di questi anni. 9 Il bilinguismo latino/volgare caratterizza i fogli volanti più antichi, non solo in Inghilterra, ma anche in Francia e Germania. Alan W. Bates, nel suo Emblematic Monsters, non cita direttamente questo documento ma, a proposito di un analogo francese del 1570, suggerisce che «publishers initially anticipated a learned audience for these publications but found them also to be of interest to those unable to read Latin» (Emblematic Monsters. Unnatural Conceptions and Deformed Births in Early Modern Europe, Amsterdam-New York, Rodopi, 2005, p. 46). 10 Forse non sarà del tutto peregrino attribuire la redazione del documento allo stesso editore, John Day (1522-1584). Questi, uno dei più celebri stampatori dell’età di Edoardo VI (e poi di Elisabetta I), si specializzò nella stampa e nella distribuzione di letteratura protestante. Durante il regno di Maria I, caratterizzato invece da un tentativo di controriforma cattolica, molti editori protestanti si rifugiarono sul continente; non così John Day, che probabilmente per questa sua attività di propaganda protestante fu arrestato nel 1554. Alla morte della regina cattolica, con l’ascesa di Elisabetta I, l’attività editoriale di John Day rifiorì, sempre caratterizzata da un grande impegno nella catechesi riformata: per i suoi tipi uscirono The ABC with Little Catechism (1559) e The Whole Booke of Psalmes, Collected into English Meter (1562). Per un ricco profilo biografico, cfr. Andrew Pettegree, ‘Day , John (1521/2–1584)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/7367, accessed 1 Jun 2014]. Per un approfondimento bibliografico, si vedano inoltre John N. King, ‘The Light of Printing. William Tyndale, John Foxe, John Day, and Early Modern Print Culture’, Renaissance Quarterly, 54, 1, 2001, pp. 52-85; Id., ‘John Day: Master Printer of the English Reformation’, in Peter Marshall, Alec Ryrie (eds), The Beginning of English Protestantism, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 180-208; Id., Foxe’s ‘Book of Martyrs’ and Early Modern Print Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2006; Elizabeth Evenden, Patents, Pictures and Patronage. John Day and the Tudor Book Trade, Aldershot, Ashgate, 2008. Un certo John D., come vedremo fra poco, è autore di un’altra importante ballata, ricca di riferimenti colti e scritturali, pubblicata a Londra nel 1562, in cui si descrive la nascita, a Chychester nel Sussex, di un bimbo malformato, anche in questo caso connessa con la decadenza dei costumi morali: John D., A Discription of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, the .XXIIII. Daye of May. This being the very Length, and Bygnes of the Same .M.CCCCC.LXII. London, imprinted by Leonard Askel for Fraunces Godlyf, 1562 [STC (2nd ed.), 6177]. 185 4.1 The Poor Church of God is like a Woman with Child near her Travail: la lunga strada per l’affermazione del Protestantesimo Nella primavera del 1553 si diffuse la notizia dell’imminente morte di Edoardo VI: ammalatosi gravemente di tubercolosi, il monarca bambino non riuscì a superare l’estate, spegnendosi il 6 luglio a soli sedici anni. A corte dilagò il terrore, al pensiero che il potere stesse ora per finire nelle mani della sorellastra del re, Maria, la quale avrebbe senza dubbio ripristinato la tirannia di Roma, restaurando il cattolicesimo. Perché ciò non accadesse, il duca di Northumberland non risparmiò fatica alcuna al sovrano infermo, spingendolo a ribaltare le disposizioni testamentarie del padre, annullando l’Atto di Successione del 1544 e designando così nuovi eredi. La scelta ricadde su Jane Grey, nipote di Maria Tudor e nuora del Lord Protettore. Sulla scena, a quel punto, si trovarono a gareggiare per la corona due potenziali regine, la papista Maria e la calvinista Jane, e il cielo sembrò voler rendere esplicito il proprio disappunto per questo scontro attraverso un «marvellous strange monster» – due gemelli congiunti all’altezza della vita, che guardavano l’uno a est e l’altro a ovest.11 Non restava dunque che attendere di sapere quale delle due pretendenti avesse la meglio: il Consiglio optò per Jane Grey, proclamata regina il 10 luglio 1553.12 La vox populi, tuttavia, tuonò per le strade della capitale in segno di dissenso, depose l’‘usurpatrice’ e stabilì che fosse Maria, la figlia della ripudiata Caterina d’Aragona, a garantire la linea di prosecuzione della casata Tudor.13 11 Anonymous, [A] Marvellous Strange Monster, citato in Susan Brigden, New World, Lost Worlds. The Rule of the Tudors, 1485-1603, London, Allen Lane-The Penguin Press, 2000, p. 197 (Alle origini dell’Inghilterra moderna. L’età dei Tudor (1485-1603), traduzione italiana di Ida Di Vicino, Bologna, Il Mulino, 2003). Susan Brigden non segnala la fonte che le ha fornito la notizia di questa nascita ‘mostruosa’. Sarei propenso a credere che si tratti del caso appena analizzato (i gemelli di Middleton Stoney, nati il 3 agosto 1552), reinterpretato retrospettivamente come profezia della contesa tra le due pretendenti al trono. 12 Su Jane Grey, regina d’Inghilterra per nove giorni, cfr. Eric Ives, Lady Jane Grey. A Tudor Mystery, Chichester, Wiley-Blackwell, 2009. 13 La biografia di Maria, prima regina della casata Tudor (1516-1558), è ricostruita con abbondanza di particolari in molte monografie; si vedano soprattutto Milton Waldman, The Lady Mary. A Biography of Mary Tudor, 1516-1558, London, Collins, 1972; Carolly Erickson, Bloody Mary, London, Dent, 1978 (Maria la Sanguinaria. Miserie e grandezze alla corte dei Tudor, traduzione italiana di Maria Pia Lunati Figurelli, Milano, Mondadori, 2001); David M. Loades, Mary Tudor. A Life, Oxford, Basil Blackwell, 1989; Robert Tittler, The Reign of Mary I, London-New York, Longman, 1991; Maureen Waller, Sovereign Ladies. The Six Reigning Queens of England, New York, St. Martin’s Press, 2006; Linda Porter, Mary Tudor. The First Queen, London, Little Brown, 2007; Anna Whitelock, Mary Tudor. England’s First Queen, London, Bloomsbury, 2009; Ead., Mary Tudor. Princess, Bastard, Queen, Random House, 2010 e Alice Hunt, Anna Whitelock (eds), Tudor Queenship. The Reigns of Mary and Elizabeth, Gordonsville, Palgrave Macmillan, 2010. 186 Come temuto dai suoi oppositori, nell’ottobre del 1553 Maria abrogò le leggi promulgate dal fratellastro e ricucì lo strappo con Roma.14 Fu reintrodotta la messa in latino e con essa i paramenti e gli arredi sacri tipici del rito romano. Nel frattempo, però, qualcosa era cambiato e quello che veniva presentato al popolo come un ritorno alle origini cristiane non poteva più essere accettato senza conseguenze. Se in passato, proprio la celebrazione eucaristica era stata un potente elemento di unione, ora essa rischiava di esserlo di divisione, ma la regina aveva sentimenti così profondamente radicati, riguardo alla questione religiosa, che lo scontro con i protestanti fu inevitabile. Negli anni che seguirono, il fumo causato dai continui roghi di oppositori al restaurato cattolicesimo dovette essere così intenso da annerire le facciate delle abitazioni che circondavano la piazza di Smithfield: secondo le stime di alcuni studiosi, i martiri furono circa 300.15 Ma questa ‘ardente’ attività di sradicamento dell’eresia, che procurò alla regina il soprannome «Bloody» con cui è passata alla storia, non era la sua unica preoccupazione: Maria sapeva che per garantire continuità al suo operato era necessario avere un erede, un erede cattolico. L’eccitazione scaturita dalla resa pubblica della sua intenzione di prendere marito, fu seguita da altrettanta concitazione per la designazione di un degno consorte. Alcuni propendevano per uno sposo inglese e fu fatto il nome di Edward Courtenay, ma Carlo V di Spagna esercitò tutta la sua influenza perché fosse suo figlio, Filippo, il fortunato prescelto. I due furono uniti nel sacro vincolo del matrimonio il 25 luglio 1554, a Winchester, di fronte a un pubblico scontento che soggiacque per pura riverenza. Il malcontento popolare non tardò a farsi sentire e risultò tanto amaro per Maria quanto profetico degli esiti fatali della sua scelta. Il figlio tanto desiderato non arrivò mai, nemmeno quando, agli inizi di maggio del 1558, un improvviso rigonfiamento del grembo la illuse miseramente di essere incinta. Si trattava di un male incurabile che non le diede scampo: Maria morì nel mese di novembre a St. James Palace. La sua scomparsa decretò il naufragio del cattolicesimo e ciò fu chiaro 14 Sui provvedimenti presi da Maria durante il suo regno, soprattutto in ambito religioso, cfr. David M. Loades, The Reign of Mary Tudor. Politics, Government and Religion in England, 1553-1558, London- New York, Longman, 1991. 15 Su questo particolare aspetto del regno di Maria, cfr. Jasper Ridley, Bloody Mary’s Martyrs. The Story of England’s Terror, New York, Carroll & Graf, 2001 e Eamon Duffy, Fires of Faith. Catholic England under Mary Tudor, New Haven, Yale University Press, 2009. 187 quando la nuova ‘unta di Dio’ divenne la figlia della decapitata Anna Bolena, Elisabetta.16 Elisabetta, libera finalmente dalla prigionia della Torre, dove l’aveva fatta recludere Maria, si ritrovò catapultata in un clima di grande incertezza. Uno dei fattori che maggiormente avrebbero contribuito a una simile instabilità era chiaramente la spinosa questione religiosa, alla quale la sovrana tentò di porre rimedio già pochi mesi dopo il suo insediamento. Era, infatti, necessario realizzare un ordine uniforme in materia di fede, dopo anni di confusioni e conflitti: la mancanza di un credo comune minacciava profondamente la tenuta del regno. Alla prima convocazione del Parlamento, nei primi mesi del 1559, il segretario di Stato Sir William Cecil aveva presentato un disegno di legge molto radicale, che implicava il ripristino dell’atto di Supremazia del 1534, con il quale Enrico VIII si era proclamato «head of the Church of England», e la reintroduzione del Book of Common Prayer di Edoardo VI, risalente al 1552. Inoltre, il disegno di legge negava la transustanziazione nel rito eucaristico, eliminava ogni riferimento al papa nella liturgia e bandiva l’uso dei paramenti sacri del rito latino: un completo annullamento della riforma cattolica di Maria I. La camera dei Lord, tuttavia, ancora dominata dai vescovi cattolici e dai Pari conservatori, fece naufragare questo progetto. Nei giorni di Pasqua del 1559, si fece dunque strada una posizione più moderata, che promosse due nuovi disegni di legge: in primo luogo, un nuovo Act of Supremacy mutò il ruolo di Elisabetta da Supreme Head in Supreme Governor, un espediente con il quale la 16 Nata il 7 settembre 1533 presso il palazzo di Placentia, a Greenwich, e frutto del secondo matrimonio di Enrico VIII, Elisabetta rimase orfana di madre a soli tre anni (Anna Bolena fu mandata al patibolo con l’accusa di tradimento e stregoneria nel 1536). Dichiarata illegittima, come la sorellastra Maria, alle terze nozze del padre con Jane Seymour, la giovane rimase nell’ombra per molti anni, sino a quando Caterina Parr, divenuta nel 1543 la sua quarta e ultima matrigna, non la riavvicinò alla corte, educandola in un ambiente rigidamente protestante e facendola reinserire nella linea di successione al trono. Elisabetta rimase lontana dalla scena sociale e politica sino al 1558, anno in cui ebbe inizio il suo lunghissimo regno, conclusosi nel 1603. La bibliografia su Elisabetta I è estremamente vasta e continua a crescere a ritmo incalzante. Per un profilo biografico, si vedano almeno: Elizabeth Jenkins, Elizabeth the Great, New York, Capricorn Books, 1957; Patrick McGrath, Papists and Puritans under Elizabeth, London, Blandford Press, 1967; Wallace T. MacCaffrey, The Shaping of the Elizabethan Regime. Elizabethan Politics, 1558-1572, Princeton, Princeton University Press, 1971; David M. Palliser, The Age of Elizabeth. England under the Later Tudors, 1547-1603, London, Logman, 1983; Carolly Erickson, The First Elizabeth, London, Macmillan, 1983 (Elisabetta I. La vergine regina, traduzione italiana di Paola Mazzarelli, Milano, Mondadori, 1999); Alan Haynes, The White Bear. The Elizabethan Earl of Leicester, London, Peter Owen, 1987; MacCaffrey Wallace T., Queen Elizabeth and the Making of Policy, 1572-1588, Princeton, Princeton University Press, 1988; Id., Elizabeth I. War and Politics, 1588-1603, Princeton University Press, 1994; Alison Weir, Elizabeth the Queen, London, Pimlico, 1999; Christopher Haigh, Elizabeth I, Harlow, Longman, 2000; Susan Doran, Queen Elizabeth I, London, British Library, 2002; David M. Loades, Elizabeth I. The Golden Reign of Gloriana, London, The National Archive, 2003; Anne Somerset, Elizabeth I, London, Anchor Books, 2003; Patrick Collinson, Elizabeth I, Oxford, Oxford University Press, 2007. 188 regina era di fatto capo della Chiesa d’Inghilterra senza che lo si affermasse esplicitamente. Questo sottile stratagemma consentì l’approvazione dell’Atto. Esso implicava un Oath of Supremacy al quale erano tenuti tutti coloro che occupavano posizioni di rilievo nella Chiesa o nella burocrazia dello Stato: chi rifiutò di giurare (vescovi, dignitari, accademici) fu rimosso e sostituito con fedeli sostenitori della causa protestante. L’Atto, inoltre, proibiva di riconoscere qualsiasi autorità straniera, politica o religiosa che fosse, così abolendo di fatto l’ingerenza papale nel regno.17 Ad un secondo disegno di legge, l’Act of Uniformity, fu affidato il compito di disciplinare la liturgia della nuova Chiesa. Da un lato, tale provvedimento obbligava ogni cittadino del regno ad assistere, nelle domeniche e nei giorni festivi, al rito anglicano, mettendo fuori legge il rito cattolico. D’altra parte, però, il nuovo Book of Common Prayer veniva emendato degli elementi più oltraggiosi per il rito romano e delle ingiurie contro il papa, e conservava inoltre, con «studiate ambiguità», riferimenti ad entrambe le dottrine, quella consustanziale dei protestanti e quella transustanziale dei cattolici, sulla presenza del Cristo nell’eucaristia.18 Malgrado tale prudenza, il provvedimento fu approvato dal Parlamento per soli tre voti: nessun vescovo votò a favore, anzi a due di essi fu impedito di esprimere la propria preferenza e altri due erano assenti. Furono dunque solo i laici a legiferare in materia di fede.19 Questa scelta di una via media consentì l’approvazione parlamentare ma certo non realizzò il sogno della concordia nazionale: il Book of Common Prayer di Edoardo, infatti, tornava ad essere, seppure modificato, pietra fondativa della nuova fede, e «if it pleased many, it was anathema to uncompromising Protestants now returning from exile, for whom it made too many concessions to a popish past. And, of course, it horrified good Catholics».20 Negli anni immediatamente successivi, un movimento cattolico clandestino sopravvisse, arrivando talvolta ad attentare alla vita della stessa regina. La più clamorosa di queste cospirazioni culminò con la cosiddetta Revolt of the Northern Earls, con la quale nel 1569 i signori di Scozia cercarono di deporre Elisabetta e di 17 Ibid., pp. 216-217. 18 Cfr. Roland H. Bainton, The Age of Reformation of the Sixteenth Century, Boston, The Beacon Press, 1952, p. 192 (La riforma protestante, prefazione di Delio Cantimori, appendice bibliografica a cura di Leandro Perini, traduzione italiana di Francesco Lo Bue, Torino, Einaudi, 1958); si veda inoltre, su questi passaggi, Christopher Haigh, English Reformations. Religion, Politics, and Society under the Tudors Oxford, Oxford University Press, 1993, pp. 237-241. 19 Cfr. John Guy, Tudor England, Oxford, Oxford University Press, 1988, p. 262. 20 Susan Brigden, New World, Lost Worlds, pp. 216-217. 189 sostituirle sul trono la cugina cattolica, Maria Stuart.21 La rivolta fu domata ed ebbe come eco dal continente la bolla Regnans in Excelsis (1570), con la quale il papa Pio V dichiarava eretica la praetensa Angliae regina, la scomunicava, e scioglieva i sudditi tutti dal dovere di obbedienza. L’unico esito di questo provvedimento fu tuttavia di inasprire la politica anticattolica nel regno e di porre fine a un’epoca di relativa tolleranza religiosa. Il 1571 fu infatti, non certo casualmente, l’anno dell’ultima stesura dei Thirty-Nine Articles, la completa sistemazione del nuovo credo. Il processo che ho fin qui brevemente descritto mostra la lentezza e la laboriosità con cui il protestantesimo attecchì oltre Manica, un processo che Patrick Collinson ha significativamente descritto con la metafora del travaglio, e con i rischi che esso comporta: «like the twins Esau and Jacob, whose contention began in the womb, the birthpangs of the English Reformation brought forth discordant triplets: Church, Dissent and Popery».22 21 I complotti imputati all’intervento diretto, o almeno alla complicità, di Maria Stuart furono talmente numerosi che Elisabetta, pressata anche dai membri del suo Consiglio, nel 1587 ne firmò la condanna a morte per decapitazione. Sulla vita di Maria Stuart (1542-1587), sovrana di Scozia e regina consorte di Francia, cfr. Claudina Fumagalli, Maria Stuarda. Tre mariti, due corone, un patibolo, Milano, De Vecchi, 1967; Gordon Donaldson, Mary, Queen of Scots, London, English Universities Press, 1974; Jayne E. Lewis, The Trial of Mary Queen of Scots. A Brief History with Documents, Boston, Bedford- St. Martin’s Press, 1999; Alison Weir, Mary, Queen of Scots and the Murder of Lord Darnley, London, Random House, 2003; Retha M. Warnicke, Mary Queen of Scots, New York, Routledge, 2006. 22 Patrick Collinson, The Birthpangs of Protestant England. Religious and Cultural Change in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, New York, Macmillan, 1988, p. 155. Ancora un’immagine di gestazione difficile traspare nel titolo del saggio di Christopher Haigh, ‘The English Reformation. A Premature Birth, a Difficult Labour and a Sickly Child’, Historical Journal, 33, 1990, pp. 449-459. La metafora della ‘Riforma’ inglese come processo di gestazione è antica; così si esprimeva, ad esempio, l’artigiano e cronista Puritano Nehemiah Wallington (1598-1658) durante il regno di Carlo I: «Here you may see of all this that hath been said how the poor church of God […] is like a woman with child near her travail, which would fain bring forth and cannot […]. And also you see many an excellent blessing and mercy in the very birth, for this honorable Parliament (as the Mother) to bring forth, and cannot […]. Stand still and behold the salvation of the Lord, which he will show this poor despised children, for the Lord will do all himself and that for our good […]. And the reformation should have come as easily as it did seem at first, we should not have so esteemed of it» (Nehemiah Wallington, Historicall Notices of Events occuring chiefly in the Reign of Charles I, 2 vols., edited from the Original MMS. with notes and illustrations by Richard Webb, London, Richard Bartely, 1869, I, p. 186). Una metafora analoga era usata ancora nel 1658 da Richard Baxter (1615-1691) che, nella sua Call to the Unconverted, rivolgendosi a coloro che erano al lavoro per la diffusione del protestantesimo, si augurava che essi «miscarry not in the birth» (Richard Baxter, A Call to the Unconverted to turn and live, and accept of Mercy while Mercy may be had, as ever they would find Mercy in the Day of their Extremity from the Living God. By his Unworthy Servant Richard Baxter. To be read in Families where any are Unconverted, London, printed by R. W. for Nevil Simmons, Bookseller in Kederminster, and are to be sold by him there; and by Nathaniel Ekins, at the Gun in Laules Church-Yard, 1658 [Wing (CD-ROM, 1996), B1196], p. A3v). Lo stesso concetto, formulato quasi con le medesime parole, l’autore lo avrebbe ribadito quindici anni dopo anche in A Christian Directory or a Summ of Practical Theologie, and Cases of Conscience. Directing Christians how to USE their Knowledge and Faith; how to improve all Helps and Means, and to perform all Duties; how to overcome Temptations, and to escape or motifie every Sinn, London, printed by Robert White for 190 In questa fase così delicata, non era possibile un’imposizione dottrinale totale e violenta, ma solo una catechesi lenta e capillare, in cui giorno dopo giorno il potere religioso doveva rinegoziare i propri precetti con le radicate specificità locali. Ecco perché, come afferma Julie Crawford, bisogna intendere il protestantesimo inglese «not as a blanket imposition of a new religious order, but as a micropolitical process of reform enacted through local negotiations of belief and conformity».23 Un lento compromesso, dunque, in cui un ampio ruolo nel proselitismo fu affidato alla street literature, che poteva arrivare lì dove mai sarebbe giunta la grande trattatistica metropolitana: «religious treatises could be read aloud to the unlettered, but could never speak through the countryside as effectively as a broadside ballad could».24 La propaganda protestante colse quindi il grande potenziale di questo genere di letteratura e, a partire dall’inizio degli anni Sessanta del Cinquecento, i fogli volanti di contenuto religioso conobbero una nuova ed improvvisa fioritura. Come sottolinea Natascha Würzbach, essi costituirono un vero e proprio sottogenere tra le «ballads of crimes and marvels»: se infatti queste ultime limitavano la loro azione all’aspetto informativo e ludico, le ballate di carattere religioso assumevano una funzione quasi ‘sostitutiva’ dei testi sacri.25 Tra queste, un ruolo preponderante svolsero i documenti che avevano come tema le nascite mostruose, animali e soprattutto umane. Gli autori, spesso anonimi, si resero infatti conto che la venuta al mondo di un corpo deforme si prestava quasi naturalmente ad essere intinta di coloriture moralizzanti e religiose, sia per l’inevitabile appeal che questo argomento aveva sul pubblico, sia per la facilità di diffusione del documento che ne dava testimonianza. 26 L’uso intensivo che i Nevill Simmons at the Sign of the Princes Arms in S. Pauls Church-yard, 1673 [Wing (CD-Rom, 1996), B1219], p. 100: «therefore that you miscarry not in so needful work, I shall add these following Directions». 23 Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 9. 24 Tessa Watt, Cheap Print and Popular Piety, 1550-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, p. 69. Vale la pena sottolineare che la studiosa considera di tematica religiosa solo quei pamphlets nei cui titoli compaiono parole chiave come: «God», «religion», «the pope», or «papists». Sulla letteratura popolare analizzata in chiave religiosa e provvidenziale, si veda anche Alexandra Walsham, il cui lavoro, tuttavia, non si sofferma specificamente sui testi e sulle loro raffigurazioni, ma fonda le proprie argomentazioni sulla mera esistenza e diffusione dei documenti (Providence in Early Modern England, Oxford, Oxford University Press, 1999). 25 Natascha Würzbach, The Rise of the English Street Ballad, 1550-1650, translated from German by Gayna Walls, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 67. A questo proposito, si legga anche Julie Crawford: «In an age in which figurative representations of God were theologically suspect or disallowed, monsters were an ingenous way not only of showing the divine presence in human life and in human bodies but of teaching, in some incarnate form or another, the World» (Marvelous Protestantism, p. 16). 26 La coscienza dell’efficacia delle broadside ballads si accompagnò anche a quella della loro pericolosità. Fin dall’inizio del suo regno, Elisabetta mise in atto una fitta serie di provvedimenti volti al controllo delle attività di stampa. A questo proposito si vedano Marjorie Plant, The English Book 191 protestanti fecero dei parti deformi per sostenere la loro causa potrebbe dunque autorizzarci a correggere la definizione di Julie Crawford, e a parlare di un vero e proprio ‘Monstrous Protestantism’.27 All’inizio degli anni Sessanta, infatti, le ballate che avevano per tema le nascite mostruose conobbero una notevole evoluzione e un forte sviluppo, dopo un ‘silenzio’ parecchio prolungato nel tempo.28 Nell’arco di dieci anni, tra il 1561 e il 1570 (e non sarà inopportuno segnalare la vicinanza cronologica con il processo di elaborazione dei Thirty-Nine Articles), una decina di fogli volanti testimoniano un difetto di nascita, animale o umano, e ne danno una lettura fortemente moralizzante: questo improvviso affollarsi, senza dubbio non casuale, ci segnala una precisa strategia editoriale, parallela alla riflessione religiosa, nei primi anni del regno di Elisabetta. 4.2 And Monster shewes the Sea of Sinne: quando tutta l’umanità è colpevole Non è purtroppo possibile ricostruire il processo di maturazione della forma che abbiamo visto in embrione nel foglio volante pubblicato da John Day nel 1552: il documento successivo a noi noto risale infatti a dieci anni dopo. Stampato a Londra da Thomas Marshe, nel 1562, esso presenta rispetto all’archetipo una notevole evoluzione, sia negli aspetti formali e grafici sia in quelli di contenuto.29 Trade. An Economic History of the Making and Sale of Books, London, George Allen & Unwin, 1939, pp. 17-58; Phyllis M. Handover, Printing in London from 1476 to Modern Times. Competitive Practice and Technical Invention in the Trade of Book and Bible Printing, Periodical Production, Jobbing, &c, London, George Allen & Unwin, 1960, pp. 19-44; Henry S. Bennett, English Books & Readers, 1558 to 1603. Being a Study in the History of the Book Trade in the Reign of Elizabeth I, Cambridge, Cambridge University Press, 1965 e Annabel Patterson, Censorship and Interpretation. The Conditions of Writing and Reading in Early Modern England, Madison, University of Wisconsin Press, 1984. 27 Cfr. Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 12. 28 Dopo i documenti dei primi anni Cinquanta, di cui abbiamo discusso nelle pagine precedenti (il foglio volante di John Day del 1552, e l’anonimo riferito da Susan Brigden, del 1553), per quasi dieci anni non abbiamo notizie di pubblicazioni in cui il difetto di nascita sia strumentalizzato a fini religiosi o politici. Questo ‘silenzio’ non è difficile da motivare, se si tiene conto del feroce clima censorio venutosi a creare durante il regno di Maria I Tudor, che molti stampatori fece imprigionare e molti altri costrinse alla fuga. Su questo aspetto, specie in riferimento alla vicenda di John Day, ma con uno sguardo sull’intera epoca, si rimanda ancora a John King, ‘John Day: Master Printer of the English Reformation’, pp. 180-208.29 Paige M. Walker segnala che la forma emersa dal salto temporale 1552-1562 è in parte diversa dal documento di John Day da cui siamo partiti. In questa fase di transizione, cambiano le proporzioni (e spesso anche le posizioni) tra la ballata e la prosa: quest’ultima perde importanza a favore del testo in versi, capace di trasmettere ‘emotivamente’ i concetti, e facilmente memorizzabile in ragione della scansione ritmica (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, p. 228). 192 Il broadsheet, intitolato The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe borne at Muche Horkesley, si presentava ai lettori londinesi con una piccola immagine, che occupava soltanto il terzo superiore del foglio e raffigurante un neonato con arti incompleti, mentre i due terzi restanti ospitavano, rispettivamente, una lunga ballata di 48 pentametri giambici e un testo in prosa che descriveva con straordinaria ricchezza di dettagli il corpo malformato della creatura (fig. 7).30 Il 21 aprile di quell’anno, «at Muche Horkesley in Essex, a village about thre myles from Colchester», era nato un bambino having neyther hande, foote, legge, nor arme, but on the left syde it hath a Stumpe growynge out of the shoulder, and the ende thereof is rounde, and not so long as it should go to the elbowe, and on the ryghte syde no mencion of any thing where any arm should be, but a little stumpe of one ynche in length, also on the left buttocke there is a stumpe comming out of the length of the thygh almost to the knee, and round at the ende, and groweth something overthwart towardes the place where the ryght legge should be and where the ryghte legge should be there is no mencion of anye legge or stumpe. Also it hath a Codde [scrotum] and stones but no yearde [penis], but a lytell hole for the water to issue out.31 Dopo avere così dettagliatamente descritto l’incompletezza degli arti, aspetto che come vedremo fra poco aveva un importante significato all’interno della lettura moralizzante, l’anonimo autore non mancava tuttavia di aperture ottimistiche: il bambino era sopravvissuto, si nutriva, addirittura appariva «very well favoured, and 30 Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe, borne at Muche Horkesleye, a Village Three Myles from Colchester, in the Countye of Essex, the .XXI. Daye of Apryll in this Yeare 1562. O, prayse ye God and blesse his name His mightye Hande hath wrought the same, London, imprinted in Fletestrete nere to S. Dunstons Church by Thomas Marshe, [1562] [STC (2nd ed.), 12207]. A proposito dello stampatore Thomas Marshe, Julie Crawford sottolinea come egli fosse «actively involved in the production and dissemination of anti-Catholic pamphlets and doctrinally pedagogical Protestant tracts about such issues as Protestant martyrs and priestly marriage» (Marvelous Protestantism, p. 39). La prima trascrizione completa del foglio volante è stata realizzata da Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, printed in the Reign of Queen Elizabeth, between the Years 1559 and 1597, accompanied with an Introduction and Illustrative Notes, London, Joseph Lilly, 1867, pp. 27-30. Un’altra riproduzione integrale del testo si trova nella più recente raccolta di Marie H. Loughlin, Sandra Bell, Patricia Brace (eds), The Broadview Anthology of Sixteenth-Century Poetry and Prose, Peterborough, Broadview Press, 2011, pp. 557-559. La sola ballata, con scarno commento, si può leggere in Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, pp. 43-44. 31 Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe, borne at Muche Horkesleye. 193 of good and cheareful face».32 Ma la prosa non si chiudeva sul bel volto del bambino, e proseguiva con un ultimo breve paragrafo, in cui si sottolineava la sua nascita al di fuori di un legittimo matrimonio: Anthony Smith of Much Horkesley husbandman and his wyfe, were both maryed to others before, and have had dyvers chyldren, but this deformed childe is the fyrst that the sayd Anthony and his wyfe had betwene them two […]. This chylde was begot out of matrimony.33 L’autore evidenziava in questo modo con chiarezza il rapporto simpatetico tra il corpo incompleto del bambino e l’incompletezza dell’unione tra i suoi genitori: concepito fuori dal matrimonio, il bimbo era destinato ad essere monco, esattamente come monca era la relazione tra coloro che lo avevano generato.34 Tuttavia, sebbene «begot out of matrimony», il piccolo era «borne in matrimonye»: i genitori avevano, cioè, ‘riparato’ la colpa del concepimento al di fuori del matrimonio con una tardiva unione ufficiale, e dunque, in ottica provvidenzialistica, il loro bambino non veniva punito con la morte, ma «was living, and like to continue».35 Se già la prosa si tingeva di chiare coloriture morali, era però nella ballata che l’autore condensava il suo impeto catechetico, in cui lo sguardo si allargava spesso dai genitori ‘colpevoli’ all’intera comunità umana. Fin dal primo verso, infatti, ad essere chiamato in causa era l’intero «monstrous world that monsters bredes as rife [abundantly]», all’interno di una visione morale in cui si affermava chiaramente che Dio usa i mostri per significare le colpe degli umani: «in nature god such draughtes doth shape / Resemblyng Sinnes that so bin had in price».36 Ma era nella quartina successiva, che l’anonimo poeta raggiungeva uno dei momenti più densi (e raffinati) di tutto il componimento: So grossest faultes brast out in bodyes forme And monster caused of want or to much store 32 Ibid. 33 Ibid. 34 Cfr. Alan W. Bates, ‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, Journal of the Royal Society of Medicine, 93, 2000, pp. 203-204. 35 Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe borne at Muche Horkesley. 36 Ibid., v. 1 e vv. 7-8. 194 Of matter, shewes the sea of Sinne: whose storme Oerflowes and whelmes vertues barren shore.37 Qui si avverte chiaramente quella che è stata definita la ‘sofisticatezza’ di questo testo, in cui l’eziologia aristotelica del difetto di nascita, quella relativa alla mancanza («want») o all’eccesso di materia («to much store / of matter»), era sapientemente messa al servizio dell’urgenza morale: per quanto scientifica, o presunta tale, potesse essere la lettura fisiologica, anch’essa doveva essere vista come strumento della significazione divina («shewes the sea of Sinne»).38 Introdotta in questo modo la potente metafora marina, l’autore la alimentava e approfondiva nella stanza successiva, in cui, significativamente, si colgono echi della ricerca del giusto mezzo, la media via: Faultye alike in ebbe and eke in flowd, Like distant both from meane both like extremmes Yet greatst excesse the want of meane doth shrowde And want of meane excesse from vertues meanes.39 Il difetto o l’eccesso di materia erano come l’afflusso e il deflusso della marea, entrambi distanti dal «meane», dal giusto mezzo. E tuttavia, l’ostinata ricerca del giusto mezzo, era il «greatst excess», che si allontanava profondamente dalla virtù. Giunta alla sua metà, la ballata non aveva ancora nominato il bambino di Muche Horkesley, e questo silenzio così a lungo mantenuto rispondeva all’intento di segnalare la corresponsabilità di tutto il genere umano nella colpa: «in him [cioè nel 37 Ibid., vv. 9-12. 38 Secondo Dudley Wilson, che sottolinea come questa sia una delle più sofisticate ballate sulle nascite mostruose, i due elementi – fisiologia aristotelica e lettura morale – sono fusi insieme in una specie di sermone sulla peccaminosità dell’eccesso (Signs and Portents, pp. 43-44); sulla stessa linea interpretativa anche Julie Crawford, che segnala la compresenza di nozioni (para)scientifiche e causalità moralizzante come elementi convergenti nella genesi della nascita mostruosa (Marvelous Protestantism, p. 64); più perspicua la lettura di Alan W. Bates, che evidenzia piuttosto come le conoscenze fisiologiche (o supposte tali) restino in secondo piano rispetto alla necessità morale: il fatto che si conoscano (o si creda di conoscere) le cause della malformazione non toglie alla nascita mostruosa la sua significazione del peccato che l’ha determinata (Emblematic Monsters. Unnatural Conceptions and Deformed Births in Early Modern Europe, Amsterdam-New York, Rodopi, 2005, p. 51). 39 Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe borne at Muche Horkesley, vv. 13-16. 195 bimbo mutilo] behold by excess from meane our breache».40 Il bimbo era nato monco, come monca era l’umana virtù: To shewe our misse beholde a guiltlesse babe Reft of his limmes (for such is vertues want) Him selfe and parentes both infamous made With sinful byrth: and yet a wordlyng scant. Feares Midwyfes route: bewrayeng his parentes fault In want of honestye and excesse of Sinne.41 Solo ora, al verso 29, si nominava la colpa dei genitori: l’urlo della levatrice di fronte alla forma mostruosa del bimbo rivelava «his parentes fault». E tale colpa, significativamente (e aristotelicamente), era ‘mancanza’ («want») ed ‘eccesso’ («excesse»), ma non di materia, questa volta, bensì di «honestye» e di «Sinne». E, per quanto tardivamente legittimato dal matrimonio dei suoi genitori, il bimbo conservava, e avrebbe conservato per sempre «the shameful mark / Of bastard sonne in bastard shape descried».42 Nel seguito, il rapporto tra la colpa e la menomazione era descritto con una violenza quasi compiaciuta: «Nature just envyed / Her gift to hym: and cropd wyth mayming knyfe / His limmes, to wreake her spyte on parentes sinne».43 La feroce lama della natura era precipitata sul fragile corpo dell’innocente, per trasformarlo in una «unrecured sore», un’incurabile piaga che dichiarava la colpa dei genitori, una colpa «scorched in their minds».44 Nella chiusa, l’anonimo poeta abbandonava il particolare e tornava ad uno sguardo universale, tornava ad osservare la folla di mostri che popolavano il mondo, e che spesso, dopo avere dichiarato con la loro nascita le colpe dei genitori, non sopravvivevano e «naked flye to skyes».45 Del bimbo di Muche Horleskey il futuro rimaneva ignoto, sappiamo soltanto che «was living, and like to continue». Ma quello 40 Ibid., v. 24. 41 Ibid., vv. 25-30. 42 Ibid., vv. 32-33. 43 Ibid., vv. 35-37. 44 Ibid., vv. 41-42. 45 Ibid., v. 45. 196 che è certo è che la sua «monstrous uglye shape», doveva rappresentare un monito per tutto il mondo, «friendly […] to sin».46 E significativamente, sulla parola «world» con la quale si era aperto, il componimento si chiudeva, ancora una volta rammentando che, se pure inviati come punizione per colpe individuali, i mostri sono moniti che riguardano l’intera comunità. Questo stesso messaggio era sotteso ad un altro foglio volante, stampato poche settimane dopo quello poc’anzi analizzato, e dedicato questa volta ad una nascita mostruosa animale. The shape of II Monsters (1562) presentava una distribuzione formale dei materiali molto simile al documento appena discusso: sotto al titolo, nel terzo superiore del foglio, campeggiavano due illustrazioni di suini malformati, ad uno solo dei quali erano dedicati i testi sottostanti (fig. 8); una prosa al solito analitica e descrittiva; e una ballata, composta da 13 quartine di tetrametri e trimetri giambici in rima alternata (ABAB).47 Nella prosa, l’autore, William Fulwood, riferiva che il 7 maggio una scrofa aveva partorito un maialino deforme, dal volto «much lyke unto a Dolphines», con le zampe anteriori «like unto handes, each hande havinge thre long fingers and a thumb», e quelle posteriori «growing very much backwarde otherwise then the common natural forme hath ben seen».48 Nessun rapporto veniva istituito fra la 46 Ibid., vv. 48. 47 William Fulwood, The Shape of .II. Mo[n]sters. M.D.LXIJ, London, imprinted at Long Shop in the Pultry by Iohn Alde, [1562] [STC (2nd ed.), 11485]. Una trascrizione moderna di The Shape of II Monsters si trova in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 45-48. Scarne le notizie sull’artefice di questo foglio volante. Membro della Merchant Taylors’ Company, Fulwood fu traduttore dei classici latini e degli umanisti italiani e autore di numerose ballate, oltre che di un manuale di mnemotecnica (The Castle of Memorie, 1563), significativamente dedicato a Robert Dudley, favorito di Elisabetta I e fervente protestante. Per un profilo biografico, si veda Cathy Shrank, ‘Fulwood , William (d. 1593)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/ view/article/10243, accessed 1 Jun 2014]. Altrettanto povere sono le informazioni che abbiamo sullo stampatore John Allde. Nato a Londra nel (o forse poco prima del) 1531, ottenne licenza di stampa dalla Stationer’s Company nel gennaio del 1555 e grazie all’eredità lasciatagli dal libraio Richard Kele, presso il quale aveva svolto il suo apprendistato, aprì una tipografia in proprio «at the Long Shop next to St. Mildred Poultry». Qui rimase in attività sino alla sua morte, avvenuta nel 1584, contraddistinguendosi per il suo interesse e la sua attenzione verso testi di natura popolare, come dimostra la pubblicazione di The Shape of II Monsters. Per un approfondimento, cfr. Henry R. Tedder, ‘Allde, John (b. in or before 1531, d. 1584)’, revised by Ian Gadd, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/364, accessed 1 Jun 2014]. 48 William Fulwood, The Shape of .II. Mo[n]sters. 197 malformazione dell’animale e una specifica colpa, la sua venuta al mondo veniva letta come generico ammonimento sulla potenza divina: These straunge sights, the Allmighty God sendeth unto us that we sould not ben forgetful specially by geving unto us his holy word wherby our lives ought to be guided an also his wonderful tokens wherby we are most gentilly warned.49 Ma al monito gentile ne faceva subito da contrappunto un altro, di tenore decisamente più minaccioso: But if we will not be warned, neither by his word, nor yet by his wonderful workes: then let us be asured that these straunge monstrous sightes doe premonstrate unto us that his heavy indignacion wyl shortly come upon us for our montrous lyvinge. Wherfore let us earnestly pray unto God that he wyl geve us grace earnestly to repent our wickednes, faithfully to beleve his word and sincerely to frame our lives after the doctrine of the same.50 Fulwood seguiva lo stesso semplice schema concettuale anche nella ballata, «An admonition unto the Reader»: il mostro era giunto per mettere in evidenza l’ipocrisia degli uomini, di fronte al fatto che «we have Goddes wurd well preacht / and will not mend our life».51 Il mostro, dunque, non doveva essere letto come segno di uno specifico peccato individuale, ma come incarnazione di una comunità infinitamente mostruosa: And loke what great deformitie, In bodies ye beholde: Much more is in our mindes truly, an hundreth thousand folde.52 49 Ibid. 50 Ibid. 51 Ibid., vv. 15-16. 52 Ibid., vv. 21-24. A proposito delle ballate di nascite mostruose animali, e dei versi appena citati in special modo, Alan W. Bates afferma che «the broadsides describing monstrous pigs […] are significant because they also speak of God’s dissatisfaction with contemporary society but in circumstances where the births defects described could not be interpreted as deserved punishment, showing that the malformations are to be interpreted as a general warning of divine displaisure; a call for moral self-examination among those who witness the event» (‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, p. 204). Un altro pamphlet, dello stesso anno, strutturalmente e comunicativamente molto simile, in cui la nascita di un maiale mostruoso è letta come ammonimento 198 Tutto il resto della ballata si caratterizzava come un’esortazione al pentimento da parte di tutta la comunità umana, e alla richiesta della grazia: due temi specificamente protestanti, così come evidentemente concorde con la politica religiosa di Elisabetta appare la penultima quartina. In essa, il riferimento alle recenti innovazioni legislative, era di tono entusiastico: Good laws of late renewde we see, Much sinne for to suppresse: God graunt that they fulfilde maye bee, To overthrow excesse.53 Così Fulwood dichiarava la sua zelante adesione al rinnovamento morale promosso dalla propaganda protestante. Nei suoi versi, tuttavia, il generico riferimento all’infinita colpevolezza umana, cui unico rimedio poteva giungere solo dalla grazia divina, non era più sufficiente a garantire l’adeguata risposta da parte dei credenti: era necessario un nuovo sforzo, da parte dei poeti della street literature, una ricerca di arricchimento argomentativo e retorico che sarebbe stata soddisfatta di lì a poco. 4.3 No Carver can, nor Paynter maye the same so Ougly make as doeth it self shewe at this Daye: quando ogni parola è indicibile Una straordinaria capacità formale e stilistica e una notevole evoluzione nell’uso di una nascita mostruosa caratterizzano un’altra pubblicazione, che si colloca cronologicamente a ridosso delle due appena prese in esame: A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex (1562).54 per tutta la comunità è Anonymous, The Description of a Monstrous Pig, the which was farrowed at Hamstead besyde London, the .XVI. Day of October, this Present Yeare of Our Lord God. M.D.LXII., London, imprinted by Alexander Lacy for Garat Devves dwelling in Poules Church yard, at the East End of the Church, [1562] [STC (2nd ed.), 6768] (fig. 9): se ne può leggere un estratto in epigrafe a questo capitolo, mentre per la trascrizione moderna si rimanda ancora a Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 112-113. 53 Ibid., vv. 45-48. 54 John D., A Discription of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, the .XXIIII. Daye of May. This being the very Length, and Bygnes of the Same .M.CCCCC.LXII. London, imprinted by Leonard Askel for Fraunces Godlyf, 1562 [STC (2nd ed.), 6177]. Una trascrizione moderna della ballata si trova in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 201-203; Simon McKeown (ed.), Monstrous Births. An Illustrative Introduction to Teratology in Early Modern England, London, Indelible, 1991, pp. 12-15 e Marie H. Loughlin, Sandra Bell, Patricia Brace (eds), The Broadview Anthology of Sixteenth-Century Poetry and Prose, pp. 560563. 199 Firmato da un certo John D., nome dietro il quale è suggestivo intravedere lo stampatore John Day, da poco tornato in attività dopo gli anni di prigionia impostigli da Maria I Tudor,55 il foglio volante si presentava agli appassionati del genere perfettamente bipartito: nella metà superiore esso riproduceva l’immagine di un bambino dalle sembianze inquietanti, con il ventre rigonfio e il cordone ombelicale ancora attaccato (fig. 10);56 nella parte sottostante trovava, invece, spazio una lunga ballata composta di 22 quartine di tetrametri e trimetri giambici in rima alternata (ABAB). Il titolo in alto, e poche righe di prosa in basso, completavano, seppur succintamente, il quadro dell’evento narrato. Il 24 maggio del 1562, nella vacante ed inquieta diocesi di «Chychester in Sussex», una donna, moglie di un macellaio «of honest and quiet conversation», aveva dato alla luce un figlio deforme, provocando enorme stupore tra i compaesani.57 Il caso dovette produrre un chiacchiericcio considerevole, così intenso che indiscrezioni sull’accaduto giunsero presso i grandi centri urbani, dove, come abbiamo già visto, notizie di questo tipo restavano tutt’altro che inascoltate. E, infatti, non accadde nemmeno in questa occasione: in una lettera inviata il 14 agosto all’amico e riformatore svizzero Heinrich Bullinger, il vescovo di Salisbury, John Jewel, riflettendo sul cupo andamento dei tempi, scriveva: There has been here, throughout the whole of this present year, an incredibly bad season both as to the weather and state of the atmosphere. Neither sun, nor moon, nor 55 Su John Day, la sua attività di stampatore militante, e il suo conflitto con Maria I Tudor si veda, sopra, la nota 10, p. 185. 56 Alan W. Bates, afferma che l’immagine del bambino corrisponde a quella di un feto morto alla diciassettesima settimana di gestazione; essa sembra basata su un caso reale: si tratterebbe perciò di un disegno dal vero la cui accuratezza è riconosciuta dallo studioso qualitativamente superiore rispetto a quelle contenute nei principali trattati medici dell’epoca (‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, p. 205). Anche Dudley Wilson sottolinea l’efficacia dell’immagine, la quale «acts almost as an icon and calls forth both the monster and the lesson to be learned from it with the utmost vividness» (Signs and Portents, p. 43). 57 John D., A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex. Pochi altri dati ci vengono forniti sulla famiglia in cui era avvenuta la nascita mostruosa. Oltre a sottolineare che i genitori avevano una buona reputazione nella comunità di appartenenza, l’autore ci informa che i due avevano già avuto altri figli prima di quello malformato descritto nel foglio volante e che nessuno di essi aveva presentato imperfezioni fisiche di alcun genere: «They having had chyldre[n] before, in natural proportion: and went with this her full tyme». Dal canto nostro, invece, non sarà superfluo segnalare quanto Chichester, così come altre diocesi vacanti della medesima contea, fosse all’epoca motivo di grande preoccupazione per il governo centrale di Londra. Come sottolinea Roger M. Manning «in the 1560s the episcopal administration in the diocese of Chichester was in a ‘state of chaos; one-sixth of the clergy […] had been deprived of their cures for refusing to sign the oath of supremacy and would not be replaced with an educated ‘preaching ministry’ until the 1570s» (Religion and Society in Elizabethan Sussex, Leicester, Leicester University Press, 1969, p. 58). Senza una guida spirituale concreta e stabile, la gente del luogo rimase fortemente legata alle vecchie tradizioni cattoliche, scatenando così la rabbia dei ferventi – e ancora troppo lontani – ministri protestanti. Non sorprenderà allora che la creatura deforme nata in quello che era considerato un covo di papisti sia interpretata come il segno della colpa dell’intera comunità, ancora fedele a Roma. 200 winter, nor spring, nor summer, nor autumn, have performed their appropriate offices. It has rained so abundantly, and almost without intermission, as if the heavens could hardly do anything else. Out of this contagion monstrous birth have taken place; infants with hideously deformed bodies, some being quite without heads, some with heads belonging to oyher creatures; some born without arms, legs, or shin-bones; some were mere skeletons, entirely without flesh just as the image of death is generally represented. Similar births have been produced in abundance from swine, mares, cows and domestic fouls.58 Uno di questi «skeletons» con cui il prelato terminava il suo elenco di mostri umani, «completamente privo di carni, come è solitamente rappresentata l’immagine della morte», era esattamente il ‘protagonista’ del documento che stiamo per analizzare. E il riferimento alle consuete rappresentazioni della morte era particolarmente interessante: come deduce Julie Crawford, «the Chichester monster […] invokes the memento mori […] and serves as a similar representational function: the monstrous birth is a reminder of human mortality and an object for personal repentance».59 In realtà, l’evocata caducità della vita non riguardava soltanto i singoli individui, ma l’intero genere umano (se non l’universo stesso), come era reso chiaro da tutta la prima parte della ballata in cui erano inanellate, una dopo l’altra, quattro immagini bibliche di epocali catastrofi generate dall’ira divina: il diluvio universale (vv. 9-16), la caduta di Sodoma (vv. 17-20), gli Egizi ingoiati dalle richiuse acque del Mar Rosso 58 John Jewel, ‘Epistle L’, in Hastings Robinson (ed.), The Zurich Letters, comprising the Correspondence of Several English Bishops and Others, with some of the Helvetian Reformers, during the Early Part of the Reign of Queen Elizabeth, translated and authenticated Copies of the Autographs preserved in the Archives of Zurich, Cambridge, Cambridge University Press, 1842, pp. 116-117. Il 1562, come anno strabordante di nascite mostruose, è immortalato anche nell’opera di uno dei cronisti più importanti del periodo, Raphael Holinshed: «This yeare [1562] in England were manie monstrous births. In March, a mare brought forth a foale with one bodie and two heads, and, as it were, a long taile growing out betweene the two heads. Also a sow farrowed a pig with foure legs like to the armes of a manchild with armes and fingers, & c. In Aprill, a sow farrowed a pig with two bodies, eight feet, and but one head. Manie calves and lambs were monstrous, some with collars of skin growing about their necks like to the double ruffes of shirts and neckerchers then used. The foure and twentith of Maie, a manchild was bourne at Chichester in Sussex, the head, armes and legs whereof were like to an anatomie, the breast and bellie monstrous big, from the navill as it were a long string hanging; about the necke a great collar of flesh and skin growing like the ruffe of a shirt or neckercher up above the eares, pleited and folded &c» (The Third Volume of Chronicles, beginning at Duke William the Norman, commonlie called the Conqueror; and descending by Degrees of Yeeres to all the Kings and Queenes of England in their Orderlie Successions. First compiled by Raphaell Holinshed, and by him extended to the Yeare 1577. Now newlie recognized, augmented, and continued (with Occurences and Accidents of Fresh Memorie to the Yeare 1586), finished in Ianuarie 1587, and the 29 of the Queenes Maiesties reigne, with the full continuation of the former yeares, at the expenses of Iohn Harison, George Bishop, Rafe Newberie, Henrie Denham, and Thomas VVoodcocke, London printed [by Henry Denham] in Aldersgate Street at the Signe of the Starre], [1587] [STC (2nd ed.), 13569], p. 1195). 59 Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 44. 201 (vv. 21-28), e infine la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’imperatore Vespasiano (vv. 29-36).60 Fu proprio nell’anno precedente alla diaspora (66 d.C.) che, scriveva John D., gli ebrei assistettero ad un segno miracoloso durante un sacrificio: una vacca partorì un agnello. Questo avvenimento, tuttavia, fu da loro male inteso («This sygne they sone did wrest») come previsione di buona sorte; un inganno frequente, anche al tempo del poeta: As others doe, and styll have done In making it as vayne Or els good lucke, they saye shall come As please their foolish brayne.61 Così introdotti i tempi presenti e la loro follia, l’autore assumeva toni veramente apocalittici, presagendo che i mostri di questo annus horribilis 1562 potessero annunciare la distruzione di ogni cosa nel creato: The Scripture sayth, before the ende Of all thinges shall appear God will wounders straunge thinges sende As some is sene this yeare.62 E se la conclusione di tutto era realmente vicina, il mondo sembrava prepararsi ad essa con stravolgimenti dell’ordine naturale che rendevano l’attesa al suo approssimarsi tanto innegabile quanto ‘mostruosa’: The selye infantes, voyde of shape The Calves and Pygges so straunge With other mo of suche mishape Declareth this worldes chaunge.63 60 Sulla connessione tra il mostro di Chichester e la fine dei tempi, si veda Dudley Wilson, Signs and Portents, pp. 41-43. 61 John D., A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, vv. 37-40. 62 Ibid., vv. 45-48. 63 Ibid., vv. 49-52. 202 Preceduto dunque da una serie innumere di prodigi, ecco giungere il segno peggiore di tutti, il mostro «procedinge from a Christian brest», talmente spaventoso che nessun linguaggio poteva esprimerlo, né verbale («so monstrous to be told») né figurativo: No Carver can, nor Paynter maye The same so ougly make As doeth it self shewe at this daye A sight to make the quake.64 A questo punto, avendo così sottolineato l’ineffabilità del mostro, la sua indicibilità attraverso il linguaggio sia verbale sia figurativo, l’autore non sfuggiva alla tentazione della metatestualità, riferendosi direttamente all’immagine con cui era finemente illustrato il suo lavoro: But here thou haste by Printig arte A signe thereof to se Let eche man saye within his harte It preacheth now, to me.65 Questo diretto riferimento alla «Printig arte» – ancora incerta sull’enorme potenziale dei suoi marchingegni, ma già molto efficace – non appare come un mero invito a godere del puro elemento visivo: dare agli occhi ciò che i versi del componimento suggeriscono alla mente. Sembra piuttosto che l’autore volesse attirare l’attenzione del lettore sull’incisione, il cui soggetto, rappresentato con specifiche caratteristiche anatomiche, celava nelle sue forme molti più messaggi di quelli che le parole fossero 64 Ibid., vv. 57-60. 65 Ibid., vv. 61-64. A proposito di ‘metatestualità’, preciso che mi riferisco ai richiami interni che il testo istituisce con se stesso, e con il supporto che lo trasmette, intendendo cioè ‘testo’ nel suo significato semiotico ampio, che include anche il ‘testo’ iconico. Sulla metatestualità di alcune ballate dedicate a nascite mostruose in epoca elisabettiana, si veda Aaron W. Kitch, ‘Printing Bastards. Monstrous Birth Broadsides in Early Modern England’, in Douglas A. Brooks (ed.), Printing and Parenting in Early Modern England, Burlington, Ashgate, 2005, pp. 221-236. Le conclusioni a cui l’autore giunge appaiono tuttavia un po’ azzardate: la metatestualità di tali documenti sarebbe al servizio di un’autocoscienza della propria illegittimità all’interno del mondo della stampa: «Because of the marking of the printed ballad itself as a bastardized and always potential illicit form of print, this ‘shameful mark’ becomes the broadside’s own as well as that of the deformed infant. The subtext of the ‘unnatural shames and forms, / thus brought forth in our days’ is thus the broadside itself as an ‘unnatural shape’ that uses the topic of monstrous birth to explore its own condition» (p. 231). 203 effettivamente in grado di comunicare. A questo proposito allora, non sarà una semplice coincidenza il fatto che il piccolo mostro di Chichester, ricordato da tutti per essere un mucchio d’ossa e nient’altro, avesse escrescenze di pelle solo intorno al collo e sulla testa, proprio quelle parti del corpo dove, all’epoca, tra critiche incandescenti da parte dei protestanti più intransigenti, andava di moda indossare gorgere, fazzoletti e cuffie per capelli. Nulla di più inaccettabile e abominevole anche per il nostro poeta, che nell’uso smodato ed eccessivo di simili abbellimenti altro non vedeva se non lo strumento attraverso il quale il suo paese ‘travestiva’ i propri eccessi: Also it doeth demonstrate playne The great abuse and vyce That here in England now doeth raygne That monstrous is the guyse.66 Non era alle mode o alle tendenze dei costumi che bisognava badare, ma alle tentanzioni di cui era invaso il mondo e contro le quali Dio cercava costantemente di mettere in guardia gli esseri umani, disseminando qua e là i suoi segni prodigiosi. Non prestare attenzione, rifiutare di capire, o addirittura osare ignorare «so particular tokens» corrispondeva a una precisa intenzione di indugiare nel peccato e nell’indecenza, atteggiamento che non poteva che finire nel mirino dell’implacabile 66 John D., A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, vv. 69-72. Durante il regno della regina Elisabetta, l’uso che le donne facevano di gorgere, e altri accessori di bellezza, fu al centro di critiche furiose da parte dei protestanti più intransigenti, che in simili ornamenti del corpo e dell’abbigliamento vedevano sciocchi strumenti di vanità. Questo specifico aspetto sarà oggetto di un’analisi più approfondita nel prossimo capitolo, dedicato alle nascite mostruose come forma di controllo sociale dei costumi della donna. Per dare, tuttavia, anche solo un’idea dell’intensità del dibattito, si anticipano qui le parole di un annalista che, esattamente come John D., sfruttò la specifica anatomia del mostro di Chichester per indirizzare la sua critica senza veli verso l’uso delle gorgere. Si tratta di John Haywarth: «an anatomye without any flesh, the breast and bellye monstrous bigge; a long string hanging from the navell; about the neck grew a collar of fleshe and skinne, pleighted and foulded like a double ruffe, and rising up unto the eares, as if nature would upbraide our pride in artificiall braverie, by producing monsters in the same attires» (Annals of the First Four Years of the Reign of Queen Elizabeth, edited from a MS in the Harleian Collection by John Bruce, printed for the Camden Society by John Bowyer Nichols, 1840, p. 242v). Non sarà forse fuori luogo accennare anche al fatto che l’uso di tali orpelli fosse specifico appannaggio delle classi sociali più elevate (fino al grado più alto, cioè la regina stessa) ed è quindi a costoro che la reprimenda era principalmente indirizzata. Si motiva probabilmente qui la cautela dell’autore della ballata, quel John D. che nasconde il proprio cognome dietro una prudente iniziale. 204 collera divina.67 Solo a coloro che avessero seguito con occhio vigile «the sequel of such signes» sarebbe stata offerta la possibilità «from sinne to chaunge [their] myndes».68 E comunque, più in generale – chiosava il poeta – era necessario che tutti Repent, amende both hygh and lowe The woorde of God embrace To lyve therto, as we should doe God gyve us all the grace.69 Questo potente ammonimento conclusivo risuonò nelle menti dei contemporanei per molto tempo: alcune quartine della ballata dovettero essere ritenute così efficaci nel loro intento educativo e moralizzante che qualcuno ritenne opportuno appropriarsene, forse con la speranza di sortire, nell’eventuale pubblico, i medesimi effetti raggiunti dall’illustre predecessore. Fu questo il caso dell’oscuro John Barkar, che nell’ottobre del 1564, per i tipi di Wylliam Gryffith, diede alle stampe un broadsheet intitolato The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Isle of Wight, in cui, per descrivere certi aspetti di una nuova nascita mostruosa, citava verbatim, come si vedrà fra poco, alcuni dei versi più incisivi di John D.70 Distribuito «in St. Dunstan’s Churchyard, in the West of London, the VIII daye of November», il documento testimoniava la nascita, sull’Isola di Wight, di due gemelli: uno «of Woman kynde / Havyng her shape all right», l’altro talmente 67 «By readinge Stories, we shall fynde / In Scripture, or elles where / That when suche thinges came out of kynde / Gods wrath it did declare» (John D., A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, vv. 73-76). 68 Ibid., vv. 82 e 84. 69 Ibid., vv. 85-88. 70 John Barkar, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Ile of Wight, in this Present Yeare of Oure Lord God, M. D. LXIIII. the Month of October, after this Forme with a Cluster of Longe Heare about the Nauell, the Fathers Name is Iames Iohnsun, in the Parys of Freswater, London, imprinted in Fleetestrete at the Sygne of the Faucon, by Wylliam Gryffith, and are to be solde at his Shope in Saint Dunstons Churchyarde in the West of London, the .VIII. Daye of Nouember, [1564] [STC (2nd ed.), 1422]. Trascrizioni moderne della ballata si trovano in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 63-66; Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, pp. 22-24 e Marie H. Loughlin, Sandra Bell, Patricia Brace (eds.), The Broadview Anthology of Sixteenth-Century Poetry and Prose, pp. 563-565. Nulla si sa dell’autore del broadsheet, che forse fece ricorso a uno pseudonimo per garantirsi l’anonimato. L’Oxford Dictionary of National Biography non dà notizia di alcun John Barkar, mentre per il periodo Early Modern risultano due John Barker: il primo fu matematico e logico (cfr. Damian R. Leader, ‘Barker, John (fl. c.1471–1482)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/ article/1401, accessed 28 May 2014]); il secondo fu ufficiale navale e capitano (cfr. John K. Laughton, ‘Barker, John (c.1600–1653)’, revised by Peter Le Fevre, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/1402, accessed 28 May 2014]): nessuno dei due, per epoca e interessi appare compatibile con il nostro autore. 205 indicibile che l’autore poteva soltanto rinviare all’immagine («The other is, transposed this, / As pleaseth the Lorde of myght»).71 Il documento era infatti così suddiviso: nella parte inferiore il lettore poteva trovare i versi di due ballate, la prima composta di dodici quartine di tetrametri e trimetri giambici (in cui rimavano solo i trimetri: XAYA), la seconda di quattordici ettametri giambici in rima baciata; in alto, dopo il titolo, venivano invece riprodotte le due figure dei gemelli, una minuscola, ma in cui si potevano riconoscere le forme di un bimbo ben formato, l’altra sproporzionatamente grande e del tutto irriconducibile a sembianze umane (fig. 11).72 Del caso in sé, il foglio volante non dava quasi alcuna notizia, se non attraverso le poche note del titolo: esse descrivevano soltanto l’elemento più appariscente della deformità («a cluster of longe heare about the Navell») e indicavano il nome del padre («the fathers name is James Johnsun») e la parrocchia in cui tutto aveva avuto luogo («in the parys of Freswater»). Sembra che John Barkar intendesse ignorare gli elementi concreti dell’accadimento, per lasciare tutto lo spazio ad un semplice e reiterato meccanismo di interpretazione teologica, secondo il quale il mostro era insistentemente letto come avvertimento d’ira divina: «This dothe demonstrate to us, the lyfe whiche we lyve in, / A monster oughly to beholde, conceyved was in syn».73 Un peccato che tuttavia non riguardava soltanto la famiglia direttamente colpita dall’evento prodigioso (che restava appena accennata sullo sfondo) ma l’intera comunità immersa nella colpa. Su questo popolo reo veniva scagliata dunque la punizione divina, e questa volta con modalità tanto raccapriccianti da non potere essere adeguatamente pronunciate o descritte. Il tratto più evidente del documento è, infatti, l’insistenza con cui l’autore lamentava la propria inadeguatezza, come se ogni linguaggio (non solo quello verbale ma anche quello che dovrebbe essere più eloquente, quello delle immagini) apparisse fallimentare e muto. Ed è proprio su 71 John Barkar, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Isle of Wight, vv. 21-24. 72 In quest’anomala figura, Alan W. Bates ha potuto riscontrare una buona somiglianza con la patologia oggi nota come fetus amorphus, suggerendo che l’incisore, pur nella sua ingenuità di tratto, avesse potuto osservare dal vivo la creatura deforme dell’isola di Wight (Emblematic Monsters, pp. 46-47). 73 John Barkar, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Isle of Wight, vv. 53-54. Cfr. Dudley Wilson, Signs and Portents, p. 41, in cui questo documento è citato come esempio del «simplest and most direct kind» di interpretazione teologica: «the monster as a warning from God». 206 questo passaggio che Barkar riscriveva quasi fedelmente una quartina di John D., citandone il suggestivo e fortunato meccanismo metatestuale: No carver can, nor paynter then, The shape more ugly make: As it selfe dothe, declare the truth, A syghte to make us quake.74 Il testo di John Barkar, insistente e ripetitivo nei suoi temi, non riusciva ad avere la profondità e la ricchezza del testo sullo «skeleton» di Chichester, ma era in grado di cogliere e riprodurre la grande forza retorica del far parlare insieme le parole e l’immagine, proprio mentre ne dichiarava l’inadeguatezza. Siamo cioè di fronte ad un prodotto editoriale che inventa poco, ma riusa artigianalmente ciò che trova già pronto, riconoscendone l’efficacia e producendo come un’eco, un riverbero, un’amplificazione.75 Ben diversamente originale l’operazione compiuta solo pochi mesi più tardi da un altro foglio volante, che ribaltava i termini del discorso fatto fin qui: anziché affermare l’ineffabilità del mostro, questo documento lo avrebbe dichiarato come vero e proprio ‘testo’ da sviscerare attraverso possibili letture allegoriche. 4.4 This Monstrous Shape to thee, England, playn shewes thy Monstrous Vice: quando l’allegoria è inevitabile Il 27 agosto del 1565 erano nate a Herne in Kent due gemelline siamesi, unite frontalmente per l’addome: il broadsheet che ne dava testimonianza, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent, presentava, al solito, una struttura bipartita, con l’immagine e il titolo nella metà superiore e un testo di sola prosa in quella inferiore (fig. 12).76 Tutte le informazioni relative allo specifico 74 John Barkar, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Isle of Wight, vv. 33-36. 75 Un procedimento analogo di riuso è messo in luce da Alan W. Bates a proposito dello squilibrio tra le due immagini del bimbo normale e del mostro: dato che l’immagine del «normal twin» è ridicolmente troppo piccola rispetto a quella del fetus amorphus, essa deve essere stata evidentemente recuperata da un altro documento prodotto nella stessa tipografia (‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, p. 205). 76 Anonymous, The True Discription of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. The .XXVII. Daie of Auguste in the Yere our of [sic] Lorde, M.CCCCC.LXV. They were booth Women Chyldren 207 avvenimento erano condensate ancora una volta nel titolo («They were booth women Chyldren and were Chrystened, and lyved halfe a daye. The one departed afore the other almoste an howre»), mentre la prosa, distaccandosi dai fatti, assumeva i toni più generali e didattici della perorazione. L’anonimo autore cominciava il suo testo con veri e propri chiarimenti teratologici, nei quali puntualizzava come i mostri non fossero fenomeni nati dal capriccio della natura e destinati ad alimentare lo stupore ‘voyeuristico’, ma lezioni e insegnamenti per tutti gli esseri umani; a questo fine, richiamava tra l’altro l’etimologia della parola ‘monster’: The Monsterous and unnaturall shapes of these Chyldren & dyvers lyke brought foorth in our dayes (good reader) ar not onelye for us to gase and wonder at, as thyngs happenyng either by chaunce, or els by naturall reason, as both the old, and our Phylosophers also holde now a dayes: and without anye farther heede to be had therto, or els as our common custome is, by & by to judge god onely offended wyth the Parentes of the same, for some notoryous vyce or offence reygning alone in them: But they ar lessons & scholynges for us all (as the word monster shewith) who dayly offende as grevously as they do, wherby god almyghtye of hys greate mercy and longe sufferaunce, admonysheth us by them to amendmente of our lyves, no lesse wycked, yea many times, more then the parentes of suche mysformed bee.77 In questo processo di generalizzazione, la nascita mostruosa veniva quindi scissa da una precisa responsabilità morale dei genitori e posta su un piano etico più alto, che and were Chrystened, and lyued Halfe a Daye. The One departed afore the Other almoste an Howre, London, imprinted in Fletestreat by Thomas Colwell for Owen Rogers dwelling at S. Sepulchers Church Doore, [1565] [STC (2nd ed.), 6774]. Per una trascrizione moderna del testo si veda Herbert L. Collmann (ed.), Ballads & Broadsides Chiefly of the Elizabethan Period and printed in Black-Letter most of which were formerly in the Heber Collection and are now in the Library at Britwell Court Buckinghamshire, Oxford, Oxford University Press, 1912, pp. 186-187. Poco sappiamo della vita di Thomas Colwell, stampatore prolifico molto apprezzato al tempo di Elisabetta. La sua fama, nel 1560, spinse il libraio londinese Robert Wyer a lasciargli in eredità il suo prestigioso punto vendita situato in «St. John the Evangelist at Charing Cross», dal quale Colwell, nel decennio successivo, sottopose ben 132 opere al vaglio della Stationer’s Company. Tra queste, con ogni probabilità, figurava anche la ballata dedicata ai gemelli siamesi del Kent. Per maggiori dettagli, cfr. David G. Hale, ‘Thomas Colwell: Elizabethan Printer’, Library, s5-XIX (1), 1964, pp. 223-226. 77 Anonymous, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. 208 coinvolgeva l’intero genere umano.78 A tale proposito l’autore si avvaleva di un preciso riferimento scritturale: That this is true they shal wel perceyve, the ryghtly wey and consider the aunswere of oure Saviour Chryste unto hys Dyscyples, askyng hym whether weare greatter sinners, the blynde hym selfe, either els hys parentes, that he was so borne: To whom our savyour Chryst aunswered, that neyther he, neyther they were faultye therin, but that he was therfore borne blynde, to thend the glory of God myghte be declared on hym, and by him.79 Proprio come nell’episodio del cieco mendicante, riferito dall’evangelista Giovanni, il nostro autore vedeva nelle sorelline di Herne in Kent un ammonimento destinato all’intera comunità e specialmente necessario nell’epoca a lui contemporanea, dimentica di ogni dovere e più incline ad additare i peccati degli altri che ad un severo esame della propria coscienza: These examples moved me (good reader) in consideracyon of these dayes of our forgetfulnes of duty, wherin we set so lyght the greate bounty and goodnes of God, callyng us by these and such lyke examples to repentaunce and correction of manners, and not styll to flatter our selves whyle we judge others and winke at oure owne faultes, to cause these twynnes thus to be portractured.80 Così chiamate sulla scena, le due gemelline erano a questo punto, però, fatte oggetto di un procedimento del tutto nuovo. Dopo avere accuratamente descritto la loro postura («the one as it were imbrasynge the other, and lenynge mouth to mouth, 78 Così anche Dudley Wilson, Signs and Portents, p. 43. Sulla stessa linea interpretativa anche Alan W. Bates, secondo il quale «the precise nature of the sins that were supposed to have provoked the malformation is left unspecified, perhaps so that the reader might be moved more closely to examine his own conscience» (‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, p. 203). 79 Anonymous, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. Il riferimento è al vangelo di Giovanni: «And as Jesus passed by, he sawe a man, which was blynde from hys byrth. And his discyples asked him sayinge: Master, who dyd synne, this man, or hys father and mother, that he was borne blynd? Jesus answered: Nether hath this man sinned, nor yet his father and mother: but that the worckes of God shulde be shewed in hym» (Gv, 9: 1-3, nella versione della Great Bible, 1540). 80 Ibid. 209 kyssyng – as you wold say, one another»), l’autore ne proponeva un’interpretazione fortemente simbolica, fornendo addirittura due possibili letture alternative: it myght seeme that God by them eyther dooth upbraide us, for our faulse dyssemblynge and Judas condycyons & countenaunces, in freyndly wordes, coverynge Caynes thoughtes and cogytacions, or els by theyr semblaunte and example, exhorte us to sincere amytie and true frendshyp, voyde of all counterfeytinge, or els bothe.81 L’abbraccio e il bacio erano dunque interpretati in prima istanza come segni di falsità, e ricondotti al comportamento di Giuda, il traditore per antonomasia, e addirittura di Caino, il fratricida. Alan W. Bates ha intravisto dietro queste immagini una possibile critica all’intolleranza religiosa che caratterizzava i primi anni del regno di Elisabetta, segnalando tuttavia egli stesso la difficoltà di immaginare uno stampatore che si assumesse il rischio di sfidarne il forte potere censorio.82 In realtà, è più facile immaginare l’allusione a Caino piuttosto come un richiamo agli oppositori religiosi (e quindi politici) di Elisabetta, ovvero ai Cattolici; tanto più che la seconda lettura allegorica dell’abbraccio – questa volta in chiave positiva – è proprio un invito a lavorare per una ritrovata concordia. Il nostro autore era probabilmente consapevole della novità che stava proponendo con la sua lettura simbolica, così come sapeva che essa sarebbe potuta apparire bizzarra agli occhi di lettori abituati a interpretazioni meno complesse. Per questo motivo, a sostegno della sua argomentazione, si affidò ancora una volta all’autorità evangelica: Neyther let any man thynke thys an observacyon over curyous, for as much as Christ him selfe hath by chyldren taught us, that unlesse we become lyke Chyldren, wee shall not come in the kyngdome of heaven. God make us all chyldren in thys wyse, and perfect and well lerned men to note and observe to what ende he sendeth us such sightes as these.83 81 Ibid. 82 Alan W. Bates, ‘Birth Defects described in Elizabethan Ballads’, p. 203. 83 Anonymous, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. 210 Nel vangelo si poteva leggere che solo chi tornerà a guardare il mondo come i bambini entrerà nel regno dei cieli.84 Allo stesso modo, suggeriva il nostro autore, di fronte al difetto di nascita bisognava allontanarsi dallo sguardo freddo dell’adulto, incline al giudizio dell’altro piuttosto che all’esame di sé, e porsi con gli occhi dei fanciulli: in quell’innocenza in cui il mondo è un’infinita concatenazione di simboli, e ogni cosa può significarne un’altra, i lettori avrebbero trovato la strada per divenire «well lerned men to note and observe to what ende he sendeth us such sightes».85 Così liberati dalla loro specifica contingenza, i parti deformi non mostravano più soltanto una colpa determinata e circoscritta nell’ambito familiare, ma divenivano veri e propri ‘testi’, capaci di parlare chiaramente a chi avesse capacità di intenderli. Si trattava di una vera e propria svolta, alla quale la pubblicistica diede immediato seguito. Nell’aprile del 1566, John Mellys dava alle stampe per i tipi di Alexander Lacy The True Description of Two Monsterous Children, un foglio volante contenente una ballata che commentava la nascita di due gemelli siamesi e presentava notevoli vicinanze con il broadsheet di Herne in Kent (fig. 13).86 Come in quel caso, l’immagine mostrava due bambini uniti frontalmente per l’addome, colti nell’atteggiamento di un abbraccio. Tutte le notizie riguardanti la vicenda si trovavano nel titolo, il quale informava che, «in the parish of Swanburne in 84 Il concetto è espresso nel vangelo di Marco: «And they brought chyldren to hym, that he shulde touch them. And hys disciples rebuked those that brought them. But when Jesus sawe it, he was dyspleased, & sayd unto them: Suffre the chyldren to come unto me, forbyd them not. For of soch is the kyngdome of God. Verely I saye unto you, Whosoever doth not receave ye kyngdome of God as a childe, he shal not entre therein. And wha[t] he had taken the[m] up in hys armes, he put his handes upon them, and blessed them» (Mc, 10:13-16, nella versione della Great Bible, 1540). 85 Anonymous, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. 86 John Mellys, The True Description of Two Monsterous Children, laufully begotten betweene George Stevens and Margerie his Wyfe, and borne in the Parish of Swanburne in Buckynghamshyre the .IIII. of Aprill. Anno Domini. 1566. the Two Children hauing both their Belies fast ioyned together, and imbracing One and Other with their Armes: which Children wer both a Lyue by the Space of Half an Hower, and wer baptized, and named the One Iohn, and the Other Ioan, London, imprinted by Alexander Lacy for William Lewes dwelling in Cow Lane aboue Holborne cundit, ouer against the Signe of the Plough, [1566] [STC (2nd ed.), 17803]. Trascrizioni moderne della ballata si trovano in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 217-220 e Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, pp. 29-33. Molto frammentarie sono le informazioni su John Mellys, del quale non conosciamo la data precisa di nascita, avvenuta ipoteticamente tra il secondo e il terzo decennio del ’500. Originario di Norwich, studiò aritmetica a Trinity Hall, nei pressi di Cambridge, e una volta divenuto maestro si trasferì a Mayes Gate, vicino Battle Bridge. Qui, insieme ai numeri, cominciò a coltivare anche un’altra passione, quella del ‘book-keeping’, giungendo a scrivere A Briefe Instruction and Maner how to keepe Bookes of Accompts after the Order of Debitor and Creditor, and as well for Proper Accompts Partible (1588). Morì di peste nel settembre del 1593, come conferma il registro della parrocchia di St. Olave’s, a Southwark, che riporta proprio per quella data l’interramento di un ‘John Mellys, Scholemaister’. Per ulteriori informazioni rimando a Thompson Cooper, ‘Mellis, John (d. 1593?)’, revised by Henry K. Higton, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2013 [http://www.oxforddnb.com/ view/article/18529, accessed 29 Jun 2014]. 211 Buckyngham Shyre, the iiii of Aprill», avevano visto la luce due bimbi, «having both their belies fast joyned together, and imbracyng one an other with their armes». I due gemelli erano sopravvissuti soltanto mezz’ora, dando il tempo ai loro cari di battezzarli con i nomi di John e Joan.87 Ma la notazione a mio avviso più rilevante era la legittimità dei due bambini, «laufully begotten betwene George Stevens and Margerie his wyfe», con la quale il foglio volante stabiliva fin da subito lo spostamento di responsabilità dal contesto domestico e privato – dichiaratamente innocente – a quello pubblico. Coerentemente con questo allontanamento, la ballata (quartine di tetrametri e trimetri giambici, in cui rimano solo i trimetri: XAYA) prendeva avvio da uno sguardo quasi siderale, che sembrava osservare il pianeta come dallo spazio, e contrapporre i ‘margini’ e il ‘centro’ del mondo civilizzato: I read how Affrique land was fraught for their most filthy life, With mo[n]strous Shapes, confusedly that therein wer full rife. But England now pursues their vyle and detestable path, Embracyng eke all mischeefs great that moves Gods mightie wrath.88 In questa contrapposizione, Mellys recuperava l’antica tradizione delle ‘razze mostruose’, quasi suggerendo che l’Inghilterra, nel suo seguire un «vyle / and detestable path», avesse abbattuto il confine che la separava da quelle lontananze naturalmente ‘mostruose’, consentendo il dilagare dei ‘mostri’ anche nel proprio territorio.89 Questo potente richiamo ad un immaginario letterario era forse l’unico apporto originale di John Mellys, che per il resto della ballata seguiva molto da vicino l’anonimo pubblicista di Herne in Kent, non solo nella successione degli argomenti ma anche in specifiche riprese ad verbum. Dopo le ormai consuete e insistite 87 Ibid. 88 Ibid., vv. 1-8. Sul legame con la tradizione classica dei mostri “esotici” (versi 1-4), cfr. Alan W. Bates, Emblematic Monsters, p. 19. 89 Per un racconto della tradizione delle ‘razze mostruose’ rimando, sopra, al capitolo primo. 212 riflessioni sul pullulare di «unnatural shapes and forms» come segni dell’ira divina, Mellys ribadiva infatti la necessità di abbandonare lo sguardo fariseo, che cercava la colpa altrove da sé, e richiamava ad un esame più autentico della propria interiorità: But some proude boastyng Pharisie the parents wyll detect, And judge with heapes of uglie vice their lives to be infect. No, no, but lessons for us all, which dayly doe offend: yea, more perhaps, than hath the friends, whom God this birth did lend.90 In questi versi Mellys faceva echeggiare chiaramente le parole del suo anonimo predecessore («they ar lessons & scholynges for us all […] who dayly offende as grevously as they do»), e nelle quartine successive (vv. 53-64) ne riprendeva anche il puntello scritturale, con l’episodio del cieco mendicante. Non solo: anche la postura del mostro era letta con le medesime modalità allegoriche, e con lo stesso significato. Era, ancora, il falso amore di Giuda, il tradimento dissimulato, quello che Dio aveva voluto denunciare con il mostruoso abbraccio dei due gemelli: But if we doe consider right, and in even balaunce way: The ruine great of hartie love, among us at this day: And well behyld with inward eyes, th’embracyng of these Twinnes: That God by them upbraides us for our false dissemblyng sinnes. 90 Anonymous, The True Description of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent, vv. 45-52. 213 We would with Ninivie repent our former passed yeares, Bewaylyng eke our secret sinnes in sacke cloth and in teares.91 Non restava dunque che il pentimento, suggeriva Mellys, ma che fosse un pentimento sincero, non limitato a finte, lacrimose autocommiserazioni. Solo allora – e qui leggiamo chiara l’inclinazione protestante del nostro autore – sarebbe stato possibile chiedere la grazia: Therefore in time amend your state, and call to God for grace: Bewayle your former lyfe and sinnes, while you have time and space.92 Con questa ballata, e soprattutto con il foglio volante che – come abbiamo visto – essa seguiva molto da vicino, si inaugurava dunque una nuova, e assai efficace, strumentalizzazione della nascita mostruosa che, attraverso il processo dell’allegoria, forniva una straordinaria gamma di libertà interpretative, e apriva la strada a letture non più soltanto morali e religiose, ma anche sottilmente politiche. Le unioni dei gemelli di Herne in Kent e di Swanbourne in Buckinghamshire potevano essere considerate come atti d’accusa per comportamenti ipocriti, oppure denunciare il più o meno occulto conflitto tra cattolici e protestanti. Questa nuova possibilità di lettura allegorica non avrebbe tardato a trovare entusiaste rielaborazioni.93 In questa prospettiva un risultato molto sofisticato fu raggiunto dall’anonimo autore di The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, pubblicato da John Awdeley il 23 dicembre 1568 (fig. 14).94 91 Ibid., vv. 81-92. 92 Ibid., vv. 93-96. 93 L’immagine dei ‘conjoined twins’ come simbolo di ‘imperfetta unione’ proseguirà ancora a lungo, almeno sino al 1613, come dimostra il pamphlet di William Leigh, Strange Newes of a Prodigious Monster, borne in the Towneship of Adlington in the Parish of Standish in the Countie of Lancaster, the 17. Day of Aprill last, 1613. Testified by the Reuerend Diuine Mr. W. Leigh, Bachelor of Diuinitie, and Preacher of Gods Word at Standish aforesaid, [London], printed by I. P[indley] for S. M[an] and are to be sold at his Shop in Pauls Church-yard at the Signe of the Ball, 1613 [STC (2nd ed.), 15428]. Questo documento sarà oggetto di un’analisi approfondita nel paragrafo 6.1. 94 Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, the .XXIIIJ. of October, London, imprinted by John Awdeley, dwellyng in Little Britain Streete withough Aldersgate, the .XXIIJ. of December, [1568] [STC (2nd ed.), 17194]. Trascrizioni moderne del foglio 214 Tripartito, il foglio volante era così suddiviso: in alto, subito dopo il titolo, un’incisione riccamente incorniciata riproduceva le sembianze distorte di un bambino nato il 24 ottobre di quell’anno; al centro, un testo in prosa riassumeva i tratti principali dell’evento; di quest’ultimo, in basso, si dava una lettura moralizzante in una ballata composta di undici quartine in rima (tetrametri e trimetri giambici alternati, con schema rimico ABAB). A differenza degli esempi fino ad ora discussi, l’autore affidava già all’illustrazione il compito di suggerire le chiavi di lettura dell’episodio: quasi come fumetti, infatti, campeggiano intorno all’immagine dello sfortunato fanciullo quattro ‘vignette’ che sembrano contenere i suoi messaggi, direttamente inviati al lettore. Il primo, composto dalle due vignette superiori, istituiva l’ormai consueto rapporto tra la forma mostruosa e la deformità morale che l’aveva prodotta («As ye this shape abhorre / In body for to have: / So flee such Vices farre / As might the soule deprave»); il secondo, come suggerisce Alan W. Bates, parafrasava un versetto della lettera di san Paolo ai Romani, in cui il potere del Creatore era accostato alla sconfinata libertà del vasaio, che con la medesima argilla può tornire tanto un vaso nobile quanto uno volgare («In Gods power / all flesh stands, / As the clay in the / Potters hands / To fashion even / As he wyll, / in good shape / or in yll»).95 Poste queste premesse, che potremmo definire, per quanto semplificate, di carattere teologico, il documento passava a raccontare con dovizia di dettagli le circostanze della nascita e soprattutto le caratteristiche fisiche del bambino. Se, infatti, volante si trovano in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 194-197; Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, pp. 34-36; Dudley Wilson, Signs and Portents, pp. 45-47 e Marie H. Loughlin, Sandra Bell, Patricia Brace (eds.), The Broadview Anthology of Sixteenth-Century Poetry and Prose, pp. 568-571. John Awdeley (nato intorno al 1532), figlio minore di Sampson Awdeley, sagrestano di Westminster Abbey, si formò a Londra tra il 1542 e il 1544, e a partire dal 1556 divenne uno dei collaboratori più attivi della Stationer’s Company. La sua prima opera fu The Wonders of England, data alle stampe nel 1559 e interamente dedicata alla ricostruzione degli eventi storici più importanti dal regno di Edoardo VI all’ascesa al trono di Elisabetta. Nel 1561 fece seguito quello che è ritenuto il suo sforzo letterario più grande, The Fraternitie of Vacabondes, una complessa descrizione delle abitudini dei vagabondi, accompagnata da versi satirici. Negli ultimi anni della sua vita non mancarono pubblicazioni di carattere religioso, come, ad esempio, le sedici edizioni dei Sermoni del puritano Edward Dering. Morì nel settembre del 1575. Cfr. Sidney Lee, ‘Awdely, John (b. in or before 1532, d. 1575)’, revised by Kathleen E. Kennedy, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/927, accessed 1 Jun 2014]. 95 Cfr. Alan W. Bates, Emblematic Monsters, p. 54. Il riferimento biblico è alla lettera ai Romani: «Hath not the potter power ouer the clay, euen of the same lumpe to make one vessel vnto honour, and another vnto dishonour?» (Rm, 9:21, nella versione della Bishops’ Bible, 1568) 215 l’anonimo autore non tralasciava di alludere velocemente alla peccaminosa condotta della madre, al centro del suo interesse stavano i dettagli della patologia: [the] man child had first the mouth slitted on the right side like a Libardes mouth, terrible to beholde, the left arme lying vpon the brest, fast therto ioyned, hauing as it were stumps on the handes, the left leg growing vpward toward the head, and the ryght leg bending toward the left leg, the foote therof growing into the buttocke of the sayd left leg. In the middest of the backe there was a broade lump of flesh in fashion lyke a Rose, in the myddest whereof was a hole, which voyded like an Issue.96 Questa ricchezza di dettagli non era gratuita, ma del tutto funzionale ad una decisa reprimenda del proprio paese, al quale si chiedeva di interpretare i significati che si celavano dietro ognuna delle malformazioni, e di riconoscervi i propri peccati: This monstrous shape to thee England Playn shewes thy monstrous vice If thou ech part wylt vnderstand, and take thereby aduice.97 Fin dai primi versi, secondo il procedimento ormai divenuto familiare, era messo in chiaro che la nascita mostruosa non riguardava il contesto specifico in cui si era manifestata, ma chiamava in causa l’intera nazione.98 Il vero elemento di novità risiedeva nel preciso rapporto tra «ech part» della fisiologia mostruosa e gli specifici vizi rappresentati allegoricamente da ognuna delle malformazioni.99 La prima di esse, su cui l’autore si soffermava più a lungo, riguardava la forma della bocca, la «gaspyng mouth» (forse un labbro leporino) in cui erano simboleggiate l’avidità, la bestemmia, la falsità: For waying first the gaspyng mouth, It doth full well declare: 96 Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent. 97 Ibid., vv. 1-4. 98 La ballata è intitolata, significativamente, «A warnyng to England», facendo in tal modo della creatura deforme un vero e proprio «place-specific sign of divine intervention» (Alan W. Bates, Emblematic Monsters, pp. 51-52). 99 Dudley Wilson sottolinea come «the sophistication [is] extended into the rhetorical sphere, as in [this] ballad, in which is traced an allegorical pattern corresponding to the physiology of the monster itself» (Signs and Portents, p. 44). 216 What rauine and oppression both Is vsed wyth greedy care. […] For in such sort, their mouthes they infect, With lying othes, and slaightes: Blaspheming God, and Prince reiect, As they were brutish beastes. Their filthy talke, and poysoned speech, Disfigures so the mouth: That som wold think ther stood ye breech Such filth it breatheth forth.100 Era dunque il «poysoned speech», il primo e più grave male dell’Inghilterra, la sozzura che infangava il volto dei cittadini fino a sfigurarlo: un ‘veleno’ che l’autore identificava nella parola non ortodossa, dissenziente, oltraggiosa sia contro l’autorità politica sia contro la divinità («Blaspheming God, and Prince reiect»). Il secondo male contro cui egli si scagliava era la «idleness», rappresentata nel bimbo di Maydstone dalle mani prive di dita, quindi inutili a qualsiasi lavoro: The hands which haue no fingers right But stumps fit for no vse: Doth well set forth the idle plight, Which we in these daies chuse. For rich and poore, for age and youth, Eche one would labour flye: Few seekes to do the deedes of truth, To helpe others thereby.101 Lo stigma contro la «idleness» caratterizzava specificamente questo testo come aderente alla catechesi puritana, per la quale il lavoro era presentato come un ineludibile dovere nei confronti dei propri simili, della società, dell’intera umanità.102 100 Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, vv. 5-8, 1320. 101 Ibid., vv. 21-28. 217 Terzo elemento patologico del bambino era la gamba sinistra, rovesciata in alto fino alla testa, e interpretata come simbolo del rifiuto ad essere guidati, ulteriore variazione sul tema della ribellione: The leg so clyming to the head, What meaneth it but this? That some do seeke not to be lead, But for to leade amis. And as this makes it most monstrous, For foote to clyme to head: So those Subiects be most vicious, That refuse to be lead.103 Gli arti, rivoltati tanto innaturalmente che il piede va contro la testa, erano dunque segno dei sottoposti che si rivoltavano alla loro guida naturale, il potere monarchico. Infine, nel «broade lump of flesh in fashion lyke a Rose», l’autore leggeva il quarto e ultimo vizio, il più infame, degradante e nascosto – la sodomia – tanto vergognoso da poter essere descritto solo con un eufemistico gioco di parole: The hinder part doth shew vs playne, Our close and hidden vice, Which doth behind vs run amayne, In vyle and shameful wyse.104 A questo punto, l’autore chiudeva rapidamente il componimento, quasi a non voler disturbare in alcun modo la contemplazione di questo deforme geroglifico, e delle sue 102 Specificamente contro la «Idleness» fu redatta una delle ‘Homelies’«to be read in Euery Paryshe Churche», con le quali nel 1563 Elisabetta I intese approntare modelli di comportamento inflessibili per i sudditi del regno; cfr. Anonymous, The Seconde Tome of Homilies, of such Matters as were promised and instituted in the former Part of Homylyes, set out by the Aucthoritie of the Queenes Maiestie. And to be read in Euery Paryshe Churche agreeably, [imprinted at London, in Powles Churche yarde by Richarde Iugge, printer to the Queenes Maiestie,] 1563 [STC (2nd ed.), 13666.4], foll. 266v-269v. Sul tema, si vedano Christopher Hill, Society and Puritanism in Pre-Revolutionary England, London, Mercury, 1966 e, più recentemente, Paola Pugliatti, Beggary and Theatre in Early Modern England, Aldershot, Ashgate, 2003, pp. 55-63.103 Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, vv. 29-36. 104 Ibid., vv. 37-40. 218 significazioni morali. Doveva essere il mostro stesso a indicare la diritta via, e a ricordare a tutti che smarrirla significava andare incontro al pericolo estremo, la morte dell’anima: Wherefore to ech in England now, Let this Monster them teach: To mend the monstrous life they show, Least endles death them reach.105 L’anonimo estensore del foglio volante dedicato al caso di Maydstone aveva dunque ampliato al massimo le possibilità interpretative del procedimento allegorico, inaugurato dalla vicenda di Herne in Kent e ribadito da John Mellys. La sua ballata, accentuando il gioco delle corrispondenze, cristallizzava il processo e lo consegnava ai successori portato ad altissimi livelli di efficacia. Questa modalità allegorica di lettura della nascita mostruosa ricomparve, ormai assunta tra altri elementi retorici, nell’ultimo documento che intendo analizzare a conclusione di questo capitolo, A Mervaylous Straunge Deformed Swyne.106 Redatto da un misterioso J. P. e stampato per i tipi di Richard Jones probabilmente nel mese di agosto del 1570, il documento presentava una struttura ormai consolidata: l’immagine in alto, sotto al titolo, proponeva il profilo di un suino dalle forme eccezionali; al centro seguiva una prosa descrittiva; chiudeva, in basso, una ballata, composta da 11 quartine di tetrametri e trimetri giambici alternati, in cui il secondo e il quarto verso rimano tra loro secondo lo schema XAYA (fig. 15).107 105 Ibid., vv. 41-44. 106 J. P., A Mervaylous Straunge Deformed Swyne, London, imprinted by William How for Richard Johnes, and are to be sold at his Shop joining to the Southwest Doore of Paules Churche, [1570?] [STC (2nd ed.), 19071]. Il foglio volante non è datato, ma fu presumibilmente composto e pubblicato poco dopo l’8 agosto 1570, data dell’esecuzione di John Felton, menzionato nel testo come traditore. A sostegno di questa collocazione cronologica, si rileva che il registro della Stationer’s Company riporta una ballata dal titolo «Monsterous Swyne» firmata con le medesime iniziali I. P. e presentata dall’editore Richard Jones per l’anno 22 luglio 1570 – 22 luglio 1571. A questo proposito, cfr. Hyder E. Rollins (ed.), An Analytical Index to the Ballad-Entries (1557-1709) in the Registers of the Company of Stationers of London, compiled by Hyder E. Rollins, foreword by Leslie Shepard, Hatboro, Tradition Press, 1967, p. 155. Trascrizioni moderne si possono leggere in Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, pp. 186-190; Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, pp. 16-19. Ho ritenuto di inserire anche questo documento, che pure non tratta di una nascita umana, per la sua particolare ricchezza di implicazioni politiche e religiose. 107 Almeno due sono i possibili candidati alla paternità di questo documento. Del primo, John Phillips, ignoriamo la data di nascita, ma sappiamo che iniziò la sua carriera di scrittore intorno alla metà degli anni Sessanta del ’500: la sua prima pubblicazione, The Commodye of Pacient and Meeke Grissill, dramatizzazione dell’ultima novella del Decameron di Boccaccio, appare nel registro della Stationer’s 219 La prosa riassumeva la vicenda di un «Englishman» che aveva portato a Londra, forse per esporlo al pubblico, un maiale mostruoso acquistato in Danimarca, le cui proporzioni facevano pensare ad una strana ibridazione con animali del tutto estranei: «the forepart thereof from the Snoute beneath the fore shoulders are in al pointes like unto a Swine, except the Eares only which resemble ye eares of a Lion, the hinder parte (contrarie to kinde) is proportioned in all pointes like unto a Ram». La fusione con altre specie sembrava proseguire negli arti, «the most straungest thinge of all», caratterizzati da una forte somiglianza con mani umane, ma di proporzioni gigantesche: le zampe terminavano infatti con «certain Tallents and very harde Clawes, doubling under his feet, every Claw so byg as a mans fynger, and blacke of colour, and the length of every of them are full .X. inches». Non v’è dubbio tuttavia che l’elemento più spettacolare fosse la strana pelliccia della bestia, che aveva «softe wooll both white and blacke mixed monge the hard Heare, and so groweth from the shoulders downe warde, all the body over».108 Ed era proprio questo manto, che nascondeva la vera natura dell’animale quasi come un travestimento, l’elemento su cui la ballata intrecciava il suo impianto allegorico, costruendo un vero e proprio ‘girone degli ipocriti’. Infatti, dopo alcuni versi introduttivi, che chiamavano all’ascolto i «good Christians all», invitati ad Company nel 1565-1566. I suoi scritti includevano ballate, epitaffi, sermoni, libri di preghiere e brevi trattatelli di tono patriottico e moralistico, come ad esempio A Friendly Larum, or Faythfull Warnynge […] discoveryng the Acte and Malicious Myndes of those Obstinate and Rebellious Papists (1570) e A Cold Pye for the Papists (1570?), entrambe opere anti-cattoliche che, per tematiche e cronologia, si avvicinano al nostro foglio volante. Ignota la data della morte, collocabile tra il 1594 e il 1617. Per ulteriori approfondimenti, si veda Alexandra Walsham, ‘Phillips, John (d. 1594x1617)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/ article/22158, accessed 29 May 2014]. Del secondo candidato, John Partridge, traduttore e poeta, sappiamo ancora meno. Fu autore di tre lunghi poemi, Lady Pandavola, Astianax and Polixena, and The Worthie Hystorie of […] Plasidas, tutti pubblicati nel 1566 e tutti in metro giambico (esametri ed eptametri), il medesimo del nostro documento. Fu, inoltre, autore di The Treasurie of Commodious Conceits (1573), una sorta di ricettario, e The Widowes Treasure (1582), tesoretto di gastronomia e rimedi medici. Ma, per ciò che più da vicino ci interessa, Partridge redasse un pamphlet dal titolo The Ende and Confession of John Felton, il celebre papista che osò sfidare l’autorità di Elisabetta e che compare anche nella ballata che ci accingiamo ad analizzare. Forti somiglianze con A Mervaylous Straunge Deformed Swyne, sia tematiche sia formali, si riscontrano anche nella ballata An Admonition of Warning to England, composta da Partridge per accompagnare un resoconto del terremoto che ebbe luogo a Napoli nel 1565. In essa la catastrofe naturale è presentata come una forma di punizione divina e offre l’occasione per un accorato monito all’Inghilterra, affinché si penta prima che un disastro simile la colpisca. Per altre notizie, cfr. Joyce Boro, ‘Partridge, John (fl. 1566–1582)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/21483, accessed 29 May 2014]. 108 J. P., A Mervaylous Straunge Deformed Swyne. 220 osservare con la massima serietà i prodigi divini, e a non giudicarli «as toyes and trifles vaine», l’autore esortava ad afferrare il senso nascosto dietro il sembiante mostruoso: For if you do way well ech poynt, his nature and his shape I fear resembles some of those, as on the same do gape. For why [?] Most Swinish are our lives, and monstrous (that is sure) Though we resemble simple Sheepe, or Lambes that be most pure. But every Tree it selfe will try, at last by his owne Fruite: Though on our Backs we cary Woll, our conscience is pollute.109 Tutti abbiamo la ‘coscienza sporca’, tutti nascondiamo una qualche forma di doppiezza d’animo. Ma ve n’era una più grave di tutte, per il nostro autore, su cui si appuntava il suo sdegno morale, l’ipocrisia nei confronti dell’autorità, fosse essa religiosa o politica: Though smilingly with flattering face, we seeme Gods word to love: Contrary wise som hate the same, as well their deedes did prove. Who ment the ruine of our Realme As Traytours to our Queene: Som white faste La[m]bs have sought to do (nay, monstrous Swine) I weene.110 109 Ibid., vv. 13-24 [integrazione di chi scrive]. 110 Ibid., vv. 25-32. 221 La dissacrazione della parola di Dio, e la rovina del regno, suo specchio terreno, altro non erano che la manifestazione eclatante di una colpa di cui nessuno poteva dirsi innocente. Qui il nostro poeta chiamava al pentimento tutti quanti, qualunque fosse la fede di appartenenza: But generally, I say to all, repent amend your life: The greedy rich, the needy poore, yea, yongman, Maide, and Wife. The Protestant, the Papist eke, what secte so that ye be, Gripe your own conscience, learne to do As God commaundeth ye. For all are Sinners David saith, Yea, do the best we may, Unprofitable servaunts still we be, we can it not denay.111 Ma non si deve pensare che la ballata si caratterizzasse per spirito ecumenico. Pochi versi più tardi, infatti, il poeta scagliava la propria invettiva contro i traditori di Elisabetta, tutti eminenti esponenti dell’opposizione cattolica: What monstrous Swine you prove at lenght, for all your covert coyle. Experience late by Felton false, and Nortons two I weene: Their Treason known were wo[n]dred at as they had Monsters been. 111 Ibid., vv. 37-48. 222 And surely I can judge no lesse, but that they Monsters were: Quite changed from true subiects shape, their deedes did so appeare.112 In questi versi il mostruoso maiale diveniva improvvisamente un grottesco correlativo del crimine politico compiuto dai traditori di Elisabetta, esplicitamente chiamati in causa con i loro nomi: «Felton false» e i «Nortons two». Il primo aveva affisso davanti al palazzo del vescovo di Londa la Regnans in excelsis, la bolla papale con la quale Pio V aveva scomunicato la regina, e quindi ne aveva negato la legittimità a regnare sugli inglesi. Per questo atto, Felton era stato condannato a morte: la sua esecuzione era avvenuta l’8 agosto del 1570. 113 Thomas Norton e suo nipote Christopher erano invece membri di un’eminente famiglia cattolica dello Yorkshire; impegnati in costanti cospirazioni contro il governo centrale di Londra, culminate nella fallita Revolt of the Northern Earls, nel 1569 erano stati imprigionati e puniti con la pena capitale.114 Nelle parole dell’anonimo poeta, il loro atto di tradimento, il «treason» che li aveva «changed from true subiects shape» era la deformità più grande, quella da cui bisognava tenersi lontani. Perciò, ai loro atti mostruosi era corrisposta una fine altrettanto mostruosa, monito ed esempio per tutti i buoni sudditi: Then let their deedes example be, to us that Subiects are: for treason ends by shamfull death, therfore by them beware.115 112 Ibid., vv. 56-64. 113 Su John Felton, martire della chiesa cattolica, si veda Julian Lock, ‘Felton, John (d. 1570), Roman Catholic Martyr’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/9272, accessed 30 May 2014]. 114 Sui Norton, e sulla loro esecuzione avvenuta il 27 maggio 1570, si trovano alcuni cenni nella biografia di Richard Norton, fratello di Thomas e padre di Christopher. Si veda Michael Hicks, ‘Norton, Richard (d. 1585)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/20353, accessed 30 May 2014]: «Richard’s brother Thomas and son Christopher were executed at Tyburn on 27 May 1570: their exemplary Catholic deaths were celebrated in verse and prose by protestants as a warning to papists and traitors and lamented as martyrdom by Catholics».115 J. P., A Mervaylous Straunge Deformed Swyne, vv. 65-68. 223 Così superato il momento più specificamente politico del suo componimento, l’autore proseguiva con una veloce enumerazione di altre colpe comuni al suo popolo: il «monstrous pride», il «whordom which is daily usde / in England ranke and rife», la «Covetousnesse […] / of Usery daily don».116 A quest’ultima reprimenda J. P. aggiungeva un’invocazione alla benevolenza divina, affinché liberasse dal peccato tutti quanti, «both hie and low», per chiudere poi, da buon «subiect», con un’ultima convenzionale quartina, interamente dedicata alla richiesta di una specifica intercessione celeste per l’amata regina: God grant our gracious soverain Queen long over us may raigne: And this life past, with Christ our Lord Heavens ioyes she may attaine.117 Non può che chiudersi così, con una dichiarazione di piena fedeltà alla regina, questa prima raccolta di fogli volanti dedicati alla strumentalizzazione delle nascite mostruose nei primi anni di regno di Elisabetta I, il cui percorso evolutivo ho voluto ricostruire in questo capitolo. Ripercorrerlo ha consentito di individuare tre momenti, a cui corrispondono altrettanti diversi atteggiamenti esegetici del difetto di nascita. In una prima fase, rappresentata dal bimbo mutilo di Much Horkesley e dal maiale deforme di William Fulwood, il mostro non è interessato, se non marginalmente, da precise letture simboliche: la carne della creatura è marchiata dalla colpa dell’intera umanità. Nei casi di Chichester e dell’Isola di Wight, invece, la lettura si fa più approfondita, abbondano i riferimenti scritturali di tipo apocalittico, ma soprattutto si evidenzia l’indicibilità del mostro e si intensifica il rapporto metatestuale con l’immagine. Infine, a partire dalla metà degli anni Sessanta, approda oltre Manica quella lettura specificamente allegorica che circa mezzo secolo prima abbiamo visto attiva in Italia e in Germania (con i casi di Ravenna, Marano, Castelbaldo, Freiburg): nell’abbraccio dei gemelli di Herne in Kent e di quelli di Swanbourne si potevano intravedere immagini di «false dissemblyng»; nelle innumeri malformazioni del 116 Ibid., vv. 69, 71-74. 117 Ibid., vv. 85-88. 224 bambino di Maydstone in Kent l’Inghilterra poteva riconoscere un elenco di ogni suo «monstrous vice»; il maiale danese raccontato da J. P., infine, con il suo travestimento da innocente ovino, forniva una metafora inequivocabile dell’ipocrisia spinta fino al crimine mostruoso del tradimento, nel quale, come evidenzia la citazione dei fratelli Norton e di John Felton, le motivazioni religiose si saldavano con quelle politiche.118 * * * L’uso delle nascite mostruose come strumento di pressione religiosa e politica ebbe una tappa ulteriormente significativa verso la fine degli anni Settanta, quando il testo simbolo di questa speciale strumentalizzazione, il Deuttung der czwo grewlichen Figuren, con cui Filippo Melantone e Martin Lutero avevano descritto l’Asino-Papa e il Vitello-Monaco, ebbe finalmente una traduzione anche oltre Manica (fig. 16).119 John Brooke, il ministro protestante che aveva indossato le vesti del mediatore linguistico, fece precedere la sua versione inglese da una breve dedicatoria, nella quale, rivolgendosi al «Good Christian Reader», ribadiva come i continui parti di 118 La strumentalizzazione dei difetti di nascita a fini morali e politici in età elisabettiana non si interrompe certo con la pubblicazione del documento che abbiamo appena terminato di analizzare, ma prosegue anche negli anni successivi, sebbene con accenti meno originali: nel decennio che ho ripercorso i fogli volanti elisabettiani mostrano un ricco e variegato laboratorio di elaborazione della ‘nascita mostruosa’. Segnalo qui, tuttavia, che tracce di un intensificarsi della produzione di ballate di argomento ‘mostruoso’ tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Cinquecento si leggono nel registro della Stationers’ Company, dove sono riportati i titoli di una serie di documenti purtroppo andati perduti: Anonymous, The Description and Figure of a Monstruous Childe borne at Taunton the VIIJ of November, London, Hugh Jackson, 1576; Anonymous, The Description of a Monstrous Childe named John Ffremley, London, Henry Bynneman, 1577; Anonymous, The Figure of IJ Monstrous Children borne at Wemme in Shropshire, London, Tho[mas] Colwell, 1577; Anonymous, A True Report of a Straung and Monsterous Child, born at Aberwick, in the Parish of Eglingham, in the County of Northumberland, this Fifth of January, London, imprinted for Thomas Gosson, dwelling in Pauls Church-Yard, next the Gate, the Corner Shop to Cheapeside, at the Sign of the Goshawke in the Sonn, 1579; Anonymous, The Description of Monstrous Childe borne at Ffenny Stanton in Huntingdonshire, London, Henry Bynneman, 1580; Anonymous, The Report of a Great Boie borne in Pountfret, London, Rich[ard] Jones, 1580; Anonymous, The Wonderfull Worke of God shewed upon a Childe at Wals[ingh]am, London, Ed[mund] White, 1581; Anonymous, A Strange Example of a Maydenchild borne upon Sunday the Third of Januarij, 1584, in the Mynoryes without Allgate of London, London, Walter Venge, 1585. A questo proposito, cfr. Hyder E. Rollins (ed.), An Analytical Index to the Ballad-Entries (1557-1709), pp. 53, 81, 197, 219, 260. 119 Philip Melancthon, Martyn Luther, Of Two Woonderful Popish Monsters, to Wyt, of a Popish Asse which was found at Rome in the River of Tyber, and of a Moonkish Calfe, calved at Friberge in Misne. Which are the very foreshewings and tokens of Gods Wrath, against Blinde, Obstinate, and Monstrous Papists. Witnessed, and declared, the One by Philip Melancthon, the Other by Martyn Luther. Translated out of French into English by John Brooke of Assh, next Sandwich, [imprinted at London, by Thomas East, dwelling by Paules Wharfe.] These bookes are to be sould in Powles Churchyard at the signe of the Parat, [1579] [STC (2nd ed.), 17797]. 225 esseri umani deformi, che si registravano con sempre maggior frequenza, altro non fossero se non la materializzazione del disordine morale e religioso dei tempi, nonché la terribile conseguenza dell’ira divina: Among all the things that are to be seene under the Heavens […] there is nothing that can stirre up the Minde of Man, & which can engender more Fere […] to the Creatures then the horrible Monsters, which are brought forth dayly contrary unto the Works of Nature. The which the most Times doe note and demonstrate unto us the Ire and Wrath of God, against us for our Sinnes and Wickednesse, that we have and doe dayly commit agaynst him. But Mans Heart is so hardened that those his Threatnings and Foreshewings are rejected as though they were but Fables. Therefore many Times the Elements have bene and be the Heraulds and Executors of Gods Justice.120 Mentre cercava di ammorbidire gli animi e di spingere ogni buon cristiano «to feare & tremble at the sight of such prodigiuos monsters», Brooke non perdeva occasione di sottolineare l’autenticità delle due creature presentate nel libello («we must not thinke that they be forged and invented») e di lanciare un avvelenato ammonimento nei confronti del mondo cattolico: Signifiyng that these two Monsters may well be compared unto the Pope and his rablement of Cardinals, Abbottes, Bishops, Priests, Canons, Moonks and Fryers, ad Gods messengers, to give warning unto them that Gods wrath is ready at ha[n]d to destroy both him & his kingdome, with his whole rable of Cardinals, Moonks & shavelings, disguising the[m]selves so against nature, as these two M[o]nsters 121 were. Infine, secondo un modello retorico che abbiamo visto più volte attivo, il prefatore concludeva la sua concisa introduzione con un accorato appello al pentimento, unico e solo mezzo attraverso il quale salvare la propria anima, e d’esser degni di chiedere a Dio difesa da tali orribili mostri: «therefore let us way diligently these his wonderous woorkes, and repent in time from the bottome of our hearts of our sinnes, and desire 120 John Brooke, Unto the Christian Reader, in Philip Melancthon, Martyn Luther, Of Two Woonderful Popish Monsters, sig. Aiir. 121 Ibid., sig. Aiiv. 226 him to be mercifull unto us, & ever to kepe & defend us from such horrible Monsters».122 L’opera d’intimidazione dei fedeli attraverso l’uso delle nascite mostruose promossa da John Brooke, e prima di lui da altri protestanti, non sembrava però produrre i risultati sperati, tanto è vero che John Crespin, autore di una seconda dedicatoria al libello di Melantone e Lutero, lamentava come: «men doe see them [monstrous and feareful figures] and let them passe, as if they touched them nothing at all».123 Era dunque necessario proseguire nell’attività di evangelizzazione e approntare modelli di comportamento e di costumi severi e inflessibili: i difetti di nascita avrebbero continuato a fornire materiali utili per questa operazione.124 E se il ravvedimento morale era indispensabile in linea generale per tutti, esso lo era ancor più per le donne, che non soltanto erano considerate più inclini al peccato, ma di quei mostri erano le madri, genitrici evidentemente punite da Dio per la loro condotta terrena sconcia e viziosa. Non sorprenderà, allora, che in mezzo ai 122 Ibid. 123 John Crespin, Unto All which feare the Lord, in Philip Melancthon, Martyn Luther, Of Two Woonderful Popish Monsters, sig. Aiiir. 124 L’uso delle nascite mostruose come avvertimento dell’ira divina continuò ad avere un ruolo centrale nella propaganda protestante (parallelamente alla creazione di modelli più raffinati e meno generici di cui parlerò nei prossimi capitoli). Qui segnalo alcuni esempi di queste sopravvivenze, che non aggiungono niente di originale a quanto riportato fin qui, e che perciò non sono saranno oggetto di analisi specifica: Pet Cornelius, An Example of Gods Judgement shew[n] vpon Two Children borne in High Dutch La[nd] in the Citie of Lutssolof, the First Day of Julie. and translated out of Dutche into Englishe the 6. [of] Nouember last by Cornelius Pet, London, printed [by J. Allde?] for William Bartlet and are to be solde at S. Magnus Corner by Richard Ballard, [1582?] [STC (2nd ed.), 10608.5] (fig. 17); Anonymous, A Right Strange and Wonderful Example of the Handie Worke of a Mightie God. To move us Wretched Sinners to Amendement of Our Wicked Lyves, by this Lamentable Spectacle for al Men & Women to behold, of the Birth of Three Children borne in the Parish of PASKEWET, in the County of Monmouth, on Thursday, the Third of February last 1585 and are are [sic] at this Present to be seene at London, London, Richard Jones, 1585 [STC (2nd ed.), 20127] (fig. 18); V. Duncalfe, A most Certaine Report of a Monster borne at Oteringham in Holdernesse, the 9. of Aprill last past. 1595. Also of a most Strange and Huge fish, which was driuen on the Sand at Outhorn in Holdernesse in February not passing Two Months before this Monster was brought into the World, and within 4. Miles Distance. Both to be auerred by the Credible Testimonie of Diuers Gentlemen of Worship, and others, now being within this Citie, London, printed by P.S. and are to be sold by T. Millington, [1595] [STC (2nd ed.), 18895.5] (fig. 19) e John Hilliard, Fire from Heauen. Burning the Body of One Iohn Hittchell of Holne-Hurst, within the Parish of Christ-Church, in the County of South-hampton the 26. of Iune last 1613. who by the Same was consumed to Ashes, and no Fire seene, lying therein smoaking and smothering Three Dayes and Three Nights, not to bequenched [sic] by water, nor the Help of Mans Hand. With the Lamentable burning of his House and one Childe, and the Grieuous scorching of his Wife: with the Birth of a Monster, and many other Strange Things hapning about the Same Time: the Like was neuer seene nor hear of. Written by Iohn Hilliard Preacher of the Word of Life in Sopley. Reade and tremble. With the Fearefull burning of the Towne of Dorchester vpon Friday the 6. of August last 1613, London, printed [by E. Allde], for Iohn Trundle, and are to be sold at his Shop in Barby Can [sic] at the Signe of Nobody, 1613 [STC (2nd ed.), 13507.3]. 227 numerosi strangers presi in esame da Leslie Fiedler nell’opera di William Shakespeare, lo studioso abbia deciso, ormai molti anni fa, di annoverare anche lei, la ‘ribelle’ discendente di Eva.125 125 Leslie A Fiedler, The Stranger in Shakespeare. Studies in the Archetypal Underworld of the Plays, New York, Barnes & Noble, 1972, pp. 43-81. 228 CAPITOLO QUINTO When Gods owne Fingers shall crush the Loynes in the Womb: i mostri come strumento di controllo sociale della donna S. K. the daughter of R. Kershaw of Wyke being in troubles of mind about 3 or 4 yares agoe, Mr. Dawson and I spent a day in prayer for and with her, but her father dying she shakt off all such, was marryed, betook herself to sensual courses, and is reported to be of a bad carriage, bore a child which was strangly deformed […], and was thought to be drunk wn she began travelling [travailing]. The child was monstrous, had no legs, armes, but had 5 things like fingers at the elbows, 5 things like toes at its knees, a soft thing in the place of the head, it was alive when born, oh prodigious hand of God, little observed. Oliver Heywood, His Autobiography, Diaries, Anecdote and Event Books, 1630-1702. 5 The Low Countrey Women, chiefly those that live near the Sea-side, being restlesse and troubled in copulation, they have strange mishapen Embrio’s […]. For Marriners, which they commonly marry, when they come from long voyages, run mad upon their wives with full fail, never regarding their menstrual courses, nor the Conjunction or new Moon. Mens incontinence is to be found fault with; but also of the women, who having waited so long in their absence, do voluntarily put themselves upon their husbands, and snatch the seed from them as hungry dogs do a bone. And therefore Moses had good reason, by Gods command, to forbid men to lie with women during their uncleannesse. For it can hardly expressed what contagion and mischief comes thererupon. […] No man need much admire that there are so many monstrous births, or from whence come so many strange shapes, that there are so many scald heads, maimed and crooked people, with bow’d and bent legs, that there are so many swellings about the fundament of the groins, so many Bubo’s, so many swoln Emrods. Laevinus Lemnius, The Secret Miracles of Nature, 1658. * * * Quando, nell’ottobre del 1568, l’anonimo autore di The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent formulava il suo «Warning to England», incastonandolo nei versi di una ballata, al centro del suo interesse si trovavano i dettagli patologici del bambino, cui egli faceva corrispondere esattamente i vizi della sua nazione, mentre le circostanze della nascita mostruosa venivano solo tratteggiate, e volutamente lasciate sullo sfondo. Tuttavia, in quei brevi cenni, egli non mancava di rilevare che la madre della creatura, «one Marget Mere […], being unmaryed, played the naughty packe».1 La scelta di questa espressione dipendeva da un preciso desiderio di connotare in maniera sessualmente disordinata la condotta della giovane puerpera.2 Infatti, se è vero che gli autori di documenti come questo intendevano richiamare al pentimento l’intera comunità, è vero anche che al centro della loro reprimenda ponevano per lo più un caso individuale, e questo singolo peccatore era quasi sempre una donna che si riteneva fosse moralmente compromessa. E la principale preoccupazione che sostanziava le ballate e i pamphlets dedicati a figure femminili era l’infedeltà: questa inquietudine appariva manifesta nei numerosi documenti che con parole e immagini connettevano il difetto di nascita del figlio alla condotta adultera della madre. La relazione tra adulterio e nascita mostruosa non era cosa nuova: già nel 1536 erano circolate voci su un feto deforme abortito dall’allora regina Anna Bolena, che era stato interpretato come segno di infedeltà verso il marito Enrico VIII.3 Tuttavia, i documenti che si appropriavano delle nascite mostruose per esercitare una forma di controllo sulle libertà femminili si fecero più numerosi a partire dagli ultimi tre decenni del XVI secolo. Fu proprio in questo arco temporale, quando il governo di Elisabetta garantì il consolidamento della nuova fede, e le questioni di egemonia 1 Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, the .XXIIIJ. of October, London, imprinted by John Awdeley, dwellyng in Little Britain Streete withough Aldersgate, The .XXIIJ. of December, [1568] [STC (2nd ed.), 17194]. Per la discussione di questo documento, si veda sopra, il paragrafo 4.4. 2 La locuzione tecnica ‘to play the naughty packe’ apparteneva al linguaggio giuridico ed era specificamente utilizzata nelle cause per adulterio (cfr. Paul Hair (ed.), Before the Bawdy Court. Selections from Church Court and other Records relating to the Correction of Moral Offenses in England, Scotland and New England, 1300-1800, London, Elek, 1972, p. 40). A titolo d’esempio, lo studioso riporta un caso avvenuto a Winwick, Lancashire, nel 1592, in occasione del quale un certo Thomas Grimsford dichiarò che sua moglie Margerie «hath plaied the nauightie packe and dyd roune awaie with another man». 3 Cfr. George W. Bernard, Anne Boleyn. Fatal Attractions, New Haven, Yale University Press, 2010, pp. 125-134. 231 religiosa divennero meno incombenti, che la propaganda protestante poté volgere i propri sforzi verso nuovi territori di catechesi.4 Come vedremo nelle pagine che seguono, i difetti di nascita – adeguatamente pubblicizzati e strumentalizzati – cominciarono a fornire materiali utilissimi per limitare, attraverso la paura e il senso di colpa, i comportamenti etichettati come troppo liberi e indecorosi. E se le strategie messe in atto nella street literature per circoscrivere gli spazi di autonomia della donna furono molteplici e colpirono vari aspetti della sua vita pubblica e privata, non v’è dubbio che il pericolo più grave, e quindi l’ambito da sottoporre al maggior controllo da parte maschile, fu quello delle tanto vituperate trasgressioni sessuali.5 Prostituzione, adulterio, fornicazione e incesto costituivano da secoli una materia tanto delicata quanto imbarazzante, di cui soprattutto il potere politico aveva preferito non interessarsi, se non quando direttamente coinvolto.6 Uno statuto del 1286 voluto da Edoardo Plantageneto (1239-1307) aveva decretato che fossero coloro che avevano cura delle anime a doversi occupare «[of] those things which are purely spiritual, that is concerning corrections which prelates impose for mortal sin, namely for fornications, adulteries and such like, for which sometimes corporal punishment is 4 Paige M. Walker connette questa evoluzione nella manipolazione delle nascite mostruose ad un nuovo ruolo sociale assunto dalla donna con l’affermarsi dell’economia di mercato: secondo la studiosa, i documenti di cui stiamo per occuparci «may have responded to the increased demand for articulate apprehension of female disloyalty within the market economy» (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, Berkeley Undergraduate Journal, 26, 2, 2013, p. 231). In realtà, questa interpretazione, pur non essendo generalizzabile, può tuttavia fornire una chiave di lettura interessante per i testi che stigmatizzano il lusso femminile, la cosmesi e la moda; si veda oltre, paragrafo 5.2.5 Sulla contrapposizione tra sfera pubblica e privata nell’Inghilterra della prima età moderna, con particolare riferimento alle conseguenze che tale dialettica aveva sulla vita delle donne, cfr. l’affascinante studio di Lena Cowen Orlin Private Matters and Public Culture in Post-Reformation England, nel quale si indagano le modalità secondo le quali, «in the decades following the Reformation, the state and its attendant institutions reformulated ideas of social order, ideas adapted to the religious upheaval launched by the crown. The state designated the individual household, in the absence of the authoritarian church and of a national police, as the primary unit of social control. It identified the householder as responsible for the maintenance of moral order in his immediate sphere but to macrocosmic benefit. And it reinforced the preexistent patriarchal hierarchy to further empower him politically and also to ensure his accountability. As a result the householder enjoyed a sense of individual agency that developed from his hegemonic authorization» (Private Matters and Public Culture in Post-Reformation England, Ithaca-London, Cornell University Press, 1994, p. 3). Sul concetto di ‘vita privata’, si rimanda ovviamente anche al lavoro di Philippe Ariès, Georges Duby (a cura di), La vita privata, 5 voll., Roma-Bari, Laterza, 1986-1988 (Histoire de la vie privée, 5 vols., Paris, Seuil, 1985-1987), soprattutto il volume III, nel quale si parla dell’Inghilterra come il luogo di nascita della ‘privacy’. 6 Per uno dei primi rapporti sulla sessualità e il matrimonio nel Medioevo, si veda Georges Duby, Il cavaliere, la donna, il prete. Il matrimonio nella Francia feudale, traduzione italiana di Silvia Brilli Cattarini, Roma-Bari, Laterza, 1982 (Le chevalier, la femme et le prête. Le mariage dans la France féodale, Paris, Hachette, 1981). 232 inflicted, sometimes a money penalty».7 Così era stato per tutto il Basso Medioevo, epoca durante la quale la chiesa – sebbene non sempre con risultati soddisfacenti – aveva dispiegato ogni sua forza pur di contrastare quel «great weight of cases of immorality which burdened the courts».8 Con la separazione di Enrico VIII da Roma nel 1534, e la conseguente dissoluzione dei monasteri minori nel 1536, le istituzioni religiose, ora fortemente indebolite, furono costrette a rivedere la loro scala di priorità: le più pressanti urgenze di riorganizzazione e ridefinizione dogmatica fecero scivolare in secondo piano le preoccupazioni di teologia morale.9 Fu solo in seguito all’ascesa al trono di Elisabetta I, e al progressivo consolidamento del protestantesimo, che il bisogno di approntare per i fedeli modelli di comportamento più inflessibili si fece di nuovo cosa incombente e improrogabile. Questa necessità si tramutò nel 1563 in «certaine Sermons appoynted by the Quenes Maiesty, to be declared and read, by al Parsons, Vicars, & Curates, eueri Sunday and Holi Day, in their Churches», il cui scopo era, tra le tante cose – come sottolinea 7 13 Edw. I (Circumspecte agatis), in Frederick M. Powicke, Christopher R. Cheney (eds), Councils and Synods, with other Documents relating to the English Church, A.D. 1205-1313, 2 vols., Oxford, Oxford University Press, 1964, II, part II, pp. 974-975.8 Brian L. Woodcock, Medieval Ecclesiastical Courts in the Diocese of Canterbury, Oxford, Oxford University Press, 1952, p. 82. Com’è facile immaginare, durante il Basso Medioevo il potere temporale non rimase mai del tutto passivo e in silenzio. Seguirne, tuttavia, le entrate in scena per legiferare in materia di trasgressioni sessuali non è cosa semplice. Laura Gowing ha evidenziato come già a partire dal tardo Trecento «ecclesiastical jurisdiction over defamatory words had […] been increasingly limited by the claims of the common law to judge slanders of non-spiritual matters like theft or murder» (Domestic Dangers. Women, Words and Sex in Early Modern London, Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 60). Martin Ingram ha confermato questa visione, giustificando la coesistenza (non sempre del tutto pacifica) e la sovrapposizione dei due poteri (temporale e spirituale) con la difficoltà di stabilire per ognuno le reali competenze: «the boundary between spiritual and non- spiritual offences was subject to debate in certain areas; bastardy could also be prosecuted at the common law, but, while some commentators argued slanders of bastardy should be tried in the secular courts, it was generally accepted as a spiritual offence and hence within the remit of the church courts» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 296-297). Richard H. Hemlholz ha, infine, ribadito questo concetto, sottolineando però come sul finire del ’500 e gli inizi del ’600, tutte le questioni inerenti alle «sexual offences» fossero un problema delle «church courts, solidly established as the principal forum for disputes over words and reputation» (Roman Canon Law in Reformation England, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 56-68). 9 Negli anni del suo regno, Enrico VIII intervenne una solta volta in materia di trasgressioni sessuali e tra l’altro per punire un’offesa morale che di solito compariva con meno frequenza tra quelle perseguite dalle istituzioni religiose: la sodomia. Nel 1534 un provvedimento della corona rese «the detestable and abominable Vice of Buggery committed with mankind or beast» un crimine soggetto al giudizio dei tribunali secolari. A questo proposito, cfr. Derrick S. Bailey, Homosexuality and the Western Christian Tradition, London, Longmans-Green & Co., 1955, pp. 145-148, che riproduce il testo della legge di Enrico VIII (Hen. VIII c. 6). Per ulteriori approfondimenti sul tema dell’omosessualità nella prima età moderna, si rimanda a due classici: Alan Bray, Homosexuality in Renaissance England, with a New Afterword, New York, Columbia University Press, 1995 e Tom Betteridge (ed.), Sodomy in Early Modern Europe, Manchester, Manchester University Press, 2002. 233 Martin Ingram – di scoraggiare tutte quelle «forms of sexual misconduct [which] were rife largely condoned by popular standards».10 Più specificamente, una sezione intitolata «agaynst Whoredome and Uncleanesse» affermava: ALTHOUGH there want not, good Christian people, great swarms of vices worthy to be rebuked, unto such decay is true godliness and virtuous living now come, yet above all other vices the outrageous seas of adultery (or breaking of wedlockc), whoredom, fornication, and uncleanness have not only brastd in, but also overflowed almost the whole world, unto the great dishonour of God, the exceeding infamy of the name of Christ, the notable decay of true religion, and the utter destruction of the public wealth; and that so abundantly that, through the customable use thereof, this vice is grown into such an height, that in a manner among many it is counted no sin at all, but rather a pastime, a dalliance, and but a touch of youth; not rebuked, but winked at; not punished, but laughed at. Wherefore it is necessary at this present to intreat of the sin of whoredom and fornication, declaring unto you the greatness of this sin, and how odious, hateful, and abominable it is and hath alway been reputed before God and all good men, and how grievously it hath been punished both by the law of God and the laws of divers princes; again, to shew you certain remedies whereby ye may, through the grace of God, eschew this most detestable sin of whoredom and fornication, and lead your lives in all honesty and cleanness.11 L’attività di predicazione che soggiaceva all’iniziativa promossa dalla regina e dal suo Privy Council dovette essere messa in pratica con grande celerità, e con altrettanta sveltezza si rivelò inadeguata a fornire rimedi risolutivi. Uno dei segni più evidenti del fallimento fu proprio l’aumento vertiginoso della percentuale di infrazioni legate ai cosiddetti ‘piaceri della carne’;12 parallelamente, tuttavia, i rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche registrarono un altro dato ben più inquietante per le loro 10 Martin Ingram, Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, p. 154. 11 Thomas Cramner, Certaine Sermons appoynted by the Quenes Maiesty, to be declared and read, by al Parsons, Vicars, & Curates, eueri Sunday and Holi Day, in their Churches: and by her Graces Aduise pervsed & ouersene, for the better Understanding of the Simple People, London, imprinted in Powles Churcheyard, by Richard Iugge, and Iohn Cavvood printers to the Quenes Maiestie, 1563 [STC (2nd ed.) 13651], p. 57.12 A questo proposito, cfr. Martin Ingram che, riprendendo la citazione di Brian L. Woodcock a proposito della diocesi di Canterbury verso la fine del Quattrocento («great weight of cases of immorality which burdened the courts») afferma come «the same remark could be applied to any church court jurisdiction in England in the late sixteenth and early seventeenth centuries» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, p. 238). 234 statistiche: erano prevalentemente le donne a costituire «the focus of sexual guilt and responsability».13 Questo spiega come mai, già sul finire del 1566, un misterioso A. I. esprimesse grande preoccupazione per il dilagare incontrollabile della prostituzione, un male sociale la cui responsabilità era per lui solo femminile, e che affliggeva indiscriminatamente città e paesi, centro e periferie;14 a questo proposito, egli aveva composto una «godly ballad», con la quale invitava alla moderazione quelle sventurate che, schiave del vizio, si prestavano all’aberrante commercio del loro corpo: Refrain of youth thy vain desire. Subdue thy lusts inordinate: suppresse & sparks left if the fire, to quenche them it wil be to late. Thou knowste not what a poiso[n] strong thou lettest breed within thy brest, Whiche if thou keep within thee long, wil cause thee care and much unrest.15 13 Laura Gowing, Domestic Dangers, p. 63. La storica inglese riporta dati molto interessanti a questo proposito, quasi a voler sottolineare un triste primato femminile in termini di apparizioni nei procedimenti giudiziari istituiti per punire le trasgressioni sessuali: «three-quarters of all defamation cases were brought by women, and nearly half were both fought and defended by women. Sexual slander was also predominantly a women’s crime: nearly two-thirds of these cases were brought against women» (p. 61). Martin Ingram ha confermato queste percentuali con un procedimento inverso, riportando cioè come accadesse di rado che le donne si trovassero implicate in crimini come l’eresia, il tradimento, l’omicidio, tutte attività, queste, «that required a high degree of initiative and self-assertion (‘Scolding Women Cucked or Washed. A Crisis in Gender Relations in Early Modern England’, in Jenny Kermode, Garthine Walker (eds), Women, Crime and the Courts in Early Modern England, London, University of North Carolina Press, 1994, p. 49)». D’accordo con questa linea interpretativa si è trovata anche Sandra Clark che, nel sottolineare come «in the early modern period […] women committed fewer crimes in general than did men», ha elencato i numerosi casi in cui le donne finivano più frequentemente davanti ai tribunali. La ricorrenza di crimini legati a questioni di carattere morale è particolarmente significativa: «typically, women who came before the courts did so in relation to property crimes such as grand and petty larceny, crimes of the tongue such as scolding, slander, swearing or blasphemy, sexual misdemeanours such as fornication, adultery, prostitution or bastardbearing, or vagrancy» (Women and Crime in the Street Literature of Early Modern England, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2003, pp. 33-34). 14 Dimitris Savvidis, Male Prostitution and the Homoerotic Sex-Market in Early Modern England, Brighton, University of Sussex Press, 2011, pp. 68-80, ha invece dimostrato come, contrariamente a molti luoghi comuni, quello della prostituzione nell’Inghilterra del ’500 e del ’600 fosse un problema che riguardava anche gli uomini. 15 A. I., A Godly Ballad declaring by the Scriptures the Plagues that haue insued Whordome, London, imprinted at the Long Shop adioining vnto Sainct Mildreds Churche in the Poultrie by Iohn Alde, 1566 [STC (2nd ed.), 14046], vv. 1-8. 235 Due decenni più tardi, la situazione doveva essere ulteriormente degenerata se il puritano Philip Stubbes (c. 1555 – c. 1610), noto fra i contemporanei per la sua intransigenza morale, dedicava al medesimo problema un’intera sezione della sua famosa Anatomie of Abuses (1583): the horryble vice of Whoredome is there [in England] too too much freque[n]ted, to y great dishonor of God, the provoking of his judgements against them, the staine and blemish of their profession, the evill example of al the world, & finally, to their owne damnation for ever, except they repente.16 La stessa apprensione l’avrebbe manifestata nel 1587 anche William Harrison (1534 1593) che, prendendo parte al dibattito sull’illiceità di certi rapporti, nella sua Description of England non soltanto avrebbe denunciato la lascivia dei suoi connazionali, ma avrebbe suggerito per essi, quando ritenuti colpevoli, sanzioni durissime: l’uomo infedele, per esempio, avrebbe dovuto cedere «all his goods to the king» e garantire «his bodie to be at his pleasure», mentre «the adulteresse was to lose hir eies or nose or both».17 Lo scarto di severità qui proposto – variabile a seconda dei sessi – non era ovviamente casuale: da un lato, esso serviva all’autore per riproporre un luogo comune di vecchia data, e cioè che le donne fossero esseri deboli, facilmente inclini al peccato e quindi meritevoli di umiliazioni fisiche estreme, che raggiungevano l’apice con il gravame dell’infamia pubblica;18 dall’altra parte, esso 16 Philip Stubbes, The Anatomie of Abuses. Contayning a Discoverie, or Briefe Summary of such Notable Vices and Imperfections, as now raigne in many Christian Countreyes of the Worlde: but (especiallie) in a verie Famous ILANDE called AILGNA: together with most Fearfull Examples of Gods Judgements, executed upon the Wicked for the same, as well in AILGNA of late, ad in other places, elswhere. Verie Godly to be read of all True Christians every where, but most needefull, to bee regarded in ENGLANDE. Made Dialogue-Wise, by Phillip Stubbes. Seene and allowed, according to Order., London, printed by Richard Jones, 1583 [STC (2nd ed.), 23376.5], p. 112. 17 William Harrison, The Description of England. The Classic Comtemporary Account of Tudor Social Life, edited by George Edelen, Washington, The Folger Shakespeare Library, 1968, pp. 189-190. Quando scrisse questo passaggio sull’adulterio, il cronista aveva sicuramente in mente il già citato ‘Sermon against whoredome and uncleanesse’, nel quale, non a caso, si faveca chiaro riferimento all’abitudine degli egiziani di tagliare il naso alle donne che avevano tradito i loro mariti e a quella degli arabi che «hadd [adulterous women’s] heades strucke from their bodies» (Certaine Sermons appoynted by the Quenes Maiesty, pp. 58-59). 18 A questo proposito, Laura Gowing ha evidenziato come «the focal theme of defamatory speeches was female sexual behaviour; the central character, the whore. Defamers constructed an image of whoredom, associating it with particular kinds of behaviour and appearance, and creating a recognizable vision as a reference point for female honesty» (Domestic Dangers, p. 79). Parte di questa ‘recognizable vision’ furono proprio le punizioni corporali estreme, che con i loro segni rendevano visibile a tutti la colpa di cui si erano macchiate le donne in questione. Sul medesimo argomento, seppure in un periodo antecedente, si veda anche Dinora Corsi, ‘Donne medievali tra fama e infamia: 236 ritornava utile al cronista per sollecitare indirettamente le autorità, ancora tardive nel perseguire con rigore quelle vergognose violazioni del codice etico e incapaci di mettere in atto un’accurata azione preventiva.19 Fu solo sul finire del ’500 che i tribunali ecclesiastici si impegnarono in un’azione comune, focalizzando «their efforts on the visible problems associated with the preservation of marriage and the prevention of pre-marital and extramarital sex».20 In direzione della preservazione del ‘sacro vincolo del matrimonio’, si affiancò nel 1597 anche il governo centrale di Londra che, con la De moderandis indulgentiis pro celebratione matrimonii absque trina bannorum denunciatione, tentava di porre fine alla celebrazione clandestina di sposalizi, ordinando che questi fossero considerati nulli se non celebrati di fronte a un altare e nel pieno rispetto di specifiche procedure. Il proposito di questa misura era di contrastare un’usanza piuttosto diffusa tra i sudditi del regno – soprattutto quelli di bassa estrazione – e cioè di unirsi in coppia accontentandosi di un semplice accordo verbale.21 Il divieto di procedere in questo senso avrebbe dato ai membri delle coppie ritenute ‘regolari’ l’unico riconoscimento ufficiale, e con esso la legittimità – tra le mura domestiche – della soddisfazione del desiderio.22 Così incentivato, «the holy matrimony» avrebbe ridotto il rischio di leges e narrationes’, Storia delle donne, 6/7, 2010/2011 (http://www.fupress.net/index.php/sdd), pp. 107-138. 19 Martin Ingram ha evidenziato che «in theory moralists and legal commentators had always, though with varying degrees of rigour, disapproved of sexual intercourse between intending marriage partners even when the couple had been contracted before witnesses. Yet before the later part of Elizabeth’ reign, church court action against prenuptial fornicators was in practise fitful» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, p. 221). 20 Geoffrey R. Quaife, Wanton Wenches and Illicit Sex in Early Seventeenth Century England, London, Croom Helm, 1979, p. 38. Sullo stesso tema, e sui provvedimenti presi da alcuni tribunali ecclesiastici per regolamentare le trasgressioni sessuali, si veda anche Derrick S. Bailey, The Theology of Sex and Marriage. A Short Guide for Readers and Students, London, published for the Church of England Moral Welfare Council by the Church Information Board, 1953. 21 Cfr. Edward Cardwell (ed.), Synodalia. A Collection of Articles of Religion, Canons, and Proceedings of Convocations in the Province of Canterbury, from the Year 1547 to the Year 1717. With Notes Historical and Explanatory, 2 vols., Oxford, Oxford University Press, 1842, I, pp. 154-156. Sul matrimonio inteso come tappa fondamentale dell’esistenza di un individuo, momento di passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, si veda David Cressy, Birth, Marriage, and Death. Ritual, Religion, and the Life-Cycle in Tudor and Stuart England, Oxford, Oxford University Press, 1997, nello specifico pp. 285-376. 22 Come ha appurato Martin Ingram «the courts made virtually no effort to punish autoerotic activities and sexual irregularities which took place between husband and wife in the marriage-bed. Before the Reformation such matters may have been dealt with by confessors; they had probably never been subject to public discipline, and the post-Reformation church courts did not commit the folly of trying to bring them into their orbit after practice of compulsory auricular confession had been abolished» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, pp. 239-240). Sulle relazioni tra uomo e donna in questo periodo, con particolare attenzione alla sfera sessuale, cfr. anche Laura Gowing, Gender Relations in Early Modern England, Harlow, Pearson Education, 2012, pp. 29-50. 237 incappare in «prenuptial fornication and bridal pregnancy».23 Insomma, al tramonto del XVI secolo, era diventato importante per le autorità stabilire che cosa fosse ammesso nell’attività sessuale, come, quando e specialmente tra chi fosse consentito praticarla senza commettere un atto impuro. Come ha sottolineato Geoffrey R. Quaife, il modello a cui si faceva riferimento era più o meno il seguente, di chiara derivazione biblica: to the most austere Christian moralist sexual activity was licit only if a number of conditions existed. The sexual act must be normal intercourse between a husband and wife for the purpose of preocreation and conducted in the missionary position – the woman on her back and the man lying upon her. It must occur at times that did not conflict with prohibitions related in the first place to the Christian calendar such as the day on which the sacrament was received or during Lent, or in the second place to the woman’s physiological condition, namely menstruation, pregnancy or recent childbirth.24 Nell’Inghilterra di fine secolo, la pratica non prevedeva varianti: ne conseguiva che qualsiasi coito di cui si avesse notizia, e in occasione del quale anche uno soltanto degli elementi sopra elencati fosse stato assente, avrebbe dovuto essere considerato illecito e soggetto a castigo. Appurare, tuttavia, che si praticasse coscienziosamente l’astinenza quando ciò era previsto dalle norme di comportamento del buon cristiano era cosa tutt’altro che semplice, soprattutto nelle aree parecchio isolate, spesso prive di guide spirituali e difficilmente assoggettabili a qualsiasi tipo di accertamento, proprio per la loro lontananza geografica. Non è una mera coincidenza allora che i preposti organi di controllo facessero di frequente affidamento sulla collaborazione degli stessi abitanti del luogo. Questi ultimi, vivendo in loco, potevano osservare dall’interno l’intrecciarsi e il dispiegarsi delle relazioni umane e, infrangendo quelle che Annabel Gregory ha definito le regole del «good neighbourhood», denunciare i propri vicini riportando informazioni sulla loro eventuale licenziosità.25 Di solito, la giustizia entrava in scena solo quando le segnalazioni su una determinata persona erano ripetute e sostenute da più voci («Tis Merrie when Gossips meete», avrebbe 23 Ibid., p. 219. 24 Geoffrey R. Quaife, Wanton Wenches and Illicit Sex in Early Seventeenth Century England, p. 38. 25 Annabel Gregory, ‘Witchcraft, Politics, and «Good Neighbourhood» in Early Seventeenth-Century Rye’, Past and Present, 133, 1991, pp. 31-66. 238 scritto Samuel Rowlands nel 1602 a proposito della forza destabilizzante del pettegolezzo).26 A quel punto, il diretto interessato veniva convocato per rispondere delle maldicenze che circolavano sul suo conto; chi non era in grado di destituire di fondamento le calunnie di cui era vittima poteva andare incontro alle pene più svariate: la gogna nei mercati e nelle piazze del paese e l’imposizione di un lenzuolo bianco sugli indumenti, in segno di penitenza, erano le pene inflitte con maggiore frequenza. Non mancarono però situazioni in cui gli imputati – per lo più donne – venissero brutalmente mutilati (per esempio con il taglio del naso o delle orecchie), pratica che marchiava a vita il malcapitato sia da un punto di vista fisico, sia a livello sociale.27 Questi, ad ogni modo, rappresentavano casi limite perché, come puntualizza Martin Ingram, era necessaria a combination of questionable signs to create a really definite fame sufficient to stir churchwardens into action. The ecclesiastical authorities, for their part, were not interested in accusations based on idle gossip, the unsupported assertions of individuals or weak forms of circumstantial evidence; if such cases go into court at all they were usually summarily dismissed. In fine, the great majority of suspected immorality prosecutions were based not on mere rumor but on carefully considered evidence.28 Una circostanza in cui l’evidenza dell’infrazione sessuale non avrebbe avuto bisogno di alcun tipo di ponderazione da parte delle autorità era quella della scoperta di una gravidanza illegittima: «a great belly not only provided proof positive of sexual 26 Samuel Rowlands, Tis Merrie when Gossips meete, London, Printed by W. W[hite] and are to be sold by George Loftus at the Golden Ball in Popeshead [sic] Alley, 1602 [STC (2nd ed.), 21409]. L’espressione ‘when gossips meet’ è il titolo anche dell’affascinante studio condotto da Bernard Capp, nel quale l’autore ha esplorato «the myriad ways in which women negotiated the constraints embedded in the patriarchal society of early modern England» (When Gossips meet. Women, Family, and Neighborhood in Early Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. V). Sulla potenza del linguaggio come arma di difesa (o attacco), si veda David Cressy, il cui lavoro Dangerous Talk «explores the contested zones where private words had public consequence. Though ‘words were but wind’, as the proverb had it, malicious tongues caused social damage, seditious words challenged political authority, and treasonous speech imperilled the crown. Royal regimes from the house of Plantagenet to the house of Hanover coped variously with ‘crimes of the tongue’ and found ways to monitor talk they deemed dangerous. Their response involved policing and surveillance, judicial intervention, political propaganda, and the crafting of new law» (Dangerous Talk. Scandalous, Seditious, and Treasonable Speech in Pre-Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2012, Preface, s. p.). 27 A questo proposito, cfr. Laura Gowing, Domestic Dangers, pp. 101-105. 28 Martin Ingram, Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, p. 243. 239 immorality but also crystallised a sense of moral outrage».29 Se poi, come suggerisce Mary E. Fissell, «the womb went bad» e la madre partoriva una creatura deforme, il discorso sull’immoralità della genitrice era doppiamente confermato: per le autorità, infatti, le malformazioni dell’infante non potevano che essere state causate dall’occasionalità e dalla sregolatezza in cui era avvenuto il suo concepimento. Ma non soltanto: le anomalie fisiche del neonato erano altresì la manifestazione della collera di Dio che, indignato dalla scelleratezza con cui molte donne conducevano la loro esistenza, ne puniva i comportamenti, rendendo ‘mostruosi’ tutti i loro frutti, in primo luogo i figli.30 5.1 He was begotten of some Common Woman, who had given hir self indifferently to all Comers: i mostri come segno della lussuria femminile Agli inizi di maggio del 1600, la printing house londinese di proprietà di Richard Jones dava alle stampe, su richiesta di un imperscrutabile I. R., un piccolo trattatello destinato ad avere un grande successo di pubblico nella capitale inglese. 31 Il documento, un pamphlet di 18 pagine in 4°, intitolato A most Strange and True 29 Ibid., p. 261. 30 Mary E. Fissell, Vernacular Bodies. The Politics of Reproduction in Early Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2004, p. 54.31 Nulla si sa dell’autore del pamphlet, del quale conosciamo a stento le iniziali del nome: I. R. Julie Crawford attribuisce la paternità del documento al polemista puritano John Rainolds, che nello stesso anno diede alle stampe un trattato in cui si scagliava contro il teatro, Th’Overthrowof Stage-Playes (Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post-Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005, p. 206, nota 25). Si tratta, tuttavia, di una semplice intuizione, alla cui base non c’è nessuna prova certa. Per quanto mi riguarda, invece, non è da escludere la possibilità che l’identità dell’autore del testo coincida con quella dello stampatore Richard Jones, il quale, per questioni di riservatezza e sicurezza, avrebbe invertito le lettere del proprio nome così da essere meno riconoscibile. Veramente poco sappiamo di questo editore (luogo e data di nascita sono ancora oggi oscuri), che tuttavia ebbe un ruolo indiscutibilmente centrale nel mercato librario londinese di fine ’500 e inizio ’600. Entrato a far parte della Stationers’ Company nell’agosto del 1564 con il titolo di ‘brother’, qualifica che di solito spettava agli stranieri (e lui, forse, era gallese), Jones non tardò a crearsi un fiorente giro d’affari nell’editoria della capitale, con un negozio di libri in St. Paul’s Churchyard e una ‘printing house’ situata in Fleet Lane. Il suo spiccato senso per gli affari, tuttavia, non gli impedì, negli anni compresi tra il 1579 e il 1597, di finire per ben tre volte nelle maglie della giustizia con l’accusa di aver pubblicato materiali considerati «disorderly». Questo potrebbe spiegare come mai, nel 1600, trovatosi a scrivere e a dare alle stampe un testo dai contenuti scabrosi come A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God egli avesse optato per l’anonimato. E del resto, che il tema delle nascite mostruose gli fosse caro era cosa nota a tutti, dato che già nel 1566 (si veda oltre, paragrafo 5.2) e nel 1585 (si veda sopra, paragrafo 4.4) egli aveva stampato due fogli volanti sull’argomento. Per maggiori informazioni, cfr. Craig W. Ferguson, ‘The Stationers’ Company Poor Books, 1608–1700’, The Library, 31, 1976, pp. 37-51; Philip H. Jones, ‘Wales and the Stationers’ Company’, in Robin Myers, Michael Harris (eds), The Stationers’ Company and the Book Trade, 1550–1990, Winchester, St Paul’s Bibliographies, 1997, pp. 185–202; Kirk Melnikoff, ‘Jones, Richard (fl. 1564–1613)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/15070, accessed 5 Jul 2014]. 240 Discourse of the Wonderfull Judgement of God, riproponeva con abbondanza di particolari, gli incredibili avvenimenti accaduti l’anno precedente in un minuscolo paesello delle Midlands occidentali (non lontano dal confine meridionale del Galles), dove una fanciulla, a seguito di una relazione amorosa con un partner al quale era legata da vincoli di sangue, aveva dato alla luce «a monstrous, deformed infant». Non stupirà, allora, che la pubblicazione si presentasse al lettore, sin dal frontespizio, come «a notable and most terrible example against Incest and Whoredome».32 Prima di procedere con la ricostruzione dettagliata degli eventi, l’autore confidava, in una concisa «Epistle to the Reader», come avesse esitato di fronte alla possibilità di occuparsi di un argomento che destava in lui grande scandalo, per le inaccettabili trasgressioni che quel tema evocava e per il vuoto normativo in materia di morale sessuale: when this matter was brought unto me, to consider of, that it might be drawne into forme for the Printers presse, I was partly unwilling to meddle with it: for as much as I know, that the sinnes of Incest, Onanisme, Whoredome, Adulterie & Fornication, with other Sodomiticall sinnes of uncleannesse & pollution, do so outragiously raign, and are in these dayes su much used in many places, with over-much bouldnesse and presumption, for lack of sharpe & due punishment for the same: and that such haynous and great crimes & abuses had neede to be throughly handled, & spoken of, by some most worthy man, of farre greater giftes and learning, the[n] my selfe am; the better to pearce the obdurate & stony heartes of great numbers, that are therewith greevously infected; and to dissuade other from falling thereinto.33 Ciononostante, l’autore non mancava di sottolineare come ci fossero state altrettante valide ragioni che lo avevano spinto a considerare la storia in questione un tema meritevole di finire negli ingranaggi della stampa: prima di tutto, le reiterate 32 R. I. [Richard Jones?], A most Straunge and True Discourse, of the Wonderfull Judgement of God. Of a Monstrous, Deformed Infant, begotten by Incestuous Copulation, betweene the Brother’s Sonne, and the Sister’s Daughter, being both Vnmarried Persons. Which Childe was born at Colwall, in the County and Diocesse of Hereford, vpon the Sixt Day of Ianuary last, being the Feast of the Epiphany, commonly called Twelfth day. A Notable and most Terrible Example against Incest and Whoredome, London, printed [by E. Allde] for Richard Jones, 1600 [STC (2nd ed.), 20575]. Rispetto ai documenti più antichi analizzati nel precedente capitolo, che presentavano solo brevi cenni alle circostanze peccaminose per le quali la madre era ritenuta responsabile del difetto di nascita del figlio, con questo pamphlet si inaugura una nuova modalità esegetica del prodigio, caratterizzata da una maggior complessità narrativa riguardo alle persone e alle situazioni che lo hanno causato. Sul documento, si veda il commento di Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 67-72. 33 Anonymous, A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God, sig. A3r. 241 insistenze di alcuni amici intimi, che avevano grande fiducia nelle sue capacità oratorie e che dunque lo incoraggiavano a prendere posizione in merito all’accaduto (formula retorica consueta all’epoca); in secondo luogo, la certezza di poter contare su informazioni attendibili riguardo al reale corso degli eventi; infine, e soprattutto, la volontà e il desiderio di fare qualcosa per il bene del proprio paese: yet being willing to do my countrie good, and to make some use of my poore talent in this behalfe, & being importuned by often entreaties of some my friends, unto whom I could not well denie any resonable request, who assured me that the report thereof was delivered them in writing, by a gentleman of good credite & worship, in the countie of Hereford, and neare to the place wher this hapned: I thought it my part, for the benefit of others, to do what I might herein: &, as I trust, for the good of many, & hurte of none, as breefely & co[n]venie[n]tly as mought be, to containe it in so small a treatise, as this is.34 La lettera al lettore proseguiva poi deplorando l’abitudine alle commutations, in virtù delle quali il delitto sessuale poteva essere risolto con una pena pecuniaria: for which purpose, all magistrates, who have authoritie to punish the same, ought to be carefull, that too many offences of that kind be not redeemed by commutations: least it come to passe that there shoud be much more money payd to buy out sinne, then persons punished for sinne.35 A rafforzamento della polemica, c’era persino un richiamo all’autorità del vescovo protestante Hugh Latimer (1487-1555), che, prima di essere condannato al rogo da Maria I Tudor, in un sermone contro l’eccessiva facilità con cui veniva concessa la remissione dei peccati, aveva proferito: «sin is a good mercha[n]dise, in many Courts and Co[n]sistories».36 Fatte queste premesse, e augurandosi che le sue riflessioni potessero servire «to withdrawe people from the sinnes of Whoredome & unclea[n]nesse», I. R. passava finalmente alla narrazione del suo caso specifico. 34 Ibid., sigg. A3r-v. 35 Ibid., sig. A3v. 36 Ibid. 242 I fatti avevano avuto luogo nel 1598 a Colwall, un piccolo centro di campagna afferente alla diocesi di Hereford, la cui quiete era stata letteralmente sconvolta dal comportamento sconsiderato di una ragazza del luogo. Quest’ultima, figlia di un modesto proprietario terriero, aveva avuto per lungo tempo numerosi spasimanti, i quali, a turno, si erano fatti avanti con «convenient offers of mariages, fit for her estate». 37 Fra i pretendenti ne era uscito alla fine vittorioso colui che aveva perseverato di più nel corteggiamento (ben due anni), una persona che «though hee were none of the bravest nor folliest, yet a man of competent wealth, and of good name and fame in the place where he dwelt».38 Tra i due – a detta dei testimoni – sembrava essere nato un così grande amore che presto furono espletate tutte le pratiche previste dal diritto ecclesiastico per procedere con le nozze: this young man and maiden, in time, loved one another so wel (& their friends of either side, as it should seeme so liked thereof) that they were contracted together, & openly asked three times in the Church (or that banes of matrymony between theem published in the congregation) according to the lawe, in that case provided: and all the people of those parts thought for trueth, that a full match in marriage should shortly after have beene solemnized between them.39 In questo specifico frangente, nessuno, fra i vicini della futura coppia, avrebbe sospettato che l’unione fra i due innamorati non si sarebbe mai concretizzata. Per ragioni, infatti, che l’autore attribuiva all’intervento del diavolo, i sentimenti della «young maiden» mutarono in fretta, e così profondamente che «she fell to mislike with the man, to shunne his honost company, and in the ende wholly to breake off from this match».40 A questo punto, il resoconto della vicenda si interrompeva e riprendeva, dopo una breve digressione (dedicata alla difesa dell’unione matrimoniale), con un cambio di ‘location’. Il lettore si trovava d’improvviso catapultato «at a place called Mathenne in Worcester shire», località in cui la nostra disubbidiente protagonista era 37 Ibid. L’identità della ragazza rimane oscura in tutto il pamphlet per dichiarata scelta dell’autore: «there was a maiden, a yeomans daughter of Hereford shire (whose names for some causes wee conceale)». Tuttavia, Robert Hole, che ha avuto la possibilità di consultare il Colwall Parish Registers and the Call Books, ci informa che il nome della fanciulla in questione era Frances Browne (‘Incest, Consanguinity and a Monstrous Birth in Rural England, January 1600’, Social History, 25, 2, 2000, pp. 183-199). 38 Anonymous, A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God, p. 2. 39 Ibid. 40 Ibid. 243 nel frattempo giunta per lavorare come serva presso l’abitazione di uno zio. Nessuna giustificazione era offerta sul perché di questo improvviso trasferimento, ma non appare insensato supporre che i genitori della ragazza avessero preferito allontanarla momentaneamente da casa, in attesa che lo scompiglio provocato dalla sua condotta fosse scemato. E probabilmente, nessuno dei familiari avrebbe mai immaginato che il loro provvedimento, pensato per risolvere una situazione incresciosa e per il recupero della fanciulla, avrebbe invece posto le basi per la sua definitiva decadenza morale. Alle dipendenze dello zio materno, la giovane donna intrecciò ben presto un affaire con uno, forse due, dei suoi cugini («and it is credibly reported, that two of them lived incontinently with her, being her cosen germanes») e la cosa andò avanti segretamente almeno sino a quando le conseguenze di quel rapporto incestuoso divennero inequivocabili. 41 L’orrore provocato dalla scoperta dell’arrivo di un bambino quale risultato della copulazione «between the brothers sonne and the sisters daughter» fu tale che la comunità di Mathenne dovette rifiutarsi di ospitare il compimento di simile abominio, facendo rispedire immediatamente l’incontenibile fornicatrice da dove era arrivata, la natia Colwall.42 E proprio qui, «upon the sixth day of January last, being the feast of the Epiphany, commonly called Twelth day, 1599», la giovane diede alla luce una creatura con copiose malformazioni su tutto il corpo.43 Il ‘monster’ aveva la testa allungata, il volto schiacciato e rugoso, gli occhi sporgenti e senza palpebre, il naso appiattito e privo di narici, la bocca piccola, le mani prive di pollici e con tutte le altre dita unite (salvo «the finger of the left hand […] which in latine is called digitus annularis»), sesso indefinito, gambe raccolte, piedi storti e ricurvi. Atterrite, e considerando che la creatura sarebbe vissuta per breve tempo, le tre levatrici corsero a chiamare il curato Richard Bannard, che prontamente la battezzò con il nome di «What God will».44 41 Ibid., p. 4 42 Ibid., frontespizio. 43 Ibid. 44 Ibid., pp. 6 e 7. Al curato Richard Barnard dobbiamo non soltanto la scelta del nome del piccolo («Quod Deus vult»), ma anche l’annotazione della sua nascita, quale figlio di Frances Browne, nel registro parrocchiale di Colwall. L’informazione ci consente di stabilire con un buon grado di certezza che ci troviamo di fronte a una storia di nascita mostruosa realmente accaduta. Robert Hole ha tentato di collocare il caso «on the eve of a scientific revolution», ritenendolo un valido esempio di quello che era «the state of English provincial ideas» (‘Incest, Consanguinity and a Monstrous Birth in Rural England, January 1600’, p. 184). Leggendo la nascita mostrusa in termini puramente scientifici come risultato di un incesto, lo studioso ha, inoltre, cercato di istituire un parallelo tra il pamphlet e il nuovo ‘programma di cooperazione filosofica’ promosso da Francis Bacon a favore di «a new interpretation of nature». A questo proposito, egli ha scritto dell’anonimo autore come di un uomo indubbiamente 244 Per I. R. la nascita di questo ‘mostro’ era da interpretare come una palese dimostrazione della collera divina, piombata sulla fanciulla di Colwall per l’indecenza dei suoi costumi: God in just judgement (to shew his displeasure against mockerie with his holy institution of mariage, and his hatred of the sinnes of whoredom, adulterie, fornication, inceste, and all other uncleannesse) made this proud, this scornefull & unconstant wench, the mother of a monster, and not of an orderly birth.45 È come se l’autore avesse voluto suggerire che là dove non arrivava la punizione del potere terreno, perché non riusciva o non voleva, era giunta invece quella divina. E il mostro era divenuto il segno tangibile del disordine materno: Good love I ca[n]not well call it [the one between the two cousins]; partly because hee was hir so neere kinsman: and partly for that she had promised her selfe before, to another man: and especially because their lust was so hot, that soone after the same began to be kindled, it was so set, on fire, and the divell had so blinded the eis of these two, that they lay togither, & shee was gotten with child by him.46 Come si evince da questo passaggio, nel giro di pochi anni si era verificata un’evoluzione molto importante nella lettura delle nascite mostruose: in primo luogo, la colpa non era più collettiva, ma individuale, e l’individuo colpevole era diventato spesso la donna. La vicenda, infatti, era tutta raccontata ponendo al centro la colpa della ragazza, e la nascita del mostro era specificamente messa in relazione con il personale comportamento della giovane, il quale aveva violato la morale della comunità da più punti di vista: non aveva mantenuto la promessa matrimoniale; aveva fornicato con più di un uomo contemporaneamente; aveva commesso un incesto; colto, «but not one well read in the latest international works on the subject». Sul programma di rinnovamento promosso da Bacon si veda, oltre, il capitolo ottavo. 45 Anonymous, A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God, pp. 3-4. È interessante notare come l’autore del pamphlet nel definire la fanciulla la madre di un mostro «and not of an orderly birth» la etichetti contemporaneamente come «disorderly», richiamando un concetto, quello dell’ordine sociale appunto (e non soltanto), sul quale non c’era ancora consenso comune. Su questo tema, cfr. Keith Wrightson, ‘Two Concepts of Orders. Justice, Constables and Jurymen in Seventeenth Century England’, in John Brewer, John Style (eds), An Ungovernable People. The English and their Law in the Seventeenth and Eighteenth Centuries, New Brunswick, Rutgers University Press, 1980, pp. 21-46.46 Ibid., p. 3 [integrazioni e corsivi di chi scrive]. 245 aveva concepito un figlio al di fuori del matrimonio.47 In secondo luogo, l’autore si limitava ormai ad enumerare le malformazioni del bambino, senza istituire più letture simboliche precise e affidando l’interpretazione all’autonoma intelligenza del lettore. Questi non avrebbe mancato di riconoscere, ad esempio, la precisa corrispondenza di alcune deformità della creatura (la mancanza del naso e delle palpebre) con le mutilazioni che in alcuni casi costituivano esattamente la pena delle donne adultere: come si ricorderà, William Harrison, nella già citata Description of England, aveva affermato che «the adulteresse was to lose hir eies or nose or both».48 Si istituiva perciò una precisa consonanza tra l’immaginario sul mostruoso e il contemporaneo immaginario punitivo: così come il crimine commesso dall’adultera doveva essere dichiarato dal suo corpo colpevole, allo stesso modo, e quasi naturalmente, era lecito ipotizzare un’analoga corrispondenza tra il crimine della donna e i precisi connotati della nascita mostruosa.49 Allo stesso modo, il lettore era incoraggiato a leggere simbolicamente la circostanziata allusione al digitus annularis: le due mani del neonato, infatti, non avevano «partitions of fingers», ma «the finger of the left hand only (wich in latin is called digitus annularis, and in english the ring finger) had a naile, and that finger towards the end was separated from the others».50 Questo dito soltanto emergeva dalla compagine carnosa delle mani, questo dito soltanto aveva un’unghia, ed era proprio il dito che usualmente, nel rito del matrimonio, si adornava con l’anello nuziale, come sottolineato dal doppio riferimento al nome, in latino e in inglese: qualunque lettore avrebbe immediatamente 47 Come evidenzia anche Julie Crawford, a proposito delle nascite mostruose ingelsi della fine del XVI secolo, «rather than drawing correspondences between monstrous deformity (such as limblessness) and generic social ills (such as idleness), the stories [of monstrous births] draw correspondences between monstruosity and specific women’s behaviors, particularly as they pertain to controversial post- Reformation debate over the legitimate forms of marriage and reproduction» (Marvelous Protestantism, p. 64). 48 William Harrison, The Description of England, p. 190. 49 Coerentemente con tale immaginario punitivo, e quando non era l’autorità stessa ad intervenire in questa direzione, il corpo femminile poteva manifestare autonomamente, e prodigiosamente, il segno dell’adulterio; è ciò che accadde a Margaret Owen, protagonista della storia raccontata da Anonymous, A Myraculous, and Monstrous, but yet most True and Certayne Discourse of a Woman (now to be seene in London) of the Age of Threescore Yeares, or there abouts, in the Midst of whose Fore-head (by the Wonderfull Worke of God) there groweth out a crooked Horne, of Foure Ynches Long, London, printed by Thomas Orwin, and are to be sold by Edward White, dwelling at the Little North Dore of Paules Church at the Signe of the Gun, 1588 [STC (2nd ed.), 6910.7] (fig. 20): «[S]ome affirme that in her youth shee was not so loyall to her husband as dutie ought, and that divers times there hath beene speeches tending to that purpose between her husband and her, whereupon hee suspecting lying same to be true, that shee was light of behaviour and charging her with it in these tearmes, that she had given him the horne, it is said, that shee not only deneyd it, but wished of God that if shee had given her husband the horne, that shee might have one horne growing out of her forehead» (sig. A2v). 50 Anonymous, A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God, p. 6. 246 connesso questo dettaglio con il matrimonio, mai celebrato, tra la fanciulla colpevole e il suo promesso sposo. A questo punto, terminata la pars destruens, l’anonimo autore passava alla pars construens del suo pamphlet: It resteth now, that we make use of it, and heare what is said in the last part of this booke: which containeth in it a christian discourse against al uncleannesse, and all uncleane persons that will not be reformed; with an exortation to al others that yet are not so defiled in part or in the whole, and to those that have looked that way, and are desirous to repent and amende.51 Il fenomeno di una nascita mostruosa poteva dunque essere utile per il buon cristiano, purché ancora non si fosse completamente smarrito, come tema di meditazione. E a questo era dedicato, nelle pagine successive al racconto dei fatti di Colwall, un vero e proprio programma di educazione puritana, che I. R. distribuiva in sette punti/precetti: 1. Non ignorare il comandamento ‘Non commettere atti impuri’. 2. Non dimenticare l’insegnamento evangelico sulla vita santa e retta. 3. Non contravvenire alle regole del Battesimo, che ci prescrive la vita come soldati di Cristo. 4. Prestare particolare cura agli adolescenti, in cui è la stessa fisiologia a indurre alla lussuria, e a mettere dunque in pericolo la santità delle anime. 5. Essere consapevoli che la lussuria è il peggiore dei peccati. 6. Leggere assiduamente, mattina e sera, le pagine bibliche sulla castità e la purezza di mente e corpo. 7. Porre cura ed attenzione ai segnali che Dio manda per manifestare la sua ira nei confronti dell’umanità: tra questi, la nascita mostruosa è ovviamente uno dei più importanti. Terminata questa raccolta di precetti, il programma si chiudeva con specifici ‘consigli di lettura’, veri e propri bestsellers puritani: The Anatomie of Abuses di Richard Stubbs, The Right Rule of Christian Chastitie di William Hergest, The Doome warning all Men to the Judgemente di Stephen Batman, e The Theater of Gods Iudgment di Jean de Chassanion e Thomas Beard. 52 51 Ibid., p. 7. 52 Philip Stubbes, The Anatomie of Abuses; William Hergest, The Right Rule of Christian Chastitie: Profitable to bee read of all Godly and Vertuous Youthes of both Sexe, bee they Gentlemen or Gentlewomen, or of Inferiour State, whatsoeuer. Collected and written by one Studious to gratifie his Freendes, and profit his Kindred: first (priuately) for the Instruction, Forewarning and Forearming of Certayne Younge Gentlewomen his neare and deare Cosins: and after published by the same, in Hope to profit the Church & Common Wealth, according to his Talent. The Methode wherof is to bee seene immediatly after the Preface to the Reader, London, By [W. How for] Richard Iohnes, and are to bee 247 È chiaro quindi che, concluso da una serie di prescrizioni e da apposita nota bibliografica, il pamphlet nasceva con esplicita finalità educativa e didattica; e altrettanto esplicito era il pubblico a cui esso era destinato. Non sorprenderanno, infatti, i frequenti riferimenti e richiami ad un uditorio di giovani fanciulle, realizzati con un apposito accorgimento editoriale: la formula ‘Note yee young maidens’ appariva tre volte a margine dello specchio tipografico, in corrispondenza dei momenti salienti del discorso, in cui era chiarita ed esemplificata la possibilità della corruzione delle adolescenti. Ben diverso, dunque, dalle ballate di pochi decenni prima, il cui ammonimento era destinato all’intera nazione, o almeno a vaste comunità, il pamphlet circoscriveva il proprio ambito d’azione, e si poneva come dichiarato obiettivo la coercizione della morale sessuale femminile. 53 Questa coercizione avrebbe dovuto dispiegarsi mettendo in atto una speciale forma di immedesimazione emotiva, nel segno dell’angoscia, tra la lettrice e la madre peccatrice stigmatizzata dalla cronaca. Questo meccanismo avrebbe dovuto generare una paura articolata su due distinti livelli: in primo luogo la preoccupazione per la nascita mostruosa in se stessa, con tutto il suo carico di dolore fisico e morale, e il suo solde at his shop ouer against S. Sepulchers Church without Newgate, [1580] [STC (2nd ed.), 13203]; Stephen Batman, The Doome warning all Men to the Judgemente: wherein are contained for the most Parte all the Straunge Prodigies hapned in the Worlde, with Divers Secrete Figures of Revelations tending to Mannes stayed Conversion towardes God: in Maner of a Generall Chronicon, gathered out of Sundrie approved Authors, [London], imprinted by Ralphe Nubery assigned by Henry Bynneman. Cum priuilegio Regali, Anno Domini 1581 [STC (2nd ed.), 1582]; Jean De Chassanion, The Theatre of Gods Judgements. Or a Collection of Histories out of Sacred, Ecclesiasticall and Prophane Authors, concerning the Admirable Iudgements of God vpon the Transgressours of his Commandements. Translated out of French and augmented by more than three hundred examples by Th[omas] Beard, London, printed by Adam Islip, 1597 [STC (2nd ed.), 1659]. E non sarà fuori luogo notare che i primi due testi (quelli di Stubbes e Hergest) erano stati pubblicati da Richard Jones, il medesimo editore del pamphlet che stiamo analizzando, e che forse, come già ipotizzato in precedenza, si cela come autore nelle iniziali invertite I. R. 53 Questo particolare aspetto ha spinto Paige M. Walker a ipotizzare che documenti come questo avessero come destinatario implicito soprattutto le donne. Per quanto moderata dalla consapevolezza della difficoltà di stabilire la reale readership di questi testi, senz’altro vasta e variegata, la studiosa ha espresso la convinzione che il pubblico femminile ne subisse un particolare fascino: «although [they] did not intrinsecally restrict themselves to a single gender, I argue that they affected female readers more than male readers, particularly because they focused on the exclusively female act of partuition» (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, p. 228). Sulla stessa linea interpretativa anche Belinda Jack (The Woman Reader, New Haven, Yale University Press, 2012, p.143) e Joy Wiltenburg, la quale sostiene che la ‘street literature’ «made explicit attempts to appeal to women» e che numerosi «authors clearly anticipated a substantial female audience» (Disorderly Women and Female Power in the Street Literature of Early Modern England and Germany, Charlottesville-London, The University Press of Virginia, 1992, p. 27). In realtà, come è stato più cautamente evidenziato da Sandra Clark, è molto difficile stabilire con esattezza la readership dei documenti che stiamo analizzando. È, infatti, plausibile che, trattandosi spesso di uno strumento di controllo sociale del «weaker sex», tale letteratura – largamente se non esclusivamente prodotta da uomini – fosse destinata almeno altrettanto ad un pubblico maschile (‘The Broadside and the Woman’s Voice’, in Cristina Malcolmson, Mihoko Suzuki (eds), Debating Gender in Early Modern England, 1500-1700, New York, Palgrave, 2002, pp. 104-105). 248 stigma per la colpa che l’aveva generata; ma anche una paura che riguardava l’identità collettiva, l’immagine di sé proiettata sulla società: il timore che anche sul proprio caso sarebbe stato realizzato un documento analogo a quello che si stava leggendo, con la conseguente pubblicità infamante che tale evento avrebbe generato intorno al nome della genitrice degenere. Come evidenzia Paige M. Walker, infatti, i documenti «suggest to the female reader that if she repeats the sinful actions of the named mother, she will be likewise exposed and publicly humiliated via widely dispersed printed material».54 Il pamphlet dedicato alla fanciulla di Hereford, che dichiarava con le sue note a margine l’intento di educare il pubblico femminile, non rimase un caso isolato. Da qui in poi, non mancheranno altri esempi di nascite mostruose la cui lettura avrà come proposito più o meno esplicito il controllo sociale della donna. In particolare, mi occuperò ora di quelli che Julie Crawford ha definito i «fashion monsters», destinati a colpire un particolare aspetto della seduttività femminile: quello legato alla cosmesi e all’abbigliamento.55 5.2 It’s as if Nature would upbraide our Pride in Artificiall Braverie by producing Monsters in the same Attires: i mostri come segno della vanità femminile Come ricorderemo, la critica agli eccessi praticati nell’‘arte del vestire’ era già stata affrontata nel 1562 dall’autore di A Description of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex: in quell’occasione, le pieghe di pelle intorno al collo del fanciullo mostruoso erano state interpretate dall’autore, John D., come segno dell’ira divina per l’uso smodato di abbellimenti esteriori, volti a travestire la miseria dell’animo.56 E se in questa sua rielaborazione del prodigio si leggeva un’accusa indifferenziata a tutta l’alta società inglese, senza alcuna precisa distinzione di genere, 54 Paige M. Walker, ‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, p. 231. 55 Cfr. Julie Crawford dedica un capitolo intero ai «fashion monsters», cioè mostri (animali o umani) che segnalano il disappunto divino per gli eccessi nella cura della propria immagine mondana (Marvelous Protestantism, pp. 27-61). La studiosa segnala che persino il vitello monaco (come si ricorderà, l’animale mostruoso era oggetto del libello di Filippo Melantone e Martin Lutero, ed era strumentalizzato dai protestanti come denuncia della corruzione monastica; si veda sopra paragrafo 3.1) tramutò nel tempo il suo iniziale senso religioso a favore di significazioni più frivole: «In many […] later texts, the monk calf appears, not as a sign of monastic presumption, but as a sign of more secular kinds of fashion excess» (p. 31). 56 Si veda sopra, il paragrafo 4.1. 249 solo un anno più tardi, la celebre Homilie against Excesse of Apparel avrebbe fatto oggetto della medesima invettiva una specifica porzione del corpo sociale: «the womankinde». Pubblicato a Londra nel 1563, il documento, contenuto all’interno del secondo volume di Certaine Sermons appoynted by the Queenes Maiesty, era nato dal bisogno di incoraggiare le autorità a esercitare più efficacemente il loro potere di controllo sui costumi dei fedeli: there hath ben very good provision made agaynste suche abuses by divers good and wholesome lawes, which yf they were practised as they ought to be, of all true subiectes, they myght in some part serve to diminyshe this ragyng and riotous excesse in apparell.57 57 Anonymous, The Seconde Tome of Homilies, of such Matters as were promised and instituted in the former Part of Homylyes, set out by the Aucthoritie of the Queenes Maiestie. And to be read in Euery Paryshe Churche agreeably, [imprinted at London, in Powles Churche yarde by Richarde Iugge, printer to the Queenes Maiestie,] 1563 [STC (2nd ed.), 13666.4], fol. 117r. La Homilie si inseriva all’interno di una lunga tradizione legislativa riguardante l’abbigliamento, che risaliva in Inghilterra agli ultimi secoli del Medio Evo. La prima traccia di Sumptuary Legislation è, infatti, un’ordinanza della City di Londra del 1281, che normava l’abbigliamento di alcune categorie di lavoratori, per le quali i vestiti erano parte della remunerazione a loro dovuta da parte dei datori di lavoro. Ma la più vasta e importante attività legislativa in questo campo è costituita senz’altro dalle Sumptuary Laws emanate, in due momenti successivi, da Edoardo III (1312-1377), e destinate a promuovere e preservare le attività tessili del regno, ma soprattutto a regolare l’abbigliamento sulla base della classe sociale di appartenenza; il primo provvedimento (1336), ad esempio, proibiva l’acquisto di abbigliamento di fabbricazione estera a chi non fosse membro della famiglia reale, e l’uso di pellicce a chi fosse di rango inferiore a quello di cavaliere (11 Edw. III, c. 4-6, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, 12 vols., London, 1810-1828, I, pp. 280-281). Ma la più vasta regolamentazione fu affidata al provvedimento del 1363, che distingueva sette categorie sociali e rendeva i membri di ogni classe facilmente riconoscibili sulla base dei colori e dei tessuti del loro abbigliamento: ‘servants; ‘handicraftsmen and yeomen, ‘gentlemen under the state of knights’; ‘merchants, citizens, burgesses’, ‘knights which have lands’, ‘clerks’, ‘ploughmen and other of mean estate’ (37 Edw. III, c. 8-14, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, I, p. 380-381); l’intervento normativo su questi temi proseguì anche nei secoli successivi, ed ebbe particolare attenzione soprattutto durante il regno di Enrico VIII e, ancora, di Elisabetta I. Per i provvedimenti di Enrico VIII si veda l’Act for the Reformacyon of Excesse of Apparayle, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, III, pp. 430-432; per i provvedimenti di Elisabetta I (4 solo nel 1564), si veda Paul L. Hughes, James F. Larkin (eds), Tudor Royal Proclamations, 3 vols., New Haven, Yale University Press, 1969, II, pp. 187-192, 192-194, 195-201, 202-203; Elisabetta I intervenne ancora nel 1574: cfr. Paul L. Hughes, James F. Larkin (eds), Tudor Royal Proclamations, II, pp. 381-386. Per un quadro bibliografico sulla questione, si vedano Frances E. Baldwin, Sumptuary Legislation and Personal Regulation in England, Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1926; Wendy Childs, ‘The English Export Trade in Cloth in the Fourteenth Century’, in Richard Britnell, John Hatcher (eds), Progress and Problems in Medieval England, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 121-147; Paola Pugliatti, Beggary and Theatre in Early Modern England, Aldershot, Ashgate, 2003, pp. 66-77; Roze Hentschell, ‘A Question of Nation: Foreign Clothes on the English Subject’, in Catherine Richardson (ed.), Clothing Culture, 1350-1650, Burlington, Ashgate, 2004, pp. 49-62. 250 E se, al solito, il richiamo alla sobrietà e alla discrezione nella cura della propria immagine era valido di riflesso per tutti i cittadini del regno, il testo del provvedimento specificava senza troppi giri di parole che le principali destinatarie del suo rimprovero erano le donne: for the proude and hautie stomaches of the daughters of Englande, are so maynteyned with divers disguysed sortes of costlye apparell, that as Tertullian, an auncient father saith, there is lefte no difference in apparell betwene an honest matrone and a common strumpet. […] A fayre woman without good maners and conditions, is lyke a Sowe whiche hath a ryng of gold upon her snoute. But that the more thou garnyshe thy selfe with these outwarde blasynges, the lesse thou carest for the inward garnyshyng of thy mynde, and so doest but defoule thy selfe by suche araye, and not beutifie thy selfe.58 Quest’ingiunzione da parte del potere centrale sulla necessità di ammonire più duramente i costumi femminili avrebbe trovato, come vedremo tra poco, entusiasti sostenitori. Verso la fine di agosto del 1566, le stamperie di John Allde e Richard Jones pubblicavano in collaborazione un broadsheet dal titolo piuttosto singolare: The True Description of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Countie of Surrey.59 Commissionato da un enigmatico H. B., il documento era strutturato 58 Anonymous, The Seconde Tome of Homilies, foll. 116r e 118v. Vale la pena segnalare che il testo della «Homilie» prevedeva ovviamente eccezioni sulla base del rango sociale e quindi, ovviamente, per la sovran, accostata alla biblica regina Ester: «I speake not agaynste convenient apparell, for every state agreable: but agaynst the superfluitie, against the vayne delyght to covet such vanities, to devyse newe fashions to feede thy pryde with, to spende so muche uppon thy carkase, that thou and thy husbande are compelled to rob the poore, to mayntayne thy costlynesse. Heare howe that nobel holye woman, Queen Hester, setteth out these goodly ornamentes (as they be called) when (in respecte of savyng Gods people) she was compelled to put on suche glorious apparell, knowyng that it was a fyt stale to blynde the eyes of carnall fooles. Thus she prayed: Thou knowest, O Lord, the necessitie which I am dryven to, to put on this apparell, and that I abhorre this signe of pryde, and of this glory which I beare on my head, and that I defye it as a fylthye cloth, and that I weare it not when I am alone» (foll. 119v-120r); il riferimento biblico è al libro di Ester (Est, 4:17). 59 H. B., The True Discripcion of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Cou[n]tie of Surrey in the Yeere of Our Lord .M.D.LXVI., London, imprinted by Iohn Allde and Richarde Jones and are to be solde at the Long Shop adjoining vnto S. Mildreds Churche in the Pultrie and at the Little Shop adjoining to the Northwest Doore of Paules Churche, anno domini. MD.LXVI. the .XX. of August, [1566] [STC (2nd ed.), 1033]. La prima trascrizione completa del foglio volante si deve, ancora una volta, al lavoro di Joseph Lilly (ed.), A Collection of Seventy-Nine Black-Letter Ballads and Broadsides, printed in the Reign of Queen Elizabeth, between the Years 1559 and 1597, accompanied with an Introduction and Illustrative Notes, London, Joseph Lilly, 1867, pp. 243-246. 251 come segue: in alto, incastonata sotto il titolo, un’incisione riproduceva le sembianze (anteriori e posteriori) di una bambina dalle forme sane e ben proporzionate, il cui unico tratto ‘fuori norma’ era rappresentato da copiose escrescenze di carne intorno al collo e sulle spalle; al centro, faceva seguito un conciso testo in prosa; in basso, si trovava infine una ballata composta di quindici quartine di versi giambici (tetrametri e trimetri alternati, con schema rimico ABAB), dai toni moralizzanti (fig. 21).60 Come suggeriva l’immagine con cui era accuratamente illustrato, il foglio volante descriveva una strana nascita avvenuta qualche mese prima nella sperduta frazione di «Micheham», situata al centro della contea del Surrey. Qui, il 7 di giugno, la moglie di un agricoltore, una certa Helen Jermin, aveva dato alla luce una bambina perfettamente formata in ogni parte del suo corpo, con la sola eccezione del collo, ricoperto, all’attaccatura tra le spalle e la nuca, da pesanti protuberanze di pelle: […] the face comly & of a cheerful countenance. The Arms and hands, Leggs and feet of right shape, and the Body, w[ith] all other members thereunto appertaini[n]g, wel proporcto[n]ed in due fourme & order, saving y it is as it were wunderfully clothed with suche a fleshy skin as the like at no time hath ben seen.61 Incredulo di fronte a tanta bizzarria e incapace di darne un resoconto verosimile, l’autore si sforzava di trovare dei termini di paragone attraverso i quali i suoi lettori potessero meglio comprendere le caratteristiche della malformazione. E data la Altre riproduzioni integrali del documento si trovano nelle più recenti raccolte di Simon McKeown (ed.), Monstrous Births. An Illustrative Introduction to Teratology in Early Modern England, London, Indelible, 1991, pp. 25-28 e Marie H. Loughlin, Sandra Bell, Patricia Brace (eds), The Broadview Anthology of Sixteenth-Century Poetry and Prose, Peterborough, Broadview Press, 2011, pp. 565-569. Alcune quartine della sola ballata, non commentate, sono riprodotte anche in Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, p. 49. Su John Allde e Richard Jones ho già detto nelle pagine precedenti in corrispondenza di altre pubblicazioni. Qui, sarà opportuno sottolineare ancora una volta che la continua occorrenza di queste due figure in veste di stampatori non fa che confermare il loro interesse per questi temi strettamente puritani (su John Allde e Richard Jones, si vedano, sopra, la nota 47, p. 197 e la nota 31, p. 240). 60 Nulla si sa dell’autore del broadsheet qui analizzato. L’Oxford Dictionary of National Biography segnala l’esistenza di un certo Henry Beaumont (alias Harcourt), conosciuto per l’abitudine a firmare le sue opere proprio con le le iniziali H. B. Data di nascita e di morte (1611-1673) escludono che sia lui l’autore del nostro foglio volante. A questo proposito, cfr. Thompson Cooper, ‘Beaumont, Henry (c.1611–1673)’, revised by Ruth Jordan, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/12238, accessed 14 Jul 2014]. 61 H. B., The True Description of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Countie of Surrey. 252 specificità della deformità, egli trovava valide similitudini nel codice della moda del tempo: For it hath the said fleshy skin behinde like unto a Neckerchef growing from the veins of the Back up unto the neck as it were with many Ruffes set one after another, and beeing as it were something gathered, every Ruf about an inche brode, havi[n]g here growing on the edges of the same, & so w[ith] Ruffes coming over y Shoulders and covering some part of y Armes, proceding up unto the nape of the neck behinde and almoste round about neck, like as many womens Gownes be, not close togither before: but that the throat beeing (with a faire white skin) bare betweene bothe the sides of the ruffes, the said ruffes about the neck being double and as it were thick gathered, muche like unto the Ruffes that many do use to weare about their necks.62 Battezzata col nome di «Christia[n]», la piccola rimase in vita per diverse settimane, consentendo così che le sue peculiarità anatomiche divenissero oggetto di un ‘gossip’ sensazionale in tutta la regione e attirando un gran numero di curiosi da ogni dove.63 Lo spettacolo offerto dalle sue continue esposizioni dovette essere tale che a un certo punto anche Londra la reclamò come sua nuova attrattiva: «this Childe beforsaid (the day of the date underwritten) was to be seene in Glene Alley in Southwark beeing alive and X weeks olde and iiii dayes not unlike to live long».64 All’autore, tuttavia, non interessava speculare su questo particolare aspetto della vicenda, dato che la storia forniva indubbiamente materiali più interessanti da intrecciare insieme per perseguire scopi d’altro livello, come ad esempio la formulazione di una «admonition unto the reader». E se in generale l’espressione «unto the reader» faceva riferimento a un pubblico ampio e variegato, non distinto 62 Ibid. Sui significati sociali dell’abbigliamento e dei costumi, corre l’obbligo di rimandare all’affascinante studio di Roland Barthes, Il senso della moda, in cui l’autore elabora un’approfondita riflessione sul coprirsi e il denudarsi, sull’esibizionismo e la vergogna, sull’identità e i suoi mascheramenti (Il senso della moda. Forme e significati dell'abbigliamento, a cura di Gianfranco Marrone, traduzione italiana di Lidia Lonzi e Renzo Guidieri, Torino, Einaudi, 2006 (Système de la mode, Paris, Éditions du Seuil, 1967). 63 Riguardo alla scelta onomastica, Paige M. Walker offre un’importante chiave di lettura. Secondo la studiosa, infatti, il nome Christia[n] favorisce il riconoscimento, nella bambina, di un’allegoria del Cristianesimo in generale, e della fede femminile in particolare: «it shows via both text and image that, should an English woman transfer her devotion from God to commodities, she would degrade and mutilate her Christian faith» (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, p. 230). Implicito nella scelta del nome, il rapporto tra la vera fede e la sua ‘deformazione’ (causata dal lusso) sarà esplicitato nella ballata. 64 H. B., The True Description of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Countie of Surrey. 253 sulla base del genere, per H. B. la formula era diretta preferibilmente a un pubblico di sole donne. Erano, infatti, queste ultime, per un occhio schiettamente puritano, coloro che più frequentemente peccavano di vanità legata al lusso nella cosmesi e nella moda, e la bambina di «Micheham», con la sua naturale gorgiera di pelle, era lì per denunciare quest’immonda predilezione femminile per le cose mondane piuttosto che per quelle spirituali.65 La ballata iniziava con un riferimento metatestuale all’incisione con la quale essa era adornata, focalizzando immediatamente l’attenzione sulla bambina raffigurata e invitando il lettore a istituire un paragone tra le gradevoli sembianze del suo aspetto e le incredibili sporgenze di pelle che le appesantivano collo, spalle e schiena. 66 E se da molti questa sfortunata coincidenza avrebbe potuto essere interpretata come un crudele scherzo di natura, per l’autore invece essa non era altro che la manifestazione della collera di Dio nei confronti di una società frivola, fondata sull’apparenza e non sulla sostanza: This picture prest in paper white: our natures doth declare, Whose fourme so straunge by natures spite may lerne us to beware. By natures spite, what do I saye: doth nature rule the roste: Nay god it is say wel I may: by whom nature is tost. 65 Dudley Wilson parla della bambina di «Micheham» in termini di uno «specific warning against an exaggerated love of fancy costume and cosmetics» (Signs and Portents, p. 47). Cfr., a questo proposito, anche Laura Gowing, che si sofferma invece sulla «spiritual unity of mother and child», interpretando le nascite mostruose come manifestazioni femminili di «internal sins, particularly pride, envy, and lust» (Common Bodies. Women, Touch and Power in Seventeenth-Century England, New Haven-London, Yale University Press, 2003, pp. 127-128); Alan W. Bates espone più o meno lo stesso concetto di Wilson (Emblematic Monsters. Unnatural Conceptions and Deformed Births in Early Modern Europe, Amsterdam-New York, Rodopi, 2005, p. 52), mentre Julie Crawford evidenzia, infine, come «the flesh-ruffs allow no such easy separation between fashion and flesh» (Marvelous Protestantism, p. 49). 66 Secondo Paige M. Walker, la contrapposizione tra la bellezza del corpo della bambina e la bruttezza delle copiose escrescenze di pelle sul suo collo «demonstrates God’s will that English women refrain from excessive consumption, pride, and vanity and repent with speed for these sins» (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, pp. 229-230). Vale la pena aggiungere che l’autore, nella sua moralizzazione del caso, non si riferisce mai al peccato di vanità della madre, ma a quello di tutte le donne d’Inghilterra. 254 The face ful faire, the members all, in order stand and place: But yet too muche by natures thrall, doth woork a great disgrace. This ruffeling world in ruffes al rolde, doth God detest and hate: As we may lerne the tale wel told, of Children borne of late.67 L’autore proseguiva lamentando la perdita di ogni valore morale e sottolineando come tutto nel mondo fosse diventato ‘mostruoso’ a causa dello sfrenato attaccamento alle cose terrene da parte dell’essere umano, intento ad ornarsi ed agghindarsi. Tale ricchezza e potenza esteriore non riuscivano a celare l’intima deformità dell’animo, una deformità di cui la bambina di «Micheham» era ovviamente uno dei tanti emblemi: Our filthy lives in Piggs are shewd, our pride this Childe doth bere: Our raggs and Ruffes that are so lewd, beholde her fleshe and here. Our Beasts and Cattel plagued are, all monstrouse in their shape: And eke this Childe doth wel declare, the pride we use of late.68 Nelle strofe successive, che preludevano al finale esortativo, il nostro autore attingeva alle sue conoscenze classiche, citando due celebri miti di metamorfosi, quelli di Dafne 67 H. B., The True Description of a Childe with Ruffes borne in the Parish of Micheham in the Countie of Surrey, vv. 1-16. 68 Ibid., vv. 25-32. 255 e Io, contrapponendo quelle che forse non erano altro che antiche fiabe all’innegabile realtà della presente collera divina: The Poet telleth how Daphenes was, transformd into a tree: And Io to a Cow did pass, a straunge thing for to see. But poets tales may passe and go, as trifels and untrueth: When ruffes of fleshe as I do trowe, Shal moue us unto ruthe.69 Se le due ninfe, Dafne e Io, erano poco più che fossili di vecchie storie libresche, Christia[n] era lì, visibile e potentemente inquietante, come colta nel momento della trasformazione delle sue carni in sgargianti suppellettili del superfluo. E se il ragionamento allusivo non fosse stato sufficientemente chiaro, l’oscuro H. B. esplicitava definitivamente il rapporto tra la deformità fisica e la colpa: Deformed are the things we were, deformed is our hart: The Lord is wroth with all this geere, repent for fere of smarte.70 La ballata si chiudeva, al solito, con una zelante esortazione al pentimento, e se è vero che l’ammenda coinvolgeva tutti i lettori, e con essi lo stesso poeta («Pray we the 69 Ibid., vv. 37-44. La ninfa Dafne, inseguita da Apollo che la concupiva, chiese al padre, il dio fluviale Peneo, di salvarla; questi la mutò in lauro, che da allora è pianta sacra ad Apollo e, quindi, alla poesia. La ninfa Io, amata da Zeus, fu da questi mutata in giovenca, per evitare che Era, moglie del re degli dei, si avvedesse del tradimento. I due miti sono raccontati da Ovidio, Metamorfosi, testo latino a fronte, a cura di Piero Bernardini Marzolla, con uno scritto di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1979, I, vv. 452567 (Apollo e Dafne); vv. 568-667; vv. 724-747 (Zeus e Io), pp. 47 e 54. 70 H. B., The True Description of a Childe with Ruffes borne in the Parish of Micheham in the Countie of Surrey, vv. 45-48. 256 Lord our harts to turn»), è vero anche che il peccato di vanità che aveva generato l’ira divina era attribuito solo a una precisa e definita porzione della comunità: And thou O England whose woma[n]kinde, in ruffes do walke to oft: Parswade them stil to bere in minde, this childe with ruffes so soft.71 Erano dunque espressamente le donne, la causa della nascita deforme di Christia[n], la quale non casualmente ne condivideva il genere: «a maid she is indeed» proprio «as they [are] in nature so».72 Istituendo tale rapporto, H. B. anticipava l’atteggiamento apertamente misogino che avrebbe assunto, quasi due decenni più tardi, Philip Stubbes nella sua Anatomie of Abuses. Questi, in un ampio capitolo dedicato alla deprecazione del lusso sartoriale, avrebbe fatto interpretare alle donne il consueto ruolo di ‘nuove Eve’, sempre disposte a ‘nuove cadute’: al posto della mela della conoscenza, gorgiere, trucchi per il viso e altri accessori mostruosi e ‘mostrificanti’, fabbricati dal Diavolo come frutto proibito del bene superfluo, per infinite e reiterate tentazioni.73 È chiaro che Philipp Stubbes muoveva la sua accusa contro le donne dell’alta società, le sole che disponevano di mezzi per soddisfare ogni frivolo capriccio: e se H. B. aveva mantenuto implicita la connotazione sociale del vizio, nel documento che analizzeremo fra poco la nascita mostruosa è direttamente connessa con l’elevato status dei protagonisti della vicenda. Nel 1609, un negozietto di libri situato nei pressi di «the signe of the red Lion upon London Bridge» metteva in vendita, su iniziativa del suo proprietario Simon Stafford, un pamphlet di 10 pagine in 4°, con il titolo di A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders.74 Anonimo, il documento 71 Ibid., vv. 53-56. 72 Ibid., vv. 57-58. 73 Cfr. Philipp Stubbes, Anatomie of Abuses, pp. 64 e sgg. Come chiosa Paige M. Walker, «by purchasing such garments, a woman accepts goods from the Devil and adopts the role of postlapsarian Eve» (‘Sensational and Sensual. Monstrous Birth Broadsides and Female Readeship’, p. 230). 74 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders: as also Gods Iudgement vpon an Vnnaturall Sister of the Poore Womans, Mother of these Obortiue Children, whose House was consumed with Fire from Heauen, and her selfe swallowed into the Earth. All which hapned the 16. of December last. 1608, London, printed by Simon Stafford, for Richard Bunnian, and are to be sold at the Signe of the Red Lion upon London Bridge, 1609 [STC (2nd ed.), 18347.5]. Per un breve commento, si veda Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 56-61. Non si 257 proponeva ai lettori inglesi un ennesimo caso di nascita mostruosa, ma questa volta avvenuto oltre i confini nazionali. La vicenda era anticipata da un’incisione in copertina, che alludeva ai fatti narrati: in alto, il titolo; in basso, come ormai usuale, i tre gemelli deformi, rappresentati – secondo un codice a questo punto standardizzato – frontalmente; al centro, una casa in fiamme e una gentildonna in preda al terrore illustravano aspetti di cornice della storia (fig. 22). Il pamphlet si apriva con una constatazione di ordine generale sulla condizione d’incallita peccaminosità del genere umano e sull’abitudine, da parte di Dio, di inviare segni prima di manifestare la sua ira attraverso gravi castighi. L’autore dispiegava il consueto elenco di calamità (diluvi, carestie, fulmini), concludendolo con le nascite mostruose: è questo l’ultimo segnale che precede il castigo di Dio, ammoniva l’anonimo, eppure anch’esso rimane inascoltato dagli uomini, ancora esitanti ad abbandonare il proprio contegno superbo, esitanti al pentimento. Molti modi ha Dio di inviare segni «both here at home, as well as in forrayne countryes». 75 E, infatti, a un accadimento straniero il nostro autore rivolgeva l’attenzione, per soddisfare il proprio intento censorio e parenetico, che si svolgeva su toni e movenze quasi fiabesche, e insieme sapientemente teatrali, con immancabile morale finale. La vicenda si svolgeva nella città di Namen, nelle Fiandre: qui «a poore labouring man» aveva contratto matrimonio con una donna «of a good birth, and reputed alwayes vertuous in her living». Costei aveva una sorella «exceiding rich», che non poteva essere di valori più distanti dai suoi: «one as fully vicious, as she was vertuous, more proud than she could be humble». Ma la virtù, chiosava l’autore, anche anticipando gli eventi successivi, non necessariamente veniva premiata dalla sorte: «so blind is Fortune in her gifts, that merit doth not guide her, but Chaunce».76 hanno notizie sull’autore del pamphlet, celatosi completamente dietro la scrittura. Altrettanto sconosciuto (o quasi) risulta lo stampatore del documento, Simon Stafford (o Strafford), di cui, di fatto, non c’è traccia nell’Oxford Dictionary of National Biography. Charles H. Timperley riporta un brevissimo trafiletto su questo personaggio, attivo nel quartiere di Addle-Hill, vicino Carter-Lane, e particolarmente prolifico negli anni 1599 e 1603 con un gran numero di pubblicazioni di vario genere, tra cui spiccano quelle di carattere religioso (A Dictionary of Printers and Printing, with the Progress of Literature, Ancient and Modern; Bibliographical Illustrations, etc., etc., London, H. Johnson, 1839, p. 445). 75 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders, sig. A3r. 76 Ibid., sig. A4r. L’anonimo autore risolveva in questo modo l’evidente contraddizione della pena che colpisce l’innocente, riferendo alla «Chaunce» e al suo arbitrio (quindi, in definitiva, all’imperscrutabilità divina) questa altrimenti incomprensibile scelta. 258 La donna rimase incinta, e all’arrivo delle doglie inviò il marito dalla sorella in cerca di aiuto per il parto, «thinking that womanly Charity (if they had not been sisters) would have made her come and visited her in that time of neede and danger».77 Ma in questo caso non vi fu spazio per alcuna solidarietà femminile. Alla richiesta del cognato, la ricca signora rispose con inaudita violenza: How darest thou (base begger) to come to procure me to visit so poore a whore, whose blood and knowledge I disclayme, as being not my mothers right begotten daughter, but a bastard: I have friendes comming to my house, to make marry with me, and I shall leave them, and goe helpe to bring more beggers into the world.78 All’implorazione dell’uomo, che le si rivolgeva chiamandola ‘Sister’, quella che l’autore definisce la «inraged shee-devill» colpì il cognato con un bastone e lo fece cacciare di casa dai suoi servitori, urlando: «It was a fit reward for a begger, that will call a Gentlewoman ‘sister’».79 Al ritorno a casa, l’uomo raccontò i fatti sopravvenuti alla consorte, che, nella rabbia e nel dolore, entrò immediatamente in travaglio, partorendo infine «three monsters». I tre bambini, «ill-proportioned», erano un maschio e due femmine, e l’autore indugiava a lungo nel descriverli. Ed è proprio in queste descrizioni che tornavano elementi di polemica contro il lusso nell’abbigliamento. Infatti, la prima creatura, una bambina, «had such dressing, and attyre on the head, by nature of flesh, as women have made by art of Bonelaces, and such like, with a fleshy Wardingale about the middle of it, as if Nature, having forsaken her old fashions, had now devised new».80 La neonata, proprio come la sua antecedente con i «ruffes», presentava 77 Ibid., sig. A4r. 78 Ibid., sig. A4r-v. 79 Ibid. Sul complesso intreccio dei legami parentali nell’Inghilterra della prima età moderna, cfr. il fondamentale studio di Lawrence Stone, Family, Sex and Marriage in England, 1500-1800, London, Weidenfeld & Nicolson, 1977, pp. 93-146 (Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento, traduzione italiana di Adolfo Ruata, Torino, Einaudi, 1983). Lo studioso sottolinea come le donne fossero molto spesso costrette, proprio per legami di sangue e soprattutto per le rigide strutture patriarcali a cui dovevano sottostare, a prestare il loro aiuto ai familiari più prossimi. La gentildonna del pamphlet, tuttavia, rifiuta il soccorso alla sorella e non prova alcun senso di colpa per averla abbandonata al suo destino, motivando questa scelta asserendo l’illegittimità del legame: «[her] blood and knowledge I disclayme, as being not my mothers right begotten daughter, but a bastard» (sig. A4r). Sugli stessi temi si vedano anche Miranda Chaytor, ‘Household and Kinship. Ryston in the Late 16th and 17th Centuries’, History Workshop Journal, 10, 1980, pp. 25-60 e David Cressy, ‘Kinship and Kin Interaction in Early Modern England’, Past and Present, 113, 1986, pp. 38-69. 80 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders, sigg. A4v-Br. 259 dunque delle malformazioni che potevano richiamare elementi della moda: sulla testa aveva escrescenze carnose in forma di guazze (‘bonelaces’, ovvero le stecche ossee utilizzate per comporre una raggiera intorno al capo), e intorno alla vita altre sporgenze di pelle che richiamavano il sottogonna (‘wardingale’, cioè l’insieme di stecche di legno su cui poggiavano le ampie gonne dell’epoca).81 Ma il prodigio non si esauriva qui, tanto che la bambina, seppure appena nata, pronunciò un’invocazione a Dio denunciando lo stato peccaminoso del mondo: «O thou, Creator, that gavest me this form & life, let me not live here in this world of Pride, of Lust, of Murther, and all wickednesse: returne me suddendly to what I was; for here (I know) is nothing but calamity».82 E ciò detto, spirò. Il secondo ‘mostro’ era di sesso maschile, «with a strange misshapen head, having upon the backe of his right hand, the fashion of a deaths head». A differenza delle due sorelle, dunque, il bambino non presentava malformazioni direttamente collegabili allo sfarzo nella moda, ma possedeva un’escrescenza carnosa – un teschio sulla mano destra – in cui non si fatica a riconoscere un lampante memento mori.83 Tanto più che proprio la morte era al centro del messaggio che anche lui, come la sorella, avrebbe formulato prima di morire, affermando che «Death and Plague should cover the whole world» e che «they were sent to give notice of it to all men».84 81 Per un resoconto delle più importanti tendenze nel campo dell’abbigliamento nell’Inghilterra della prima età moderna, si veda lo studio di Frederick W. Fairholt, Costume in England. A History of Dress from the Earliest Period until the Close of the Eighteenth Century, London, Chapman and Hall, 1860, pp. 370-380. Per un approfondimento più aggiornato, cfr., invece, Cecil Willett Cunnington, Phillis Cunnington, Handbook of English Costume in the Sixteenth Century, Boston, Plays Inc., 1970, pp. 168170, i quali dedicano molto spazio alla descrizione delle acconciature per capelli più in voga fra le signore inglesi del ’500, con dettagliate descrizioni: «the headdress could refer to the fan-shaped ruff (1570-1625) which was worn with a low-necked bodice and rose from the sides and back of the décolletage, spreading out fan-wise behind the head; or the rebato (1580-1635), a shaped collar, wired to stand up round the back of the head from the edge of the low-necked bodice to which it was pinned, similarly to the fan-shaped ruff; or the wired head rail (1590-1620) which formed an arch over the head which might be bent into fanciful shapes, such as a trefoil, the center leaf curving over the head, or might be left merely as a high collar spreading round the back of the head». 82 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders, sig. Br. 83 Suggestiva l’ipotesi di un richiamo figurativo ad uno dei più grandiosi memento mori della letteratura inglese, la scena dell’Amleto di Shakespeare, in cui il protagonista parla con il teschio di Yorick (William Shakespeare, Hamlet. The Texts of 1603 and 1623, edited by Ann Thompson and Neil Taylor, London, The Arden Shakespeare, 2006, V, i, vv. 36-125, pp. 156-160). L’Amleto poteva ben essere noto al nostro autore (che, ricordiamo, scrive nel 1609), dato che, sebbene la sua datazione esatta sia incerta, è sicuro che la tragedia fu registrata allo Stationer’s Register il 26 luglio 1602. 84 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders, sig. Br. A questo proposito, Philipp Stubbes, Anatomie of Abuses, p. 38, istituiva un parallelo molto interessante tra la morte e la ‘pratica del vestire’, considerando gli eccessi in quest’ultima un vero e proprio segno della caduta dell’essere umano. Come tale, l’abbigliamento doveva essere un mezzo attraverso il quale fare esercizio di sobrietà, piuttosto che uno strumento attraverso il quale coltivare l’orgoglio personale. Molto interessante, in questo contesto, il ribaltamento metaforico sul «cloth» 260 Il terzo ‘mostro’ era, nuovamente, una bambina, «having about the necke, a Ruffe laced, and Cuffes about the wrests, like the Ruffe, all of flesh, so artificiall in nature, as if Nature in her first work had intreated Arte to help her». Con la terza creatura, dunque, si tornava al lusso sartoriale, dato che la malformazione riproduceva una gorgiera di pizzo intorno al collo, e polsini del medesimo stile. Anche qui – simmetricamente – era presente un messaggio destinato da Dio all’umanità: «God would punish the world suddendly, for our manifold transgressions» e «they three were sent to forewarne us of the Lords comming».85 Dopo tale successione di prodigi, scanditi uno dopo l’altro come piccole scene teatrali, la ‘regia’ narrativa si posava sulla madre, che per il dolore e il terrore «yelded up the ghost, and left a poore disconsolate husband behind her, to feel the mouth of the rumor, with these strange unheard of wonders».86 Il palcoscenico restava dunque vuoto, con il povero sconsolato marito, lasciato solo in mezzo ai bisbigli e ai pettegolezzi. Ma lo spettacolo non era ancora terminato. Il colpo di scena finale era affidato alla punizione divina che piombava sulla malvagia gentildonna; nel momento stesso del parto mostruoso, «she had her house, amidst all her mirth, fired with lightening: and shee flying out of it, to save her life, the willing earth gaped wyde, and swallowed her quick, holding it more fit for her to be in the earth, then on the earth».87 E dopo che la collera divina si era abbattuta su di lei, facendola sprofondare negli abissi della terra, si scagliava su tutte le sue ricchezze: «her wealth and all her substance was quite consumed with that quenchlesse fire, till Gods Judgement was executed, and then it ceast of it selfe, doing no further damage».88 proposto dal teologo protestante Henry Bull, per il quale l’unico vestito che davvero ‘protegge’ e ‘scalda’ il fedele è Cristo stesso: «O Christ, clothe me with thine own self, that I may be so far from making provision for my flesh to fulfil the lusts of it, that I may clean put off all my carnal desires, and crucify the kingdome of flesh in me. Be thou unto me a garment to keep me warm and to defend me from the cold of this world […]. Grant therefore, that as I compass this my body with this garment, so through wouldst clothe me wholly (but specially my soul) with thine own self» (Christian Praiers and Holie Meditations as well for Priuate as Publique Exercise, gathered out of the most Godly Learned in our Time. Whereunto are added the Praiers, commonly called Lidleys Praiers, London, printed by Henrie Middleton, dwelling in Fleetestreate at the signe of the Falcon, [1578?] [STC (2nd ed.), 4030], p. 63). 85 Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders, sig. Br. 86 Ibid., sigg. Br-v. 87 Ibid., sig. Bv. 88 Ibid. Persistenze di questo atteggiamento critico nei confronti dell’eccessivo lusso che caratterizzava il modo di vestire delle aristocratiche inglesi sono riscontrabili ancora almeno sino alla seconda metà del diciassettesimo secolo, come dimostra chiaramente la pubblicazione di Anonymous, Prides Fall; or, a Warning for all English Women. By the Example of a Strange Monster born of late in Germany, 261 Da questa breve disamina appare chiaro che, incarnata dalla donna malvagia, al centro della polemica veniva posta senza mediazioni un’intera classe sociale, messa in scena dal nostro autore con tratti oscuri di avidità, cattiveria, sfrontatezza e, non ultimo, il mancato rispetto del codice familiare.89 Unica prudenza, oltre all’anonimato, che l’autore si concedeva era l’allontanamento geografico del racconto, senza con ciò che un lettore avveduto non cogliesse la portata radicale della sua critica di costume.90 E se i due documenti appena analizzati proiettavano la loro denuncia dei costumi femminili sul vertice della scala sociale, un altro gruppo di testi poneva invece lo sguardo sulle rappresentanti di uno dei suoi gradini più bassi, quello occupato dalle vagabonde. Ed è proprio in direzione dell’universo errante di queste ultime, contrassegnato da privazioni, difficoltà e pericoli, che muoveremo il nostro prossimo passo. 5.3 Homelesse Wayfarynge Women can onlie bring forth but Horribly Disfigured Children: i mostri come segno dell’estraneità femminile al corpo sociale Nel 1572, il Privy Council di Elisabetta I si era fatto promotore di una legge, che disciplinasse con più severità l’irrisolta questione dei mendicanti, il cui numero, in costante aumento, era ormai da quasi mezzo secolo fonte di non poca preoccupazione per le autorità del regno. Il provvedimento partiva dal presupposto che molti poveri versassero in uno stato di totale indigenza non per la mancanza di lavoro, ma per semplice «idleness», e che per la loro sopravvivenza questi incorreggibili ‘fannulloni’ puntassero sullo sfruttamento del prossimo. 91 Costoro, sia per la mancanza di un’attività lavorativa, sia per la tendenza a non avere fissa dimora, sembravano porsi by a Merchants proud Wife in Geneva. The Tune is, All you that love Good Fellows, [London], printed for F. Coles, T. Vere, and J. Wright, 1658 [Wing (CD-ROM, 1996), P3446A] (fig. 23). 89 Come segnala inoltre Julie Crawford, la malvagia gentildonna contravveniva anche specificamente ad un basilare precetto religioso, quello della reciprocità dell’amore cristiano; il Book of Common Prayer’s Catechism recitava infatti: «My duty towards my neighbor is to love him as myself, and to do all men as I would they should do unto me» (Marvelous Protestantism, p. 56). 90 Resta tuttavia oscuro per quale motivo la nascita ‘mostruosa’ colpisca la donna virtuosa e povera, e non quella ricca e malvagia (comunque duramente punita); come ho già rilevato (si veda, sopra, la nota 76, p. 258), l’autore del pamphlet si era avveduto di questa incongruenza narrativa, e l’aveva motivata con l’imperscrutabile arbitrio della Fortuna. 91 Come rilevato sopra (nota 102, p. 218), l’opposizione alla «idleness» era uno specifico tema di propaganda puritana: il lavoro era considerato un dovere ineludibile da parte di ogni essere umano. 262 al di fuori della compagine sociale, ed erano perciò percepiti come una minaccia alla sua integrità. Per queste ragioni, la nuova legge stabiliva che such a vagabond Rogue as shall be duely convicted of his Roguish and vagabond life, by the Oathes of two sufficient witnesses, or by inquest of office, shall be grievously whipped and burnt through the gristle of their Eare with an hot Iron, of the compasse of one inch about, manifesting his Roguish kind of life and his punishment received for the same; which shall presently be executed on him, unlesse some Subsidie man or house-holder of honest condition shall take him into service for one yeares space, and if hee depart from his service within that time without his Masters consent then the sayd penalty to be executed on him.92 Se da una parte, dunque, l’intervento legislativo mirava a rendere fisicamente riconoscibili i girovaghi oziosi e furbi, marchiandone il corpo con un ferro rovente, dall’altra esso puntava a limitarne considerevolmente la circolazione.93 L’enorme sforzo fatto dalle istituzioni per fronteggiare le masse di accattoni che affollavano con sempre maggior frequenza centri e periferie rese, tuttavia, evidente l’inadeguatezza della normativa vigente, tanto che il suo insuccesso spianò la 92 14 Eliz. c. 5, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, 11 vols., London, 1810-1828, IV, pt. 1, p. 592. Altre leggi, sempre in materia di povertà, erano state promulgate prima del 1572. Elisabetta I era già intervenuta in merito al problema dei mendicanti nel 1563 (5 Eliz. c. 4, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, IV, pt. 1, pp. 414-422); prima ancora di lei, nel 1547, era stata la volta di Edoardo VI (1 Edw. VI, c. 3, in ibid., IV, pt. 1, pp. 5-6); e negli anni 1535-36, un provvedimento era stato preso anche da Enrico VIII (27 Hen. VIII c. 25, in ibid., III, pp. 558-562). Poiché la questione relativa alle cosiddette poor laws è molto complessa e va oltre l’ambito del presente lavoro, si rimanda alla ricca bibliografia di riferimento sull’argomento: Charles J. Ribton- Turner, A History of Vagrants and Vagrancy, and Beggars and Begging, London, Chapman and Hall, 1887, un vero classico sul tema; Peter Clark, Paul Slack (eds), Crisis and Order in English Towns 1500-1700, London, Routledge and Kegan Paul, 1972; Alan L. Beier, Masterless Men. The Vagrancy Problem in England 1560-1640, London, Methuen, 1985; Peter Clark, David Souden (eds), Migration and Society in Early Modern England, London, Hutchinson, 1987; Paul Slack, Poverty and Policy in Tudor and Stuart England, London, Longman, 1988; William C. Carroll, Fat King Lean Beggar. The Representations of Poverty in Early Modern England, Ithaca, Cornell University Press, 1996; Paola Pugliatti, Beggary and Theatre in Early Modern England, Burlington, Ashgate, 2003, soprattutto le pp. 35-51; Alan L. Beier, Paul R. Ocobock (eds), Cast out. Vagrancy and Homelessness in Global and Historical Perspective, Athens, Ohio University Press, 2008 e Audrey Eccles, Vagrancy in Law and Practice under the Old Poor Law, Burlington, Ashgate, 2012. 93 Talvolta, in sostituzione del foro nell’orecchio veniva incisa sul petto della vittima una lettera ‘V’ o una ‘R’, corrispondenti alle parole vagrant e rogue. Per queste notizie, e, in generale, per un quadro sull’immaginario punitivo legato alla figura del vagabondo/mendicante, cfr. Arthur F. Kinney (ed.), Rogues, Vagabonds, & Sturdy Beggars. A New Gallery of Tudor and Early Stuart Rogue Literature Exposing the Lives, Times, and Cozening Tricks of the Elizabethan Underworld, illustrations by John Lawrence, Amherst, University of Massachusetts Press, 1990, pp. 46-51. 263 strada, nel 1597, alla promulgazione di un nuovo Act for the Punishment of Rogues, Vagabonds, and Sturdy Beggars, il quale, rincarando la dose, decretava che every person which is by this presente Acte declared to be a Rogue Vagabonde or Sturdy Begger, which shalbe […] taken begging vagrant wandering or mysordering themselves in any part of this Realme […], shall uppon their apprehension by thappoyntment of any Justice of the Peace, Constable Hedborough or Ththingman of the same Countey Hundred Parish or Tything where suche person shalbe taken, the Tythingman or Head-borow being assisted therein with thadvise of the Minister and one other of the Parish, be stripped naked from the middle upwardes and shall be openly whipped untill his or her body be bloudye, and shalbe forthwith sent from Parish to Parish by Officers of every the same, the nexte streighte way to the Parish where he was borne, of the same way be knowen by the Partyes confession or otherwyse; and yf the same be not knowen, then to the Parish where he or she last dwelte before the same Punyshment by the space of one whole yeare, there to put him or her selfe to labour as a true Subject ought to do; or not being knowen where he or she was borne or last dwelte, then to the parish through which he or she last passed without Punishment.94 Rispetto al precedente Statute of the Realm, quest’ultimo esacerbava ulteriormente le pene: se in esso non si faceva più chiaro riferimento alla pratica di marchiare il corpo dei malcapitati con un indelebile segno di riconoscimento (comunque rimasta in vigore), quella della fustigazione nelle piazze e nei mercati era invece ufficialmente dichiarata. Ma c’era anche un altro significativo elemento di novità: l’emendamento specificava, infatti, che, dopo aspra punizione, tutti gli individui «which shalbe […] taken begging vagrant, wandering or mysordering» avrebbero dovuto essere ricondotti obbligatoriamente al loro luogo d’origine o, qualora questo fosse stato sconosciuto, nel posto in cui erano stati visti deambulare per l’ultima volta. Oltre a ridurre la possibilità che si verificassero episodi di disordine pubblico, questa pratica del ‘rimpatrio forzato’ cercava di garantire che ogni regione si facesse carico solo dei bisogni dei propri ‘senzatetto’, rispedendo invece tutti gli altri alle regioni d’origine. Tuttavia, seguire e controllare al di fuori dei grandi centri urbani gli spostamenti di quelle persone che giornalmente peregrinavano tra un confine e l’altro di una contea era un’impresa ardua ed ecco perché, al fine di tutelarsi, soprattutto le 94 39 Eliz. c. 3, in Alexander Luders et al. (eds), Statutes of the Realm, IV, pt. 2, pp. 897-899. 264 comunità rurali accoglievano sempre con una certa diffidenza e preoccupazione i viaggiatori in arrivo visibilmente sprovvisti di mezzi necessari al loro sostentamento. In questi microcosmi, la stragrande maggioranza delle famiglie non disponeva di sufficienti mezzi per affrontare dignitosamente gli stenti a cui li sottoponeva il quotidiano; di conseguenza, il pensiero di dover condividere le già magre risorse con ‘sfaccendati bighelloni’ risultava inaccettabile. Il precetto cristiano della carità imponeva a tutti i fedeli osservanti di soccorrere i più bisognosi per non commettere peccato, ma poiché questo principio non sempre poteva essere rispettato, non era infrequente che gli abitanti del luogo si sgravassero la coscienza da ogni peso, stigmatizzando la condizione di disagio dello sconosciuto a tal punto da farla apparire una punizione divina.95 Così facendo, il problema del senso di colpa per il mancato soccorso era risolto, mentre allo sfortunato straniero non rimaneva che allontanarsi di fretta e furia prima che si spargesse troppo la voce sulla sua indesiderata presenza e si mettessero in moto le macchine della giustizia. E se questi meccanismi di esclusione erano validi in ogni circostanza, con ancora maggior violenza si attivavano quando il ‘begging vagrant’ era una donna. Infatti, oltre a costituire una minaccia per la tenuta degli equilibri nelle relazioni familiari – i capifamiglia potevano essere tentati dalla presenza di queste sconosciute – le vagabonde erano difficilmente collocabili in un ruolo lavorativo adeguato, e se giungevano, come spesso accadeva, in attesa di un bambino illegittimo, la comunità si sarebbe dovuta fare carico di ulteriori responsabilità.96 Come già era accaduto per le trasgressioni sessuali e per gli eccessi nella moda, gli autori di alcuni pamphlet dei primi anni del XVII secolo contribuirono al dibattito sul tema del vagabondaggio femminile, stigmatizzandolo attraverso l’uso delle nascite mostruose. Nell’estate del 1609, ad esempio, gli stampatori londinesi 95 Sul concetto di ‘denied charity’, soprattutto in relazione alle dinamiche che nelle campagne inglesi del ’500 e ’600 portavano ad accuse di stregoneria, si rimanda a due classici sul tema come: Keith Thomas, Religion and the Decline of Magic. Studies in Popular Beliefs in Sixteenth and Seventeenthcentury England, London, Weidenfeld and Nicolson, 1971 (La religione e il declino della magia. Le credenze popolari nell’Inghilterra del Cinquecento e del Seicento, traduzione italiana di Francesco Saba Sardi, Milano, Mondadori, 1985) e Alan Macfarlane, Witchcraft in Tudor and Stuart England. A Regional and Comparative Study, with an introduction by James Sharpe, London, Routledge, 1999. 96 Sul rapporto tra la donna e il mondo del lavoro nell’Inghilterra della prima età moderna, si vedano Alice Clark, The Working Life of Women in the Seventeenth Century, New York, A. M. Kelley, 1968; Margaret George, Women in the First Capitalist Society. Experiences in Seventeenth Century England, Urbana, University of Illinois Press, 1988 e Merry E. Wiesner, Women and Gender in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, specialmente il capitolo 3 (Le donne nell’Europa moderna 1500-1750, introduzione di Angela Groppi, traduzione italiana di Daniela Aragno, Torino, Einaudi, 2003). 265 Thomas Creede e William Barley mettevano in circolazione un libello di 16 pagine in 4°, intitolato Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child.97 Pubblicato anonimo, il documento ricostruiva con ricchezza di dettagli le vicissitudini di una ragazza che, vagabonda per le terre del Kent, era stata costretta a sostare in un piccolo borgo per dare alla luce il suo bambino. Quest’ultimo, nato morto e con le sembianze di una blemmia di stampo classico, aveva messo in subbuglio l’intera comunità a causa delle terribili malformazioni fisiche da cui era affetto: acefalo, presentava il volto incassato nel petto, le mani e i piedi palmati, dita in eccesso, il corpo pronunciatamene deforme (fig. 23). Destinato inizialmente a essere un’attrattiva locale, la creatura si era ben presto trasformata in un caso d’interesse nazionale, con resoconti sull’accaduto che erano stati velocemente diffusi in tutto il regno: the strange shape and unnatural proportion thereof [of the child], not onely raised much feare, fright, and wonder, to the inhabitants of that Countrey there dwelling, which behelde it, but also the reports (now most trulie) certified, by men of credite and substantiall reputation, may give sufficient cause of terror and amazement to all people, the whole kingdome over.98 Ed era stata proprio l’abbondanza d’informazioni disseminate qua e là dalla stampa a permettere all’autore di raccogliere materiali eterogenei sui quali intessere la propria versione dei fatti. Egli rivendicava il proprio lavoro come la più accreditata ricostruzione della vicenda, redatta sulla base delle dichiarazioni rilasciate da persone di sicuro credito e approvata, dopo attenta valutazione, dalla censura («and beeing 97 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, borne in Olde Sandwitch, upon the 10 of Julie last, the like (for Strangers) hath never beene seene, London, printed by T. C[reede] for W. Barley, and are to be sold at his Shop in Gratious-streete, 1609 [STC (2nd ed.), 14934]. Il pamphlet è discusso da Julie Crawford, che ne assegna la paternità a William Barley (Marvelous Protestantism, pp. 78-84). In realtà, però, nessun elemento interno al documento consente un’attribuzione certa. Barley (1565?-1614) fu un importante musicologo a cavallo tra XVI e XVII secolo. Su di lui si vedano John L. Lievsay, ‘William Barley, Elizabethan Printer and Bookseller’, Studies in Bibliography, 8, 1956, pp. 218-225; John A. Lavin, ‘William Barley, Draper and Stationer’, Studies in Bibliography, 22, 1969, pp. 214-223; Gerald D. Johnson, ‘William Barley, «Publisher and Seller of Bookes»’, The Library, 6th series 11, 1, 1989, pp. 10-46. Le iniziali T. C. apposte sul frontespizio del pamphlet sono ricondotte dallo Short Title Catalogue a Thomas Creede (fl. 15931617), collaboratore dello stesso Barley, nonché uno dei principali editori del teatro shakespeariano. Per un profilo biobibliografico si veda Gervaise M. Pinciss, ‘Thomas Creede and the Repertory of the Queen’s Men 1583-1592’, Modern Philology, 67, 4, 1970, pp. 321-330. 98 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sig. Aiiiv. 266 rightly considered of by judiciall censurers»).99 Per porre in ulteriore evidenza l’autenticità del proprio lavoro, l’autore riportava in un elenco numerato (quasi fossero le dramatis personae di un’opera teatrale) tutti i nomi dei suoi preziosi testimoni oculari: for the discourse here following, is both strange, true, fearefull, and full of much wonder, and because there shall be (no doubt) made of the veritie thereof, I have here placed downe the names of such personages of creditie, now dwelling in London, that were eye-witnesses thereof and personably saw the same, to their great hearts griefe and sorrow, which I hope, will be sufficient to approve the truth. The names of such Witnesses that saw this Monstrous Child, now dwelling in London. 1. M. Bills, at the signe of the Shippe in Thames Streete. 2. M. Dickson, a Cooper, in Thames streete, neere to Saint Dunstons church. 3. M. Smith, a victualer, in long Southwark. 4. Richard Rawson, Waterman, dwelling in East-Smithfield. 5. Ales Smith, dwelling in Byshops-gate-streete. 6. Amie Ratcliffe, a Shore-ditch, with divers others, whose inward griefes there taken, is yet scarcely worne away, and cannot well (for the strangenesse thereof) be forgotten, and this is the onely truth.100 Convinto, con queste dichiarazioni, di essersi assicurato la fiducia dei lettori, l’autore passava a fare qualche precisazione sull’argomento scelto per la sua trattazione. A questo proposito, disquisendo brevemente sulla straordinaria ricorrenza di portenti e nascite prodigiose nei tempi presenti, egli invitava i «deare Countrymen of England» a non sottovalutare i continui moniti che Dio inviava sulla terra come espressione della sua collera per i peccati dell’umanità: Gods wonders, (deare Countrymen of England) daylie shewed amongst us, as well Celestiall as earthly, may, if any grace be within us, procure a continuall feare and trembling, and abortive and prodigious byrths from time to time, which many of us have bene eye witnesses of, may sufficiently summon us from sinne, and speedily awaken us from our dreames of securitie, wherein wee lye rarelessly sleeping. God wee see is highly offended with us, in that hee thus changeth the secret workings of nature.101 99 Ibid. 100 Ibid., sigg. Aiiiv-Aiiiir. 101 Ibid., sig. Aiiir. 267 E chiarendo che anche il mostro protagonista del suo racconto s’inseriva all’interno di quel programma di segni celesti, con il quale l’Altissimo preannunciava lo scatenarsi della sua ira, l’autore passava finalmente alla narrazione della storia. I fatti avevano avuto luogo a Old Sandwitch, una piccola cittadina costiera del Kent andata totalmente in rovina e oramai abitata solo dalla moglie di un pastore, una certa «Goodwife Wattes […], a very honest poore old woma[n], welbeloved of the country, and of an honest conversation amongst her neighbours, one that takes great paines for her living, and most willing to keepe her credit upright».102 Il 30 luglio del 1609, una giovane si era presentata al cospetto dell’anziana signora, implorando aiuto: evidentemente in attesa di un figlio, e impossibilitata a procedere oltre nelle sue condizioni, la ragazza aveva supplicato assistenza per scongiurare la sua morte e quella della creatura che portava in grembo: upon the thirty of July last past, 1609, being satterday, there came unto this old pore womans house, a certaine wandring yong woman, as it seemed great with child, handsome, and decently apparelled, and being not well able to travell further, by reason of her great belly, even ready to be delivered, desired soccour of this kindharted old woman Mother Watts, and that she would graunt her some helpe and comfort in this her extremitie, and with weeping teares running downe her cheecks, requested for Gods sake, that some Christian-like charitie might be shewed her, & houseroome for that night offered her for womanhood sake, otherwise herselfe, and her babe within her body were like to perish.103 Di fronte a tanta fragilità, la donna non aveva esitato un istante a prestare soccorso alla misteriosa viandante, offrendole conforto, cibo e riparo: this request of hers seemed so reasonable, and the regard of her bigge belly, drew such pittie and womanly nature from this good old woman Mother Watts, that she not onely granted her houseroome and lodging for that night, but also sucker, helpe and furtherance, (if it so should happen) at the painefull hower of her deliverie.104 102 Ibid., sig. Aiiiiv. 103 Ibid., sigg. Aiiiiv-Br. 104 Ibid., sig. Br. 268 La generosità di Mother Watts era una qualità rara: a quei tempi, e in quei luoghi, pochi altri si sarebbero dimostrati tanto solidali verso una passante con quelle specifiche caratteristiche. Per la giustizia, infatti, era severamente vietato accogliere in casa gente sospettabile d’aver commesso dei reati; d’altra parte, la ragazza accolta da Mother Watts poteva essere un «sexual transgressor», e i tribunali ecclesiastici in tal caso incriminavano non soltanto i colpevoli, ma anche i «bawds, harbourers or receivers of such persons».105 Inoltre, la contea del Kent aveva emanato specifiche leggi «for Keeping Potential Paupers out of the Town»: tra queste, un decreto del 1579 aveva stabilito che fossero applicate sanzioni durissime a coloro che «receaved and harbored within their houses diver persons for lucres sake [who] as bothe dailie are and in tyme to come will be verie chargeable and burdenous to this towne and the whole inhabitants thereof».106 Questo significava che era molto più probabile assistere a scene di grande egoismo, in cui lo straniero era prima tenuto sott’occhio e poi denunciato alle autorità competenti, piuttosto che a situazioni in cui qualcuno si faceva carico delle sue necessità.107 Le donne incinte che vagabondavano solitarie alla ricerca di un luogo sicuro dove partorire dovevano stare pertanto molto attente: bussare alla porta sbagliata avrebbe potuto rivelarsi un’azione fatale. Questo, tuttavia, non era stato il caso della protagonista della nostra storia, che aveva trovato un tetto sicuro sotto il quale rifugiarsi e una padrona di casa disposta a fare un’eccezione, incurante delle ripercussioni cui sarebbe potuta andare incontro se le autorità l’avessero scoperta. Certo Mother Watts non avrebbe mai immaginato che la sua generosità l’avrebbe messa di fronte a una delle esperienze più incredibili della sua vita. Durante la notte, l’enigmatica viaggiatrice era entrata in travaglio e i dolori che l’avevano colta erano stati talmente violenti e lancinanti da non prospettare esiti positivi per il parto. Mother Watts, atterrita e incapace di gestire l’emergenza, aveva deciso di mettere momentaneamente da parte la necessità di non rivelare a nessuno la presenza della sua ospite e di chiedere aiuto. Dalla vicina e prosperosa Sandwitch erano giunte così in gran segreto diverse donne, che a turno avevano tentato di aiutare 105 Martin Ingram, Church Courts, Sex and Marriage in England, p. 282. Lo studioso specifica che «there were prosecutions for helping to convey away pregnant women; allowing daughters or servants to escape without punishment; for receiving, harboring, and allowing them to depart unpunished or without naming the father of the child» (p. 286). 106 Elizabeth Melling (ed.), Kentish Sources IV. The Poor, Maidstone, Kent County Council, 1964, p. 49. 107 Cfr. Caroline H. Bentwich, History of Sandwich in Kent, Deal, Thomas F. Pain & Sons, 1971, pp. 37-40. 269 la partoriente. Ma ogni sforzo era stato vano: «not any of them all knew how to shift in such a dangerous case, wherefore amazely they looked one of another».108 Di fronte al triste presentimento che cominciava ad aleggiare nelle loro menti, diventava evidente la necessità di convocare una levatrice di professione.109 Fu perciò mandata a chiamare «one goodwife Hatch […] being a Midwife of a milde nature, and of good experience, who at her comming thither, so cunningly shewed her skill, that with the helping hand of God, this distressed yong woman was speedily delivered».110 Levatrice d’esperienza, Mrs Hatch aveva dunque coordinato le donne convocate in casa di Mother Watts, ed era riuscita a far venire al mondo il bambino: emergeva così un esempio di cooperazione e solidarietà di genere, in cui, per citare le parole di Laura Gowing, la madre, la midwife e le altre donne che assistevano al parto 108 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sig. Br. 109 È proprio nella prima età moderna che il ruolo della levatrice comincia ad essere adeguatamente normato, oltre che remunerato. I doveri e le competenze di questo mestiere paramedico sono riassunti dal giuramento di Eleonor Pead, che conseguì la sua licenza di ‘midwife’ nel 1576: «I, Eleonor Pead, admitted to the office and occupation of a midwife, will faithfully and diligently exercise the said office according to such cunning and knowledge as God hath given me: and that I will be ready to help and aid as well poor as rich women being in labour and travail of child, and will always be ready both to poor and rich, in exercising and executing of my said office. Also, I will not permit or suffer that any woman being in labour or travail shall name any other to be the father of her child, that only he who is the right and true father thereof: and that I will not suffer any other body’s child to be set, brought, or laid before any woman delivered of child in the place of her natural child, so far forth as I can know and understand. Also, I will not use any kind of sorcery or incantation in the time of the travail of any woman: and that I will not destroy the child born of any woman, nor cut, nor pull off the head thereof, or otherwise dismember or hurt the same, or suffer it to be so hurt or dismembered by any manner or ways or means. Also, that in the ministration of the sacrament of baptism in the time of necessity, I will use apt and the accustomed words of the same sacrament, that is to say, this words following, or the like in effect; I christen thee in the name of the Father, the Son, and the Holy Ghost, and none other profane words. And that in such time of necessity in baptizing an infant born, and pouring water upon the head of the same infant, I will use pure and clean water and not any rose or damask water, or water made of any confection or mixture: and that I will certify the curate of the parish church of every such baptizing» (John Strype, Annals of the Reformation and Establishment of Religion, and Other Various Occurences in the Church of England, during Queen Elizabeth’s Happy Reign: together with an Appendix of Original Paper of State, Records and Letters, 2 vols., Oxford, Clarendon Press, 1824, II, pp. 242-243). La bibliografia sull’arte della ‘midwifery’ è piuttosto vasta; si vedano almeno James H. Aveling, English Midwives. Their History and Prospects, London, Bliss, 1872; Thomas R. Forbes, ‘The Regulation of English Midwives in the Sixteenth and Seventeenth Centuries’, Medical History, 8, 1964, pp. 235-244; Irving S. Cutter, Henry R. Viets, A Short History of Midwifery, Philadelphia, Saunders, 1964; Audrey Eccles, ‘The Early Use of English for Midwiferies 1500-1700’, Neuphilologische Mitteilungen, 78, 1977, pp. 377-85; Ead., Obstetrics and Gynaecology in Tudor and Stuart England, London, Croom Helm, 1982; Valerie Fildes (ed.), Women as Mother in Pre-Industrial England, London-New York, Routledge, 1990; Hilary Marland (ed.), The Art of Midwifery. Early Modern Midwives in Europe, London-New York, Routledge, 1993; Doreen Evenden, The Midwives of Seventeenth-Century London, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; Mary E. Fissell, Vernacular Bodies. The Politics of Reproduction in Early Modern England, pp. 135-156; Harold Speert, Obstetrics and Gynecology. A History and Iconography, revised third edition of Iconographia Gyniatrica, New York-London, The Parthenon Publishing, 2004. 110 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sigg. Br-v. 270 costituivano un «female world of ritual and secrecy».111 Ma la soddisfazione per il buon esito del parto aveva lasciato subito il posto ad un epilogo drammatico: il bambino non solo era nato morto, ma anche orrendamente deforme: this unknowne woman yeelded from her wombe such an abbortive and prodigious fruit, that this ages memorie cannot call to mind the like: for it had no head, nor any signe or proportion thereof, there onely appeared as it were two faces, the one visibly to be seene, directly placed in the breast, where it had a nose, and a mouth, and two holes for two eyes, but no eyes, all which seemed ugly, and most horrible to be seene, and much offencive to human nature to be lookt upon, the other face was not perfectly to be seene, but retained a proportion of flesh in a great round lump, like unto a face quite disfigured, and this was all of that which could be discerned. The face, mouth, eyes, nose, and breast, being thus framed together like a deformed peece of flesh resembled no proportion of nature.112 Dopo avere indugiato a lungo sulla descrizione della creatura, senza mancare di rilevare che «the Roome also where this childe lay, smelled so earthly (for it was dead 111 Cfr. Laura Gowing: «Childbirth in early modern England took place in a female world of ritual and secrecy. The private but communal event of a lying, where female companionship and help stood between the new mother and the male world outside, could also […] constitute a time of rare female power» (‘Secret Births and Infanticide in Seventeenth-Century England’, Past & Present, 156, 1997, p. 87). Non casualmente, nel corso del secolo l’arte della Midwifery fu oggetto di trattazione in numerosi manuali, non soltanto per garantire un’adeguata formazione alle levatrici, ma anche per sottoporre a controllo maschile un universo per sua natura strettamente femminile: si vedano Nicholas Culpeper, A Directory for Midwives. Or a Guide for Women in their Conception, Bearing, and Suckling their Children, by Nich[olas] Culpeper, Gent. Student in Physick and Astrology, London, printed by Peter Cole, at the sign of the Printing-Press in Cornhil, near the Royal Exchange, 1651 [Wing (2nd ed., 1994), C7488]; Daniel Sennert, Practical Physick the Fourth Book in Three Parts. Part I. Of the Diseases of the Privities of Women. Part II. Of the Symptoms in the Womb. Part III. Of Womens Breasts. By Daniel Sennertus, Nicholas Culpeper, and Abdiah Cole, Doctors of Physick. Being Part of the Physitians Library, London, printed by Peter Cole, printer and bookseller, at the sign of the printing-press in Cornhill, near the Royal Exchange, 1664 [Wing (2nd ed.) S2541]; Hugh Chamberlayen, The Complete Midwife’s Practice enlarged, in the most Weighty and High Concernments of the Birth of Man. Containing a Perfect Directory, or Rules for Midwives and Nurses. As also a Guide for Women in their Conception, Bearing and Nursing of Children, London, printed for Robert Hartford at the Angel in Cornhill, near the Royal Exchange, 1680 [Wing (2nd ed., 1994), C1817FA]. Rappresenta un caso singolo l’unico manuale scritto da una donna: Jane Sharp, The Midwives Book. Or the whole Art of Midwifry discovered. Directing Childbearing Women how to behave themselves in their Conception, Breeding, Bearing, and Nursing of Children. In Six Books, by Jane Sharp Practitioner in the Art of MIDWIFRY above thirty Yeares, London, printed for Simon Miller, at the Star at the west end of St. Pauls, 1671 [Wing (2nd ed.), S2969B]; per l’edizione critica si veda Jane Sharp, The Midwives Book: or the Whole Art of Midwifery Discovered, edited by Elaine Hobby, Oxford, Oxford University Press, 1999. Per un profilo bio-bibliografico si rimanda a Ornella Moscucci, ‘Sharp, Jane (fl. 1641–1671)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2009 [http://www.oxforddnb.com/view/article/45823, accessed 30 Sep 2014]. 112 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sigg. Bv-Biir. 271 borne) that not anie of them all could hardly endure the sent thereof», l’autore sottolineava ulteriormente la nascita prodigiosa, riproponendo nel corpo del testo l’incisione già apposta sul frontespizio.113 Questo richiamo iconico svolgeva la funzione di intensificare ulteriormente la percezione dell’evento mostruoso, del quale inoltre si suggeriva un’origine demoniaca: «the woman her selfe co[n]fessed, that this monster, a little time before her delivery, moved in her belly, not like unto other naturall children, but as shee had beene possessed with an evill spirit, which put her to extreame torments».114 Quali che fossero le reali cause di una nascita tanto prodigiosa, nel seguito della narrazione l’autore rinunciava a chiarirle, e concentrava la propria attenzione sulle successive azioni della puerpera. Il giorno dopo il parto, infatti, la donna chiedeva alla sua ospite di recarsi nella vicina città di Sandwitch, «to buy such necessarie as was needefull for a weake woman in child-bed to have, giving her money for the same purpose» e, approfittando della sua assenza, «she had got up out of her bed, put on all her cloathes, and was gone from the house, living behinde her eight shillings, lying uppon the Table, […] with an intent that the money should pay for the burial of the same [child]».115 La viandante usciva dunque di scena, non mancando tuttavia di sanare il debito di gratitudine contratto con Mother Watts. E la possibilità di disporre di tanto denaro non era l’unico mistero che l’enigmatica donna si lasciava alle spalle: it could not be knowne by any means what she was, from whence she came, nor whither she was going, nor as yet it is not knowne for a truth to what place she is travelled, but for a certaintie she was proved to be a wanderer, and supposed to be ones daughter in the Ile of Tennet, but of what life and conversation she hath bene, and is of, none can justly say as yet, but surely the birth of her wombe hath bredde much cause of feare.116 113 Ibid., sig. Biiv. 114 Ibid., sig. Biiir. 115 Ibid., sigg. Biiir-v. 116 Ibid., sig. Biiiir. Il fatto che l’autore indicasse come territorio di provenienza della ragazza l’isola di Thanet non sorprende: in quegli anni, infatti, proprio da quel luogo, povero e privo di vivacità economica, originava un notevole flusso migratorio verso la regione del Kent. La maggior parte dei migranti era costituita da donne (cfr. Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 83). Sulla questione 272 Proprio nel momento in cui narrava la fuga della ragazza, l’autore non si lasciava sfuggire l’occasione di evidenziarla con un commento moraleggiante, rivolgendosi direttamente alle donne lettrici e suggerendo loro di riflettere sulla condotta istintiva e irrazionale della protagonista: «let all women in such a case co[n]sider what might be done, and how strongly nature in this newe delivered woman prevailed».117 Come il suo predecessore I. R., nel raccontare le terribili conseguenze di un incesto, si era rivolto alle «young Maidens» per metterle in guardia dai pericoli della caduta morale, allo stesso modo l’estensore di Strange Newes out of Kent chiamava in causa le sue lettrici («all women») e sottilmente le incoraggiava a non far prevalere, in simili circostanze, quelle che per lui erano le naturali inclinazioni della donna («consider […] how strongly nature […] prevailed»).118 Nel frattempo, accortasi della scomparsa della donna, Mother Watts si trovava nella condizione di dover adempiere tutte le incombenze lasciate inevase dalla madre, e convocava il vicinato. A questo punto, e del tutto al di là delle sue previsioni, il cadavere del bambino diventava un oggetto di straordinaria curiosità: «the inhabitants there-about dwelling, so filled with the newes thereof […], came in multitudes to behold it, in such aboundance that it was wonderful».119 L’autore non mancava dunque di segnalare come questa inquieta comunità rimanesse sospesa tra due atteggiamenti, diversi ma complementari: da un lato il terrore per una mostruosità inspiegabile, resa ancora più arcana dall’effimera apparizione e scomparsa della madre; dall’altro una morbosa curiosità, che faceva accorrere moltitudini a contemplare lo spettacolo messo in scena dall’ira divina. Infine, dopo lo sconvolgimento emotivo, il ritorno all’ordine consueto era garantito dall’intervento delle autorità giudiziarie e religiose.120 L’anonimo autore dei flussi migratori nel contesto che stiamo analizzando, si vedano Peter Clark, ‘The Migrant in Kentish Towns, 1580-1640’, in Peter Clark, Paul Slack (eds), Crisis and Order in English Towns 15001700, pp. 117-163 e Peter Clark, ‘Popular Protest and Disturbance in Kent, 1558-1640’, Economic History Review, 2nd ser., 29, 3, 1976, pp. 365-382. 117 Ibid., sig. Biiir. 118 Si veda, sopra, la discussione della formula «Note yee young Maidens» ripetuta per tre volte a lato dello specchio tipografico in Anonymous, A most Strange and True Discourse of the Wonderfull Judgement of God. 119 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sig. Biiir. 120 Nulla viene raccontato riguardo a eventuali ripercussioni giudiziarie tanto nei confronti di Mother Watts, che – come abbiamo sopra accennato – nell’ospitare la vagabonda aveva commesso un reato 273 riportava infatti notizia di un «reverend and learned Minister, of Saint Clements Church in Sandwitch, one M. Simons», il quale aveva officiato il rito del seppellimento «giving many godly admonitions to the people, concerning this most strange birth», e proseguiva dando testimonianza letterale del sermone pronunciato nell’occasione: from such like terrible examples of Gods wrath, sweet Jesus bee mercifull unto us, for such like domb warnings of our owne overthrowes as this is, if wee be not graceles, may lead us out of the pathway of perdition, and guide us aright into the true way of happines.121 Rimanevano solo «some other things concerning this wonder», che l’anonimo autore prontamente riferiva: c’era stata infatti «one of the Sergeants Wives of Sandwitch» che, a causa del cattivo odore emanato dal cadavere del mostro, «received such a conceit, that to this day she is not scarce well, but sickly, and much decayed in health».122 Il riferimento alla moglie del Sergeant ricopriva un duplice ruolo: da un lato, segnalava la particolare sensibilità femminile di fronte al fenomeno mostruoso, dall’altro alludeva ad una precisa autorità giudiziaria locale, che connotava l’evento con tratti di particolare veridicità. Il Sergeant, nella città di Sandwich, era, infatti, un ufficiale preposto alla vigilanza in caso di incendi, furti, o presenza di possibili malfattori, per i quali aveva autorizzazione alla carcerazione notturna; aveva inoltre il compito di tenere informata la cittadinanza riguardo a nuove ordinanze, con appositi bandi nei mercati e in altri luoghi deputati; infine era di sua responsabilità l’organizzazione del mantenimento e della cura degli orfani e dei bambini illegittimi: ed era quest’ultima sua mansione il motivo che aveva richiesto la sua presenza nella casa di Mother Watts.123 punito dalla legge, quanto nei confronti di Mrs. Hatch, che avrebbe dovuto accertare l’identità del padre, e informare le autorità dell’avvenuta nascita. 121 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sig. Biiiv. Il sacerdote è identificabile con un Peter Symon che fu curato di Sandwich nei primi due decenni del secolo, dal 24 Dicembre 1600 alla sua morte nel Dicembre 1616 (cfr. William Boys, Collections for an History of Sandwich in Kent. With Notices of the other Cinque Ports and Members, and of Richborough, Canterbury, printed for the author, 1892, p. 29). 122 Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, sigg. Biiiv-Biiiir. 123 cfr. William Boys, Collections for an History of Sandwich in Kent, pp. 502-515. 274 L’autore a questo punto interrompeva la narrazione, e il pamphlet si chiudeva con formule ormai consuete: l’abbondanza di prodigi nei tempi presenti come segno dell’ira divina, e l’esortazione a una vita retta, al pentimento, alla richiesta di grazia. I suoi ammonimenti non dovettero sortire gli effetti desiderati, se pochi anni più tardi notizie di un nuovo caso di nascita mostruosa, intrecciata col problema del vagabondaggio, giungevano dalla ‘peccaminosa’ contea del Kent. I fatti erano narrati, insieme ad altri eventi prodigiosi, in Gods Handy-Worke in Wonders, un pamphlet di 24 pagine in 4°, ricco e complesso.124 Sul frontespizio del documento, al di sotto del titolo e di un breve sunto degli eventi, il lettore poteva osservare un’incisione in cui si tentava di riprodurre la mostruosa creatura: un ermafrodito acefalo e mutilo (fig. 24).125 Il pamphlet si apriva con una lettera «to the reader», nella quale l’anonimo autore, probabilmente un religioso che abbondava in puntuali citazioni bibliche, segnalava ai suoi contemporanei il moltiplicarsi dei prodigi come manifestazione dell’ira divina e come segni della futura apocalisse. Dopo questa inevitabile premessa di ordine generale, egli si addentrava in una vera e propria discussione di teologia morale, forse la più efficace e puntuale dissertazione sullo stretto rapporto tra la nascita mostruosa e il peccato genitoriale. La vendetta di Dio, affermava l’anonimo, penetrava fin nell’oscurità del ventre materno, raddoppiando l’antica maledizione pronunciata contro Eva; se la prima madre doveva ‘partorire con dolore’, le sue figlie peccatrici avrebbero sofferto ancora di più, mettendo al mondo terribili mostri: to punish the sinnes of some particular parents, God from time to time striketh the womb of the mother, and doubleth his curse, not onely in making her to bring forth 124 Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders. Miraculously shewen vpon Two Women, lately deliuered of two Monsters: with a most Strange and Terrible Earth-Quake, by which, Fields and other Grounds, were quite remoued to other Places: the Prodigious Births, being at a Place called Perre- Farme, within a Quarter of a Mile of Feuersham in Kent, the 25. of Iuly last, being S. Iames his Day. 1615, London, printed [by George Purslowe] for I. W[right], 1615 [STC (2nd ed.), 11926]. Il pamphlet è discusso in Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 72-78. Oltre alla vicenda che ci interessa, il documento si occupava di un’altra nascita mostruosa, avvenuta oltre confine, nella città olandese di Arnhem, e di un terremoto accaduto a Ginevra. Nulla si conosce di preciso sullo stampatore George Purslowe (fl. 1602-1632), il cui nome compare sul frontespizio di numerose pubblicazioni, senza che tuttavia ciò permetta di risalire a notizie certe sulla sua biografia; John Wright (fl. 1602-1658) fu uno dei principali stampatori e librai londinesi: a lui si doveva la pubblicazione, nel 1609, dei Sonnets di Shakespeare, e nel 1616 la seconda edizione del Doctor Faustus di Christopher Marlowe (per queste notizie cfr. Ronald B. McKerrow, A Dictionary of Printers and Booksellers in England, Scotland and Ireland, and of Foreign Printers of English Books 1557-1640, London, printed for the Bibliographical Society, 1910, pp. 197-198). 125 Oltre all’ermafrodito del Kent, l’immagine rappresentava anche il mostro di Arnhem, una bizzarra creatura, probabilmente fittizia, che mescolava elementi umani e zoomorfi. 275 with paine and dolour, but to bee delivered with fearefull and horrid shapes, to astonish the beholders, and affright the sinfull breeders».126 In questa prosa, densa di immagini e ricca di metafore, emergeva la diretta azione vendicatrice di Dio, espressa con modalità diverse sui due genitori peccatori. La pena paterna si concretizzava in una perenne infinita infamia e in un costante richiamo alla colpa: What man (unlesse the hammers of hell continually beat upon his heart to harde it) being a father to a son or daughter so blasted in the nativity, but would at sight of such a horror fall downe and die with sorrow: or curse himselfe that ever his sinnes were so blacke and monstrous, as to move the Almighty in his wrath to make his body, to be the begetter of an ugly monster. Say such a childe should live to call him father, how unpleasing were the sound? The very name of, This is my sonne, should presently strike him cold to the heart, with, This is my shame; or rather, This is my sinne.127 Introducendo il discorso sulla pena materna, il testo proseguiva distinguendo con accuratezza due tipologie di deformità, di ben diverso peso morale. Se da un lato vi erano menomazioni inevitabili, legate a sfortunate circostanze nel parto, e non direttamente connesse con una colpa precedente e intrinseca, dall’altro, «without all question», certe mostruosità non potevano che essere ricondotte ad una diretta azione di Dio sul corpo della donna, punizione implacabile commisurata ad un gravissimo peccato genitoriale: For be assured, that albeit women with childe, may by blowes, or other misfortunes miscarry in their delivery, and bring Infants into the world maymed in limbes, or deformed in countenance, and this cannot chuse but be an unspeakable griefe to the afflicted father and mother; yet when Gods owne fingers shall crush the loynes in the wombe, and set his markes of fearefull divine vengeance, on the brest of an unborne Babe, to turne it into a Monster, it is without all question, a revenge and punishment for some extraordinary sinnes in the Parents.128 126 Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders, sig. A3v. 127 Ibid. 128 Ibid. 276 Nel primo caso, l’esito di un incolpevole errore erano degli «Infants […] maymed»; ma nel secondo caso, la nascita di un «Monster» era sempre legata ad una causa soprannaturale, ad un diretto intervento punitivo del creatore: quelle stesse «Gods fingers» che un giorno avevano dato inizio alla vita, ora calavano sulla terra, gigantesche nella proporzione rispetto ai piccoli, fragili «loynes» della donna. I tempi presenti erano densi di dimostrazioni di questo assunto: «these latter days of ours are too pregnant in the like examples». E con questa formula l’anonimo passava a narrare gli eventi che, come ho già anticipato, si erano svolti «in Kent, in a place not far from Feversham». Qui, «a poore wayfaring woman beeing great with Child, but not neere her time» aveva trovato riparo per la notte in un vecchio granaio. Entrata improvvisamente e anticipatamente in travaglio, la donna aveva partorito, «after many terrible throwes of terror and agonies, more then women commonly suffer in such extremities».129 Si compiva in questo modo quel raddoppiamento del dolore di Eva, esposto dal nostro autore nell’introduzione al suo libello. Il parto aveva generato due gemelli, entrambi nati morti: una bambina, perfettamente formata ma un po’ deperita, e un essere che «was neither a Brother nor a Sister, but Both; for it was an Hermafrodite», dal corpo mutilo e mostruoso, sul quale l’autore indugiava in una lunga e articolata descrizione, che trovava una precisa corrispondenza nell’immagine del frontespizio: hansomely composed from the Navill downewards, but a Monster upwards, and below the knees: for one leg was greater than the other; and either foote had no more then fowre toes. Head it had none, nor necke, but in the brest stucke out a bunched peece of deformed flesh, wich like a flap, beeing to bee lifted up, it carried under neath, the fashion of a mouth with a tongue, and choppes, yet were they neither. Above this deformed mouth, grew forth a tuft of hayre […]. Out of the right side, came a thing like an arme, altogether formlesse and without bones, or the true shape of a hand, having two fingers onely, towards either side one. It had no pappes, but prints and markes like them in their places. The length of this disproportioned creature was 13 inches, and in compass 15 inches and a halfe. This was more fat and fleshly than the former.130 129 Ibid., sig. A4r. 130 Ibid., sigg. A4r-v. 277 Completata la ricca analisi anatomica, l’autore in un breve passo riferiva pochi altri dettagli sui genitori della creatura deforme: «The father of these infortunate payre of Twinnes, named himselfe Henrie Haydnot: the Mothers name was Margareth. And being examined of their dwelling, they reported it had bene in Chelmesford in Essex».131 Il cognome del padre, evidentemente un ‘nome parlante’, connotava i protagonisti della vicenda come una coppia di nullatenenti: Henry e Margareth erano con tutta probabilità migranti che attraversavano il Kent in cerca di occupazione.132 È questa condizione di estrema povertà e incertezza lavorativa che potrebbe giustificare la solitudine della donna in un momento di grande vulnerabilità come il parto: è probabile, infatti, che nelle continue peregrinazioni il marito della donna avesse trovato un momentaneo impiego.133 I due provenivano dall’Essex, come accertato dalle autorità che li sottoposero ad interrogatorio, in ossequio al già citato Act for the Punishment of Rogues, Vagabonds, and Sturdy Beggars (1597): questo provvedimento imponeva di verificare l’identità e la provenienza degli stranieri in viaggio, per ricondurli alle loro terre d’origine ed evitare l’addensarsi di persone indigenti in una specifica area del regno. Il nostro autore, invece, non chiariva quale fosse la terribile colpa degli Haydnot in cui identificare la causa della nascita mostruosa, ma doveva essere posta in relazione con la loro erranza, e con l’intrinseco disordine della loro unione: al centro della narrazione, in ogni caso, erano posti una madre ‘estranea’ al corpo sociale, e il suo parto innaturalmente solitario. C’era un altro aspetto della vicenda che il nostro autore metteva in luce prima di chiudere il suo racconto: i due gemelli erano stati sepolti a Preston, un borgo nei pressi di Feversham, e prima che il loro rito funebre fosse officiato, «to behold [them], thousands of people came from all places, the misery of the sad mother, being 131 Ibid., sig. A4v. 132 Come ho già accennato (si veda, sopra, la nota 116, p. 272), a proposito della vagabonda proveniente dall’Isola di Thanet, nei primi decenni del XVII secolo, il Kent era interessato da un notevole flusso migratorio. 133 Le separazioni momentanee tra marito e moglie non erano infrequenti nei casi di coppie particolarmente povere. Una vicenda che presenta notevoli somiglianze con la nostra è raccolta da Martin Ingram: «Even more pitiful were cases in wich social pressures combined with financial difficulties to force couples apart. Marian Leighton was with child when she got married around 1630, but because the couple were very poor, the parishioners of Great Bedwyn opposed their petition to the County Justices for leave to erect a cottage. The husband had to remain as a household servant, while Marian was forced to wander up and down and for a long time could find shelter only in a barn» (Church Courts, Sex and Marriage in England, pp. 148-149). 278 relieved by much money, which out of Christian compassion, many bestowed upon her».134 Come già era accaduto pochi anni prima con la strana creatura nata in casa di Mother Watts, anche in questo caso la nascita mostruosa era stata accolta con reazioni emotive ambivalenti: l’orrore conviveva con la curiosità, e anzi quest’ultima sembrava avere la meglio. Un nuovo elemento, infatti, si faceva strada con valenze ambigue: le persone accorse a contemplare il mostro erano disposte a donare «much money» alla sconsolata genitrice; e se questa donazione poteva avere – e anzi senz’altro aveva – le caratteristiche dell’elemosina (avveniva infatti «out of Christian compassion»), poteva tuttavia essere letta anche come una sorta di compenso per lo spettacolo offerto: beneficio economico inaspettato, che forse avrebbe consentito ai due coniugi Haydnot di abbandonare, almeno per qualche tempo, la loro condizione di indigenti ‘vagrants’. Ma possiamo solo ipotizzarlo, poiché il nostro autore a questo punto interrompeva la narrazione, tralasciava gli Haydnot e passava a raccontare altri eventi portentosi: terminato il resoconto della nascita prodigiosa, la vita successiva dei due protagonisti non era al centro dei suoi interessi, e nemmeno del programma di moralizzazione di cui si era fatto mediatore. * * * Come spero di avere messo in luce in questo capitolo, durante il regno di Elisabetta I, con la strumentalizzazione delle nascite mostruose la street literature contribuiva al piano di riforma morale messo in atto dai protestanti, ponendo al proprio centro l’educazione e il controllo sociale della donna. Il primo e principale obiettivo di questo contributo era la regolamentazione della sfera sessuale. Accanto a un complesso programma normativo, volto a contenere i casi di adulterio, prostituzione e incesto, la letteratura popolare interveniva agendo non sul piano delle leggi, ma su quello dell’immaginario, ponendo a baluardo dell’integrità morale delle donne la forza irrazionale della paura. D’altra parte, se questo controllo sulla sfera sessuale riguardava l’intero genere femminile, i pamphlet che abbiamo analizzato tentavano di agire anche su comportamenti femminili connotati per classe di appartenenza; un piccolo gruppo di 134 Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders, sig. A4v. 279 documenti esercitava una critica agli eccessi nella cosmesi e nella moda, colpendo in tal modo il grado più alto della gerarchia sociale. Simmetricamente, un’altra porzione di fonti dirigeva il proprio atto d’accusa verso gli elementi più liminali della società: quelle donne ai ‘margini dei margini’, invisibili e, proprio per questo, ancora più minacciose, che sfuggivano ad ogni struttura sociale codificata, e costituivano perciò una delle sfide più impegnative per le autorità. Ma i pamphlet che abbiamo analizzato mettevano in luce anche un nuovo aspetto. Del tutto al di là degli intenti dei loro autori, infatti, i documenti testimoniano un’imprevista evoluzione nelle reazioni emotive di fronte alle nascite mostruose: ai sentimenti di orrore, e ai conseguenti atteggiamenti di contrizione e pentimento, si affiancavano elementi di fascinazione e di attrazione. La folla di curiosi giunta a Glene Alley per contemplare la «childe with Ruffes» e le «multitudes» accorse presso la casa di Mother Watts a vedere con i propri occhi la creatura partorita e abbandonata da un’ineffabile viandante erano testimonianze eloquenti della curiosità popolare sviluppatasi intorno a questo genere di eventi. E le «thousands of people» che, elargendo offerte non comuni, si erano accalcate intorno ai due gemelli Haydnot, dimostravano un fatto del tutto nuovo: la deformità poteva costituire una grande attrattiva, e la gente era disposta a pagare per assistere al ‘teatro’ dei mostri. 280 CAPITOLO SESTO Borne to the Amazement of all those that were Spectators: il ‘teatro’ dei mostri Come listen now both Young and Old, / to this strange Wonder of the Land, / And when the Truth I do unfold, / you will in admiration stand. / September on the sixteenth day, / it being Friday in the Morn, / Near to St. Gileses I hear say, / there was indeed a Monster Born. / I saw it, so did many more, /who did unto that place arrive, / The like was ne'r beheld before, / sure by the oldest Man alive. / To tell the shape I now do mean, / according to my chiefest Skill; / God grant the like may ne'r be seen, / if it be his most gracious will. / I speak no more then what I know, / as here I solemnly protest, / Two Infants did together grow, / from the lower parts up to the breast. / As if one Body and no more, / four leggs and feet there was likewise / Two pair of Hips, now this therefore, / did the Spectators much surprize. Anonymous, The Wonder of this Present Age, 1687. 6 By His Majesty’s Authority. At the Signe of Charing-Cross, at Charing-Cross. There is to be seen a strange and monstrous child, with one Body, and one Belly, and yet otherwise it hath all the Proportions of two Children, that is two Heads, two Noses, two Mouths, four Eyes, four Ears, four Arms, and four Leggs, four Hands, and four Feet, the monster is of the femal kind, it was born at Fillips Town on the Twenty Nineth of April 1699. The Father of this monster is present where it is to be seen Anonymous, Handbill, 1699. * * * La moltitudine che il 25 luglio 1615, nel piccolo borgo di Preston, si era affollata intorno all’inconsueto funerale dei gemelli Haydnot aveva manifestato in maniera evidente la straordinaria reazione generata dalla nascita di un bambino deforme. Se l’espressione usata dall’anonimo autore del pamphlet, «to behold [them], thousands of people came from all places», rappresentava un’iperbolica esagerazione, essa testimoniava comunque una verità incontrovertibile: i sentimenti che accompagnavano le nascite mostruose non erano univoci, e accanto al turbamento (se non all’orrore) che esse generavano si faceva strada una irresistibile curiosità di vedere con i propri occhi il prodigio.1 L’episodio narrato nel 1615 dall’autore di Gods Handy-Worke in Wonders non costituiva naturalmente un caso senza precedenti: il piacere di contemplare la portentosa nascita di un essere umano malformato aveva radici lontane. Il 4 giugno 1562, ad esempio, il commerciante di stoffe Henry Machyn annotava nel suo diario che quel giorno, a Londra, «there was a chyld growth to the cowrte in a boxe, of a strange fegur, with a long string commyng from the navyll, – growth from Chechester».2 Il bambino che il venditore di tessuti registrava tra le cose notabili nelle sue memorie era con ogni probabilità quello nato morto a Chichester solo dieci giorni prima – il 25 maggio per l’esattezza – il cui corpicino, così scarno da sembrare uno 1 Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders. Miraculously shewen vpon Two Women, lately deliuered of two Monsters: with a most Strange and Terrible Earth-Quake, by which, Fields and other Grounds, were quite remoued to other Places: the Prodigious Births, being at a Place called Perre- Farme, within a Quarter of a Mile of Feuersham in Kent, the 25. of Iuly last, being S. Iames his Day. 1615, London, printed [by George Purslowe] for I. W[right], 1615 [STC (2nd ed.), 11926], sig. A4v. 2 Henry Machyn, The Diary of Henry Machyn, Citizen and Merchant-Taylor of London, from A.D. 1550 to A.D. 1563, edited by John Gough Nichols, London, printed for the Camden Society, 1848, p. 284.Henry Machyn (1496/1498 – 1563), noto commerciante di tessuti nella Londra dei Tudor, fu un attento osservatore della sua epoca. Al suo diario, scritto tra il 1550 e il 1563, si devono descrizioni puntuali e affascinanti di uno dei più turbolenti decenni della storia inglese, quello che va dalla morte di Enrico VIII (1547) all’ascesa al trono di Elisabetta I (1558). Le memorie del venditore di tessuti non sono, tuttavia, ricche solo di informazioni relative ai principali eventi del tempo: esse pullulano anche di resoconti che riguardano momenti specifici della vita quotidiana degli inglesi, con una predilezione per quelli legati ai riti funebri. Tale interesse, macabro agli occhi di qualcuno, può essere spiegato proprio con l’attività lavorativa svolta da Machyn, che vendeva stoffe in generale, ma soprattutto imbottiture per bare. Questo potrebbe indurci a supporre che il bambino mostruoso di Chichester fosse stato sottoposto alla sua diretta attenzione per motivi professionali. Non è da escludere, dunque, che la «boxe» in cui la creatura fu esposta a corte fosse stata da lui allestita. Per maggiori informazioni, cfr. Ian Mortimer, ‘Machyn , Henry (1496/1498–1563)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/17531, accessed 15 Ago 2014]. 283 scheletro, aveva provocato grande scalpore in tutto il West Sussex.3 Intere comunità erano accorse da ogni dove per assistere a quello spettacolo raro, e ora anche la corte londinese aveva avuto occasione di contemplarlo. Tre anni più tardi, un altro foglio volante testimoniava che la curiosità nei confronti delle meraviglie di natura non era una caratteristica solo degli uomini di corte, ma anche – e forse soprattutto – della gente comune. Dato alle stampe da Thomas Colwell e firmato dall’attore William Elderton, The True Forme and Shape of a Monstrous Chyld, which was borne in Stony Stratforde si presentava ai lettori nell’usuale forma tripartita.4 In alto, subito dopo il titolo, una piccola incisione riproduceva le sembianze, anteriori e posteriori, di due gemelli siamesi fusi in un unico corpo dalla testa alla vita; un testo in prosa, posto al centro del documento, riassumeva brevemente le circostanze della nascita prodigiosa; mentre in basso, tre stanze di sei versi ciascuna (con schema rimico ABABCC) offrivano una lettura moralizzante degli eventi (fig. 26). Il broadsheet raccontava che il 26 gennaio del 1565, a «Stony Stratforde, in Northampton shire», la moglie di un certo Richard Sotherne aveva dato alla luce due women Chyldren, having two bodies, joyning togither with .iiii. armes, and .iiii. legges perfecte, & from Navell upward one face, two Eyes, one Nose, and one Mouth, and three Eares, one beinge upon the backe syde of the Head, a lytle above the nape of the necke, having heare growing upon the Head. 3 Su questo caso, e sulla sua straordinaria risonanza, si veda sopra il paragrafo 4.3. 4 William Elderton, The True Fourme and Shape of a Monsterous Chyld, whiche was borne in Stony Stratforde, in North Hampton Shire. The Yeare of our Lord, M.CCCCC.LXV., London, imprinted in Fleetstrete beneath the Conduit at the Signe of S. John Evangelist by Thomas Colwell, [1565] [STC (2nd ed.), 7565]. Una trascrizione integrale del testo si trova in Herbert L. Collmann (ed.), Ballads & Broadsides Chiefly of the Elizabethan Period and printed in Black-Letter most of which were formerly in the Heber Collection and are now in the Library at Britwell Court Buckinghamshire, Oxford, Oxford University Press, 1912, p. 113. Nonostante sia stato un prolifico autore di ballads e un celebre attore, molto poco si sa sulla vita di William Elderton. Certa è la sua fama di grande amante di taverne, che emerge dagli attacchi satirici dei suoi colleghi. Dalle ballads a lui attribuite, emerge il profilo di un fervido sostenitore della regina Elisabetta I e della causa protestante. Nonostante i suoi contemporanei avessero sminuito e deriso la sua figura di poeta, è probabile che William Shakespeare abbia fatto uso della sua Gods of love (1562) nella canzone di Benedick in Much Ado about Nothing: «The god of love / that sits above, / and knows me, and knows me, / how pitiful I deserve» (William Shakespeare, Much Ado about Nothing, edited by Claire McEachern, London, The Arden Shakespeare, 2007, V, ii, vv. 2629, p. 301). Sull’autore, si vedano Hyder E. Rollins, ‘William Elderton. Elizabethan Actor and Ballad- Writer’, Modern Philology, 17, 2, 1920, pp. 199-245 e Elizabeth Goldring, ‘Elderton, William (d. in or before 1592)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/8614, accessed 15 Ago 2014]. 284 Spirate dopo solo due ore, le piccole erano diventate nel giro di poco tempo una formidabile attrattiva: «And this Childe was brought up to London, wheare it was seene of dyvers worshipfull men and women of the Cytie. And also of the Countrey».5 Allontanate dal loro contesto rurale, le bambine erano dunque giunte nella capitale, dove erano state offerte alla religiosa contemplazione di uomini e donne, e poi condotte con il medesimo fine di nuovo nel contado. Tanto per il bambino di Chichester, quanto per le gemelline di Stony Stratford non siamo in grado di ricostruire le precise circostanze nelle quali le loro spoglie furono trasferite nella capitale. Tuttavia, William Elderton segnalava che il corpo delle due sorelline aveva viaggiato «to witnes that it is a Trouth and no Fable, But a warninge of God, to move all people to amendment of lyfe».6 È quindi almeno ipotizzabile che a far sorgere l’idea di questi primi, aurorali movimenti di corpi mostruosi fosse un intento catechetico: i genitori di questi sfortunati bambini erano forse indotti a cedere i resti mortali dei figli deformi, per rendere ancora più efficace il messaggio divino di cui erano portatori, non solo presso la comunità in cui si erano manifestati, ma in un territorio molto più vasto. Ben più che da un foglio volante illustrato, l’ammonimento da loro incarnato sarebbe stato amplificato nella loro concreta presenza. Questi casi, come anche il funerale dei gemelli Haydnot da cui siamo partiti, mostrano che, nelle sue prime fasi, l’esposizione del mostruoso umano nacque con ogni probabilità come forma di arricchimento ‘scenico’ della predicazione: come vedremo fra poco, alcuni ministri protestanti si resero conto, infatti, della straordinaria potenza comunicativa di quei corpi malformati, e scelsero di strumentalizzarli non solo nelle pubblicazioni a stampa, ma anche corpore praesenti, all’interno di veri e propri ‘show funerari’. 6.1 They are shewed that they may shew the Special Handy-Worke of God: la ‘sacra rappresentazione’ del mostruoso Il 17 aprile del 1613, la nascita di un «prodigious Monster» funestò la piccola comunità di Adlington, «in the Parish of Standish, in the Countie of Lancaster»: la guida spirituale della comunità era un certo «Master William Leigh, Bachelor of 5 Ibid. 6 Ibid. 285 Divinity».7 Il religioso affidò la sua lettura moralizzante del portentoso evento ad un libretto in 4° di 14 pagine, Strange News of a Prodigious Monster born in the Towneship of Adlington, che presentava sulla copertina l’immagine di due gemelli siamesi uniti posteriormente, dal cranio alla base della schiena (fig. 27).8 Questo breve testo non presentava caratteristiche particolarmente originali per quanto attiene all’uso strumentale del prodigio. Una prima parte era dedicata a considerazioni generali sulla caduta dell’uomo nel peccato, dall’inizio dei tempi, con la perdita dell’innocenza adamitica, al momento attuale, in cui «the Earth brought forth Monsters and ougly shapes, strange and full of terror», poiché «Nature suffering violence by sinne perverted her order».9 Mai, affermava il prelato, si erano visti peccati come quelli odierni, violazioni innominabili che chiamavano vendetta dai cieli: «Never was the world so wicked as it is now […]. Never Countrey hath brought forth more, then this of England».10 Seguiva a questo punto una sorta di ‘antologia mostruosa’, nella quale a un elenco di deformità, corrispondevano interpretazioni in chiave politico/religiosa: un mostro generato dal mare nel 1588 aveva anticipato 7 Nato nel 1550 a Westhoughton, nel Lancashire, William Leigh studiò teologia al Brasenose College di Oxford, dove si laureò nel 1578. Negli anni immediatamente successivi alla formazione universitaria, risiedette per qualche tempo a Preston, dove era stato nominato, tra le altre cose, Justice of the Peace. Nel 1587, su raccomandazione di William Chaderton, vescovo di Chester, si trasferì a Standish, nei pressi di Wigan, e qui diede inizio alla sua intensa attività di predicazione. Il Lancashire era all’epoca, nell’immaginario popolare, una regione di dannazione, i cui abitanti, papisti ed eretici, sfidavano continuamente l’autorità politica e religiosa. Per Leigh solo la diffusione del vangelo avrebbe potuto salvare le genti di quelle terre ribelli e isolate. In quest’azione di estirpazione del peccato, il religioso fu sostenuto da Henry Stanley, quarto conte del Derby, anch’egli zelante protestante, incaricato dal governo centrale di Londra di contrastare la dissidenza nei medesimi luoghi. Nei primi decenni del 1600, con la pubblicazione di sermoni quali Great Britain’s Great Deliverance from the Great Danger of Popish Powder (1608) e Queene Elizabeth, Paraleld in her Princely Vertues (1612), tanto era cresciuta la fama di Leigh che Giacomo I Stuart lo chiamò a Londra come tutore del principe Henry: fu questo uno dei più prestigiosi incarichi che il godly minister ottenne nella sua lunga vita, conclusasi all’età di ottantanove anni a Standish, il 26 novembre 1639. Per un profilo bio-bibliografico su William Leigh, e per un resoconto degli eventi che lo videro protagonista, si vedano George T. O. Bridgeman, The History of the Church and Manor of Wigan, in the County of Lancaster, 4 vols., Manchester, Chetham Society, 1888–1890, soprattutto volume II; Richard C. Richardson, Puritanism in North-West England. A Regional Study of the Diocese of Chester to 1642, Manchester, Manchester University Press, 1972, pp. 23-73; Christopher M. Dent, Protestant Reformers in Elizabethan Oxford, Oxford, Oxford University Press, 1983; Stephen Wright, ‘Leigh, William (1550–1639)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb. com/view/article/16394, accessed 14 Ago 2014]. 8 William Leigh, Strange Newes of a Prodigious Monster, borne in the Towneship of Adlington in the Parish of Standish in the Countie of Lancaster, the 17. Day of Aprill last, 1613. Testified by the Reuerend Diuine Mr. W. Leigh, Bachelor of Diuinitie, and Preacher of Gods Word at Standish aforesaid, [London], printed by I. P[indley] for S. M[an] and are to be sold at his Shop in Pauls Church-yard at the Signe of the Ball, 1613 [STC (2nd ed.), 15428]. Il documento è analizzato ampiamente (sebbene sotto altri aspetti e tralasciando il tema della pubblica esposizione, preso in esame in questo capitolo) in Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post- Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005, pp. 88-101. 9 Ibid., sigg. A2r e A2v. 10 Ibid., sig. A3r. 286 l’arrivo della Invencible Armada, quando la Spagna aveva tentato d’invadere il regno con la sua flotta; una nascita umana deforme avvenuta in Irlanda era stata evidente allegoria della guerra condotta nell’isola, durante il regno di Elisabetta; un prodigio avvenuto ad Anversa aveva preceduto la guerra nei Paesi Bassi; infine un mostro nato in Russia aveva significato lo stato di guerra tra quel paese, la Polonia e la Svezia.11 Solo dopo questa lunga introduzione, «though extravagant, yet not impertinent to our present discourse», Leigh arrivava a parlare del mostro in questione, «a childe borne of a strange and wonderfull shape, with foure Armes, two bellyes, proportionably joyned to one back, one head two faces, like double faced Ianus, the one before, the other behinde, foure eyes, and two noses».12 La lettura di questo mostro ‘domestico’ non si allontanava dalla consueta interpretazione moraleggiante, che vedeva in tal genere di prodigi un segno del peccato genitoriale: nelle parole del reverendo Leigh, «such examples beyond the order of Nature are brought forth to put us in minde of our iniquities, especially the sinnes of Adultery and fornication»; e infatti, a conferma di questa affermazione, «the father and mother whereof were both branded, she with the mark of Basterdy, and from her Parents crimes in Adultery […], he of very lewde carriage and conditions».13 Fin qui nulla di nuovo rispetto ad analoghi documenti precedenti: è nel seguito che Leigh ci dava testimonianza di un atteggiamento del tutto inconsueto. Il mostro, affermava, era nato nella luce del mattino, e non nel buio della notte, per una precisa volontà divina di esporlo chiaramente allo sguardo di tutti: neither was this monster borne in the night time, but towards the day, when the morning Sunne beganne to glad the earth with his brightnesse, to this end, that the blacke mantle of the night should not cover this childe of darkenesse, but that the day might plainely discover to all eyes this wonderfull example of his Justice.14 Il mostro poteva dunque esplicare efficacemente tutta la propria potenzialità persuasiva solo nello sguardo diretto, nella contemplazione ammirata del prodigio da 11 Ibid., sigg. A3v-A4v. Molto opportunamente Julie Crawford segnala che tre di questi mostri si tingevano di chiare sfumature anticattoliche, nel quadro del protestantesimo internazionale: «these monstes portended threats to international Protestantism (the Armada, the Irish rebellion, the wars in the lowlands)» (Marvelous Protestantism, p. 92). 12 Ibid., sig. A4v. 13 Ibid., sigg. A4v-Br. 14 Ibid., sig. Br. 287 parte del maggior numero possibile di persone. Era dunque lo stesso reverendo ad invitare implicitamente i suoi parrocchiani allo ‘spettacolo’ del mostruoso: in quello sguardo spaventato e riverente stava la chiave del pentimento e dell’ammenda. E, infatti, annotava Leigh, Certaine Gentlemen, and many of the common people […], when the newes came of this prodigious birth, left their sports and went to behold it with wonder and amazement. Many people came flocking from all places therunto adjoyning, who beheld it with astonishment. The most impious of all could not but confesse, that it was a notable example of Gods fearefull wrath, which God for his mercy sake turne from us.15 Lo sguardo sul corpo esposto era dunque presentato, nel pamphlet e, presumibilmente, nei sermoni del prelato, come un mezzo per condurre al riconoscimento e alla confessione della propria empietà.16 Non stupisce, allora, che questo mezzo potente di persuasione continuasse ad esprimere molto a lungo la propria funzione esortativa: the report whereof not giving full satisfaction to some people that were incredulous of it, unles they might be made also eye witnesses of such an unheard of accident: the grave was opened againe wherein it had been buryed, and the body layde to the view of a great number of beholders: which were at the least five hundreth, that not onely beare a bare report, but can also give true Testimony of this occurent to their much wonder, and admiration.17 Lo spettacolo del corpo esposto proseguiva dunque ben oltre la morte: il bimbo prodigioso era riesumato, riportato in luce, e offerto ancora alla contemplazione di centinaia di persone. Ogni mezzo era lecito per ottenere il fine della redenzione: zelanti predicatori come William Leigh non esitavano a volgere a favore del proprio 15 Ibid. 16 In questo potere da parte del mostro, di agire direttamente sugli spettatori e di ‘trasformarli’ si può già riconoscere, in nuce, un embrione di energia teatrale. Per una definizione ampia di ‘teatro’ e di ‘performance’, centrale per questa parte della ricerca, si veda, oltre, in questo stesso capitolo, la nota 52, p. 300.17 Ibid., sig. B2r. 288 compito di pastori anche l’orrore e la morbosa curiosità delle anime sottoposte alla loro cura.18 È proprio in questo clima, in cui nella contemplazione del prodigio la repulsione si mescolava con l’attrazione irresistibile, che due anni dopo, nel Kent, «thousands of people» erano accorse al funerale dei gemelli Haydnot. E ancora nel 1617, un altro pamphlet, A Wonder Woorth the Reading, testimoniava, seppure indirettamente, quanto i bimbi deformi fossero ormai divenuti attrazione irrinunciabile; e non solo negli spettacolari funerali e nelle frequenti riesumazioni, ma addirittura nei mercati e nelle fiere.19 Il pamphlet, costituito da 10 pagine in 4°, presentava il medesimo impianto ideologico del precedente, secondo uno schema ormai classico che vedeva i prodigi (oltre alle nascite mostruose, anche le comete, le carestie, le inondazioni) come segni inviati da Dio per manifestare la propria ira nei confronti del peccato umano: Many mor Judgements hath God sent downe amongst you, as so many Heralds to proclayme his iust anger against you for your abominatio[n]s, and yet you lie snorting in your sinnes, quassing downe iniquitie like water, and securely streching your limes upon the bed of luxuritie, as if God were non iealous of his honour, and regarded no your tra[n]sgressions. O England, England, delude nor thy selfe with these goulden dreames? But resolve that God will come, and visit thee […]. O remember, that God 18 Il tono predicatorio di Leigh accentuava, infatti, fino all’ultimo, gli aspetti più cupi e intimidatori del prodigio: i mostri continueranno a funestare la terra fino a che «all these [monsters] worke not in us the effects of our amendment, but that we still wallow in the myre of our wonted wickednesse» (sig. B2v). Tutti gli elementi, l’aria con le sue pestilenze, il mare con i suoi sommovimenti, la terra con la sua sterilità, il fuoco con le sue devastazioni «have conspired to worke our overthrow, or to cause our amendment» (sig. B2v). L’unica soluzione, concludeva il sermone, è l’ammissione della colpa connaturata all’essere uomini, la richiesta della grazia, il pentimento: «The causes of his just quarrell with us, are writ upon every mans forehead, the defiance is in our lips, the maintenance of it in our hearts, the end of it (unless we suddendly repent and amend) wil bee dangerous in our soules» (sig. B3r). 19 Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, or, a True and Faithfull Relation of a Woman, now dwelling in Kentstreet, who, vpon Thrusday, being the 21 of August last, was deliuered of a Prodigious and Monstrous Child in the Presence of Divers Honest, and Religious Women to their Wonderfull Feare and Astonishment, London, printed by William Iones, dwelling in Red-Crosse-Streete, 1617 [STC (2nd ed.), 14935]. 289 is said, to have feete of Lead, and hands of Iron, he is slow to wrath; but when he strikes, he paies home and heavie. Therefore abuse not thou Gods patient.20 Ora – affermava l’anonimo autore – come ennesimo messaggio prima dello scatenarsi definitivo dell’ira, Dio mandava questo «prodigious and Monstrous Childe»: una bambina priva di cranio, con il corpo perfettamente proporzionato dal petto in giù, e cenni di labbra e occhi collocati sul petto, proprio come una blemmia classica (fig. 28).21 La nascita, avvenuta «in Kent-streete […] upon the 21. Of August 1617», a Londra, quindi nel cuore del regno, era letta come una diretta conseguenza della decadenza morale della comunità londinese e, per estensione, di tutta la nazione. Questo richiamo, non individuale ma collettivo, era esplicitato da continue apostrofi («O, London», «O, England»), e inviti ad uno sguardo onnicomprensivo sul popolo inglese: let me induce every honest heart, to apply this [discourse] to his owne conscience, and seriously to weigh and consider the sinnes of the land in a holy consideration, 20 Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, sig. A2v. Nulla sappiamo dell’autore di questo pamphlet. Altrettanto poco conosciamo dello stampatore William Jones, fervido sostenitore della causa puritana, che sino al 1608 stampò clandestinamente i suoi testi. Il 4 luglio 1609, finì nelle maglie della giustizia con l’accusa di aver messo in circolazione ‘scandalous, factious and seditious bookes and pamphlets’. Il processo a cui fu sottoposto non riuscì tuttavia ad incastralo: a partire dal 1610 Jones ritornò in attività con un gran numero di nuove pubblicazioni, molte delle quali furono realizzate al di fuori dei confini nazionali inglesi. Per queste e ulteriori informazioni, cfr. Mark H. Curtis, ‘William Jones. Puritan Printer and Propagandist’ The Library, 19, 1964, pp. 38-66. 21 Curiosamente, nell’illustrazione che campeggia sul frontespizio del pamphlet, l’incisore aveva aggiunto anche un paio di corna, non menzionate dal testo. Si trattava probabilmente di un richiamo simbolico alla ‘luxurie’, la colpa sessuale che l’autore riconosceva come una delle principali cause di questa prodigiosa nascita: egli, infatti, individuava i peccati della città di Londra in «whoredome, luxurie, drunkennesse, sinnes dayly committed, in the presence both of God and man, as though the Magistraite had no law to punish them: nor the Minister courage to reprove them: for feare of offending a great man in his parish» (Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, sig. A4v). La simbologia del corno è, ovviamente, complessa. Nel mondo pagano, esso era spesso associato al potere (Alessandro Magno, ad esempio, era rappresentato nelle monete con corna di Ariete), e anche nella Bibbia assume spesso questo significato (Dt 33:17; 1 Re 22:11; Sal 75:5; 89:18; 92:11 ecc.); in seguito ad una controversa lettura di Es 34:29, il corno rappresenta anche il potere della verità che discende dal Bene (nella versione della King James Bible del 1611, il brano recita «when Moses came downe from mount Sinai [he] wist not that the skin of his face shone»; Girolamo, nella vulgata, aveva tradotto erroneamente «ignorabat quod cornuta esset facies sua»); ma nelle sue versioni apocalittiche e demoniache – che ritengo più probabilmente attive in questo caso – può significare invece il potere della falsità, la degenerazione della verità, la menzogna. Per un approfondimento su questa simbologia, si rimanda a Jean Chevalier, Alain Gheerbrant (a cura di), Dizionario dei simboli, 2 voll., traduzione italiana di Maria G. Margheri Pieroni, Laura Mori e Roberto Vigevani, Milano, Rizzoli, 1988 (Dictionnaire des symboles: mythes, rêves, coutumes, gestes, formes, figures, couleurs, nombres, Paris, Laffont/Jupiter, 1982). 290 then shall he clearely discerne this monstrous production, to be a mercifull message sent from the Almightie, for our further admonition and instruction.22 Coerentemente con questo impianto, il pamphlet si chiudeva con un invito al pentimento rivolto all’intera città: «For these (O London), […] let my admonishment beate upon thy heart, and force thee to fall low upon the knee of submission […], cease to provoke the Maker with obstinate ambition».23 In questa struttura per nulla sorprendente, l’autore sentiva tuttavia l’esigenza di inserire un inciso, nel quale affermava con forza la veridicità del caso che aveva originato la stesura del documento: it may seem impossible. Therefore, lest any should meet my discourse with a scoffe, and surlingly say This is an usuall tricke put upon the world for profit; and that this monstrous Childe birth […] was begotten in some monster hatching brayne, produced for a Bartholomew faire babie, and send at this time […] to be nurced at the common charge of the newes affecting multitude; let them know, that not one syllable shall be added to the making up of an untrueth; but as it is approved to be true, by the attestation of many godly, honest and religious women; so no lesse faithfully & truely will I relate it, to the generall satisfaction of all those that read.24 Questa breve professione di attendibilità testimonia indirettamente di quanto ormai le nascite mostruose umane avessero debordato dal campo delle inquietudini teologiche per diventare oggetto di curiosità e spettacolarizzazione, attrazione irresistibile nei mercati e nelle fiere, tanto irrinunciabili che, se non ve n’erano di originali, non mancavano i ciarlatani disposti a crearne appositamente ad arte. L’anonimo affermava, infatti, con forza che la bambina oggetto del suo sermone non fosse uno «usuall tricke put upon the world for profit», né un finto mostro, «produced for a Bartholomew faire», ma un vero e proprio messaggio divino, da lui testimoniato, insieme a «many godly, honest and religious women», per il progresso spirituale dell’intera comunità. Favorita dallo zelo predicatorio di prelati come William Leigh, la contemplazione del mostruoso aveva ormai perso quella sua iniziale funzione 22 Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, sig. A4r. 23 Ibid., sigg. Br-v. 24 Ibid., sig. A3r. 291 paramistica e meditativa, e si era definitivamente affermata come autonomo spettacolo. Proprio contro questo travisamento un altro prelato, Thomas Bedford, avrebbe lanciato alcuni anni più tardi il proprio accorato j’accuse.25 Uomo di profonda cultura umanistica e teologica, Bedford aveva avuto modo di esaminare personalmente il corpo di due gemelli siamesi, nati a Plymouth il 21 ottobre 1635, dei quali alcuni giorni dopo aveva celebrato il funerale; il testo da lui pronunciato nell’occasione fu in seguito pubblicato nel pamphlet A True and Certain Relation of a Strange Birth, which was born at Stonehouse.26 Il documento, un libello di 24 pagine in 4°, era proposto «to the curious beholder of the former picture», e si apriva con una potente illustrazione a tutta pagina: in essa erano rappresentati i due gemellini di Plymouth, uniti frontalmente dal petto all’ombelico, colti nell’atto di guardarsi negli occhi e di abbracciarsi (fig. 29). Coerentemente con il successivo contenuto del pamphlet, l’immagine era definita «the true Portraiture of the worke of God, presented to the world to be seene and to be admired».27 Le nascite mostruose dovevano dunque essere oggetto di sguardo e di ammirazione, affermava Bedford: ma il genere di contemplazione che aveva in mente 25 Le informazioni che possediamo su Thomas Bedford ci dicono molto poco sulla sua prima giovinezza; nato con ogni probabilità nel Northamptonshire (la data è sconosciuta), si iscrisse al Queens’ College nella Pasqua del 1606 e a Peterborough, il 23 dicembre 1610, fu ordinato diacono e due anni più tardi prese i voti. A Cambridge, sotto la guida di John Davenant e Sidney Sussex, portò avanti gli studi di teologia e divenne un convinto sostenitore del calvinismo. Nel 1633, con l’appoggio di Carlo I e del vescovo William Laud, ottenne una cattedra all’università di St. Andrew’s (Plymouth), posizione che negli anni a venire l’ecclesiastico avrebbe sfruttato per divulgare alcuni tra i suoi scritti religiosi più influenti: The Ready Way to True Freedom (1638) e A Treatise of the Sacraments According to the Doctrin of the Church of England (1639). Durante gli anni della guerra civile, la sua lealtà alla corona lo costrinse a comparire davanti alla giustizia: il suo rifiuto di giurare fedeltà al nuovo parlamento, associato all’accusa di aver aderito all’Arminianesimo, fu punito con nove mesi di prigione (1643-1644). Ritornato in libertà, riprese a scrivere con vigore: A Moderate Answer to Two Questions (1645), An Examination of the Chief Points of Antinomianism (1647); The Compassionate Samaritan (1647); Some Sacramentall Instructions (1649), and Vindiciae gratiae sacramentalis (1650). Morì a Londra nel 1653, poco tempo dopo essere stato nominato rettore della chiesa di St. Martin Outwich. Per maggiori informazioni, cfr. Paul S. Seaver, The Puritan Lectureships. The Politics of Religious Dissent, 1560–1662, Stanford, Stanford University Press, 1970, pp. 107–8; Baird Tipson, ‘A Dark Side of Seventeenth-Century English Protestantism. The Sin against the Holy Ghost’, Harvard Theological Review, 77, 1984, pp. 301–330; Nicholas Tyacke, Anti-Calvinists. The Rise of English Arminianism, c.1590–1640, Oxford, Oxford University Press, 1987, pp. 259–260 e Joel R. Beeke, ‘Bedford, Thomas (d. 1653)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/1932, accessed 14 Ago 2014]. 26 Thomas Bedford, A True and Certaine Relation of a Strange-Birth, which was borne at Stonehouse in the Parish of Plimmouth, the 20. of October. 1635. Together with the Notes of a Sermon, preached Octob. 23. 1635. in the Church of Plimmouth, at the Interring of the said Birth. By Th. B. B. D. Pr. Pl., London, Printed by Anne Griffin, for William Russell in Plim mouth [sic], 1635 [STC (2nd ed.), 1791.3]. La trascrizione del documento, incompleta e con numerosi errori, si trova in Simon McKeown (ed.), Monstrous Births. An Illustrative Introduction to Teratology in Early Modern England, London, Indelible, 1991, pp. 37-48; una menzione, senza analisi del testo, si può leggere in Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 22-23. 27 Ibid., sig. A3r. 292 era molto diverso da quello – superficiale e profano – contro cui, come vedremo fra poco, egli avrebbe destinato una dura reprimenda. Il sermone, che costituiva la più ampia parte del pamphlet, era preceduto da alcune pagine introduttive, nelle quali il prelato riassumeva velocemente la vicenda: il fatto era avvenuto in un piccolo paese di pescatori, «a Village called Stone-house», dove la moglie di un certo «John Persons a fisherman […], after the wearie travell of thirteene or fourteene houres» aveva dato alla luce la coppia di gemelli, «a Birth not more painfull to the Mother then strange and wonderfull for the beholders».28 La notizia della prodigiosa nascita aveva avuto un’immediata e vasta risonanza. Uomini e donne erano arrivati dalla città e dalla campagna, e Bedford nel descrivere questa folla coglieva l’occasione per dipingere con tratti fortemente espressivi la curiosità dei testimoni del prodigio: as it falleth out in such a case, soone is the fame thereof spread all abroad. Towne and Countrey commeth in to see, that hereafter they might […] say; At such a time, in such a place, I saw the strangest birth in all respects, that ever I saw or heard before. Two heads, and neckes, two backs, and feets of ribbes, foure armes and hands, four thighes and legges: in a word, from head to heele (so farre as the eye could discerne) two compleat and perfect bodies, but concorporate and joyned together from breast to belly, two in one.29 Non era questo, sembrava prefigurare il sacerdote, l’atteggiamento corretto di fronte alla grande inquietudine teologica che quella creatura suscitava: egli aveva sostato a lungo a contemplarla, aveva analizzato i due corpi, aveva meditato sulle domande che la loro incomprensibile unione poneva.30 Quando la midwife gli aveva confidato che i due gemelli erano vissuti solo alcune ore dopo il parto, aveva interpretato finalisticamente la loro morte: «God that gave them a life and beeing in the wombe, 28 Ibid., sigg. A3r-v. 29 Ibid., sig. A3v. 30 Bedford ebbe evidentemente modo di rimanere a lungo ad osservare il corpo dei due gemelli, ponendosi non solo quesiti di ordine teologico sul loro significato, ma anche cercando di comprendere, sebbene senza osare un’autopsia o una dissezione, il funzionamento della loro anatomia: «these twinnes might have several hearts and lungs answerable to their severall heads and neckes, yet but one common Liver to them both. The truth of this conjecture I leave to the Colledge of Physicians to discover, that is not my profession, nor will I presume to determine any thing in anothers Art […]. Having satisfyed mine eye with beholding them on the one side as they lay, I caused the women to turne the other side, and laying them as before (face to face, and foot to foot) I could perceive no difference in them at all from what I had seen before» (Ibid., sig. A4r). 293 knowing that life upon earth would have been a burden to them, provided better for them, and tooke them to himselfe».31 Dalla contemplazione, e dalla successiva meditazione, erano emerse le riflessioni che aveva raccolto per il suo sermone, e ora quelle «few notes prepared for the confluence of people, met together, when this birth was layed into the earth» erano offerte alla lettura e alla meditazione di altri fedeli.32 Il sermone cominciava con un’affermazione di principio: «the Workes of God are for our Doctrine and Instruction», e se questo era vero sempre, soprattutto era manifesto nelle sue opere più straordinarie, sia quando interveniva sulle creature del mondo, sia – a maggior ragione – quando agiva nella carne stessa dell’uomo.33 Quando il concepimento risultava in qualche modo alterato, si determinavano sterilità, aborto o malattia, «all these doe teach us the presence of Gods Providence».34 E questo era ancora più vero nel momento della nascita: se erano intercorsi problemi o complicazioni impreviste, «well may wee say Digitus dei, It is the finger of God that hath beene here, and manifested his presence hindering the common and ordinary course of Nature in the Birth of the Wombe».35 Poste queste premesse, Bedford raccoglieva sinteticamente le sue conoscenze scientifiche sul tema delle nascite mostruose: ad una catalogazione delle tipologie di mostro umano («Stature», «Number of Parts», «Multiplication», «Concorporation», «Quality & Kind altered and changed»), seguiva una veloce disamina delle cause secondarie raccolte dai filosofi naturali («either internall, as the defectiveness or excesse of seminall matherialls; or externall, as the dulnesse of the formative facultie, or indisposednesse of the Vessells, or strength of Conceit or Imagination»).36 Tutte queste motivazioni ‘scientifiche’ del difetto di nascita, affermava il pastore, così come le cause che gli astrologi credevano di trovare nelle influenze degli astri, avrebbero dovuto essere ricondotte in ultima analisi all’azione creatrice di Dio; l’unica soluzione per avvicinarsi al mistero di una «strange birth» consisteva nel tentare di penetrare più profondamente nell’opera divina «to looke higher, and to take notice of the speciall hand of God, whose worke alone it is to sort and compound the activities of secondary 31 Ibid., sig. Br. 32 Ibid. 33 Ibid., sig. B2r. 34 Ibid., sig. B2v. 35 Ibid., sig. B3r. 36 Ibid., sigg. B3r-B4v. 294 causes».37 Ancora una volta si suggeriva dunque la contemplazione del prodigio come spettacolo sacro: il ‘mostro’ di Plymouth, affermava Bedford citando le parole dell’apostolo Paolo, «being dead, it yet speaketh».38 Due erano i messaggi che il pastore riteneva di poter riconoscere: il primo era il fatto che «is a singular Mercie of God, when the Births of the Wombe are not misformed, when they receive their faire and perfect feature».39 Interpretazione davvero spericolata, quasi incomprensibile per il popolo di Stone-house che assisteva al funerale, e dunque momento del sermone a cui il prelato dedicava, nel seguito, il suo maggior sforzo teorico. Il ragionamento prendeva le mosse da una dichiarata corrispondenza tra l’anima e il corpo, in cui il grado di innocenza o di colpa della prima avrebbe dovuto essere rappresentato esattamente nella forma del secondo. Ma se il corpo, egli affermava, avesse dovuto rappresentare fedelmente e secondo giustizia la colpa connaturata in ogni anima generata dopo la caduta di Adamo, ogni essere umano avrebbe dovuto possedere un corpo deforme; nell’ottica finalistica del nostro autore, il rapporto tra normalità e deformità veniva così ribaltato, e il possesso di un corpo ben formato era descritto come una «free and undeserved Mercie» da parte di Dio.40 Tutti dovremmo essere mostri, se Dio fosse davvero giusto con noi; ma nella sua infinita misericordia la sua mano provvidente interviene (quasi) ogni volta a rendere perfetto ciò che di per sé non lo meriterebbe. La nascita mostruosa di Plymouth, e tutte le altre in cui Dio non era intervenuto a invertire la normale corrispondenza tra corpo e anima, assolvevano dunque la funzione di rammentare all’uomo, di tanto in tanto, la continua benefica presenza di Dio nel mondo. E questo era il primo messaggio affidato al mondo da Dio attraverso i bimbi deformi. Messaggio la cui analisi si chiudeva – molto efficacemente – con un’immaginaria apostrofe diretta da un fedele al suo creatore: «Doe I suffer? Let me say, Lord, I have sinned; Thou art just. Doth another suffer? Let me say, Lord, thou art mercifull to me: this case might have beene mine. Blessed bee thy Name for ever».41 37 Ibid., sig. Cr. 38 Ibid., sig. Cv. 39 Ibid., sig. C2r. 40 Ibid., sig. C3r. 41 Ibid., sig. C4v. 295 Il secondo messaggio che Bedford leggeva nei due gemelli era un’allegoria positiva della loro indissolubile unione, ovvero la possibilità, per i cristiani contrapposti gli uni agli altri, di ritrovare presto l’unità: To love, is to have one soule in two bodies […]. Surely, these are not more neerely conjoyned in brest and belly, than Christians ought to be in heart & affection. These two were one body; Christians are one spirit: though severall bodies and soules, yet one and the same spirit diffused into all, to enlive and quicken all. Nor would it have beene more prodigious for these Twinnes, (suppose they had lived to bee men) to have quarrelled and contested one against another: than it is for Christians to quarrell and contend, specially to live in the minde of irreconciliation. To these Twinnes (had they quarrelled) a man might have sayd, you are one body: To Christians a man may well say, You are one spirit: why doe you wrong one to another? Was that an Argument in all reason fit to compound the supposed differences of these? And shall not this bee able to perswade peace, nay love, among Christians?42 La nascita di Plymouth, e in essa tutte le altre, passate e future, erano dunque per Bedford dei messaggi inviati da Dio, e in quanto tali fondamentale oggetto di contemplazione. E per certificare questa sua convinzione, l’uomo di lettere risaliva fino all’etimo latino della parola monstrum: All these […] the Latines call Monstra a monstrando, quia monstrantur, I would adde, ut monstrent. They are shewed that they may shew the special handy-worke of God, and thou, peradventure deade, yet speake, and tell the forgetful world, that God himselfe hath a speciall hand in forming and featuring the births conceived in the wombe.43 Ma se il deforme è detto mostro ‘perché deve essere mostrato’, ma soprattutto ‘affinché mostri’, vi sono diversi modi di sottoporlo alla contemplazione, ma uno soltanto è quello giusto: quello che vi legge «that God himselfe hath a speciall hand in 42 Ibid., sigg. C4v-Dr. 43 Ibid., sig. B3v. 296 forming and featuring the births»; tutti gli altri, superficiali e profani, sono da condannare: Whether Monsters and mishapen births may lawfully be carried up and downe the country for sights to make a gaine by them? Whether the Births being once dead, may be kept from the grave for the former ends? Whether the parents of such births may sel them to another. For my part I would be loth to prejudice the better and morall judgments of any. But to speak plainly, I do make scruple of the first, and therefore much more of the two later cases. For if not living they are to be prostituted to the covetousnesse of any; much lesse being dead, when the grave calls for the bodies of all Christian births: the grave, I say, wherein they are to be laid up: that therein they may lay downe the present dishonor, and thence be raised againe in glory. 44 Il pastore di Plymouth non avrebbe potuto essere più chiaro: portare su e giù per il paese i propri figli deformi per guadagnare del denaro offrendoli allo sguardo morboso, riesumarli dopo la morte per il medesimo fine, o addirittura venderne il corpo, non erano altro che forme di prostituzione, rese ancora più gravi dal fatto che il corpo venduto fosse un corpo ‘sacro’, in quanto segno mandato da Dio. Dopo la morte, quel corpo doveva essere destinato alla sepoltura, e quindi all’attesa della redenzione. L’opposizione di Bedford ad uno ‘spettacolo del mostruoso’ – salvo quello della contemplazione durante il rito funerario – era assoluta, impermeabile ad ogni opposizione: But you will say to mee, suppose them living, why may they not be used to this end, being fit for none imployment? My reasons are these. Our delight is to be measured by our desires, nor doe I see it lawfull to delight in what may not be desired. And who would desire a mishapen Birth, to be the issue of his owne body? Adde this, all Crosses call for Humiliation: and where that is expected, I see not how there can bee place either for profit or pleasure to be thought upon.45 Se il piacere deve essere commisurato al desiderio, nessuno può provare gusto a contemplare una cosa indesiderabile come un corpo deforme; con questo semplice 44 Ibid., sigg. B3v-B4v. 45 Ibid., sig. B4v. 297 sillogismo, Bedford chiudeva ogni spazio alla possibilità di una spettacolarizzazione secolare e laica del mostruoso umano. Ma sottostante a questa presa di posizione, così risoluta e definitiva, rimaneva la consapevolezza che le cose stessero ben diversamente da questa utopica visione religiosa; nel momento esatto in cui il pastore pronunciava il suo sermone, aveva di fronte uomini e donne che, con ogni probabilità, solo pochi giorni prima avevano sostato curiosi e meravigliati dinnanzi al baraccone di una fiera: Heere then see and bewaile the iniquity and irreligion of this our Age, at least of numbers in the same. The common sort make no further use of this Prodigies and Strange-births, than as a matter of wonder and table-talk: looke upon them with none other eyes, than with which they would behold African monster, a mishapen beast.46 La potente sacralità del segno divino ridotta a chiacchiera da tavolo, o a stupore circense: questa era la sconvolgente contraddizione cui il puritano Bedford cercava di porre rimedio con le parole pronunciate dal pulpito: «It was not thus in the better Ages of the world», quando di fronte ad un corpo menomato i discepoli chiedevano al Cristo, timorosi, Quid peccavit? Allora era chiaro a tutti che ogni lesione fisica, ogni malattia, ogni deformità fosse una lezione di verità consegnata al mondo.47 A quella umiltà della cristianità primeva il pastore di Plymouth tentava di richiamare i suoi fedeli: This Lesson, I say, is now presented to you, and I trust will bee remembred by you: And if so, the Answer to the Question may goe on as it is in the words of our Saviour. Neither this man, nor his parents, but that the works of God should be made manifest in him.48 Ma era un richiamo contro tendenza: le folle accorse ai funerali (o alle riesumazioni) dei bimbi mostruosi, di cui abbiamo letto nelle narrazioni di inizio Seicento, non furono che un preludio a quelle vere e proprie forme di messa in scena del corpo mostruoso delle quali abbiamo notizia con l’avanzare del secolo. Le fiere e i mercati erano ormai irrecuperabilmente popolati di ‘monsters’: uomini e donne nati con 46 Ibid., sig. C3v. 47 Ibid. 48 Ibid., sig. C4v. 298 deformità congenite che, se sopravvissuti alla ‘monstrous birth’, erano condotti in scena, o spesso vi andavano spontaneamente e consapevolmente per trarre profitto dalla loro sfortunata condizione.49 Come ha sinteticamente tratteggiato Paul Semonin, a proposito di una delle più importanti e frequentate fiere londinesi, Bartholomew Fair eventually became a sort of mecca for monsters, a place of pilgrimage whose aura of the miracolous survived even after the dissolution of the monasteries. The monsters appeared there in a carnival setting, along with a corps of professional entertainers including rope dancers, puppeteers, posture-masters, fireeaters, and animal trainers, all immersed in a cacophony of rumbling kettle drums, penny trumpets, bagpipes, and fiddlers. […] In many respects, Bartholomew Fair was a theatrical extravaganza in which the monsters were normal and their extraordinary form became part of a spectacle of the unnatural, the grotesque, and the lewd.50 A partire dagli anni trenta del Seicento, dunque, il confine tra l’esposizione di sé e l’arte scenica fu oltrepassato: il ‘monster’ divenne a tutti gli effetti un ‘character’, un personaggio al centro di uno spettacolo, in cui l’identità, significata nel corpo, veniva consapevolmente distaccata, oggettivata e immessa in una relazione tra ‘actor’ e pubblico: In the popular tradition, monsters were actors in a drama, rather than merely simbols of God’s wrath or specimens of scientific interest. They were characters of comic horror intimately connected to an ancient tradition of folk humor, which provides the best insight into the enigma of their enduring appeal in the marketplace.51 E se è probabilmente improprio parlare di ‘teatro’ dei mostri, questi spettacoli rientravano senza dubbio in quella che è la moderna definizione di ‘performance’: non si trattava più, infatti, di estemporanee e inconsapevoli ostensioni di corpi deformi sullo sfondo di piccoli cimiteri rurali, bensì di vere e proprie rappresentazioni, pensate 49 Per un quadro di una delle più importanti fiere londinesi si veda l’affascinante resoconto di Henry Morley, Memoirs of Bartholomew Fair, London, Routledge, 1892, e specialmente, per quanto attiene all’oggetto di questo studio, il capitolo 16, Monsters, pp. 245-258. 50 Paul Semonin, ‘Monsters in the Marketplace. The Exhibition of Human Oddities in Early Modern England’, in Rosemarie Garland Thomson (ed.), Freackery. Cultural Spectacles of the Extraordinary Body, New York-London, New York University Press, 1996, p. 77. 51 Ibid., p. 78. 299 in funzione di un pubblico, adeguatamente pubblicizzate e proposte in spazi scenici appositamente allestiti.52 Come vedremo fra poco, l’Inghilterra, e Londra in particolare, divennero tappe irrinunciabili nei tour dei più famosi ‘monsters’ del Seicento.53 Spesso provenienti da altre nazioni europee, questi uomini e queste donne erano stati capaci di trasformare in opportunità la loro difficile condizione fisica, e trovavano nel regno inglese un 52 Come ha evidenziato Paola Pugliatti, quando parliamo di ‘teatro’ «we usually mean that kind of activity which took place in especially designated spaces and was based on a written verbal text. But there were also other kinds of activities which may be called ‘theatrical’ in that they were performed in public, although not in dedicated spaces, and implied enacting some kind of ‘impersonation’ or ‘performance’» (Introduction, in Paola Pugliatti, Alessandro Serpieri (eds), English Renaissance Scenes. From Canon to Margins, Bern, Peter Lang, 2008, p. 9). Il concetto di ‘performance’ in questo studio sarà perciò inteso secondo tale nozione ampia ed inclusiva, che consente di cogliere aspetti teatrali anche in manifestazioni non eminentemente ‘sceniche’; da questo punto di vista, un caso particolarmente rilevante è quello delle mistiche e delle loro estasi profetiche; su questo aspetto, cfr. Donatella Pallotti, ‘Shows of Holiness. Women’s Prophetic Performance and its Perception in Early Modern England’, in Paola Pugliatti, Alessandro Serpieri (eds), English Renaissance Scenes. From Canon to Margins, pp. 203-258. Una definizione sintetica ed efficace di ‘performance’ è quella proposta da Richard Schechner, ovvero «an activity done by an individual or group in the presence of and for another individual or group» (Performance Theory, London and New York, Routledge, revised and expanded edition, with a new preface by the author, 2003, p. 30 n. 10; first published as Essays on Performance Theory 1970-1976, New York, Drama Book Specialists, 1977 and revised in 1988; segnalo anche la traduzione italiana: La teoria della performance, 1970-1983, a cura di Valentina Valentini, Roma, Bulzoni, 1984); in più occasioni, nel suo lavoro, Schechner riconosce «the difficulty of using […] words like “script”, “drama”, “theater”, and “performance” (p. 71); ciononostante, sottolinea ancora, «in trying to manage the relationship between a general theory and its possible applications to various art forms», la sua definizione di ‘performance’ rimane centrata «on certain acknowledged qualities of live theater, the most stable being the audience-performer interaction» (p. 30, nota 10). In questa ‘riduzione ai minimi termini’ della definizione di ‘performance’ si riconosce l’influenza delle teorie di Jerzy Grotowski sul ‘teatro povero’: «the number of definitions of theatre is pratically unlimited. To escape from this vicious circle one must without doubt eliminate, not add. That is, one must ask oneself what is indispensable to theatre. […] Can the theatre exist without costumes and sets? Yes, it can. Can it exist without music to accompanie the plot? Yes. Can it exist without lighting effects? Of course. And without a text? Yes; the history of the theatre confirms this. In the evolution of the theatrical art the text was one of the last elements to be added […]. But can the theatre exist without actors? I know of no example of this […]. Can the theatre exist without an audience? At least one spectator is needed to make it a performance. So we are left with the actor and the spectator. We can thus define the theatre as “what takes place between spectator and actor”. All the other things are supplementary – perhaps necessary – but nevertheless supplementary» (Jerzy Grotowski, Towards a Poor Theatre, preface by Peter Brook, Holstebro, Odin Teatrets Forlag, 1968 pp. 32-33; Per un teatro povero, prefazione di Peter Brook, traduzione italiana di Maria O. Marotti, Roma, Bulzoni, 1970). Questa stessa idea minimale di ‘povertà’ dell’arte scenica coinvolge, ovviamente, anche lo spazio in cui la ‘performance’ è messa in atto: per una definizione contemporanea di spazio scenico come luogo di relazione tra performer e pubblico (contrapposta ad uno spazio monumentale e istituzionalizzato), si veda Fabrizio Cruciani, Lo spazio del teatro, con tracce grafiche di Luca Ruzza, Roma-Bari, Laterza, 1992, specialmente il capitolo terzo, su ‘lo spazio delle rappresentazioni’, pp. 47 72.Per ulteriori approfondimenti si vedano anche Jerzy Grotowski, ‘Il performer’, Teatro e Storia, 1, 1988, pp. 165-169; William O. Beeman, ‘The Anthropology of Theater and Spectacle’, Annual Review of Anthropology, 22, 1993, pp. 369-393; Janelle G. Reinelt, Joseph R. Roach (eds), Critical Theory and Performance, revised and enlarged edition, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2007 (first published in 1992). 53 Sull’importanza delle fiere londinesi come luogo scenico privilegiato, e non solo delle ‘exhibitions’ dei mostri, cfr. Richard D. Altick, The Shows of London. A Panoramic History of Exhibitions, 16001862, Cambridge-London, The Belknap Press of Harvard University Press, 1978, p. 2. 300 pubblico entusiasta. Con buona pace degli uomini di chiesa come Thomas Bedford, queste platee cercavano il corpo deforme con animo tutt’altro che disposto alla contemplazione: chiedevano il puro diletto dello spettacolo, la capacità affabulatoria di un istrione, la meraviglia di un capriccio di natura. Avrebbero trovato uomini e donne in grado di soddisfarli: bastava pagare il giusto compenso, e varcare la soglia dello spazio scenico. 6.2 Th’Italian Monster Pregnant with his Brother: Lazzaro e Giovan Battista Colloredo, fratelli inseparabili Il 4 novembre 1637, sir Henry Herbert, Master of the Revels, concesse «a license for six months […] to Lazaras, an Italian, to shew his brother Baptista, that grows out of his navell, and carryes him at his syde. In confirmation of his Majesty’s warrant, granted unto him to make publique shewe».54 È questa la prima traccia della presenza in Inghilterra di Lazzaro Colloredo e del suo gemello parassitico Giovanni Battista, genovesi, che alla metà del Seicento furono una vera e propria celebrità del ‘teatro dei mostri’.55 La loro nascita, avvenuta il 12 marzo 1617, era raccontata dal medico genovese Agostino Pinceto, in una lettera inviata al collega padovano Fortunio Liceti. Questi avrebbe poi inserito la missiva nel suo De monstrorum caussis, natura, et differentiis, pubblicato a Padova nel 1634: Essendo venuto a conoscenza di un mostro nato di recente qui a Genova, ho avuto piacere di scrivertene qualcosa, uomo Eccellentissimo, attendendomi un tuo giudizio al riguardo. Pellegrina, moglie di Battista Colloredo, ha partorito il 12 marzo 1617, nella parrocchia di San Bartolomeo de Costa, a Genova, due figli uniti l’uno all'altro nella parte inferiore del ventre, disgiunti in tutte le altre parti: sono entrambi maschi; 54 L’informazione è riportata da Edmond Malone in una nota del suo commento a The Winter’s Tale di William Shakespeare (Shakespeare William, The Plays and Poems of William Shakspeare, with the Corrections and Illustrations of Various Commentators. Comprehending a Life of the Poet, and an Enlarged History of the Stage, by the late Edmond Malone, with a New Glossarial Index, 16 vols., London, Rivington, 1821, XIV, p. 368, n. 6). 55 Sul caso di Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo, e sulle fonti che ne danno testimonianza, cfr. Hyder E. Rollins (ed.), The Pack of Autolycus or Strange and Terrible News of Ghosts, Apparitions, Monstrous Births, Showers of Wheat, Judgments of God, and other Prodigious and Fearful Happenings as told in Broadside Ballads of the Years 1624-1693, Cambridge, Harvard University Press, 1927, pp. 7-9; una disamina meno accurata si trova in Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, Ithaca and London, Cornell University Press, 2000, pp. vii-xix. 301 l’uno è grande il doppio dell’altro, e al minore manca una gamba, mentre nelle altre parti è ben strutturato, tranne che non apre gli occhi. Sono stati battezzati come due persone; uno è stato chiamato Giovanni Battista, l’altro Lazzaro: i loro genitori sono perfettamente sani, e prima di loro hanno generato altri figli ben formati. Ciò che rende straordinario questo mostro è che uno solo succhia il latte, ed entrambi si nutrono e vivono; e mentre il maggiore succhia il latte, si può osservare nel minore quello stesso latte risalire fino alle labbra, sulle quali egli tenta di leccarlo, e questa cosa l’ho vista io stesso, e mi sono soffermato ad osservarla. Dicono che questi due figli emettano l’urina nello stesso momento. Desidero che tu mi scriva qualche commento su questo fenomeno. Stai bene. Genova, 19 marzo 1622.56 Nella sua lettera, Pinceto raccontava la nascita dei due gemelli, uniti nella parte inferiore del ventre, e accennava anche al loro battesimo («Sono stati battezzati come due persone»), così lasciando intravvedere il problema dell’identità unica o duplice dei fratelli, tema teologico molto dibattuto nei casi di gemelli siamesi. Il quesito che egli poneva a Liceti («Desidero che tu mi scriva qualche commento su questo fenomeno») riguardava la struttura interna dell’apparato digerente, interrogativo che nasceva dallo strano sintomo osservato nei fratelli genovesi: il latte bevuto da Lazzaro risaliva alle labbra del gemello parassitico. Nella sua risposta, Liceti identificava Lazzaro e Giovanni Battista come «monstrum anceps», intuendo l’esistenza di un unico stomaco per entrambi, e giustificando, così, tanto l’inappetenza del fratello minore, quanto il fenomeno della risalita del latte; il mostro ancipite, affermava, era stato già da lui descritto in un precedente libello, del quale consigliava la lettura al collega per ulteriori informazioni. Oltre a pubblicare una bella immagine dei due bambini, molto idealizzata, e rispondente a canoni di bellezza classica (fig. 30), il medico padovano aggiungeva: «Questo mostro in seguito lo vidi io stesso, e non solo una volta, a Venezia e a Padova, quando aveva quattro anni; i suoi genitori, ambulanti per la regione nell’intento di metterlo in mostra, si procuravano il vitto chiedendo un obolo agli 56 Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura, et differentiis libri duo: in quibus ex rei natura monstrorum historiae, caussae, generationes, & differentiae plurimae a sapientibus intactae, cum generatim & in plantarum, & belluarum genere, tum seorsum in humana specie tractantur. Multis illustrium autorum locis difficillimis explanatis, Patavii, apud Paulum Frambottum, 1634, p. 114 [questa, e tutte le altre traduzioni italiane da questo documento, sono di chi scrive]. 302 spettatori».57 I genitori dei gemelli avevano dunque colto l’occasione di questa nascita prodigiosa, e avevano deciso di mostrare Lazzaro e Giovanni Battista per denaro. Il medico padovano profetizzava, inoltre, che «questo mostro può vivere a lungo», così prefigurando il lungo viaggio che Lazzaro e suo fratello avrebbero percorso negli anni successivi.58 Le prime tappe di questo lungo cammino, che avrebbe portato i due gemelli in giro per l’Europa, furono inizialmente italiane: oltre che nelle città venete cui accenna il medico padovano, abbiamo testimonianza di una presenza di Lazzaro a Rimini, il 6 ottobre 1619. Per questa data il cronista riminese Giacomo Antonio Pedroni, canonico della cattedrale di Santa Colomba, annotava nel suo diario di avere visto nella bottega del barbiere Mengarello due gemelli maschi dell’età di due anni e mezzo, di cui il maggiore, «gagliardo et robusto oltre ogni modo», aveva attaccato al corpo, all’altezza dell’ombelico, «un altro putto» con due braccia e una sola gamba, gli occhi chiusi, «i denti in bocca», quantunque non mangiasse e «ricev[esse] nutrimento» dal fratello. Erano entrambi «di capelli biondi e crespi» e, a detta del padre che li accompagnava, genovesi e battezzati. Lazzaro vestiva una «ciammarrina di drappo turchino» e Giovan Battista «un abito di bambagia bianca».59 Nel 1623, all’età di sei anni, i due gemelli furono esaminati dal medico romano Paolo Zacchia (1584-1659), che descriveva Lazzaro come un fanciullo di bellissimo aspetto, dai capelli biondi e ricci, con il colorito sano e le membra perfettamente formate, e si soffermava poi su una lunga disamina del gemello parassitico.60 La ricca descrizione, coerente con quella tramandata da Liceti, dimostra 57 Ibid., p. 116. 58 Ibid., p. 115. 59 Giacomo A. Pedroni, Sei libri di diarii di varie cose descritte dalla bona memoria del signor Canonico Giacomo Antonio Pedroni, Biblioteca Gambalunga Rimini, Sc-Ms. 209-214, ante 1652, I, fol. 279v. 60 Zacchia riferiva inoltre di averli già visti una prima volta, appena nati, nel 1617; cfr. Paolo Zacchia, Pauli Zacchiae, Romani totius status ecclesiastici proto-medici generalis, Quaestionum Medico- Legalium, Tomus Secundus, Continens Libros VI. VII. VIII. IX, olim Auctus et Emendatus a Viro Celeberrimo Joh. Daniel. Horstio, Francofurti ad Moenum, Sumptibus Johannis Melchioris Bencard, 1688, p. 601: «e per primo si presenta un mostro bicorporeo, che ho visto una prima volta a Roma, nel 1617, se ricordo bene, quindi una seconda volta più cresciuto nel 1623. Era nato a Genova, nel predetto anno 1617, il 12 marzo, da un certo Giovanni Battista Colloredo e da Pellegrina, sua moglie, e poiché era stato giudicato un parto gemellare, nel sacro fonte del Battesimo all’uno fu dato il nome di Lazzaro, all’altro quello di Giovanni Battista; aveva il seguente aspetto. Era un bambino dal volto bellissimo, con i capelli biondi e ricci, di ottimo aspetto e bellissimo colorito, perfettamente formato in tutte le membra e per niente difforme da tutti gli altri bambini ben strutturati. Congiunto a questo era nato un altro bambino, che gli era unito nei pressi dello stomaco, o sotto allo sterno. Tra i due, proprio nel 303 che anche Zacchia a Roma poté osservare a lungo i due bambini, come già don Pedroni a Rimini. La notizia successiva sui gemelli Colloredo ce li mostra parecchi anni dopo in ‘tournée’ europea. Un’incisione del 1635, infatti, rappresentava molto realisticamente i due fratelli e li definiva «il mostro nato due in uno» (fig. 31). L’iscrizione in calce all’immagine affermava che «ognuno può vedere le loro proporzioni naturali nell’immagine qui riprodotta» e ricordava la loro esposizione pubblica nella città di Colonia con queste parole: «in questo corrente anno 1635, nel mese di marzo, è stato a Colonia e si metteva in mostra dietro pagamento di un compenso».61 A diciassette anni, Lazzaro aveva già intrapreso il suo lungo viaggio europeo, era solo, deciso a trarre profitto dalla sua prodigiosa condizione, e ormai divenuto una vera e propria attrazione per il pubblico di curiosi. Solo due anni dopo, il 4 novembre 1637, «Lazaras, an Italian» otteneva la licenza di sei mesi «to shew his brother Baptista, that grows out of his navell» nella città di Londra.62 Giunto nella capitale inglese, il ragazzo era divenuto all’istante una vera celebrità e la street literature non aveva perso occasione di immortalarne il chiassoso passaggio con una serie di pubblicazioni che lo avrebbero tramandato alla posterità. Queste opere, solo in parte pervenuteci, segnalano contemporaneamente il grande successo dei suoi spettacoli e il notevole sforzo pubblicitario legato alle sue performance. Il 23 novembre 1637, infatti, pochi giorni dopo l’ottenimento della licenza di spettacolo, Robert Milbourne iscriveva nello Stationer’s Register una ballata intitolata A Picture of the Italian Yong Man with his Brother growing out of his Side with some punto dell’adesione, si vedeva l’ombelico. Questo fanciullo aveva una sola gamba, e più breve rispetto alle gambe del bambino ben formato; cosicché sembrava che il bambino compiuto si portasse in giro il fratello imperfetto come sospeso. L’imperfetto aveva un volto scomposto e deforme, anche se in questa parte del corpo non mancava di nulla, benché fosse di carnagione pallidissima. Il capo era molto grande, la chioma come quella del fratello perfetto, bionda e ben pettinata; era privo della vista, e di ogni senso salvo che del tatto, infatti, se veniva colpito si contraeva, mentre il fratello ben formato sembrava non percepire queste percosse; il fratello imperfetto non assumeva alcun nutrimento, ma muoveva in un moto incessante la bocca, dalla quale veniva fuori continuamente una schiuma di colore biancastro e latteo. Era inoltre dotato di alcuni denti, aveva braccia mutile e imperfette, che muoveva da solo continuamente, era di sesso maschile, dotato di pene, ma mancante di testicoli» [traduzione italiana di chi scrive]. 61 Anonym, Eigentliche Abbildung der Monstrosischen zweyer an einan, [Köln?, 1635] [traduzione italiana di chi scrive]. 62 Ancora Edmond Malone, nel suo commento a The Winter’s Tale di William Shakespeare, p. 368, n. 6 (si veda sopra, nota 54, p. 301). 304 Verses thereunto. 63 Il 12 dicembre dello stesso anno, John Wright Jr. otteneva autorizzazione a pubblicare una ballata dal titolo The Italian Mountebancke, che potrebbe avere a che fare anch’essa con i gemelli Colloredo.64 Di questa piuttosto ampia fioritura di testi ci restano due esempi davvero notevoli. Il primo è una ‘broadside ballad’ di Martin Parker, The Two Inseparable Brothers (1637), nella quale il testo poetico era preceduto, subito dopo il titolo descrittivo, da un’incisione che riproduceva il giovane ‘artista’ nell’atto di una ‘performance’. Rispetto alle altre immagini che conosciamo dei due gemelli, questa è senz’altro quella meno dettagliata e più infantile (fig. 32).65 Il testo si componeva di 19 stanze di sei versi giambici (due tetrametri, un trimetro, due tetrametri, un trimetro, con schema rimico AABCCB), e il documento 63 Cfr. Hyder E. Rollins (ed.), An Analytical Index to the Ballad-Entries (1557-1709) in the Registers of the Company of Stationers of London, compiled by Hyder E. Rollins, foreword by Leslie Shepard, Hatboro, Tradition Press, 1967, p. 181.64 Ibid., p. 109. Come possibile identificazione dell’Italian Mountebancke (alternativa a quella con i gemelli Colloredo) Rollins segnala anche un altro artista di strada italiano, testimoniato dai diari di John Rous: questi raccontava di aver visto «an Italian» con le mani «shrimped and lame», il quale «wrote fayer [sic] with his left foote, used a pensil and painted with his mouth, gathered up four or five small dice with his foote, and threw them out featly» (The Diary of John Rous, Incumbent of Santon Downham, Suffolk from 1625 to 1642, edited by Mary A. Everett Green, London, printed for the Camden Society, 1856, pp. 84-85). 65 Martin Parker, The Two Inseparable Brothers. Or a True and Strange Description of a Gentleman (an Italian by Birth) about Seventeene Yeeres of Age, who had an Imperfect (yet living) Brother growing out of his Side, having a Head, Two Armes, and One Leg, all perfectly to be seen. They both baptized together; the Imperfect is called Iohn Baptist, and the other Lazarus. Admire the Creator in his Creatures. To the Tune of the Wandring Iewes Chronicle, London, printed [by M. Flesher] for Thomas Lamb[ert at] the Signe of the Hors-shooe in Smithfield, [1637] [STC (2nd ed.), 19277]. La vita di Martin Parker è ancor oggi avvolta nella nebbia delle testimonianze coeve; nato con ogni probabilità intorno al 1600, fece la sua prima comparsa nella storia inglese nel 1629, quando le autorità di Bridewell lo citarono in giudizio, insieme ad alcuni compagni, con l’accusa di tradimento. Rilasciato su cauzione, si stabilì presto a Londra e qui diede inizio a un’intensa attività di scrittura, concretizzatasi prevalentemente nella produzione di ballate: The Desperate Damsells Tragedy, or, The Faithless Young Man (1630); Good Counsell for Young Wooers (1633); Lord have Mercy upon Us (1636); A Lamentable Relation of a Fearfull Fight at Sea, between the Spaniard and the Hollander (1639); An Exact Description of the Manner how His Majestie went to the Parliament, the Thirteenth Day of April (1640). Convinto sostenitore della corona, allo scoppio della guerra civile non rinunciò a manifestare pubblicamente la sua simpatia per Carlo I, dedicandogli nel 1643 When the King enjoys his Own again. Con l’ascesa al potere di Oliver Cromwell, i suoi affari declinarono progressivamente, e dopo il 1647, con il ritiro a vita privata, dovettero naufragare del tutto. Parker morì nel 1656, come attesta Death in a New Dress, or, Sportive Funeral Elegies, un’elegia composta da un certo S. F. in sua memoria. La ballata in onore di Carlo I ebbe un enorme successo negli anni che seguirono la Restaurazione. Per un breve profilo biografico, cfr. Hyder E. Rollins, ‘Martin Parker, Ballad-Monger’, Modern Philology, 16, 9, 1919, pp. 449-474 e Joad Raymond, ‘Parker, Martin (fl. 1624–1647)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/21326, accessed 13 Ago 2014]. 305 indicava che dovesse essere intonato su «the tune of the Wandring Jewes Chronicle», una delle più celebri ballate del XVII secolo, attribuita allo stesso Parker.66 The Two Inseparable Brothers prendeva avvio dichiarando l’unicità dello straordinario prodigio incarnato dai due gemelli, che dopo lunghe peregrinazioni erano finalmente approdati sulle sponde dell’Inghilterra; l’autore affermava di aver visto nella sua vita moltissimi portenti, ma nessuno di questi gli era parso tanto eccezionale e contrario alle leggi di natura: To England lately newes is come, Which many parts of Christendome have by experience found To be the strangest and most rare, That fame did to the world declare, since man first walkt o’th ground. I many Prodigies have seene, Creatures that have preposterous beene, to nature in their birth, But such a thing as this my theame, Makes all the rest seeme but a dreame, the like was nere on earth. 67 Le sei stanze successive erano dedicate alla descrizione fisica dei fratelli, alla loro provenienza italiana, al misterioso silenzio di Giovanni Battista, contrapposto all’armonia delle forme di Lazzaro; il poeta non mancava poi di richiamare l’attenzione, come abituale in questa forma di letteratura popolare, all’immagine soprastante, istituendo il consueto rapporto metatestuale tra parola e immagine: «as in this figure you may see».68 66 M[artin] P[arker], The Wandring Jews Chronicle: OR, the Old Historian his Brief Declaration made in a Mad Fashion of each Coronation that past in this Nation since Williams’s Invasion for no Great Occasion but Meer Recreation to put off Vexation. To the Tune of, our Prince is welcome out of Spain. London, Printed for Francis Grove on Snow-Hill, [1660?] [STC (2nd ed.) 19279]. La ballata racconta la storia del regno inglese dalla sua fondazione con Guglielmo il Conquistatore a Carlo I, ed è scritta dal punto di vista dell’Ebreo Errante. Se ne conoscono 22 copie, di epoche diverse, tutte consultabili sull’archivio digitale ad essa interamente dedicato dall’ateneo oxoniense e curato da Giles Bergel: http://wjc.bodleian.ox.ac.uk. 67 Martin Parker, The Two Inseparable Brothers, vv. 1-12. 68 Ibid., v.16. 306 La seconda parte della ballata si apriva con una stanza, nella quale l’autore descriveva la quasi perfetta duplicità dei due fratelli, doppi in tutto ma non nel cuore; era così esposto, in forma poetica, il dilemma identitario posto dall’inscindibile coppia: Yet nothing doth the lesser eate, He’s onely nourish’d with the meate wherewith the other feeds, By which it seemes though outward parts They have for two, yet not two hearts, this admiration breeds.69 Le tre stanze successive insistevano sulla contrapposizione tra unicità e duplicità, declinata sempre su questioni anatomiche e mediche. Talvolta, infatti, uno dei due gemelli si era ammalato, mentre l’altro era rimasto in salute: For sicknesse and infirmities, I meane Quotidian maladies, which man by nature hath, Sometimes one’s sicke, the other wel This is a story strange to tell, but he himselfe thus saith. Th’imperfect once the small poxe had, Which made the perfect brother sad, but he had never any, And if you nip it by the arme, Or doe it any little harme, (this hath beene tride by many,) It like an infant (with voyce weake) Will cry out though it cannot speake, as sensible of paine, Which yet the other feeleth not, But if the one be cold or hot, that’s common to both twaine.70 69 Ibid., vv. 48-54. 70 Ibid., vv. 55-72. 307 L’inconsueto fenomeno secondo il quale un gemello era sano mentre l’altro era malato, attestato dallo stesso Lazzaro («a story strange to tell, / but he himselfe thus saith»), si era verificato addirittura con una malattia fatale come il vaiolo: è chiaro che siamo di fronte ad una vanteria, utilizzata forse dallo stesso Lazzaro per accentuare, durante la performance, la straordinaria relazione tra i due fratelli. Se così fosse, la ballata di Parker ci informerebbe, indirettamente, anche di un aspetto della struttura dello spettacolo: in esso un importante ruolo era rivestito dalle parole di Colloredo, e dal racconto degli episodi salienti della vita sua e del gemello. Vi era poi anche un altro momento, in cui il pubblico poteva toccare Giovanni Battista, o addirittura pizzicarlo per farlo gemere («if you nip it by the arme / […]It like an infant (with voyce weake) / Will cry out though it cannot speake, / as sensible of paine»). Un frangente che poteva avere, e forse spesso aveva, risonanze crudeli, ma non raro negli spettacoli di questo tipo: al pubblico si riconosceva il diritto di verificare che il prodigio a cui stava assistendo non fosse l’impostura di un ciarlatano. Nel seguito, l’autore invitava i lettori ad andare ad accertarsi di persona della verità del suo racconto, indicando il luogo in cui il prodigio poteva essere contemplato (l’animata via ancora oggi denominata The Strand, nel centro di Londra, presso Westminster). Riferiva inoltre che l’artista italiano chiamava a testimoni di attendibilità persino i sovrani, Carlo I e sua moglie, Enrichetta Maria di Borbone: But that to ratifie this truth, Now in the Strand this wondrous youth is present to be seene, And he with his strange burden, hath Bin shewne (with marvaile) as he saith to our good King and Queen.71 E non c’era da meravigliarsi che persino il Re e la Regina avessero onorato Lazzaro della loro attenzione, dato che ogni terra cristiana aveva accolto i due gemelli prodigiosi: Through Germany, through Spain & France, (Devoyd of danger or mischance) and other Christian Lands 71 Ibid., vv. 79-84. Non abbiamo modo di verificare se Lazzaro fosse stato effettivamente ricevuto dai sovrani: il Calendar of State Papers non registra alcuna notizia al riguardo. 308 They travell’d have, nay rather one For both, so many miles hath gone, to shew th’work of Gods hands.72 I primi versi di questa stanza davano testimonianza del lungo viaggio già compiuto dai fratelli Colloredo, colmando la lacuna cronologica che separa le attestazioni italiane dell’infanzia, alla metà degli anni Venti (Fortunio Liceti, Giacomo Antonio Pedroni, Paolo Zacchia), dal flugblatt di Colonia del 1635: in quel decennio per noi silenzioso, secondo Parker, Lazzaro aveva viaggiato non solo in Germania, ma anche «through Spain & France, / […] / and other Christian Lands». E quel lungo viaggio aveva, nell’animo dell’autore, un unico scopo: «to shew th’work of Gods hands». Caratteristica di questa ballata è, infatti, quella di trascurare completamente la reazione di orrore di fronte al mostro, e le implicazioni morali che, come ho mostrato sin qui, ne costituivano la più usuale lettura. Nei versi di Parker non si avverte traccia della costellazione «sin», «God’s wrath» e «monster», ma solo un invito alla meraviglia, e all’ammirazione per la grandiosa opera di Dio: In seeing this or such strange things, Let us admire the King of Kings, and of his power conceave, That just opinion which is due, To him who is all good all true, whose works we can’t find out, Let admiration then suffice, Sith theres no man that is so wise, but of’s owne wit may doubt. And so doe I.73 72 Ibid., vv. 97-102. 73 Ibid., vv. 106-115. 309 L’opera di Dio non può essere compresa fino in fondo e la saggezza, per Parker, consiste nel sapersi fermare in tempo, e sostare ammirati sulla soglia della contemplazione: non vi è uomo veramente saggio, salvo chi sa dubitare della propria intelligenza. È difficile non leggere in questa affermazione un indulgente rimprovero nei confronti dei suoi ‘colleghi’, che per lo più preferivano invece muovere i loro passi ben oltre quella soglia, presumendo di saper leggere con chiarezza dentro il piano divino, e giungendo alla facile conclusione che ogni mostro dovesse essere preceduto da una colpa umana.74 Ben diversa dalla lettura ‘umanista’ di Parker fu quella di Robert Milbourne che, nel suo broadsheet intitolato Historia Aenigmatica, de gemellis Genoa connatis, era affidata ad una ballata in distici elegiaci latini. In essa i due gemelli erano presentati come un indovinello a chiave, la cui soluzione li vedeva strumentalizzati all’interno di una ancora non del tutto sopita polemica antipapista.75 Il documento appare di notevole eleganza, ordinatamente bipartito: in alto è riprodotta una bellissima immagine dei due gemelli, armoniosamente incorniciata da un drappeggio che sembra aprirsi su di loro come un sipario; la scena è spoglia, si intravvede sullo sfondo un’apertura su un paesaggio collinare; Lazzaro è vestito 74 Una posizione assai simile fu espressa un secolo prima dal filosofo francese Montaigne, che dedicò il capitolo 30 del libro II dei Saggi (1580) alla disamina di alcuni casi di nascite mostruose: «quelli che noi chiamiamo mostri, non lo sono per Dio, che vede nell’immensità della sua opera l’infinità delle forme che vi ha compreso; e c’è da credere che questa forma che ci stupisce ha un rapporto e una relazione con qualche altra forma dello stesso genere sconosciuta all’uomo. Dalla sua perfetta sapienza non procede nulla che non sia buono e comune e normale, ma noi non ne vediamo la concordanza e la relazione. Quod crebro videt, non miratur, etiam si cur fiat nescit. Quod ante non vidit, id, si evenerit, ostentum esse censet [Cicerone, De Divinatione, 2, 22, 49: ‘quello che vede frequentemente non lo meraviglia, anche se ne ignora la causa. Ma se accade qualcosa che non ha mai visto prima, pensa che sia un prodigio’]. Chiamiamo contro natura quello che avviene contro la consuetudine. Niente esiste se non secondo lei, qualunque cosa sia. Che questa ragione universale e naturale cacci da noi l’errore e lo stupore che ci arreca la novità» (Michel de Montaigne, Saggi, traduzione di Fausta Garavini riveduta e corretta sull’edizione critica dell’esemplare di Bordeaux stabilita da André Tournon, Milano, Bompiani, 2012, p. 1315). 75 Robert Milbourne, Historia Aenigmatica, de gemellis Genoa connatis, Anno salutis nostrae, MDCXX in unum coalescentibus, quorum major Lazar, minor Joh. Baptista, ad sacrum Fontem nominatis: vivis hodie, & mercede Londini monstratis An. MDCXXXVII, Londini, Excudebat M. P. pro Ro. Milbourne, [1637] [STC (2nd ed.), 11728.6]. Nulla sappiamo del ‘book-seller’ Robert Milbourne (Milburn oppure Milborne); le sole notizie che possediamo riguardano l’inizio e la fine della sua attività di libraio (1617-1642) e la collocazione, nella capitale inglese, dei suoi diversi punti vendita. A questo proposito, cfr. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, London, printed for the Bibliographical Society by Blades, East & Blades, 1907, pp. 127-128 e David McKitterick, A History of Cambridge University Press. Printing and the Book Trade in Cambridge, 1534-1698, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 226. 310 riccamente, ha sulle spalle il mantello e un cappello in mano, stivali ai piedi, una giacca ricamata, un ampio colletto di pizzo; al di sotto di Giovanni Battista pende una fascia, probabilmente quella che lo sorreggeva, tenendolo stabilmente aderente al corpo del fratello, quando non erano in azione; un’ombra molto netta, proiettata diagonalmente alle loro spalle, lascia intuire una sorgente luminosa molto forte che illuminava la scena da sinistra, fuori dal quadro, isolando così il ‘performer’ (fig. 33).76 Nella parte inferiore del foglio, si trovava invece il testo dell’indovinello, suddiviso in due colonne: a sinistra l’esposizione dell’enigma, a destra la sua soluzione. La prima parte del testo era tutta costruita su artifici linguistici, che giocavano intorno al contrasto tra individualità e duplicità: Ecce duos fratres, unum simul, atque gemellos. Ecce biceps animal, quadrimanumque, tripos. En geminos fratres quibus unum Corpus, at unum Cor, vel mens illis, quis scit an una fiet?77 Nel seguito, l’autore poneva invece in luce le particolarità anatomiche della coppia: Monstrum horrendum, informe infans cui lumen ademptum, Seu mens lucis inops, seu caro mente carens. Os habet haud locuitur neq; vescitur, aut bibit unquam, Cernitur haud cernit, pascitur haud comedit. Haud caput, haud oculi, neque dentes, lingua, nec aures, Officium faciunt, pesve, manusve suum.78 76 In alto a sinistra, si legge la formula «Aetatis Suae 17»: nel 1637, tuttavia, i gemelli Colloredo avevano vent’anni, è perciò lecito ipotizzare che questa immagine, coeva al flugblatt di Colonia, sia stata riprodotta da un volantino pubblicitario risalente a quell’epoca. 77 Robert Milbourne, Historia Aenigmatica, vv. 1-4: «Ecco i due fratelli, contemporaneamente uno solo e due gemelli. / Ecco l’animale bicefalo, quadrumane, tripode. / Ecco i fratelli gemelli, che hanno un solo corpo, ma chi sa / se hanno un solo Cuore o una sola mente?» [tutte le traduzioni italiane da questo testo sono di chi scrive]. 78 Ibid., vv. 5-10: «Mostro orrendo, informe infante a cui la luce è stata tolta, / O la mente è priva di luce, o la carne è priva di mente. / Ha una bocca, ma non parla né mai mangia o beve, / è visto ma non vede, si nutre ma non mangia. / Né la testa, né gli occhi, né i denti, la lingua o le orecchie / compiono la loro funzione, né i piedi, né le mani». 311 Nella fantasia di Milbourne, ricca di arguzie barocche, un’immagine fiorisce nell’altra, e se Giovanni Battista è di volta in volta «onus perpes» o «infans perpetuum», Lazzaro è «Sosia et socius», «bajulus», «comes», ma anche, arditamente, «Mater» e «Nutrix»: Fratris onus perpes, perpes quoque fratris alumnus, Infans perpetuum, perpetuusque puer: Frater idem Sosia et socius, noctesque diesque, Bajulus assiduus, accubuusque comes. Frater idem, Mater, Nutrixq; tenella puellum Ventre suo gestans, ventre fovensque suo, A fratris vita, stat fratris vita, salusque, Fratre dolente dolet, Fratre valente valet. Mirus amor fratrum, fratrum quoque gratia rara, cui gens aut aetas vix tulit ulla Parem.79 Nella cura perenne del fratello, Lazzaro era dunque come una madre che accoglie e riscalda il figlio nel grembo, era vita che dava vita, in una simbiosi eterna, nel piacere e nel dolore: una fraternità mai veduta in nessun luogo e in nessun tempo, un vincolo indissolubile, un destino comune, fino all’istante finale. Ma, se questa prima parte della ballata sembrava costruita su un’adesione empatica dell’autore alla sorte dei due fratelli, quasi un’ammirazione di fronte al loro straordinario rapporto, la seconda parte, la «Solutio Aenigmatum», assumeva tutt’altro accento, con sfumature di satira religiosa. Il prodigio – dichiarava Milbourne – nascondeva, infatti, in sé un arcano da sciogliere: Quid tibi portentum portendat, quid tibi prodat Prodigium, monstrum quid tibi monstret, habe.80 79 Ibid., vv. 11-20: «Perpetuo peso al fratello, perpetuo fanciullo: / Il fratello è Sosia e compagno, di notte e di giorno, / guida assidua, e consorte nel sonno. / Il fratello è Madre e tenera Nutrice che porta / nel grembo un fanciullo, lo scalda nel grembo. / Dalla vita di un fratello viene la vita e la salvezza dell’altro, / Quando un fratello ha dolore, ha dolore anche l’altro; quando un fratello sta bene, sta bene anche l’altro. / Mirabile amore dei fratelli, e anche di fratelli rara grazia, / di cui mai se n’è vista una uguale, in nessun popolo, e in nessun tempo». 80 Ibid., vv. 23-24: «Ecco ciò che ti protende il portento, ciò che ti prodiga / il prodigio, ciò che ti mostra il mostro» [nella traduzione, ho tentato di rendere in italiano il gioco etimologico dell’autore]. 312 E quell’arcano era di agevole lettura: il mostro proveniente dall’Italia ‘parlava’ del popolo italiano, della sua stoltezza religiosa, del suo esser imprigionato all’interno di una fede blasfema: En clarum Cleri, Populique Emblema Latini, En Latium Monstrum monstrat utrumque tibi, Monstrum infans populus, fidei cui lumen ademptum, Clerus luce carens, Relligionis inops. Par caecum, stultum, miserum, plebs, clerus, uterque Per caecam vivens, implicitamque fidem. 81 Proprio come Lazzaro, che ha una testa ma è incapace di pensare, che ha occhi ma non può vedere, il popolo cattolico abdica alla sua autonoma capacità di giudizio, e delega ad altri la cura della propria anima e la giurisdizione sulla propria vita spirituale: Ecce tibi caput et ratio queis nil sapere audes, Nec munus praestant mens oculive suum, Scire tuum nihil est nisi te scire hoc sinat alter, Credere nil, nisi quod credere Papa jubet; Si negat ille negas, quod is ait, id ais et ejus In verbum juras sufficit auctoritas. A Papa pendet tua vita, fidesque salusque, Papa errante erras, et pereunte peris.82 La vita del cattolico «pendet» dalle labbra del Papa, come Giovanni Battista pendeva dal corpo del fratello; ma, a differenza di Lazzaro, avveduto e amorevole, il pontefice, 81 Ibid., vv. 25-30: «Ecco un chiaro emblema del Clero e del Popolo Latino, / Ecco: te lo mostra il Mostro Latino. / Popolo mostruoso e infantile, cui è stata tolta la luce della fede, / Clero privo di luce, povero di Religione. / Ugualmente ciechi, stolti, miseri, il popolo e il clero, entrambi / vivono in una fede cieca e contorta» [Latium, e Latinus, usati nel significato ampio di ‘Italia’ e ‘Italiano’, sono attestati nelle fonti medievali e umanistiche]. 82 Ibid., vv. 31-38: «Ecco: hai una testa e una mente con cui riesci a conoscere nulla, / e il pensiero e gli occhi non compiono la loro funzione; / non puoi conoscere niente se non te lo consente un altro, / non puoi credere niente, se non ciò che il Papa ti ordina di credere; / se lui nega, tu neghi, ciò che lui dice, lo dici anche tu, / e giuri che ti basta l'autorità della sua parola. / Dal Papa pende la tua vita, la tua fede, la tua salvezza, / Quando il Papa sbaglia, sbagli anche tu, e quando lui muore, muori tu». 313 nella polemica anticattolica del poeta, era cieco e stolto quanto il fedele che avrebbe dovuto proteggere e guidare: Oh miseram sortem, caecos Comitesque ducesque, Quid vetat in barathrum quin simul ambo ruunt?83 Su questa domanda retorica si chiudeva la ballata di Robert Milbourne; questi, al contrario del suo contemporaneo Parker, non aveva voluto soffermarsi soltanto sull’aspetto prodigioso dei due gemelli, leggendovi la potenza e la grandiosità del «King of Kings», ma aveva scelto la strada della lettura simbolica e dell’aperta polemica religiosa. Entrambi, tuttavia, avevano messo al servizio dei gemelli Colloredo e della loro fama le loro competenze di abili artigiani della scrittura. Dopo la permanenza londinese che, a giudicare dalla quantità e dalla qualità di pubblicazioni dovette essere coronata da grande successo, nel 1638, Lazzaro e Giovanni Battista si recavano in Francia. Oltre alle più importanti città francesi, avevano visitato anche Parigi, come testimoniato da Henri Sauval (1623-1677), che ci dà molte importanti informazioni, attingendo a fonti per noi perdute. La sua descrizione dei gemelli era, infatti, indipendente dalle precedenti, e arricchita di nuovi dettagli, talvolta discordanti dalle altre relazioni: i due bambini avevano battiti cardiaci indipendenti, e mentre uno dormiva l’altro stava sveglio; alla nascita, la testa di Giovanni Battista era più piccola, ed era cresciuta negli anni a causa dell’edema provocato dalla posizione riversa cui lo condannava l’incuria del fratello; le sue mani avevano tre dita, tra cui il pollice; non aveva apparato urinario, ma solo una membrana senza condotti.84 Il resoconto di Sauval non soltanto testimoniava dell’anatomia dei due gemelli, ma era arricchito di interessanti aneddoti sulla loro vita; lo storico francese affermava, ad esempio, che il loro doppio battesimo aveva richiesto il parere del Vicario Generale di Genova, ed era stato confermato addirittura dal papa Paolo V. In un momento imprecisato, ma certo prima del 1638, Lazzaro aveva ucciso un uomo 83 Ibid., vv. 39-40: «Oh, misera sorte, ciechi i compagni e le guide, / chi impedisce che entrambi insieme precipitino nel baratro?».84 Henri Sauval, Histoire et Recherches des Antiquités de la Ville de Paris, 3 tomes, Paris, Charles Moette & Jacques Chardon, 1724, II, pp. 564-565. 314 con una coltellata, ed era stato processato e condannato a morte; la condanna tuttavia non era stata eseguita, poiché la morte dell’omicida avrebbe causato il decesso anche del fratello innocente; durante il viaggio francese Colloredo si era ormai talmente abituato a bilanciare il peso del fratello, che riusciva persino a dedicarsi ad attività sportive. 85 Aveva visitato tutte le città della Francia, e ovviamente Parigi – concludeva Sauval – guadagnando con le proprie performance moltissimo denaro.86 Dopo il tour francese, Lazzaro tornava in Inghilterra per la seconda volta, nel 1639. Una chiara traccia del suo passaggio a Londra si legge in un pamphlet anonimo pubblicato nel 1640, e dedicato a diversi prodigi e fatti strani: I will only remember unto you a very handsome yong man, late (if not now) in Towne, whose picture hath been publickly set out to the common view, and himselfe to be seene for money; who from one of his sides hath a twin brother growing, which was born with him, and is living stil; though having sence and feeling, yet destitute of reason and understanding.87 L’anonimo autore descriveva Lazzaro, che a questo punto aveva ventitré anni, come un «very handsome yong man». D’altra parte, una grande intelligenza dello spettacolo emergeva dall’abitudine, qui testimoniata per la prima volta, e confermata da fonti successive, di porre sulla pubblica via un’immagine di sé (probabilmente analoga all’incisione di Colonia, o al ritratto usato da Milbourne per la sua ballata), così da attrarre i curiosi e suscitare interesse per la sua performance. 85 Ibid., p. 565. L’attività sportiva attribuita da Sauval a Lazzaro è la palla a corda, uno sport antenato del tennis: «Il étoit si accoutumé à porter son frere, que ce fardeau ne l’empêchoit point de jouer à la paume». 86 Ibid. 87 Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog]-faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, who was borne at Wirkham a Neuter Towne betweene the Emperour and the Hollander, scituate on the River Rhyne. Who was bewitched in her Mothers Wombe in the Yeare 1618. and hath lived ever since Unknowne in this Kind to any, but her Parents and a few other Neighbours. And can never recover her True Shape tell she be married, &c. Also relating the Cause, as it is since conceived, how her Mother came so bewitched, London, printed by J[ohn] O[kes] and are to be sold by F. Grove at his shop on Snow-hil, neare St. Sepulchers Church, 1640 [STC (2nd ed.), 22627], sig. A4r. L’anonimo autore proseguiva commentando la nascita prodigiosa di Lazzaro e Giovanni Battista, portando per un attimo il lettore a interrogarsi sul problema teologico delle loro anime: «a disputable question might arise, whether as they have distinct lives, so they are possessed of two soules or have but one imparted betwixt them both; but of this let the Philosophers, or rather the Divines argue and define, being, I must ingeniously confesse, an argument much above my Element» (ibid.). Come abbiamo già visto, e come vedremo ancora, un’analoga domanda nascerà spesso tra i testimoni di questo straordinario prodigio di natura, e continuerà a destare inquietudine a lungo, anche dopo la morte dei due fratelli. 315 Questa volta la permanenza inglese di Lazzaro non è testimoniata soltanto nella capitale: sul Mayor’s Court Book della città di Norwich, alla data del 21 dicembre 1639 si legge che «This daye Larzeus Colloretto have leave to shewe a monnster until the day after twelfe, he shewing to the Court a lycense signed with his Maties owne hand».88 E nell’aprile del 1642, Lazzaro era ancora in tour nelle isole britanniche (non siamo in grado di sapere se egli fosse rimasto sul territorio del regno dal dicembre 1639, o se nel frattempo avesse viaggiato altrove in Europa): pochi giorni prima di Pasqua, lo troviamo in scena ad Aberdeen. Ce ne dà notizia lo storico scozzese John Spalding che, dopo avere descritto l’anatomia dei due fratelli, forniva anche nuovi dettagli sull’organizzazione scenica di questo straordinario impresario di se stesso: Thair cam to Abirdene ane Italian man monster, of about 24 yeires of aige, haveing from his birth growing fra the breist upward, face to face, as it war ane creature haveing heid and syd hair, lyk the cullor of the man’s hair; the haid still drovping bakuardis and dounward. He had eies, bot cloissit, not opnit. He had eires, tuo armes, tuo handis, thrie fingeris on ilk hand, ane body, ane leg, ane fot with six taes; the vther leg within the flesche inclyning to the left syde. It had the prik of ane man, bot no balcod. It had a kynd of lyf, and feilling, bot void of all vther sences, fed by the manis owne noorishment and evacuat that way as his wes. This gryte wark of God wes admired of be many in Abirdene and throw the countreis as he travellit; yit suche was the goodness of oure God that he wold go and walk quhair he listit, carying this birth without ony pane, yea or on-espyit when his clothes wes on. When he cam to the towne he had tuo servandis avaiting upone him, who with him self were weill clad. He had his portraiture with the monster drawin, and hung out at his lodging, to the view of the people. The one servand had ane trumpettour who soundit at suche tyme as the people sould cum and sie this monster, who flocked aboundantlie into his lodging. The vther servand received the moneyis fra ilk persone for his sight, sum less sum mair. And efter there wes so muche collectit as culd be gottin, he, with his servandis, schortlie left the toun, and went southuard agane».89 88 John T. Murray, English Dramatic Companies, 2 vols., New York, Russell & Russell, 1963, vol. II, p. 359.89 John Spalding, Memorialls of the Trubles in Scotland and in England, A.D. 1624-A.D. 1645, 2 vols., Aberdeen, Spalding Club, 1850-51, vol. II, pp. 125-126. Una riscrittura quasi letterale del resoconto (ma priva del racconto di come era organizzato lo spettacolo) si trova in Robb Lawson, The Story of the Scots Stage, New York, Dutton & Company, 1917, p. 93: «April, 1642. About this time travelled in Scotland an Italian aged 24, having from his birth, growing from the breast upwards, face to face as it were ane creature having a head and syde (long) hair like the colour of man’s hair,the head still 316 John Spalding ci informa in tal modo che Lazzaro aveva trovato la maniera di nascondere il fratello sotto il mantello, quando non era ‘in scena’ (Giovan Battista era «on-espyit when his clothes wes on») e che aveva con sé due servitori. Al suo arrivo, metteva come ormai d’abitudine il suo ritratto fuori dall’abitazione «to the view of the people», perché le persone si incuriosissero del suo straordinario aspetto. Lo spettacolo avveniva direttamente in casa: uno dei due servitori suonava una tromba, per avvisare dell’imminente rappresentazione, e la folla «flocked aboundantilie into his lodging» per poter vedere il mostro. L’altro servitore aveva il compito di raccogliere il denaro, e solo quando la ‘compagnia’ aveva raccolto tutto ciò che era possibile, lasciava la città e si dirigeva verso una nuova meta. Il racconto di Spalding consente di vedere chiaramente in azione un talento che non era soltanto scenico, ma anche organizzativo: la performance era calibrata in ogni aspetto, ma grande cura era dedicata soprattutto all’elemento pubblicitario, alla creazione dell’aspettativa e dell’attesa. Grande organizzatore e promotore di se stesso, assiduo frequentatore di fiere e mercati, Lazzaro sapeva quando era il momento di allontanarsi da una città, o da una nazione: lasciatasi alle spalle l’Inghilterra dilaniata dalla guerra civile, nel mese di agosto dello stesso anno si trovava in Polonia. Il viaggiatore inglese Peter Mundy raccontava di averlo incontrato nella città di Danzica: Att my beeing here came to this place one Lazarus Collaretto, an Italian borne att Genoa, a pretty [well set up] yong Man, who had a living, breathing child growing Fast to his belly, somwhatt on one side, having head, hands, Feett, etts., off humaine Shape, although disfformed: a wonderfull spectacle. Hee had bin Formerly here, as allsoe in England, Scottland, Fraunce, Spaine, etts., and could speake all those languages. Hee wentt From hence uppe into Poland and From thence intended For Turky. He came hither against the greatt Domiminicke Faire held here, butt was drooping backwards and downward. He had eyes, but closed, not opened. He had ears, 2 hands, 3 fingers on ilk hand, ane body, ane leg, ane foot with six taes, the other leg within the flesh inclining to the left side. It has a kind of life and feeling, but void of all other sences: fed by the man’s own nourishment. This great work of God was admired of by many in Aberdeen and through the country, as he travelled: yet such was the goodness of God that he would go and walk where he listed, carrying this birth without any pain, yea, unespied when his clothes was on» 317 Forbidden to bee seene by reason off hurt thatt Mightt ensue to Married weomen, especially the younger sortt, through their to[o] strong apprehension or Imagination thereof.90 Nel racconto di Mundy, dunque, Lazzaro aveva già percorso un lungo viaggio attraverso l’Europa, durante il quale aveva appreso diverse lingue; si preparava a cambiare continente, e a portare il suo «wonderfull spectacle» in Turchia; era giunto a Danzica in tempo per la fiera di San Domenico, il 4 di agosto, ma le autorità locali non gli avevano dato licenza, ritenendo la sua deformità troppo angosciante per il pubblico femminile che frequentava quell’animata e celebre occasione di spettacolo e di festa.91 Non sappiamo se Lazzaro, lasciata Danzica, realizzasse il suo progetto di varcare la soglia della Sublime Porta: gli ultimi suoi movimenti di cui siamo a conoscenza riguardano città europee. D’altra parte, lo stato di salute dei due fratelli cominciava a peggiorare, e la maggioranza delle tracce che possediamo sui loro movimenti provengono d’ora in poi da referti medici. Nell’ottobre 1644, il medico tedesco Johann Helwig poté osservarli a Norimberga, lasciando traccia della visita in una delle sue Observationes. Qui, oltre alla consueta descrizione dell’anatomia dei gemelli, segnalava nel maggiore la presenza di un’incipiente malattia cardiaca, che gli procurava sincopi e cardialgie.92 Lo stato di salute dei gemelli peggiorava: si hanno 90 Peter Mundy, The Travels of Peter Mundy in Europe and Asia 1608-1667, 5 vols., edited by Sir Richard Carnac Temple, London, printed for the Hakluyt Society, 1907-1936, IV, pp. 188-189.91 Sull’idea secondo l’immaginazione femminile, turbata dalla visione dei ‘mostri’, potesse influire sulla gestazione e fosse pericolosa per la salute del feto, cfr. Marie-Hélène Huet, Monstrous Imagination, Harvard, Harvard University Press, 1993, specialmente pp. 13-103. Si veda anche sopra, capitolo 3. 92 Johann Helwig [Johannes Helwigius, Obs. 16 p. 44 seq.], in Martin Schurig, Syllepsilogia Historico- Medica: hoc est Conceptionis Muliebris Consideratio Physico-Medico-Forensis qua ejusdem, Locus, Organa, Materia, Modus, in Atretis seu Imperforatis, item Signa et Impedimenta, deinde Didymotokia seu Gemellatio Superfoetatio et Ebryotokia et denique Varia de Graviditate Vera, Falsa, Occulta et Diuturna nec non de Gravidarum Privilegiis Annimique Pathematis et Impressione Raris et Curiosi Observationibus, Dresdae & Lipsiae, sumptibus B. Christoph. Hekelii, 1731, p. 243: «nell’anno 1644, nel mese di ottobre a Norimberga era giunto un uomo mostruoso, di origine italiana, e di ventisette anni d'età, che portava in una fascia un altro uomo, congiunto nella parte anteriore del corpo, sotto l’osso xifoide dello sterno; il maggiore si chiamava Lazzaro, il minore Giovanni Battista Colloredo, nati in una famiglia popolare di Genova, di stato celibe, con le altre parti del corpo disgiunte l’uno rispetto all'altro, entrambi di sesso maschile, uno alto il doppio dell’altro. Il maggiore aveva il volto di colore pallido, barba e capelli biondi; il minore testa grande, volto di colore più vivace, rubicondo, carnagione chiara, barba e capelli neri; entrambi peraltro ben formati, tranne che il minore mancava della gamba destra, e teneva per poco tempo gli occhi aperti, senza battito di ciglia o moto alcuno, e apriva poco anche la bocca, sicché a mala pena si vedevano i denti della mascella superiore; dal lieve moto della bocca e delle guance si deduceva che ruminasse qualcosa, sicché tra le labbra ribolliva un poco di schiuma candida, e mentre accadeva questo il maggiore sentiva più volte una sincope oppure una 318 notizie di tre differenti stati patologici, tra cui una febbre terzana, curati con numerosi salassi. Un altro medico tedesco che ebbe modo di visitarli, Lucas Shroeck, affermava infatti che al sopraddetto Lazzaro, nel corso di tre malattie, più di trenta volte erano stati praticati dei salassi, e non aveva voluto consultare i medici per altre cure. Tuttavia ad Augusta il detto Lazzaro, durante una febbre terzana, terminato il terzo parossismo accettò che gli venisse prescritto un farmaco, con buon successo; e dopo che, per curarsi, aveva bevuto il farmaco, il fratello Giovanni Battista, oltre alla caratteristica già nota di una certa debolezza, era stato tormentato da una salivazione più copiosa di quanto naturalmente fosse solito, ed era apparso molto più inquieto durante il parossismo della febbre.93 Lazzaro iniziava in questo periodo a temere la morte. Ne dà notizia una delle più importanti testimonianze sui gemelli Colloredo (poi citata o tradotta molto frequentemente dai contemporanei), quella del medico danese Thomas Bartholin, che raccontava di averlo visto due volte, prima a Copenaghen e poi a Basilea, nel 1645: Fratello congiunto al petto del fratello: ho visto per la prima volta il genovese Lazzaro Colloredo a Copenhagen, quindi a Basilea, all’età di ventotto anni, ma entrambe le volte con stupore. A questo Lazzaro era congiunto sul petto un fratellino, essendo unite, se ho ben dedotto, le ossa xifoidi di entrambi. Il secondo aveva solo la gamba sinistra, due braccia, soltanto tre dita in ogni mano. Si vedevano tracce di genitali. Muoveva le mani, le orecchie, le labbra se colpito sul torace. Il fratello minore non emetteva secrezioni se non dalla bocca, dalle narici, dalle orecchie, e si nutriva di ciò che mangiava il maggiore. Aveva funzioni vitali separate, poiché dormiva, sudava e si muoveva mentre l’altro era vigile, immobile, asciutto. Entrambi erano stati battezzati con un proprio nome, il maggiore Lazzaro, il minore Giovanni Battista. Gli organi interni, come il fegato la milza, ecc., comunicavano. Gli occhi di Giovanni Battista erano quasi chiusi, la respirazione debolissima, tanto che muoveva appena una piuma, e mettendogli la mano davanti alla bocca abbiamo potuto cardialgia, e questo dolore tuttavia lo sedava rapidamente assumendo del cibo, o un pezzo di pane imbevuto nel vino. Solo il maggiore del resto mangiava e beveva per necessità e piacere, ma entrambi urinavano: ciascuno aveva un proprio polso e un proprio battito cardiaco, evidentemente sussultante» [traduzione italiana di chi scrive]. 93 Lucas Schroeck [Lucas Schroeckius, Additam. Ad Joh. Helwig. Obs. 16. P. 49], in Martin Schurig, Syllepsilogia Historico-Medica, p. 244. Le tre diverse malattie, e i conseguenti salassi, sono ricordati anche in Henri Sauval, Histoire et Recherches des Antiquités de la Ville de Paris, II, p. 565. 319 percepire un esile fiato caldo. Aveva la bocca ampia e aperta, con denti leggermente sporgenti, quasi sempre bagnata di saliva. Solo il capo sembrava assumere dagli alimenti tutta la sua crescita: era infatti molto grande, e maggiore di quello di Lazzaro, ma deforme, con i capelli che pendevano all’indietro a causa della posizione supina. La barba cresceva in entrambi, ma quella di Giovanni Battista era trasandata, quella di Lazzaro ben curata. D’altra parte Lazzaro era di giusta statura, dal corpo ben fatto, di buona educazione ed elegantemente accostumato alla vita di corte. Nascondeva il corpo del fratello mettendovi sopra un mantello, e così lo teneva al caldo, sicché incontrandolo non avresti mai detto che nascondesse un mostro dentro di sé. Sembrava sempre d’animo risoluto, salvo che, di tanto in tanto, era preoccupato del proprio destino, temeva la morte del fratello, presagendo che la putrefazione del gemello avrebbe ucciso anche lui; perciò si curava più del fratello che di sé. Sottopongo ai lettori un’immagine per niente difforme dal vero di questo rarissimo mostro.94 La lunga e completa descrizione dei due gemelli si chiudeva proprio sulla paura di Lazzaro, sulla sua grande sollecitudine nel proteggere il fratello, nel tenerlo al caldo per garantire a lui, e quindi a sé, la sopravvivenza: uniti in tutto, i due fratelli inseparabili sarebbero stati uniti anche nel destino finale. 94 Thomas Bartholin [Thomae Bartholini], Historiarum Anatomicarum Rariorum Centuria I et II, Amstelodami, Apud Ioannem Henrici, 1654, pp. 116-117 [traduzione italiana di chi scrive]. Il racconto di Bartholin è riportato, tra gli altri da Nathaniel Wanley (1678) e William Turner (1697): Nathaniel Wanley, The Wonders of the Little World, or, a General History of Man in Six Books: wherein by many Thousands of Examples is shewed what Man hath been from the First Ages of the World to these Times, in Respect of his Body, Senses, Passions, Affections, his Virtues and Perfections, his Vices and Defects, his Quality, Vocation and Profession, and many other Particulars not Reducible to any of the Former Heads. Collected from the Writings of the most Approved Historians, Philosophers, Physicians, Philologists and others/ by Nath. Wanley, M. A. and Vicar of Trinity Parish in the City of Coventry, London, printed for T. Basset, at the George in Fleet-street: R. Cheswel, at the Rose and Crown in St. Pauls Church-yard: J. Wright, at the Crown in Ludgate-hill; and T. Sawbridge, at the three Flowers de Luce in Little Britain, 1678 [Wing (CD-Rom, 1996), W709], p. 6; William Turner, A Compleat History of the most Remarkable Providences both of Judgment and Mercy, which have hapned in this Present Age extracted from the Best Writers, the Author's own Observations, and the Numerous Elations sent him from Divers Parts of the Three Kingdoms: to which is added, whatever is Curious in the Works of Nature and art/ the whole digested into One Volume, under Proper Heads, being a Work set on Foot Thirty Years ago, by the Reverend Mr. Pool, Author of the Synopsis criticorum; and since undertaken and finish’d by William Turner, Vicar of Walberton, in Sussex. Recommended as Useful to Ministers in furnishing Topicks of Reproof and Exortation, and to Private Christians for their Closets and Families. One Generation shall praise thy Works to another, and shall declare thy mighty Acts. Psal. 145. 4., London, printed for John Dunton, at the Raven, in Jewen-Street, MDCXCVII. [1697] [Wing (CD-Rom, 1996), T3345], pt. II, p. 8; la descrizione di Lazzaro e Giovan Battista Colloredo era riferita ancora alla fine del Settecento tra le pagine del ‘Gentleman’s Magazine’ (John Green, ‘Though I cannot wholly gratify your correspondent’, Gentleman’s Magazine and Historical Chronicle, XLVII, 1777, pp. 482483). 320 A corredo della descrizione, Bartholin accludeva un nuovo ritratto dei due gemelli, nel quale è possibile intravvedere quell’uomo «di giusta statura, dal corpo ben fatto, di buona educazione ed elegantemente accostumato alla vita di corte» descritto nel testo. Lazzaro indossava una ricca veste, un ampio mantello, stivali con gli speroni e addirittura una spada pendeva dal suo fianco sinistro: col mantello chiuso, Colloredo doveva apparire come un ricco gentiluomo aduso alle corti del XVII secolo (fig. 34). Le ultime notizie dello straordinario tour dei gemelli vengono da due fogli pubblicitari illustrati. Il primo è un flugblatt che documenta la loro presenza a Strasburgo sempre nell’anno 1645; in esso Lazzaro è rappresentato frontalmente, porta un cappello e dall’apertura anteriore del mantello emerge, tuffato all’indietro, il gemello parassitico; l’imponente figura di Lazzaro si appoggia ad un tavolo, lo sfondo non presenta dettagli (fig. 35). Una menzione merita l’iscrizione apposta in calce all’immagine: se nelle fonti precedenti Giovanni Battista era sempre stato descritto come privo di coscienza, di voce e di parola, il flugblatt di Strasburgo informava invece di una non meglio precisata capacità comunicativa tra i fratelli; nel breve testo a commento dello spettacolo si leggeva infatti: «il maggiore comunica anche per il più piccolo».95 Una notizia difficilmente verificabile, e soprattutto molto inverosimile, dato che i sintomi della patologia di Giovanni Battista (specialmente la grossa testa) hanno fatto ipotizzare che fosse affetto da idrocefalia.96 È suggestivo immaginare che la fantasia teatrale di Lazzaro avesse a questo punto ideato una sorta di messinscena, di ‘ventriloquio’ o di finta telepatia, per rendere ancora più spettacolare la performance. L’ultima traccia dei due gemelli è invece un foglio volante italiano, «per Alberto Ronchi intagliato l’anno 1646 in Verona», nel quale Lazzaro è rappresentato ancora una volta durante un’esibizione: in alto, due drappi circoscrivevano lo spazio scenico, caratterizzato da uno sfondo spoglio, e da un pavimento a scacchi bianchi e neri; a sinistra, un tavolo sul quale era appoggiato il cappello; a destra, si intravvedeva un varco buio, presumibilmente la quinta d’ingresso; al centro il nostro protagonista, al solito sfarzosamente abbigliato, con colletto di pizzo, la spada al fianco sinistro, gli 95 Anonym, Wahre Abbildung zweyer Zwilling, [Strasbourg, 1645]. 96 Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. xv. 321 alti stivali e una blusa ricamata, aperta a far emergere l’ingombrante fratello (fig. 36). Al di sotto dell’immagine, un’iscrizione la definiva Vera Effigie d’uno Maraviglioso parto seguito in Genoua Addi. 12 Marzo 1617. di due frateli nati atachati insieme nel modo che qua si vede in questo disegno il piu alto è intiero e disposto che Cibandosi lui nutrise il minore il quale e nominato Gio:Batista e l’altro e Chiamato Lazaro figlioli di Batista Coloretto e Pellegrina sua moglie quel che rende Maggiore stupore e si come sono divisi dormendo l’uno l’altro al piu delle volte veglia e i dolori de uno l’altro non sentano; e sono totalmente disismile complesione e di tanta Maraviglia che tutti li Prencipi di Europa si sono dilettati di vederli.97 Divisi nel sonno, ma non nel destino finale, da questo momento Lazzaro e il suo gemello parassitico scomparvero del tutto: per un loro ‘ritiro dalle scene’ o, più probabilmente, viste anche le non confortanti notizie sul loro stato di salute, per la loro morte. La fama dei «two inseparable brothers» fu tuttavia lunga e duratura, e lasciò ancora parecchie tracce nella letteratura inglese. La loro indimenticabile unione, ad esempio, fornì una straordinaria metafora al poeta Alexander Brome, che nella sua poesia To his Friend I. B. (1668) intendeva celebrare un’indissolubile amicizia. Come Lazzaro e suo fratello erano fusi nella carne, così i due amici erano uniti nello spirito: My self am from myself, both here and there I Suppose my self grown an Ubiquitary. We are a miracle, and ’tis with us As with John Baptist and his Lazarus: I thou, and thou art I, and ’tis a wonder, That we both live, and yet both live asunder: Come then, let’s meet agen: for until we Unite, the times can’t be a unity. But if this distance must still interpose 97 Alberto Ronchi, ‘Vera Effigie d’uno Maraviglioso parto seguito in Genoua, Verona, 1646’, in Eugen Holländer, Wunder, Wundergeburt und Wundergestalt in Einblattdrucken des Fünfzehnten bis Achtzehnten Jahrhunderts, Verlag von Ferdinand Enke, Stuttgart, 1921, p. 105, fig. 47. 322 Between my eye and thee, yet let us close In mind and though our necks by-forked grown, Spread-Eagle like, yet let our Breasts be one.98 La stessa immagine (e con la stessa confusione tra i due fratelli, per la quale Lazzaro dipende da Giovanni Battista, e non viceversa, come nella realtà), fu usata con intenti satirici da un altro poeta del Seicento, John Cleveland (1613-1658). La sua poesia Smectymnuus, or the Club Divine nasceva nell’ambito della cosiddetta Smectymnuus Controversy, che aveva visto cinque prelati puritani contrapposti al vescovo anglicano Joseph Hall su questioni dottrinali negli anni 164142, proprio quelli della permanenza inglese dei due gemelli Colloredo.99 Nell’intento satirico di Cleveland, Lazzaro e Giovanni Battista fornivano la metafora adatta per esprimere la mostruosità dei cinque puritani: So the vain Satyrists stand all a row As Hallow Teeth upon a Lute-string show. Th’ Italian Monster pregnant with his Brother, Nature’s Diaeresis half one another; He with his little Sidesman Lazarus Must both give way unto Smectymnuus. Next Strubridge Fair is Smec’s; for lo his side Into a five-fold Lazar multipli’d. Under each Arm there’s tuck’d a double Gizzard, Five Faces lurk under one single Vizard.100 98 Alexander Brome, Songs and other Poems by Alexander Brome Gent. The Third Edition enlarged, London, printed for Henry Brome, at the Star in Little Britain, 1668 [Wing (2nd ed., 1994), B4854], p. 224. 99 Il libro che generò la controversia, An Humble Remonstrance to the High Court of Parliament, fu pubblicato dal vescovo Joseph Hall nel 1641. Quello stesso anno i prelati puritani Stephen Marshall, Edmund Calamy, Thomas Young, Matthew Newcomen, and William Spurstowe presentarono la loro risposta, sotto lo pseudonimo collettivo SMECTYMNUUS, costruito con le loro iniziali. Hall rispose con A Short Answer to the Vindication of Smectymnuus (1641). Alla controversia partecipò anche John Milton, con i due pamphlet Animadversions upon The Remonstrants Defence Against Smectymnvvs (1641) and Apology for Smectymnuus (1642). Sulla ‘Smectymnuus controversy’ cfr. Todd Butler, Imagination and Politics in Seventeenth Century England, Burlington, Ashgate, 2008, pp. 108-110. 100 John Cleveland, ‘Smectymnuus, or the Club-Divines’, in Id. The Works of Mr. John Cleveland, containings his Poems, Orations, Epistles, collected into One Volume, with the Life of the Author, London, printed by R. Holt, for Obadiah Blagrave, at the Bear and Star, over against the little North Door in St. Paul’s Church-yard, 1687 [Wing (CD-ROM, 1996), C4654], p. 28. 323 Smectymnuus era dunque per Cleveland un mostro pentagemellare, un Lazzaro moltiplicato, davanti al quale i gemelli italiani non potevano che «give way». Nel suo attacco polemico, tuttavia, lo scrittore inglese dava la definizione forse più ardita, certo la più affascinante e poetica, dei fratelli inseparabili: nel gioco barocco dell’arguzia concettosa, «Th’Italian Monster pregnant with his Brother» era anche «Nature’s Diaeresis half one another»; Lazzaro e Giovan Battista erano dunque quasi l’uno figlio dell’altro, uniti ma anche separati, come nel fenomeno prosodico della dieresi, che scinde in due sillabe distinte le vocali accostate. Ancora nel 1691, lo straordinario caso di Lazzaro e Giovanni Battista poneva la sua irrisolta domanda. Nel numero di dicembre di quell’anno, infatti, una delle Questions dell’Athenian Oracle (la rubrica della rivista Athenian Mercuries dedicata alle domande dei lettori), poneva un quesito riguardo al destino dei due gemelli nel giorno del giudizio: «We have an account in Barth[olin] Hist[oriarum Anatomicarum Rariorum] of a monstrous birth, two brothers born together, both baptized, &c. Query, How shall they arise at the day of judgment?». Dopo aver tradotto integralmente il racconto di Thomas Bartholin, l’anonimo redattore osservava che we find no Lineaments of a Rational Soul in Baptista, nor so much of the Animal as Brutes have. His Brother shall rise without him at the Day of Judgment; for there will be no Monsters at the Resurrection. And if Baptista be not rational, he will be reckoned in the Classis only of Animals: but if he has a Rational Soul, wich is only hindered acting, by the unfitness of Improper Organs, then he will be rank’d amongst Children, Fools and Ideots, at the last Day; but he will rise separate, with a perfect Body, not with another Body, but the same Specifick Body, adapted and fitly organized for a future State.101 L’antico problema della duplicità delle anime nei gemelli Colloredo, che già aveva angustiato i religiosi genovesi alla loro nascita, ponendo una forte inquietudine sull’opportunità di battezzarli con uno o due nomi, trovava nel quesito sul loro destino ultraterreno il suo inevitabile contrappunto. Nella sua risposta, l’anonimo dell’Athenian Mercury proponeva una soluzione teologica ambivalente: se Giovanni 101 AA. VV. The Athenian Oracle. Being an Entire Collection of all the Valuable Questions and Answers in the Old Athenian Mercuries. Intermix’d with many Cases in Divinity, History, Philosophy, Mathematics, Love, Poetry, never before published. To which is added an Alphabetical Table for the speedy finding of any Questions. By a Member of the Athenian Society, 4 vols., London, printed for Andrew Bell, atthe Cross-Keys and Bible, in Cornhill, near Stocks Market, 1703, I, pp. 60-61. 324 Battista era nato senza anima razionale, non c’era posto per lui nel regno dei giusti; se l’aveva avuta, ma non aveva potuto esplicarsi per un difetto organico, sarebbe risorto tra i bambini e i pazzi; in ogni caso, sia Lazzaro che il suo gemello avrebbero avuto un corpo sano e compiuto, dopo l’Apocalisse, poiché «there will be no Monsters at the Resurrection».102 Lazzaro e Giovanni Battista costituirono un caso davvero raro e fortunato: se pochissimi dei bambini di cui ci stiamo occupando riuscirono a superare le prime ore di vita, i due gemelli Colloredo non solo sopravvissero molti anni (come abbiamo visto, le testimonianze giungono fino al loro ventinovesimo anno di esistenza), ma – grazie all’incredibile talento scenico di Lazzaro – riuscirono a trarre profitto dalla loro condizione di disabilità, e ad avere una vita relativamente confortevole. Le fonti che abbiamo analizzato ci raccontano di un uomo forte, sempre in viaggio, capace di parlare molte lingue, di organizzare uno spettacolo e di pubblicizzarlo adeguatamente, impresario di se stesso e – almeno alla fine della sua ‘carriera’ – in grado di portare con sé due servitori. La memoria di quest’uomo straordinario era ancora viva nel 1697, quando John Evelyn, nel comporre una lunga lista di persone ragguardevoli, lo metteva tra i personaggi degni di onore: I have taken the Pains of Collecting the Names of the most renowned, Famous and Illustrious of our own, and other Nations worthy the Honor of Medal, or at least of some Memory, as might in any sort upon one occasion or other, possibly contribute to the History of the Times and Persons […]. To these add Lazarus the Italian, whose Brother grew out of his side.103 102 Alcuni mesi più tardi, un’altra Question – con tutta probabilità riferibile ancora ai fratelli Colloredo – tornava a porre il problema del loro destino ultraterreno. Nella risposta fornita dalla redazione della rivista si intravvedeva quali erano state le circostanze della loro morte: «Q. Was that Lazarus whom we read of at Venice, and other places, who had a little Brother growing out of his side, two men or one? – Had he two Souls, or one, and how shall they rise at the Day of Judgment? A. It had been a noble piece of Curiosity indeed to have dissected that Person after his Death, to have made Observations how the Nourishment or Blood was conveyed out of one into the other. If we remember that Story aright, these two had different Sentiments and Perceptions of things, one of them often appearing pleased when the other was Laughing, – which sufficiently evinces they had different Passions, accordingly different Souls, and therefore must be different Men, and hence as they had different Deaths, the little Brother, as he was call’d, Dying first, though the other did not long survive him, so undoubtedly they shall be Distinctly raised. – But how the second shall have his own Body restored again, and that compleatly, though he never had any more than the upper part of a Man, let those look to it, who think that ’tis not enough the Bodies of Men should be specifically of the same Matter they were before, at the Resurrection» (The Athenian Oracle, I, p. 327). Come Lazzaro aveva temuto, dunque, Giovanni Battista era morto per primo, e lui aveva dovuto seguirlo dopo poco tempo. 103 John Evelyn, Numismata. A Discourse of Medals, Antient and Modern. Together with some Account of Heads and Effigies of Illustrious, and Famous Persons, in Sculps, and Taille-Douce, of whom we have no Medals extant; and of the Use to be derived from them. To wich is added a Digression 325 Poche righe dopo il nome di Lazzaro, si poteva leggere: «To these belong Barbara the hairy Maid».104 Si trattava di una donna affetta da ipertricosi che, come Lazzaro, aveva messo in mostra per tutta l’Europa la sua inusitata patologia e i suoi straordinari talenti. 6.3 The Hairy Maid who played well on the Harpsichord: l’arte malinconica di Barbara Urslerin Nel 1640, presso l’editore londinese Francis Grove, «at his shop on Snow-hil, neare St. Sepulchers Church», si trovava in vendita un piccolo pamphlet anonimo dedicato al racconto di diversi prodigi e fatti strani. Tra gli altri, l’autore rammentava di aver visto una bambina di sette anni, ricoperta di peli su tutto il corpo, straordinariamente educata ed istruita: A Girle about the age of seven yeares who was so hairy, hands, face, and body, that you would have thought Orson to have been her father, & some she Bear her mother, yet had she her speech sences, and all other deportments of a child of her age; who had been well educated and instructed.105 È probabilmente questo il primo accenno alla presenza nella capitale inglese di Barbara Urslerin, celebre ‘hairy maid’ del Seicento, e unico caso noto di persona affetta da ipertricosi sopravvissuta fino all’età adulta nell’Europa del XVII secolo.106 La sua nascita, avvenuta il 16 febbraio 1629 nel villaggio di Mursellers, vicino alla città bavarese di Kempten, era registrata in un Flugblatt tedesco; al centro, in alto, concerning Phisiognomy, London, printed for Benjamin Tooke at the Middle Temple-Gate, in Fleetstreet, 1697 [Wing (CD-ROM, 1996), E3505], pp. 257, 277.104 John Evelyn, Numismata. A Discourse of Medals, Antient and Modern, p. 277. 105 Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog]-faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, sigg. A4v-A4r. 106 Per una breve biografia di Barbara Urslerin, corredata di alcune fonti, si vedano Philip H. Highfill, Jr., Kalman A. Burnim, Edward A. Langhans, A Biographical Dictionary of Actors, Actresses, Musicians, Dancers, Managers & Other Stage Personnel in London, 1660-1800, 16 vols., Carbondale, Southern Illinois University Press, 1973-1993, XV, pp. 103-104; un breve racconto, con apparato di fonti incompleto anche in Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, pp. 1-6. Per un buon elenco di fonti antiche: Wilhelm Stricker, ‘Zwei ältere Fälle von Hypertrichosis’, Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und für klinische Medicin, 71, 1877, pp. 111-113; due contributi recenti e abbastanza completi in Mark A. Johnston, ‘Bearded Women in Early Modern England’, Studies in English Literature, 47, 1, 2007, pp. 1-28 e Margaret A. Katritzky, ‘A Wonderfull Monster borne in Germany. Hairy Girls in Medieval and Early Modern German Book, Court and Performance Culture’, German Life and Letters 67, 4, 2014, pp. 467-480. 326 circondata dal lungo testo di una ballata in rima, un’immagine mostrava la piccola Barbara disposta su un cuscino, con l’intero corpo ricoperto di peli, e già un accenno di quella che sarebbe diventata la sua celebre, fluente barba (fig. 37).107 Nel 1632 il medico ebreo portoghese Abraham Zacuth esaminò una «puella barbata» dell’età di tre anni, che con molta probabilità è da identificare con Barbara: Bambina irsuta. Ho visto una bambina di tre anni, graziosa e bella, con una grande barba, il cui corpo era interamente ricoperto di peli, e dalle sue orecchie scendevano dei peli folti, arruffati e numerosi, lunghi un palmo e mezzo. Degli ambulanti mostravano in pubblico e per denaro questa meraviglia.108 Sia la cronologia (Barbara aveva effettivamente tre anni nel 1632) che la descrizione della patologia (tutte le attestazioni certe su Urslerin sottolineano la copiosa peluria che sorgeva dalle sue orecchie) rendono molto suggestiva l’identificazione di questa «bambina irsuta» con la barbuta di Kempten. Se così fosse, avremmo la certezza che, fin da tenerissima età, i genitori (o dei non meglio precisati «ambulanti») la mostrassero in pubblico per denaro. La carriera di Urslerin cominciò dunque molto presto, e suo malgrado. A questi primi anni di ‘tournée’ europea si deve probabilmente il primo approdo in Inghilterra, avvenuto quando Barbara era «a Girle about the age of seven yeares», quindi alla fine degli anni Trenta.109 Più o meno nello stesso periodo dovrebbe essere stata vista a Copenaghen dal medico danese Thomas Bartholin: Bambina irsuta e barbata. Ho visto a Copenhagen e poi in Belgio una bambina di circa sei anni – che i genitori portavano in giro e mostravano a chiunque pagasse – irsuta su tutto il corpo, e ricoperta di peli di colore chiaro. Dalla cavità interna delle 107 Christoph Kraus, Ein erschröckliche / vnd doch warhafftige Newe Zeitung / von einer erschröcklichen Mißgeburt, getruckt zu Kempten im Jahr Christii 1629. L’identificazione della bambina descritta in questo documento con Barbara Urslerin si deve a Margaret A. Katritzky, ‘A Wonderfull Monster borne in Germany. Hairy Girls in Medieval and Early Modern German Book, Court and Performance Culture’, p. 479. Il documento era stato precedentemente citato in Eugen Holländer, Wunder, Wundergeburt und Wundergestalt in Einblattdrucken des Fünfzehnten bis Achtzehnten Jahrhunderts, p. 277; Dorothy Alexander, Walter L. Strauss, The German Single-Leaf Woodcut, 1600–1700. A Pictorial Catalogue, 2 vols., Abaris Books, New York 1977, I, p. 338. 108 Abraham Zacuth [Zacuti Lusitani], Praxis Medica Admiranda: in qua, Exempla Monstrosa, Rara, Nova, Mirabilia, circa abditas morborum causas, signa, eventuus, atque curationes exhibita, diligentissime proponuntur, Lugduni [Lione], apud Ioannem-Antonium Huguetan, 1636, p. 504 [traduzione italiana di chi scrive]. 109 Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog]-faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, sigg. A3v-A4r. 327 orecchie pendevano dei ciuffi più lunghi, non ineleganti, il mento era barbato, con peli dello stesso colore chiaro, che scendevano obliquamente.110 Anche in questo caso, come già per Abraham Zacuth, l’attribuzione è solo ipotetica, ma molto probabile.111 Oltre a ribadire la straordinaria descrizione della sua lunga barba, Bartholin confermava che Barbara era mostrata in pubblico dai genitori, «soluto precio», cioè a pagamento. Una testimonianza di poco successiva la vede esposta a Parigi, nel 1646. Nel suo diario Voyage de Paris en Italie, infatti, il viaggiatore francese Elie Brackenhoffer narrava d’essersi imbattuto in una grande fiera parigina, della quale descriveva con dovizia di particolari le attrazioni: una leonessa, una vacca con cinque gambe, un delfino mostruoso, un uomo senza mani, un funambolo e un dromedario. Ma niente aveva attratto la sua attenzione come la ‘donna irsuta’, che egli descriveva in età di diciassette anni e di origine tedesca: anche in questo caso non si può sfuggire alla tentazione di identificarla con Barbara Urslerin. Brackenhoffer la descriveva adorna di una barba lussureggiante e soffice come la seta, con boccoli molto curati e pettinati. Tanta era la sua curiosità, affermava, da spingerlo a pagare un compenso addizionale per poterla vedere senza vestiti. Ottenuto il privilegio, il viaggiatore poteva raccontare che la schiena della ragazza era ricoperta di una peluria fitta e soffice, i seni erano rotondi e bianchi, e meno pelosi del resto del corpo. Brackenhoffer terminava il suo racconto asserendo di aver potuto constatare che quell’essere straordinario era veramente una donna e non un ermafrodito: non è questa l’ultima volta in cui Barbara fu costretta a sottoporsi a tale umiliante invasione del suo corpo.112 Il viaggio di Barbara Urslerin la portava, alla fine degli anni Quaranta, in Italia, quindi in Germania.113 Per qualche tempo tutte le notizie su di lei restano legate 110 Thomas [Thomae Bartholini], Historiarum Anatomicarum Rariorum Centuria I et II, p. 68 [traduzione italiana di chi scrive]. 111 L’identificazione della «puella hirsuta & barbata» di Bartholin con Urslerin è antica, e si deve al medico polacco Georg Seger, Miscellanea Curiosa, sive Ephemeridum Medico-Physicarum Germanicarum Accademiae Naturae Curiosorum Annus Nonus et Decimus, Vratislaviae & Bregae, Typis Johannis Christophori Jacobi, 1680, p. 246: «e costei [Barbara Urslerin], se deduco correttamente, è quella stessa «puella hirsuta» di cui scrive il mio celeberrimo Bartholin» [traduzione italiana di chi scrive]. 112 Cfr. Elie Brackenhoffer, Voyage de Paris en Italie 1644-1646, Paris, Berger-Levrault, 1927, p. 70, citato in Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. 2. 113 Anche le testimonianze sul viaggio in Italia sono solo ipotetiche, ma molto probabili: nel 1647, il medico tedesco Georg Hieronymus Welsch la vide forse a Roma e nel 1648 a Milano, come attestato, 328 alla sua terra natale. Nel 1651 l’incisore Isaac Brun realizzò un bellissimo ritratto che la rappresentava frontalmente, nell’atto di suonare un clavicembalo (fig. 38). A questa altezza cronologica, dunque, la performance di Barbara aveva raggiunto quella complessità con la quale è ricordata nelle fonti più tarde: il suo aspetto ferino trovava un contrappunto fortemente contrastante nella grazia della musica, grazia che era ulteriormente accentuata dalla cura con cui la ragazza era acconciata e vestita.114 Nel 1653 la troviamo ad Augusta, nei pressi della sua città natale, dove un artista locale eseguì un nuovo ritratto, che la mostrava in piedi a figura intera: i capelli e le folte sopracciglia erano raccolti all’indietro, a lasciare libera la fronte; i celebri ciuffi pendevano dalle orecchie sulle spalle; le maniche del vestito leggermente sollevate lasciavano intravvedere i polsi irsuti; la posa e il vestito accentuavano lo stridente contrasto tra la grazia femminile e l’ipertricosi (fig. 39).115 Nel 1655 era ancora in tournée in Germania, ma nel frattempo una grande novità era intervenuta nella sua vita: Eberhard W. Happel attesta, infatti, che Barbara «un anno prima o giù di lì si era sposata con un uomo dal quale non aveva ancora ancora, da Georg Seger, Miscellanea Curiosa, p. 246: «non arrivo ad asserire con certezza che [Barbara Urslerin] coincida con la ragazza che il celeberrimo Welsch afferma di aver visto a Roma e a Milano; tuttavia, non fa altrove menzione, a quel che so, di questa sua conterranea»; cfr. Georg Hieronymus Welsch, Observationum Medicarum Episagma, 96, 1657, citato in Wilhelm Stricker, ‘Zwei ältere Fälle von Hypertrichosis’, p.111): «ho visto una ragazza ricoperta su tutto il corpo di peli soffici e biondi, e straordinaria per la sua lunga barba». Georg Seger, Miscellanea Curiosa, p. 246, riferiva anche la testimonianza di un altro medico, il francese Pierre Borel, il quale aveva incontrato una donna barbuta di nome Barbam (con un forse involontario gioco di parole), ma aveva attribuito ad impostura le sue straordinarie caratteristiche: «né [Barbara Urslerin] mi sembra differire da quella descritta da Pierre Borel, che lui chiama Barba’ nella Observatio 10, in cui crede che si fosse procurata quella pelosità con un artificio» [Tutte le traduzioni dal latino sono di chi scrive]. 114 La forte fascinazione generata da Barbara Urslerin, e la motivazione profonda del suo grande successo di pubblico in tutta Europa, sta proprio nel forte contrasto da lei incarnato, nel suo essere un vero e proprio ‘ossimoro’ vivente, che mette in vivida dialettica bipolare il maschile e il femminile, la giovinezza e la vecchiaia, il ferino e il civilizzato. Esprime con grande potenza questo equilibrio dinamico presente in Barbara, nella percezione dello spettatore, Margaret A. Katritzky: «Learned physicians and scientists continued to flock to Urslerin’s public exhibitions, challenged and intrigued by the ways in which medical and lay perceptions of her hair blurred multiple boundaries. These were between young and old, the immature, mature and post-fertile, male and female, groomed and unkempt, law-abiding, civilised citizens and natural, free Wild Men, familiar and foreign, even, and most disturbingly, between the hunter and the hunted, the human, the bestial and the supernatural» (‘A Wonderfull Monster borne in Germany. Hairy Girls in Medieval and Early Modern German Book, Court and Performance Culture’, p. 480). 115 Questo raro ritratto è riprodotto da Alexander Ecker, che lo trovò conservato in una collezione privata nella città di Basilea (‘Ein Neu Aufgefundenes Bild eines Sogenannten Haarmenschen (i. e. eines Falles von Hypertrichosis Universalie), Archiv für Anthropologie. Zeitschrift für Naturgeschichte und Urgeschichte, 11, 1879, pp. 176-178). 329 avuto bambini».116 Il marito, come sapremo da fonti successive, si chiamava Michael Van Beck. In quell’anno anche il medico polacco Georg Seger incontrava Barbara: Nell’anno 1655, si mise in mostra a pagamento, per essere vista e toccata da tutti coloro che lo desiderassero, una donna della città di Augusta, detta Barbara, figlia di Balthasar Ursler, che allora aveva ventidue anni, e che per tutto il corpo e persino sul volto era ricoperta di peli ricci, biondi e morbidissimi come la lana. Dalle orecchie pendevano ciocche ancor più lunghe e bionde. […] Metto qui una sua immagine, poiché merita di essere vista, per la sua bellezza.117 Il testo di Seger è il primo che racconta di Urslerin ormai adulta, definitivamente liberatasi dalla tutela genitoriale: nelle parole del medico polacco, infatti, non era più una «puella», una bambina, ma una «mulier», una donna che «si metteva in mostra a pagamento». Stando a quanto egli riferiva, la donna avrebbe avuto ventidue anni, mentre nel ’55 Barbara ne aveva ventisei: una incoerenza con ogni probabilità dovuta a Urslerin stessa, o al suo marito/impresario: mentire sull’età della donna barbuta, ringiovanendola, rendeva ancora più straordinaria la sua prodigiosa ipertricosi. Il testo ci informa inoltre su alcune caratteristiche della ‘performance’ di Barbara: se infatti l’autore non conservava memoria di un momento musicale dello spettacolo (come invece emerge nel ritratto di Brun del 1651), dichiarava esplicitamente che il rapporto tra il pubblico e la performer non si limitava all’aspetto visivo, ma implicava anche – come testimoniato già da Brackenhoffer a Parigi – un momento in cui Urslerin poteva essere toccata.118 C’è inoltre un ulteriore aspetto del testo di Seger sul quale vale la 116 E. Eberhard W. Happel [G. Happelii], Grössester Denckwürdigkeiten der Welt oder so genandte Relationes Curiosae. Worinnen dargestellet/ außgeführet und erklähret werden Die Denckwürdigste Seltzamkeiten/ So da in Historien, natürlichen Wundern / am Simmel auff und in der Erden wie auch in und unter dem Meer zu finden Senn. Andrer Theil einem jeden curieusen Liebhaber zu gut auffgeseßet in Druck verfärtiget und mit vielen Figuren erläutert, Hamburg, gedruckt und verlegt durch Thomas von Wiering, 1685, p. 316 [traduzione italiana di chi scrive]. 117 Georg Seger, Miscellanea Curiosa, p. 246. Al termine della sua breve nota, Seger allegava effettivamente un’immagine di Barbara al clavicembalo, tratta dall’incisione di Brunn del 1651 (fig. 38). Il testo di Seger è riportato, tradotto in inglese, in James Caulfield, Portraits, Memoirs and Characters of Remarkable Persons, from the Reign of Edward the Third to the Revolution. Collected from the most Authentic Accounts Extant. A New Edition with many Additional Rare Portraits, 2 vols., London, printed for R. S. Kirby, 1813, II, p. 168-169. 118 Jan Bondeson si domanda se nello sfruttamento operato su Barbara Urslerin da parte del marito Van Beck avesse un qualche spazio anche la prostituzione (The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. 6). Senza arrivare a questo tipo di conclusioni, si può tuttavia prudentemente affermare che lo spettacolo non nascondesse momenti di erotismo morboso: il testo latino di Seger, dice infatti che Barbara «contrectandam exposuit omnibus» (‘si mise in mostra per essere toccata da tutti’), e il verbo latino ‘contrecto’ usato dall’autore porta con sé significazioni molto forti, in cui oltre al senso medico 330 pena di soffermarsi: il medico, infatti, affermava che la ragazza era «dicta Barbara»; ‘denominata’ Barbara, ma anche ‘che si fa chiamare’ Barbara, quasi suggerendo, in questo modo, la possibilità che il nome fosse fittizio. Costruito su una figura etimologica Barbara/Barba (nella quale non solo si ribadiva la caratteristica dell’ipertricosi, ma si metteva in gioco contemporaneamente la confusione maschile/femminile e l’estraneità quasi barbarica), il nome di Urslerin poteva funzionare anche come un nome d’arte. Nel 1656, Barbara tornò in Inghilterra. Un suo magnifico ritratto, che la vede in piedi, di tre quarti, con il braccio sinistro appoggiato a un tavolino su cui si intravvede un organo a canne, fu realizzato a Londra da Richard Gaywood (fig. 40). La didascalia, bilingue, recitava: Barbara, uxor Iohannis Michaelis Van.Beck, nata Augustae Vindelicorum in Germania Superiori (vulgo Auspourge) ex parentibus Balthazaro et Anna Ursler. Anno Christi 1629 Feb[ruari] 18. R. Gaywood fecit Londi[ni] / The Livelie Portrature of Barbara wife to Michael Van Beck, borne at Auspourg in high Germanie the Daughter of Balshazzar and Ann Ursler: aged 29 Anno Dom. 1656. A parte l’evidente errore sull’età di Barbara (l’autore della didascalia scriveva la data di nascita esatta, 18 febbraio 1629, ma poi affermava un’età di ventinove anni, anziché ventisette), è importante notare, ancora una volta, che Barbara era ormai prima di tutto «wife to Michael Van Beck», l’uomo che l’aveva sposata e che era diventato il suo impresario. Il ritratto valorizza con grande sensibilità la figura di Urslerin, senza porre l’accento sull’aspetto morboso della sua malattia, ma piuttosto focalizzando l’attenzione sull’importanza del suo talento musicale: tutta la composizione (la posa in tre quarti verso la destra dell’osservatore, il braccio posato verso l’organo) contribuisce a portare l’occhio di chi guarda verso quello che era probabilmente lo di ‘visitare’ non mancano esplicite sfumature oscene (‘tastare, ‘palpare’; cfr. Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, IL. Vocabolario della lingua latina, Torino, Loescher, 1966). Lo stesso Bondeson su questo tema giunge a conclusioni molto prudenti: il fatto che Barbara fosse costretta a prestazioni sessuali «is possible, but by no means necessary. At this time it was the custom that any person paying to see a human or animal curiosity also had the right to thoroughly examine the creature on show, to make sure there was no imposition […]. None of Barbara Urslerin’s visitors had seen anything like her before, and those who wanted to make sure she really was a true woman, from motives of lechery, curiosity, or scientific inquiry, were free to do so, after paying an additional fee» (The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. 6). 331 strumento di scena durante questa tournée. Anche le pareti alle spalle di Barbara, nude e senza ornamenti, lasciano pensare a quinte teatrali: siamo con tutta probabilità di fronte ad un vero e proprio ritratto scenico. Dopo una testimonianza che, in quello stesso anno, la colloca a Leida, nel settembre dell’anno successivo Urslerin è ancora a Londra.119 Ne dà testimonianza John Evelyn, corrispondente della Royal Society, nel suo diario: 15th September, 1657. Going to Lond. with some Company, […] I also see the hairy Maid, or Woman, whom twenty years before, I had also seen when a child: her very Eyebrowes were combed upward, & all her forehead as thick & even as growes on any womans head, neately dress’d: There come also two locks very long out of each ear: she had also a most prolix beard, & mustachios, with long locks of haire growing on the very middle of her nose, exactly like an Island [Iceland] Dog; the rest of her body not so hairy, yet exceeding long in comparison, armes, neck, brest & back; the Color of a bright browne, & fine as well-dressed flax: She was now married, & told me had one Child that was not hairy, as nor were any of her parents or relations. She was borne at Ausburg in Germanie, & for the rest very well shaped, and plaied well on the Harpsichord.120 Evelyn cominciava il suo racconto affermando di aver già visto Barbara da bambina, «twenty years before»: questo significa che anche lui era presente tra gli spettatori del precedente tour inglese degli anni Trenta, quando il pubblico di Londra aveva potuto contemplare una bambina irsuta «about the ages of seven yeares». Il ritratto composto da Evelyn convergeva con quello realizzato da Gaywood l’anno prima: le folte sopracciglia erano raccolte in alto, liberando la fronte; le famose ciocche pendevano dalle orecchie, accanto alla barba e ai baffi; la donna era non solo «well shaped» ma anche «neatly dressed». Tuttavia Evelyn non sfuggiva alla 119 La presenza di Barbara Urslerin a Leida nel 1656 è testimoniata da una lettera del medico tedesco Peter Schumacher a Thomas Bartholin, riportata da quest’ultimo nel suo epistolario: Thomas Bartholin [Thomae Bartholini], Epistolarum Medicinalium a Doctis vel ad Doctos Scriptarum, Centuria I & II. Hafnia [Copenhagen], Typis Matthiae Godicchenii, impensis Pentri Haubold, 1663, pp. 668, 670: «è stata qui una donna ricoperta su tutto il corpo di peli biondi, e con abbondanti sopracciglia e lunghissima barba, armoniosamente disposta dal mento alle mammelle, quasi con gravità da filosofo. Avresti giurato che fosse una barba cucita di lino, tanta era la morbidezza, sia di questa barba che di tutta l’altra peluria, che ricopriva tutto il corpo come di un identico sottile vapore, o di qualcosa di ancora più morbido del vapore, se esiste, (benchè i peli fossero lunghi come mezzo dito). […] Leida, 29 aprile 1656» [traduzione italiana di chi scrive]. 120 John Evelyn, The Diary of John Evelyn, 6 vols., edited by Esmond S. de Beer, Oxford, Clarendon Press, 1955, III, pp. 197-198. 332 tentazione di un infelice paragone: l’aspetto dell’irsuta era «like an Iceland dog exactly». Barbara aveva partorito un figlio – era lei stessa a raccontarlo – nato sano, come sani erano i suoi genitori e tutti i parenti. L’ultima informazione poneva in luce la malinconica contraddizione di quest’artista che, sospesa tra la grazia e la bestialità, «plaied well on the harpsichord». Alla fine degli anni Cinquanta, una nuova traccia ci racconta di Barbara in Olanda; Margaret Cavendish, la marchesa di Newcastle in esilio ad Anversa, descriveva in una sua lettera il carnevale della città: Madam, To tell you what Pastimes this City hath, they be several Sights and Shews, which are to be seen for Mony, for even Pastime is Bought; for at several times of the Year come hither Dancers on the Ropes, Tumblers, Jugglers, Private Stage-Players, Mountebanks, Monsters, and several Beasts, as Dromedaries, Camels, Lions, Acting Baboons, and Apes, and many the like, which would be as Tedious to me to Relate as to See, for I would not take the pains to See them, unless some Few. Amongst the rest there was a Woman brought to me, who was like a Shagg-dog, not in Shape, but Hair, as Grown all over her Body, which Sight stay’d in my Memory, not for the Pleasantness, but Strangeness, as she troubled my Mind a Long time, but at last my Mind kick’d her Figure out, bidding it to be gone, as a Dog-like Creature.121 Tra tutte le straordinarie creature che popolavano questa caleidoscopica festa, la prima che la gentildonna descriveva era proprio la donna barbuta, che l’aveva turbata profondamente, e per lungo tempo. Come già aveva fatto Evelyn, Cavendish avvicinava la figura di Barbara, per due volte, a quella di un cane. Nel 1660 Barbara era nuovamente in Francia: a Beauvais, il marito Michael Van Beck presentava alle autorità locali una richiesta di autorizzazione a pubblico spettacolo per una donna irsuta. Anche se nella richiesta non era esplicitato il nome della moglie, l’identificazione con Barbara è assicurata dall’immagine allegata alla richiesta: un volantino pubblicitario che riproduceva il ritratto eseguito a Londra da Gaywood quattro anni prima.122 121 Margaret Cavendish, CCXI Sociable Letters written by the Thrice Noble, Illustrious and Excellent Princess, the Lady Marchioness of Newcastle, London, printed by William Wilson, anno Dom. M.DC.LXIV. [1664] [Wing (CD-ROM, 1996), N872], CXCV, p. 405. 122 Cfr., per questa notizia, Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. 4, senza fonte. 333 Le ultime notizie su Barbara Urslerin riguardano un nuovo soggiorno londinese, nel 1668. La prima (e più certa) è riferita da James Granger, religioso e storico del Settecento, e autore di una monumentale Biographical History of England (1779), che lo stesso frontespizio presentava come «a Help to the Knowledge of Portraits». L’opera si componeva, infatti, di una ricchissima successione di biografie di personaggi, per diverse ragioni degni di nota nella storia inglese; i racconti erano abbinati ai corrispondenti ritratti, dei quali l’autore era appassionato collezionista. Nel terzo volume si trova una breve voce dedicata a «Barbara Urselin [sic]», e una descrizione dei suoi due più celebri ritratti. Il primo è quello di Isaac Brun (fig. 38), del quale Granger scriveva che «she is represented playing on the harpsichord: underneath is a Dutch inscription. I never saw but one proof of this print, which is in the collection of the Earl of Bute». Sul secondo, quello realizzato a Londra da Richard Gaywood nel 1656 (fig. 40), Granger si soffermava più a lungo: The lively portraiture of Barbara, wife to Michael VANBECK, born at Augsburg, in High Germany; the daughter of Balthasar and Anne Ursler +; aged 29, Ao. Dom. 1651 [1656]. R. Gaywood f. Lond. The following note was written under one of these prints which is, or was lately, in the possession of Mr. Frederick, bookseller in Bath: “This woman I saw in Ratcliffe Highway, in the year 1668, and was satisfied she was a woman. John Bulfinch”.123 La prima parte della nota di Granger riproduce quasi esattamente, salvo l’errore di trascrizione dell’anno, la parte inglese dell’iscrizione bilingue posta in calce al ritratto di Gaywood. Subito dopo, tuttavia, Granger aggiungeva una notizia davvero interessante, trascrivendo un appunto da lui osservato su una copia del ritratto di proprietà di un libraio di Bath, e firmato da un certo John Bulfinch. Questi aveva probabilmente preso il ritratto durante una performance di Barbara, e lo aveva annotato per conservare memoria dell’esperienza. In quell’occasione, «in the year 123 James Granger, A Biographical History of England, from Egbert the Great to the Revolution. Consisting of Characters disposed in Different Classes, and adapted to a Methodical Catalogue of Engraved British Heads: intended as an Essay towards reducing our Biography to System, and a Help to the Knowledge of Portraits. Interspersed with Variety of Anecdotes and Memoirs of a Great Number of Persons, not to be found in any other Biographical Work. The Third Edition, with large Additions and Improvements, 4 vols., London, printed for J. Rivington and Sons, 1779, III, p. 153. 334 1668», egli aveva visto Urslerin «in Ratcliffe Highway» e, probabilmente dopo apposito pagamento suppletivo, «was satisfied she was a woman». All’appunto di John Bulfinch, Granger faceva seguire una descrizione dell’immagine, in cui all’aspetto ferino di Barbara («her aspect resembles that of a monkey»), si contrapponeva la grazia del suo talento di musicista: «she is playing on an organ» (in realtà in questo caso la memoria non soccorreva Granger: Barbara nell’immagine non sta suonando, ma posa accanto allo strumento). Interessante era soprattutto la notazione finale del racconto, in cui si diceva che «Vanbeck married this frightful creature, on purpose to carry her about for a show»: il ruolo opportunistico del marito/impresario di Barbara non avrebbe potuto essere espresso con più sintetica durezza.124 Una seconda traccia della presenza di Urslerin a Londra nel 1668 potrebbe provenire dal diario di Samuel Pepys, che alla data del 21 dicembre di quell’anno annotò di aver visto a Holborn una donna barbuta, danese, di circa quarant’anni: and first went into Holborne, and there saw the woman that is to be seen with a beard. She is a little plain woman, a Dane: her name, Ursula Dyan; about forty years old; her voice like a little girl’s; with a beard as much as any man I ever saw, black almost, and grizly; they offered to shew my wife further satisfaction if she desired it, refusing it to men that desired it there, but there is no doubt but by her voice she is a woman; it begun to grow at about seven years old, and was shaved not above seven months ago, and is now so big as any man's almost that ever I saw; I say, bushy and thick. It was a strange sight to me, I confess, and what pleased me mightily.125 L’identificazione di Ursula Dyan con Barbara Urslerin è stata sostenuta da alcuni studiosi, rifiutata da altri.126 La descrizione di Pepys presenta, in effetti, alcuni elementi che non concordano con ciò che sappiamo di Barbara: oltre alla difformità più evidente, il nome e il cognome, sono discordanti la provenienza danese, e il colore nero della barba. Come abbiamo già riscontrato, tuttavia, non era insolito che la stessa 124 Ibid. 125 Samuel Pepys, The Diary of Samuel Pepys, 8 voll., edited by Henry B. Wheatley, London, G. Bell and Sons, 1924, VIII, p. 174126 A favore dell’identificazione di Ursula Dyan con Barbara Urslerin cfr. Anita Guerrini, ‘Advertising Monstrosity. Broadsides and Human Exhibition in Early Eighteenth Century London’, in Patricia Fumerton, Anita Guerrini (eds), Ballads and Broadsides in Britain, 1500-1800, Burlington, Ashgate, 2010, pp. 113-114. Per la posizione contraria, cfr. Margaret Katritzky, Women, Medicine and Theatre 1500-1750. Literary Mountebanks and Performing Quacks, Burlington, Ashgate, 2007, p. 4. 335 performer (o suo marito) mentisse sull’età: non stupirebbe un gioco simile anche sulla provenienza. A favore dell’identificazione è l’età (Barbara nel 1668 aveva trentanove anni) e la coincidenza onomastica Ursula/Urslerin, che è comunque molto suggestiva: come già si è visto a proposito della figura Barbara/Barba, potremmo essere di fronte ad un trucco linguistico sapiente in cui la donna di teatro – o il marito impresario – elaborando gli etimi del proprio nome (Barba, Ursus), gioca intorno agli elementi dell’identità. Se così fosse, la nota di Pepys del dicembre 1668 sarebbe la più tarda traccia dell’esistenza di Barbara Urslerin.127 Da qui in poi, non si hanno più notizie di lei: la più verosimile ipotesi su questo silenzio delle fonti è che il 1668 sia l’anno della morte di Barbara Urslerin. È inverosimile, infatti, ipotizzare un ritiro dalle scene, dato che il marito Van Beck «married this frightful creature, on purpose to carry her about for a show» e difficilmente avrebbe rinunciato a una tale forma di guadagno; se d’altra parte fosse stato proprio Van Beck a morire nel 1668, non sarebbero mancati altri impresari pronti a sfruttare a proprio vantaggio la prodigiosa e ormai celebre patologia di Urslerin. Celebrità che sarebbe durata, come già quella di Lazzaro e Giovan Battista Colloredo, ancora per molti anni. Nel 1685, Eberhard W. Happel, nelle sue Relationes Curiosae, affrontava una complessa disamina di vari casi di ‘mostri pelosi’, pubblicando a corredo della sua vasta trattazione un’immagine davvero sorprendente, in cui i mostri del passato mitico si fondevano con le nuove specie animali conosciute 127 Anche Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, p. 4, afferma che l’ultima traccia di Barbara Urslerin riguarda il soggiorno a Londra del 1668, ma non cita né la scheda biografica di James Granger, né il diario di Samuel Pepys. La sua unica fonte è il medico danese Holger Jacobsen, figlio adottivo di Thomas Bartholin, che ebbe modo di visitare a Londra in quell’anno una «puella hirsuta». La descrizione di Jacobsen è tuttavia abbastanza distante da quella solita di Urslerin: «tra gli altri spettacoli visti nelle fiere di Londra, mi fu mostrata a pagamento una ragazza ricoperta di peli in quasi tutto il corpo, e variegata qui e lì di macchie scure di diversa grandezza. Numerose escrescenze carnose in tutto il corpo, e piccole sacche pendenti, assai molli al tatto; soprattutto sulla schiena e intorno all’inguine. Il lato sinistro è più irsuto del destro, e ci sono singoli peli che crescono dalle macchie. Nella zona della vulva si trova un orifizio rotondo che raggiunge a mala pena la larghezza di una penna d’oca. Più volte rasati, i peli sono ricresciuti nello spazio di un mese. Altri hanno dedotto che questa nascita sia avvenuta a seguito di una unione carnale della madre con una scimmia, di nome Mammonett, dato che questo animale è molto lussurioso e aveva violentato una donna qualche anno prima in Inghilterra» (Holger Jacobsen [Oligeri Jacobaei], Puella monstrosa hirsuta, & Infans, in Thomas Bartholin [Thomae Bartholini], Acta Medica et Philosophica Hafniensia, 5 voll., Hafniae [Copenaghen], Sumptibus Petri Hauboldi, 1672-1680, V, pp. 274-275). La testimonianza è molto interessante, poiché attesta l’inesausto sforzo di cercare motivi più o meno plausibili della patologia, in un’epoca in cui la scienza medica cominciava ad interrogarsi sulle cause biologiche del difetto di nascita. Resta tuttavia molto dubbia la possibilità di riconoscere Barbara Urslerin, che nel 1668 aveva trentanove anni, in questa bambina (la fonte la definisce «puella», «foetum»), tanto più che la madre sembrerebbe inglese, e l’ipotetico congresso carnale con la scimmia Mammonett risalirebbe a pochi anni prima («ante annos aliquot in Anglia»). 336 nelle contemporanee esplorazioni geografiche (fig. 41). L’incisione, dal titolo eloquente di Der rauch-behaarte Mensch (Gli uomini irsuti), era ambientata in una fitta boscaglia che doveva rappresentare la giungla dell’isola di Giava, e presentava al centro l’Orang Outang, in forme decisamente antropomorfizzate; in basso a sinistra un Imantipode, mostro peloso della tradizione pliniana, entrava nel quadro camminando sui quattro arti; sullo sfondo, quasi uscendo dalla giungla, entravano in scena due fanciulle irsute vestite elegantemente che, proprio come i due personaggi inquadrati in alto entro due ovali, facevano parte della famiglia Gonzàlez, celebri irsuti originari delle isole Canarie, che nel Cinquecento erano stati molto noti nelle corti di Spagna e Italia.128 Tutti questi personaggi convergevano, come attratti dalla sua musica, verso Barbara Urslerin, ritratta al clavicembalo secondo l’incisione del 1651 di Isaac Brun. Dopo avere percorso tutta l’Europa e avere messo in mostra la sua patologia e i suoi talenti, meno per propria volontà che perché indotta dai genitori e dal marito, Barbara Urslerin trovava così un suo posto d’onore nella memoria collettiva: un ruolo imprescindibile nella genealogia degli esseri umani più straordinari. * * * I gemelli Colloredo e Barbara Urslerin furono i più celebri ‘monsters’ europei del XVII secolo, ed è per questo che mi è parso opportuno dedicare loro un ampio spazio che testimoniasse, attraverso la ricchezza delle fonti che li riguardano, la loro straordinaria esperienza. Nella loro esistenza di artisti nomadi, sia Lazzaro che Barbara toccarono più volte l’Inghilterra, e Londra in special modo: costituiscono perciò due notevoli esempi che consentono di intendere come funzionasse il ‘teatro’ dei mostri, e quale fosse la misura della sua diffusione in Inghilterra e nel contemporaneo contesto europeo. Ovviamente, non furono i soli. Meritano una menzione, per il contesto inglese, almeno altri due celebri casi. Il primo riguarda Tannakin Skinker, una donna olandese dal volto malformato, passata alla storia come «The hog-faced gentlewoman», e il cui passaggio in Inghilterra nel 1640 è testimoniato da un pamphlet e da una ballata (figg. 128 Su Pedro Gonzàlez e la sua famiglia, cfr. Margaret A. Katritzky, ‘Literary Anthropologies and Pedro Gonzàlez, the Wild Man of Tenerife’, in John Slater, Marìaluz Lòpez-Terrada, José Pardo- Tomàs (eds), Medical Cultures of the Early Modern Spanish Empire, Burlington, Ashgate, 2014, pp. 107-128; si veda inoltre sopra, la nota 53, p. 155. 337 42-43).129 Se Tannakin Skinker è stata giudicata da alcuni studiosi una creatura fittizia, e la sua vicenda collocata nel novero dei racconti leggendari, l’esistenza stessa della leggenda e delle due fonti che la tramandano attesta ancora una volta il grande interesse del pubblico londinese nei confronti della deformità umana.130 Accanto al controverso esempio della Skinker, si può collocare anche quello di Mary Davies, «horned woman» che esponeva le proprie prodigiose corna tra gli anni ’70 e ’80 del Seicento, e la cui attività fu oggetto di un pamphlet, A Brief Narrative of a Strange and Wonderful Old Woman that hath a Pair of Horns growing upon her Head (1676).131 Non abbiamo notizie successive su di lei, ma la sua celebrità dovette essere notevole, se un suo ritratto del 1668 veniva riprodotto ancora nel 1792 (fig. 44). Il caso di Mary Davies rientra tuttavia solo collateralmente in questo studio, poiché la sua patologia di «horned woman» non era congenita ma, come è stato dimostrato dalla scienza medica contemporanea, il risultato di una non rara malattia epidermica, che si può manifestare anche molti anni dopo la nascita, in escrescenze di pelle cheratinizzate.132 Anche i suoi contemporanei percepivano questa differenza, pur ignorando le cause che avevano determinato lo strano fenomeno: nel pamphlet che la 129 Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog]-faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, who was borne at Wirkham a Neuter Towne betweene the Emperour and the Hollander, scituate on the River Rhyne. Who was bewitched in her Mothers Wombe in the Yeare 1618. and hath lived ever since Unknowne in this Kind to any, but her Parents and a few other Neighbours. And can never recover her True Shape tell she be married, &c. Also relating the Cause, as it is since conceived, how her Mother came so bewitched, London, printed by J[ohn] O[kes] and are to be sold by F. Grove at his shop on Snow-hil, neare St. Sepulchers Church, 1640 [STC (2nd ed.), 22627]; una trascrizione integrale del pamphlet si può leggere in Simon Mc Keown (ed.), Monstrous Births, pp. 49-60; Lawrence Price, A Monstrous Shape or a Shapelesse Monster. A Description of a Creature borne in Holland, Compleat in every Part, save only a Head like a Swine, who hath travailed into many Parts, and it is now to be seene in London. Shees Lovinig, Courteous, and Effeminate, and nere as yet could find a Loving Mate, London, printed by M. F. for The Lambert, and are to be sold at the Signe of the Horse Shope in Smithfield, 1640; una trascrizione completa della ballata si trova in Hyder E. Rollins (ed.), The Pack of Autolycus, pp. 449-454. 130 Jan Bondeson presenta la «hog-faced gentlewoman» come una leggenda del tutto fittizia (The Two- Headed Boy and Other Medical Marvels, pp. 96-101); dello stesso avviso anche Dudley Wilson, Signs and Portents. Monstrous Births from the Middle Ages to the Enlightenment, London, Routledge, 1993, pp. 88-90; su posizione più sfumata Tassie Gniady, secondo la quale al di sotto degli elementi leggendari si può intravvedere una nascita mostruosa reale (‘Do you take this Hog-Faced Woman to be your Wedded Wife?’, in Patricia Fumerton, Anita Guerrini (eds), Ballads and Broadsides in Britain, 1500-1800, with the assistance of Kris McAbee, Farnham, Ashgate, 2010, pp. 91-107). 131 Anonymous, A Brief Narrative of a Strange and Wonderful Old Woman that hath a Pair of Horns growing upon her Head. Giving a True Account how they have several Times after being shed, grown again. Declaring the Place of her Birth, her Education and Conversation; with the First Occasion of their Growth, the Time of their Continuance; and where she is now to be seen, viz. at the Sign of the Swan near Charing Cross. With Allowance, London, printed by T[homas] J[ohnson], 1676 [Wing (CDROM, 1996), B4610]. 132 Su Mary Davies e la sua patologia, cfr. Jan Bondeson, The Two-Headed Boy and Other Medical Marvels, pp. 129-132 338 riguardava, Davies non era mai definita ‘monster’, ma ‘strange and wonderful woman’. La spettacolarizzazione dei bambini mostruosi proseguì anche nei decenni successivi. Un breve pamphlet del 1682 (fig. 45) raccontava un caso in cui, per accontentare la curiosità di «hundreds of people», era stato necessario riesumare il corpo deforme di due gemellini siamesi: «they in a short time buried it, and it lay under Ground until the Tenth Instant, when it was taken up again; and its now exposed to view, and there is daily resorting Hundreds of People to see it, which proves very advantageous to the Parents of the Child».133 Nel 1687, un foglio volante di carattere pubblicitario informava i londinesi della possibilità di vedere esposta un’altra coppia di gemelli siamesi, preserved and made fit for Publick View, by Mr. John Green, Preserver of Dead Bodies, without Embowelling, Embalming, or Wrapping in the Cloth […]. This Strange Sight hath been much desired by Multitudes of People, and given great Satisfaction to all those that have seen it.134 Nello stesso anno, una ballata raccontava una nascita mostruosa avvenuta a Westminster: il ruolo della folla accorsa a vedere i due gemelli siamesi era stato ritenuto talmente centrale dagli autori del racconto, che la moltitudine era stata raffigurata in una delle cinque illustrazioni, accanto agli altri protagonisti della vicenda (fig. 46).135 133 A. Brocas, A True Relation of the Birth of a Monster born at Exeter, having Two Perfect Heads; One Head standing Right as it should, the Other being in the Right Shoulder, just as you see the Figure here printed, a Draught of it being sent up in a Letter from a Person of Repute and Integrity, who lived not far from the Place where it was born, and was both an Eye and an Ear Witness to the Truth of what he writ: it was born the 5th. of this Instant October, 1682. And lived not Long, but was buried and taken up again the 10th. Instant, and many Hundreds now resort to see it, [London, printed for W. Davis, 1682] [Wing (CD-ROM, 1996), T2934A], p. 3.134 Anonymous, Near Charing Cross, over against Northumberland (alias Suffolk) House, at a Turners House, nigh the Golden Lyon Tavern, is to be seen the Wonder of this Present Age, being a Monster born in the Liberty of Westminster, on the Sixteenth of September last 1687: having Two Heads with Hair on, Four Armes and Hands, as like-wise Four Thighs, Legs and Feet, yet but One Body from the Breast to Lower Parts. Published by Authority, London, printed by T. James at the Printing-Press in Mincing-Lane, 1687 [Wing (CD-ROM, 1996), N362]. 135 Anonymous, The Wonder of this Present Age. Or, an Account of a Monster born in the Liberty of Westminster on the 16th of this Infant September, 1687. Having Two Heads, four Arms and Hands; as likewise four Leggs and Feet, yet but One Body from the Lower Parts to the Breast, they seem to embrace One another, and lye Face to Face, as if they would salute to the Wonder and Admiration of all Spectators. Tune of Young Mans Legacy. This may be printed R P, [London], printed for J. Deacon, at the Angel in Gilt-Spur-Street, without Newgate, [1687] [Wing (CD-ROM, 1996), W3358B]. 339 Questa veloce successione di esempi, insieme a quelli approfonditi all’interno del capitolo, dimostra che l’attrazione per il mostruoso umano e per la sua esposizione, inizialmente favorita dalla catechesi protestante, e poi imprevedibilmente sviluppatasi come autonoma forma di intrattenimento nelle fiere e nei mercati, punteggia uniformemente l’intero arco del secolo. La diffusione di questo atteggiamento, quello che nel capitolo terzo ho definito il ‘complesso della curiosità’, non mise tuttavia in secondo piano il suo simmetrico, il ‘complesso dell’orrore’. Quest’ultimo, che aveva trovato alla metà del Cinquecento una straordinaria occasione per manifestarsi nello scisma anglicano, e nella conseguente polemica religiosa, alla metà del diciassettesimo secolo poté trovare nuovi campi di espressione in un altro sconvolgente terreno di battaglia. Pochi anni dopo quelli in cui Lazzaro e Barbara calcavano le scene dei teatri di strada nella capitale inglese, le nascite mostruose sarebbero divenute – nel complesso e bellicoso scenario delle guerre civili – un potente strumento di polemica politica, per rendere più esplicita che mai «God’s unhappiness with England».136 136 Jerome Friedman, The Battle of the Frogs and Fairford’s Flies. Miracles and the Pulp Press during the English Revolution, New York, St. Martin’s Press, 1993, p. 41. 340 CAPITOLO SETTIMO Before God sends any Plague to a Nation, he first gives them a Warning: nascite mostruose dalla prima guerra civile alla restaurazione Others have said, Tis long of the King that the whole Nation is so grievously troubled, for, say they, if the King had flaid with his Parliament, we had beene all at peace and quiet. And thus doe many people flutter themselves, and lay the blame on others. But of this I am certainly perswaded that it is not only for one mans sins, but it is for every ones sins that the Lord hath caused the sword to be drawn amongst us. Furthermore I observe that the Lord had decreed a separition betweene the King and his Parliament before the wars began in England for the sins of the whole nation […]. Thus doth the Lord daily send wonders, into the world, thereby to put us in minde of our sinnes, and move us to repentance. Anonymous, Signes and Wonders from Heaven, 1645. 7 And if ’t were possible our fathers’ old / Should live againe and tread upon this mould, / And see all things confused, overthrowne, / They would not know this country for their own. / For England hath no likelihood or show / Of what it was but seventy years ago. / Religion, manners, life, and shapes of men, / are much unlike the people that were then, / Nay, Englands face, and languages is estrang’d, / That all is Metamorphis’d cho’p, and chang’d, / For like as on the Poles the World is whorl’d, / So is this Land the Bedlam of the World. T. J., The World turned upside down, 1647. * * * Verso la fine del 1645, vedeva la luce a Londra, grazie agli sforzi dello stampatore John Hammond, un pamphlet dal titolo The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole at Garraton in Leicester-Shire.1 La pubblicazione riassumeva brevemente gli eventi che avevano reso celebre la piccola località citata nel titolo del documento, Garraton, dove un ampio specchio d’acqua usato per l’abbeveramento degli animali era stato oggetto di uno straordinario prodigio: At Garraton a Towne in Leicester-shire, not far from Lough-borough is a great pond of water […]. It was made at first to satisfie the thirst of the Cattle […], but now (as it were another element) it altered both its nature and complexion, for the beasts did refuse to drinke thereof and some few dayes afterwards being passed they would not come neere the water, which the Countrymen and Inhabitants who were owners of the Cattle thereabouts perceiving they repayred to the pond to see what the reason of this strange thing should be.2 Giunti a controllare il motivo dello strano comportamento degli animali, gli allevatori di Garraton «found the colour of the water changed, for it began to looke red».3 E lo straordinario fenomeno divenne sempre più evidente con il passare dei giorni: the water which at the first began to looke but reddish, doth now looke higher and higher, and as the people came in it did increase in colour. This continued for the space of foure dayes, the Country farre and neere (who had notice of it) comming in 1 Anonymous, The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole at Garraton in Leicester-Shire, which continued for the Space of Foure Dayes, the Rednesse of the Colour for the Space of those Foure Dayes every Day increasing Higher and Higher, to the Infinet Amazement of many Hundreds of Beholders of all Degrees and Conditions, who have dipped their Handketchers in this Bloody Poole, the Scarlet Complection of the Linnen will be a Testimoniall of this Wonderfull Truth to many succeding Generations. As also the True Relation and Miraculous and Prodigious Birth in Shoo-lane, where One Mistris Browne a Cuttlers Wife was delivered of a Monster without a Head or Feet, and in stead of a Head had a Hollow out of which a Child did proceed, which was Little but Lovely, Perfect in all but very Spare and Leane. As also the Kings sending to his Parliament for Hostage for the Security of his person to come unto London and to sit with his Parliament for the composing the Differences in the Kingdome, London, printed by I[ohn] H[ammond], [1645] [Wing (CD-ROM, 1996), M2921]. Di John Hammond, stampatore attivo a Londra nel decennio 1642-51 non si conoscono ulteriori dati biografici: cfr. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, London, printed for the Bibliographical Society by Blades, East & Blades, 1907, p. 89.2 Ibid., pp. 2-3. 3 Ibid., p. 3 343 to be spectatiors of it. It waxed more red the second day then it seemed at the first, and farre more red the third day then it did of the second, and on the fourth day it grew a perfect sanguine.4 La raccapricciante metamorfosi dell’acqua in sangue, dispiegatasi nel corso di quattro giorni, aveva condotto gli abitanti di Garraton ad una comparazione che non poteva essere più naturale, a quasi quattro anni dallo scoppio della Prima guerra civile (1642): «from the observation of the blood they fall into the consideration at last of the bloody times, wherein they live».5 Si trattava di una lettura simbolica condivisa non soltanto dagli illetterati abitanti della comunità, ma anche dallo stesso autore del pamphlet. Questi, infatti, aveva aperto il suo resoconto con un cruento affresco dei tempi presenti, dai toni apocalittici e millenaristici: whosoever shall consider the sad times, wherein not onely the sonne riseth against the father the brother against the brother, and the spirit of dissention and warie is spread over the whole face of the earth but such prodigious and wonderfull things have appeared as no age before have ever seene or heard of. He must confesse that he liveth now in the evening of time, and in the last age of the world, wherein all things do begin to suffer a change.6 Coerentemente con questo immaginario da ‘tramonto del tempo’, l’autore interpretava il prodigio della piscina di sangue con uno schietto parallelismo numerologico: «the foure dayes wherein the water every day seemed to increase in the rednesse of its colour doth signifie the foure yeares of the war which now are already or neere 4 Ibid., p. 3. 5 Ibid. p. 4. Sul tormentato periodo che va dallo scoppio della Prima guerra civile inglese (1642) alla Restaurazione della monarchia (1660), si vedano: Christopher Hill, The English Revolution, 1640, London, Lawrence and Wishart, 1940; Id., Revolution of the 17th Century, London, Seeker and Warburg, 1958; Id., God’s Englishman. Oliver Cromwell and the English Revolution, London, Weidenfeld & Nicolson, 1970; Cicely V. Wedgwood, The King’s War: 1641-1647, London, Collins Fontana, 1970; Christopher Hill, Change and Continuity in Seventheenth-Century England, London, Weidenfeld & Nicolson, 1974; Peter Young, Richard Holmes, The English Civil War. A Military History of the Three Civil Wars 1642-1651, London, Eyre Methuen, 1974; Charles Carlton, Going to the Wars. The Experience of the British Civil Wars, 1638-1651, London, Routledge, 1995; Mark A. Kishlansky, A Monarchy Transformed. Britain 1603-1714, London, Allen Lane-The Penguin Press, 1996 (L’età degli Stuart. L’Inghilterra dal 1603 al 1714, traduzione italiana di Gino Scatasta, Bologna, Il Mulino, 1999); Roy E. Sherwood, Oliver Cromwell. King in all but Name, 1653-1658, New York, St. Martin’s Press, 1997; Graham E. Seel, The English Wars and Republic, 1637-1660, London, Routledge, 1999; David Sharp, England in Crisis 1640-60, Oxford, Heinneman, 2000; Trevor Royle, Civil War. The Wars of the Three Kingdoms 1638–1660, London, Abacus, 2006. 6 Anonymous, The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole, p. 2. 344 expired […]. These foure yeares hath every yeare beene one yeare more bloody then the other».7 I quattro giorni di durata del fenomeno corrispondevano così esattamente ai quattro anni trascorsi dall’inizio della guerra. Ma il tono apocalittico cedeva presto il passo ad un’apertura alla speranza, poiché la fine del fenomeno veniva letta come un segno augurale di pace: as after the foure dayes being ended, the water did begin to returne in its first genuine colour, so the fourth yeare of this war being expired, the Kingdome shall againe returne to its ancient blessing and habit of peace. […] It it [sic] the desire of many thousands that His Majesty may continue in this happy resolution, and that after so many difficulties and dangers past, and so much blood spilt, he might at lenght by the mercy of God returne and be reconciled to his Parliament.8 In questo modo, The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole raccontava, con un’immagine davvero potente, una nazione sconvolta dalla tragedia della prima guerra civile, e nello stesso tempo, accanto alla contrapposizione tra fazioni avverse, inseriva come contrappunto una speranza di rapida ricomposizione. Pochi mesi dopo, infatti, nel maggio 1646, Carlo I sarebbe stato sconfitto e imprigionato, e la prima guerra civile inglese si sarebbe, effettivamente, conclusa. Ma la pacificazione aveva di fronte una strada irta di ostacoli, poiché accanto allo scontro politico che vedeva opposti realisti e parlamentaristi, poi monarchici e repubblicani, si frastagliavano i nuovi contrasti che nascevano con lo svilupparsi, in seno alla nuova chiesa inglese, di numerosissimi movimenti eterodossi e settari.9 Come sintetizza efficacemente Jerome Friedman, «from the Anglican perspective, other than the execution of the king and his high church leadership, nothing was more shocking, outrageous, or frightening than the fragmentation of organized religion».10 7 Ibid. p. 6. 8 Ibid., p. 7. 9 Per un quadro generale sui movimenti religiosi radicali durante la guerra civile, si vedano gli studi di Christopher Hill: Antichrist in Seventeenth-Century England, London, Oxford University Press, 1971; The World Turned Upside Down. Radical Ideas during the English Revolution, London, Maurice T. Smith, 1972 (Il mondo alla rovescia. Idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del ’600, traduzione italiana di Enrico Basaglia, Torino, Einaudi, 1981); A Nation of Change and Novelty: Radical Politics, Religion and Literature in Seventeenth-Century England, London, Routledge, 1990; Liberty Against The Law. Some Seventeenth-Century Controversies, London, Allen Lane, 1996; si vedano inoltre Frank J. McGregor, Barry Reay, Radical Religion in the English Revolution, Oxford, Oxford University Press, 1984; Frances D. Dow, Radicalism in the English Revolution 1640-1660, Oxford, Basil Blackwell, 1985. 10 Jerome Friedman, The Battle of the Frogs and Fairford’s Flies. Miracles and the Pulp Press during the English Revolution, New York, St. Martin’s Press, 1993, p. 83. 345 La frammentazione risultò vasta e pervasiva: tra il febbraio e il dicembre 1646, il presbiteriano Thomas Edwards pubblicò tre pamphlet, nei quali metteva insieme un ricco compendio degli innumerevoli movimenti religiosi fioriti in quegli anni; il titolo del suo lavoro di catalogazione, Gangraena, metteva in luce la diffusa coscienza che i movimenti settari costituissero una pericolosa, cancerosa deriva dell’unità della Chiesa e dello Stato.11 Sullo sfondo dei tragici avvenimenti che nel giro di pochi anni condussero alla seconda guerra civile (1648-49) e al regicidio (30 gennaio 1649), il regno assisteva ad una proliferazione di movimenti eterodossi. D’altra parte, la radice della moltiplicazione confessionale era insita nel cuore stesso del Protestantesimo, che trovava il suo principale nucleo fondativo nella coscienza individuale del credente; il travisamento di questo principio dava l’abbrivo ad infinite 11 Thomas Edwards, Gangraena: or, a Catalogue of Many of the Errours, Heresies, Blasphemies and Pernicious Practices of the Sectaries of this Time, vented and acted in England in these four last years: as also, a Particular Narration of Divers Stories, remarkable Passages, Letters; an Extract of many Letters, all concerning the present Sects; together with some Observations upon, and Corollaries from all the fore-named Premisses. By Thomas Edwards, Minister of the Gospel, London, printed for Ralph Smith, at the Signe of the Bible in Cornhill near the Royall-Exchange, M.DC.XLVI. [1646] [Wing (CD-ROM, 1996), E228]; Id., The Second Part of Gangraena: or a Fresh and further Discovery of the Errors, Heresies, Blasphemies, and Dangerous Proceedings of the Sectaries of this Time. As also a a Particular Narration of Divers Stories, Speciall Passages, Letters, an Extract of some Letters, all concerning the present Sects: together with some Corollaries from all the fore-named Premisses. A reply to the most Materiall Exceptions made by Mr. Saltmarsh, Mr. Walwyn, and Cretensis, against Mr. Edwards late Book entituled Gangraena. As also Brief Animadversions upon some late Pamphlets; one of Mr. Bacons, another of Thomas Webs, a third of a Picture made in Disgrace of the Presbyterians. A relation of a Monster lately born at Colchester, of Parents who are Sectaries. The Copie of an Hymne sung by some Sectaries in stead of Davids Psalms. By Thomas Edwards Minister of the Gospel, London, [printed] by T. R[atcliffe]. and E. M[ottershed]. for Ralph Smith, at the Signe of the Bible in Cornhill near the Royall-Exchange, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), E233A]; Id., The Third Part of Gangraena· Or, A New and Higher Discovery of the Errors, Heresies, Blasphemies, and Insolent Proceedings of the Sectaries of these Times; with some Animadversions by Way of Confutation upon many of the Errors and Heresies named. As also a Particular Relation of many Remarkable Stories, Speciall Passages, Copies of Letters written by Sectaries to Sectaries, [...] Briefe Animadversions on many of the Sectaries Late Pamphlets, as Lilburnes and Overtons Books against the House of Peeres, M. Peters his Last Report of the English Warres, the Lord Mayors farewell from his Office of Maioralty, M. Goodwins Thirty Eight Queres upon the Ordinance against Heresies and Blasphemies, M. Burtons Conformities Deformity, M. Dells Sermon before the House of Commons; [...] As also some Few Hints and Briefe Observations on Divers Pamphlets written lately against me and some of my Books, as M. Goodwins pretended Reply to the Antapologie, M. Burroughs Vindication, Lanseters Lance, Gangraena playes rex, Gangraeae-Chrestum, M. Saltmarshes Answer to the Second Part of Gangraena. A Iustification of the Manner and Way of writing these Books called Gangraena, wherein not onely the Lawfulnesse, but the Necessity of writing after this Manner is proved by Scripture, Fathers, the most Eminent reformed Divines, Casuists, the Practice and Cnstome [sic] of all Ages. By Thomas Edwards Minister of the Gospel, London, printed for Ralph Smith, at the Bible in the Cornhill, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), E237]. Il movimento presbiteriano di cui Edwards faceva parte, ala radicale del puritanesimo, conobbe il suo periodo di maggior fortuna in Inghilterra e Scozia proprio durante l’interregno; perseguitati dopo la restaurazione della monarchia, i presbiteriani si divisero in diversi altri movimenti, molti dei quali ebbero fortuna autonoma nelle colonie americane: cfr. Walter L. Lyngle, John W. Kuykendall, Presbyterians. Their History and Beliefs, fourth revised edition, Atlanta, John Knox Press, 1978; James H. Smjley, A Brief History of the Presbyterians, Louisville, Geneva Press, 1996. 346 possibilità di credenze individuali: «while the individual conscience was the foundation of the Protestant faith, it could also be mistaken; the imagination – equally private and invisible – could usurp its function, inscribing human error rather than divine truth».12 Per porre fine, o almeno un freno, alla diffusione di movimenti settari, il Parlamento promulgò, il 9 agosto 1650 – nel pieno della terza guerra civile – il ‘Blasphemy Act’, «to propagate the Gospel in this Commonwealth, to advance Religion in all Sincerity, Godliness, and Honesty».13 Il testo prendeva le mosse dalla constatazione che there are divers men and women who have lately discovered themselves to be most monstrous in their Opinions, and loose in all wicked and abominable Practices [...], not onely to the notorious corrupting and disordering, but even to the dissolution of all Humane Society, who rejecting the use of any Gospel Ordinances, do deny the necessity of Civil and Moral Righteousness among men.14 A partire dalle loro «monstrous Opinions», dunque, i movimenti settari portavano alla «dissolution of all Humane Society». Mosso, perciò, da «displeasure and abhorrency of such Offenders», il Parlamento intendeva attuare uno «strict and effectual proceeding against them, who should abuse and turn into Licentiousness, the liberty given in matters of Conscience».15 La chiave di tutto stava precisamente in questo passaggio: la libertà di coscienza conduceva, necessariamente, all’eterodossia, all’abuso e alla licenziosità e la conseguente crisi morale avrebbe messo in fatale pericolo la tenuta dello Stato. Tanto più che, come emergeva nella precisa e dettagliata elencazione delle «monstrous Opinions», ciò che più spaventava delle sette 12 Julie Crawford, Marvelous Protestantism. Monstrous Births in Post-Reformation England, Baltimore-London, The John Hopkins University Press, 2005, p. 148. 13 Charles H. Firth, Robert S. Rait (eds), Acts and Ordinances of the Interregnum, 1642-1660, 3 vols., London, Wyman and Sons, 1911, II, p. 383.14 Ibid., p. 383 [corsivo di chi scrive]. Non sarà inutile segnalare la scelta dell’aggettivo ‘monstrous’: come vedremo nel seguito del capitolo, alle ‘monstrous opinions’ delle donne dissidenti sarà fatta corrispondere, come adeguata punizione, la ‘monstrous birth’ dei loro figli deformi. Su questo aspetto, cfr. David Cressy: «rejection of ritual, rejection of authority, condemnation of the prayer book, and schism from the Church of England were part of a pattern of rebellion, that moderates and conservatives tended to describe as “monstrous”» (‘Lamentable, Strange and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, in Laura Knoppers Lunger, Joan B Landes. (eds), Monstrous Bodies / Political Monstrosities in Early Modern Europe, Ithaca-London, Cornell University Press, 2004, p. 50). 15 Ibid. pp. 383-384. 347 radicali era la loro facilità a passare facilmente dalla sfrenata ‘fantasia teologica’ alla spudorata libertà sessuale. Il ‘Blasphemy Act’ prescriveva, pertanto, che all and every person and persons (not distempered with sickness, or distracted in brain) who shall presume avowedly in words to profess, or shall by writing proceed to affirm and maintain him or her self, or any other meer Creature, to be very God, or to be Infinite or Almighty, or in Honor, Excellency, Majesty and Power to be equal, and the same with the true God, or that the true God, or the Eternal Majesty dwells in the Creature and no where else; or whosoever shall deny the Holiness and Righteousness of God, or shall presume as aforesaid to profess, That Unrighteousness in persons, or the acts of Uncleanness, Prophane Swearing, Drunkenness, and the like Filthiness and Brutishness, are not unholy and forbidden in the Word of God, or that these acts in any person, or the persons [so] committing them, are approved of by God, or that such acts, or such persons in those things are like unto God: Or whosoever shall presume as aforesaid to profess, That these acts of Denying and Blaspheming God, or the Holiness or Righteousness of God; or the acts of cursing God, or of Swearing prophanely or falsly by the Name of God, or the acts of Lying, Stealing, Cousening and Defrauding others; or the acts of Murther, Adultery, Incest, Fornication, Uncleanness, Sodomy, Drunkenness, filthy and lascivious Speaking, are not things in themselves shameful, wicked, sinful, impious, abominable and detestable in any person, or to be practised or done by any person or persons: Or shall as aforesaid profess, That the acts of Adultery, Drunkenness, Swearing and the like open wickedness, are in their own nature as Holy and Righteous as the Duties of Prayer, Preaching or giving of Thanks to God: Or whosoever shall avowedly as aforesaid profess, That whatsoever is acted by them (whether Whoredom, Adultery, Drunkenness or the like open Wickedness) may be committed without sin; or that such acts are acted by the true God, or by the Majesty of God, or the Eternity that is in them; That Heaven and all happiness consists in the acting of those things which are Sin and Wickedness; or that such men or women are most perfect, or like to God or Eternity, which do commit the greatest Sins with least remorse or sense; or that there is no such thing really and truly as Unrighteousness, Unholiness or Sin, but as a man or woman judgeth thereof; or that there is neither Heaven nor Hell, neither Salvation nor Damnation, or that these are one and the same thing, and that there is not any distinction or difference truly between them: All and every person or persons 348 so avowedly professing, maintaining or publishing as aforesaid, the aforesaid Atheistical, Blasphemous or Execrable Opinions, […] shall be committed to Prison or to the House of Correction, for the space of six moneths.16 Nella filigrana di questa lunga e dettagliata elencazione di eresie, s’intravvedono molti dei movimenti eterodossi e settari che punteggiarono la chiesa inglese durante l’interregno.17 In questo lungo periodo di turbolenza politica, sociale e religiosa, la straordinaria moltiplicazione di forze antitetiche, e quindi centrifughe, ebbe una diretta conseguenza sulla stampa ‘popolare’ e di propaganda: negli anni a partire dal 1640, infatti, la produzione di documenti a stampa subì un aumento numerico vertiginoso.18 All’interno della febbrile elaborazione e diffusione di opinioni contrapposte, i resoconti di nascite mostruose conservarono un proprio importante ruolo. Nei diciotto anni tra il 1642 e il 1660 – cui è dedicato questo capitolo – è stato possibile rinvenire o avere notizia di dieci pubblicazioni che raccontassero nascite mostruose umane; di queste, solo sei erano esplicitamente strumentalizzate a fini politico-religiosi, e si collocano tutte intorno a snodi importanti della storia inglese.19 Le prime quattro, 16 Ibid., pp. 384-385. 17 A titolo di esempio, si riporta un breve elenco di alcuni dei moltissimi movimenti nati durante l’interregno, offerto da Jerome Friedman: «a list of these sects would include, among others, Baptists, Brownists and Barrowists, Grindletonians and Socinians, Seekers and Squatters, Diggers and Behmenists, Ranters and Muggletonians, Independents, Familists and Quakers, Antinomians, Anabaptists, Levellers, The fifth Monrachists, and, of course, the Blackloists. One might also include the Arminians, Apostles, and Adamites, and still wonder whether the Proud Quakers merited a separate category. One should not exclude the Shakers, though they might be included as a part of the Ranters, and there were several different types of Sabbatarians» (The Battle of the Frogs and Fairford’s Flies, p. 84). Informazioni più dettagliate riguardo ai gruppi religiosi direttamente messi in relazione con il fenomeno delle nascite mostruose si troveranno nel seguito del capitolo. 18 Il dato emerge dal confronto fra i record bibliografici raccolti per il periodo 1475-1640 dallo Short- Title Catalogue di Pollard e Redgrave, e quelli del periodo 1640-1700 (circa 90.000, quasi triplicati), raccolti dallo Short-Title Catalogue di Wing. Cfr. Alfred W. Pollard, Gilbert R. Redgrave (eds), A Short-Title Catalogue of Books printed in England, Scotland and Ireland, and of English Books printed abroad 1475-1640. Second edition, revised and enlarged, begun by William A. Jackson and Frederic S. Ferguson, completed by Katharine F. Pantzer, 3 vols., London, The Bibliographical Society, 19761991; Donald G. Wing, A Short-Title Catalogue of Books printed in England, Scotland, Ireland, Wales, and British America and of the English Books printed in other Countries, 1641-1700. Second edition, newly revised and enlarged by John J. Morrison, Carolyn W. Nelson, Matthew Seccombe, 4 vols., New York, Modern Language Association of America, 1972-1998. Il dato è posto in evidenza nel profilo biografico dedicato al gigantesco lavoro di raccolta e catalogazione realizzato da Donald Wing: T. J. Crist, ‘Wing, Donald Goddard’, in Robert Wedgeworth (ed.), ALA World Encyclopedia of Library and Information Services, 3rd. edition, Chicago, American Library Association, 1993, pp. 868-869. 19 Gli altri quattro documenti non saranno trattati nelle pagine che seguono per ragioni diverse; il primo inserisce la nascita di un bambino ermafrodito e deforme all’interno di una ricca lista di prodigi, tutti variamente significanti la crisi politica in corso, ma senza uno sviluppo che meritasse qui un’analisi 349 appartenenti al periodo 1642-52, costituiscono un gruppo ideologicamente omogeneo e furono prodotte da ambienti filo-parlamentari.20 Le rimanenti due, degli anni 165960, e riconducibili invece ad ambienti monarchici, sono tra loro altrettanto affini, e raccontano di bambini che, oltre a nascere con particolarità anatomiche prodigiose, invocano il ritorno del re. Lasciando per un momento da parte i documenti che si occuparono di nascite mostruose negli anni immediatamente precedenti alla Restaurazione (come discuterò nella seconda parte di questo capitolo, questi testi sono di natura molto diversa dai precedenti), mi soffermerò dapprima sui documenti prodotti nel periodo delle guerre civili, che presentano l’evento della ‘monstrous birth’ come esito di una qualche forma di dissenso religioso da parte delle madri protagoniste. La colpevolizzazione delle donne non era un fenomeno nuovo: come ho più volte sottolineato, le narrazioni di nascite mostruose avevano frequentemente messo in luce negativa la figura femminile, spesso attraverso il sillogismo per cui la nascita di un figlio deforme dichiarava una colpa segreta della madre.21 La novità dei approfondita; un brano tratto da questo pamphlet si può leggere in epigrafe al presente capitolo; l’immagine del frontespizio è riprodotta nella fig. 47 (Anonymous, Signes and Wonders from Heaven. With a True Relation of a Monster borne in Ratcliffe Highway, at the Signe of the Three Arrows, Mistris Bullock the Midwife delivering her thereof. Also shewing how a Cat kitned a Monster in Lombard Street in London. Likewise a New Discovery of Witches in Stepney Parish. And how 20. Witches more were executed in Suffolke this Last Assise. Also how the Divell came to Soffam to a Farmers House in the Habit of a Gentlewoman on Horse-Backe. With Divers other Strange Remarkable Passages, London, printed by I[ohn] H[ammond], [1645] [Wing (CD-ROM, 1996), S3777]); il secondo documento è invece il pamphlet brevemente descritto nell’apertura del capitolo, e dedicato dedicato al prodigio dell’acqua mutata in sangue; nelle sue ultime pagine, come ad amplificare il senso d’orrore della miracolosa metamorfosi, l’autore inseriva anche una nascita mostruosa, senza tuttavia offrirne una lettura articolata (Anonymous, The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole at Garraton in Leicester-Shire, pp. 7-8); il terzo documento è perduto (Anonymous, A Tempenie with Foure Hands and 4 Heads, 2 Bodyes, Two Mouthes, 4 Eyes and 4 Eares, London, W[illiam] Gilbertson, 1656); l’ultimo testo, infine, riportava una nascita mostruosa avvenuta in Germania, e con essa stigmatizzava gli eccessi nell’abbigliamento femminile; se ne trova un cenno nel capitolo quinto, alla nota 88 (Anonymous, Prides Fall; or, a Warning for all English Women. By the Example of a Strange Monster born of late in Germany, by a Merchants proud Wife in Geneva. The Tune is, All you that love Good Fellows, [London], printed for F. Coles, T. Vere, and J. Wright, 1658 [Wing (CD-ROM, 1996), P3446A], fig. 23). 20 Il primo resoconto si colloca esattamente nell’anno dello scoppio della prima guerra civile (1642); il secondo (1646) alla sua fine, nel momento culminante della vittoria parlamentarista; il terzo documento (1647) fu redatto nel momento in cui il sostegno scozzese al re stava per dare avvio alla seconda guerra civile; il quarto, infine, comparve in un momento di relativa tranquillità bellica (1652, dopo la sconfitta del futuro Carlo II a Worcester che pose fine alla terza guerra), ponendo in luce le esigenze di ‘normalizzazione’ del nuovo regime repubblicano. Questi quattro documenti, accomunati dall’avere per protagoniste donne dissidenti sul piano religioso, saranno oggetto di specifica analisi nel paragrafo 7.1. 21 Fanno eccezione i casi in cui la ‘monstrous birth’ era inserita all’interno di una lista di portenti di vario genere (tutti vagamente significanti l’ira divina e l’apocalisse prossima ventura): in tali casi, la nascita mostruosa non era fatta oggetta di una specifica lettura moralizzante o di una strumentalizzazione politica. Si veda, a questo proposito, anche sopra, la nota 19. 350 documenti che raccontarono le ‘monstrous births’ negli anni 1642-1652 fu di appuntare il proprio stigma su una ‘colpa’ materna che non era più di tipo sessuale, o più in generale morale, ma riguardava precisamente la sfera religiosa. Lo sviluppo dei movimenti settari aveva favorito il sorgere di moti di indipendenza femminile nell’ambito religioso: i movimenti radicali, infatti, proclamavano l’eguaglianza tra uomo e donna, e le donne godevano perciò di una diversa considerazione, e di una condizione di ‘parità spirituale’, che trovava il proprio riferimento biblico su un breve passo dell’apostolo Paolo.22 Stigmatizzare l’eccessiva libertà religiosa delle donne significava, dunque, attaccare i movimenti religiosi radicali in una delle loro importanti rivendicazioni identitarie. Ma nel quadro complesso della sconvolgente esperienza della guerra, limitare la libertà femminile non era, ovviamente, solo una questione di fede: in un quadro bellico frastagliato e sorprendente in cui, per fare solo due esempi, i resistenti papisti si collocavano dalla parte del re, e i puritani restavano fedeli al Parlamento, la scelta di fede significava anche una collocazione su un lato o sull’altro del campo di guerra. Le donne punite dalla ‘monstrous birth’ erano, perciò, come vedremo fra poco, non soltanto dissidenti religiose, ma anche – ognuna per motivi diversi – nemiche del Parlamento e, poi, del nuovo regime repubblicano. Questo complesso nodo tra narrazione, religione e politica non stupisce, ovviamente, dato che la grandissima maggioranza delle pubblicazioni a stampa di questi anni fu sollecitata, prodotta, e diffusa dalla fazione parlamentarista, e il suo sforzo principale dovette consistere nel limitare ogni spinta centrifuga: come ha efficacemente sintetizzato Julie Crawford, infatti, la gran parte dei documenti stampati in questo periodo, nell’ambito della street literature, fu «printed, advertised, and circulated by publishers affiliated with a newly powerful Parliament» e, per questo motivo, essi «primarily endeavored to promulgate parliamentarian views about religious and social order that were increasingly under pressure not only from more precise Protestants, but from Non-conformists and sectarians of much more radical inclinations as well».23 22 Il passo scritturale su cui i movimenti radicali fondavano la parità femminile si trova nella lettera ai Galati (Gal 3:26-28: «For ye are all the children of God by faith in Christ Jesus. For as many of you as have been baptized into Christ have put on Christ. There is neither Jew nor Greek, there is neither bond nor free, there is neither male nor female: for ye are all one in Christ Jesus»; nella versione della King James Bible, 1611). 23 Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 114. 351 Negli anni 1642-52, dunque, la strumentalizzazione della ‘monstrous birth’ colpì le donne su temi di stringente attualità religiosa e politica; ma non si può fare a meno di notare che a questa novità si affiancava l’antica forza oppositrice a qualsiasi moto di libertà femminile: oltre che nemiche del potere politiche vincente, le madri protagoniste di questi documenti erano tutte donne che esercitavano una forma di libertà intellettuale difficilmente ammissibile. Anche in un periodo di grande mutamento sul piano politico, anche nel pieno della guerra, la società di cui facevano parte non intendeva rinunciare alle proprie strutture rigidamente patriarcali. Madri ‘mostruose’ doppiamente punite, dunque: nella loro scelta ostile al rinnovamento politico, certo, ma soprattutto nella loro ostinata volontà di scegliere. 7.1 A Monstrous Regiment of Women: i mostri come stigmatizzazione del dissenso religioso delle donne Il 23 agosto del 1642, nella libreria di Richard Harper, «at the Bible and Harpe in Smithfield», il pubblico londinese curioso di meraviglie e fatti strani avrebbe potuto acquistare un pamphlet di 8 pagine in 4°, dall’eloquente titolo di A Strange and Lamentable Accident that happened lately at Mears-Ashby in Northamptonshire.24 Fin dal frontespizio il lettore sarebbe stato posto di fronte alla straordinarietà del ‘curioso e doloroso evento’. Il contenuto del libello era, al solito, anticipato da un’incisione, cui era demandato il compito di riassumere i tratti più spaventosi e raccapriccianti del dramma. In un ampio letto a baldacchino, era rappresentata una donna, distesa dopo le fatiche del parto; intorno al letto, tre donne, tra le quali una di loro – che potrebbe rappresentare la ‘midwife’ – era inquadrata di spalle, con le mani levate in gesto di sorpresa, o di terrore; ma ciò che avrebbe dovuto suscitare l’immediato orrore dei lettori era la piccola, spaventosa sagoma del bambino appena partorito che, acefalo, campeggiava bianchissimo sulla coperta scura (fig. 48). 24 John Locke, A Strange and Lamentable Accident that happened larely at Mears-Ashby in Northamptonshire. 1642. Of One Mary Wilmore, Wife to Iohn Wilmore, Rough Mason, who was delivered of a Childe without a Head, and credibly reported to have a Firme Crosse on the Brest, as this Ensuing Story shall relate, London, printed for Rich[ard] Harper and Thomas Wine, and are to be sold at the Bible and Harpe in Smithfield, 1642 [Wing (2nd ed.), S5819]. Sul documento, un breve e impreciso resoconto si può leggere in Jerome Friedman, The Battle of the Frogs and Fairford’s Flies. Miracles and the Pulp Press during the English Revolution, pp. 51-52; cfr. inoltre David Cressy, ‘Lamentable, Strange and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, pp. 40-63; Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 120-127; una trascrizione completa del pamphlet si può leggere in Simon McKeown (ed.), Monstrous Births. An Illustrative Introduction to Teratology in Early Modern England, London, Indelible, 1991, pp. 61-63. 352 La mancanza della testa, certo non nuova nelle pubblicazioni che ho fin qui esaminato, assumeva nel contesto che mi accingo a descrivere un’inusuale e rilevante significazione, destinata ad una certa fortuna: il ‘mostro senza testa’ sembrò avere negli anni delle guerre civili un ruolo privilegiato, assolutamente non casuale, dato che l’acefalia consentiva un immediato e potentissimo richiamo figurativo alle numerose decapitazioni di quegli anni, che culminarono con l’esecuzione di Carlo I nel 1649. Poiché la decapitazione era la pena per alto tradimento, tale eco figurativa permetteva di connettere sottilmente l’immagine del bambino di Mears-Ashby, con il suo taglio netto sul collo, ad una sorta di ‘tradimento’ dell’ordine sociale costituito.25 Ma c’era anche un’altra sottile significazione, quasi subliminale: la nascita di un figlio acefalo poteva essere letta come una sorta di contrappasso per le madri che erano esse stesse, in prima persona, ‘senza testa’, cioè ribelli all’autorità del marito e, per estensione, dell’autorità pubblica: «headless monsters are seen as physical manifestations of their mothers’ erroneous consciences». 26 E si trattava, come vedremo tra poco, di una ribellione che riguardava contemporaneamente la sfera religiosa e quella politica, mai così strettamente intrecciate. La connessione reciproca tra l’acefalia (del figlio e quindi, simbolicamente, della madre) e il rifiuto dell’autorità maritale e più in generale patriarcale da parte della donna era già stata ribadita in forme molto chiare dal reverendo Thomas Gataker nel 1620, quando, commentando un passo della lettera di San Paolo ai Colossesi, aveva scritto: The Man is as the Head, and the woman as the body. The Man is the womans head; and Christ the mans head; and God Christs head. As Christ, therefore is subject to God, and the man unto Christ, so the woman to the man. The Man is the womans head, as Christ is the Churches head. And therefore the wife is to be subject to her husband, as the Church is to Christ: And the husband to rule the wife as the head or 25 Per il richiamo all’iconografia della decapitazione, e al suo rapporto con la colpa politica, cfr. Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 126: «Although [the] child is purportedly born headless, in the woodcut it appears as if its head has been severed from its body, a clear visual invocation of the iconography of the beheaded corps of traitors».26 Ibid, p. 116. 353 soule doth the body. And as it is against the order of nature that the body should rule the head: so is it no lesse against the course of all good order, that the woman should usurpe authoritie to her selfe over her husband, her head.27 Coerentemente con questo immaginario, d’altra parte, già nel 1609 l’autore di Strange News out of Kent, aveva connesso una nascita acefala con la ribellione all’autorità patriarcale: il bambino senza testa era figlio di una vagabonda senza marito.28 Pochi anni più tardi, A Wonder Woorth the Reading (1617) aveva raccontato la storia di un neonato senza testa, e con due piccoli corni: deformità che combinava l’emblema della mancanza di autorità paterna con il simbolo dell’adulterio.29 In entrambe le storie, nell’acefalia del figlio era adombrata la ribellione materna all’autorità patriarcale. Questa logica (o, meglio, paralogica) connessione tra la resistenza femminile all’autorità maritale o sociale e la punizione soprannaturale fu declinata in maniera molto specifica nei pamphlet degli anni Quaranta e Cinquanta del Seicento, in cui le nascite di bambini acefali furono strettamente interconnesse con il dissenso religioso delle loro madri. Di questo tipo di legame – nuovo e peculiare negli anni delle guerre 27 Thomas Gataker, Marriage Duties Briefely Couched Togither; Out of Colossians, 3.18. 19, by Thomas Gataker, Bachelor of Diuinitie and Pastor of Rotherhith. London, Printed by William Jones, for William Bladen, and are to be sold at his shop at the signe of the Bible in Pauls Church-yard. 1620, p. 9. Thomas Gataker (1574-1654), figlio di un religioso (anche lui di nome Thomas Gatacre) che aveva lavorato per il Parlamento al tempo della regina Maria I Tudor, studiò teologia al St. John’s College di Cambridge. Ordinato sacerdote nel 1600, fece sua la causa dei puritani e ad essa si dedicò con grande energia. La sua dedizione in materia di fede gli fece ottenere nel 1640 la nomina a membro della ‘Assembly of Divines at Westminster’, il cui obiettivo era quello di riformare la dottrina della Chiesa d’Inghilterra. Non è un caso dunque che egli figuri fra gli autori del Westminster Confession of Faith (1647). Cfr. Brett Usher, ‘Gataker, Thomas (1574–1654)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Sept 2013 [http://www.oxforddnb.com/ view/article/10445, accessed 11 Oct 2014]. 28 Cfr. Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, borne in Olde Sandwitch, upon the 10 of Julie last, the like (for Strangers) hath never beene seene, London, printed by T. C[reede] for W. Barley, and are to be sold at his Shop in Gratious-street, 1609 [STC (2nd ed.), 14934]; (fig. 24); un analogo disordine nella gerarchia familiare era quella dei coniugi Haydnot, anch’essi vagabondi, anch’essi puniti con la nascita di un mostro acefalo (fig. 25), cfr. Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders. Miraculously shewen vpon Two Women, lately deliuered of two Monsters: with a most Strange and Terrible Earth-Quake, by which, Fields and other Grounds, were quite remoued to other Places: the Prodigious Births, being at a Place called Perre-Farme, within a Quarter of a Mile of Feuersham in Kent, the 25. of Iuly last, being S. Iames his Day. 1615, London, printed [by George Purslowe] for I. W[right], 1615 [STC (2nd ed.), 11926]; per l’analisi dei due documenti, si veda, sopra, par. 5.3. 29 Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, or, a True and Faithfull Relation of a Woman, now dwelling in Kentstreet, who, vpon Thrusday, being the 21 of August last, was deliuered of a Prodigious and Monstrous Child in the Presence of Divers Honest, and Religious Women to their Wonderfull Feare and Astonishment, London, printed by William Iones, dwelling in Red-Crosse-streete, 1617 [STC (2nd ed.), 14935] (fig. 28). 354 civili e del Commonwealth – A Strange and Lamentable Accident costituiva l’archetipo, e l’illustrazione che campeggiava sul suo frontespizio, con il piccolo corpo ‘decapitato’, candido sullo sfondo nero del letto, segnalava ai lettori che la nascita mostruosa di cui stavano per leggere il resoconto era giunta a punire una donna ‘traditrice’. Coerentemente con questo assunto, nel gioco strumentale dell’autore del pamphlet – un certo «John Locke, cleric» – la questione non era limitata all’ambito di una famiglia, ma riguardava l’intera nazione. E ciò era messo in chiaro fin dalle prime parole del suo sermone, che si apriva con uno sguardo accoratamente doloroso sulla situazione del Regno: This Kingdome once glorying in the flourishing title of Olbion: which is as much as happinesse and tranquility, (tam Eccles. quam Reipub.) but now being clouded and maskt with various distractions, as are apparantly knowne and made manifest to the whole world, in so much that she is made a laughing stocke, ans a scorne to all Nations, may now with the Publican cry, Lord have mercy on me a sinner. 30 In poche righe, John Locke metteva in luce lo stato di grande confusione in cui versava la nazione, tam Ecclesiae quam Reipublicae, ovvero sia nella Chiesa che nello Stato, entrambi incarnati dalla persona del sovrano, sottolineando così la stretta interrelazione tra potere pubblico e dottrina religiosa, e la potente interconnessione tra la crisi dell’uno e il disordine dell’altra. L’autore affermava di aver composto la sua operetta proprio per porre rimedio al disordine dottrinale, avendo bene in mente quei cristiani illetterati che, rifiutando il credo ufficiale e «contemning and slighting God’s holy ordinances», suscitavano l’ira divina.31 Di questa crisi nella dottrina John Locke individuava dei precisi colpevoli: quegli «unlearned and ignorant Teachers», quei predicatori laici che contrapponevano innumerevoli erronee credenze a quella che, per lui, era l’unica e vera fede; contro 30 John Locke, A Strange and Lamentable Accident that happened larely at Mears-Ashby in Northamptonshire., sig. A2r. Riguardo all’autore, John Locke, possediamo solo poche notizie legate alla sua carriera ecclesiastica: iscrittosi all’Emmanuel College di Cambridge, nel 1624, completò gli studi di teologia nel 1628; fu ordinato a Peterborough nel 1631; l’attitudine a punteggiare la prosa di espressioni latine, così come la conoscenza di episodi del tardo impero romano, testimoniano la sua educazione classica (cfr. Henry I. Longden, Northamptonshire and Rutland Clergy from 1500, 15 vols., Northampton, Archer and Goodman, 1938-1952, IX, p. 19). 31 John Locke, A Strange and Lamentable Accident, sig. A2v. 355 costoro egli lanciava una vera e propria maledizione, accostandoli al pagano Giuliano, zio dell’imperatore Giuliano l’Apostata, e alla terribile pena cui l’ira di Dio lo aveva condannato: I pray God it happeneth not to them as it did to Iulian, Uncle to Iulian the Apostate, for their contemning and slighting Gods holy ordinances, who comming into a Church at Antioch, profaned the Lord Table by pissing upon it, sayin in scorne, that the Divine Providence tooke no care of outward ceremonies. But not long after divine Justice found him out, for being taken with a disease that rotted his bowels, his excrements leaving their wonted passage, ran through his throat and blasphemous mouth in as stinking a manner, as the poysoned trash and beggarly rudiments are fomented now adayes from the impudent mouthes of unlearned and ignorant Teaches, the event of whose pernicious and illiterate doctrine will lead me to this ensuing story of Gods wrath and judgments to over curious and nice zelots of our times.32 E solo dopo questo preambolo, denso di truci immagini, John Locke raccontava il caso a cui il pamphlet era dedicato, e di cui il lettore aveva già avuto un’anticipazione dal titolo e dall’efficace immagine nel frontespizio. Nella località di Mears-Ashby, nel Northamptonshire, una certa Mary Wilmore, rimasta incinta del marito John Wilmore, muratore, si trovava ad essere «perplext in minde, to thinke that her childe when it pleased God she should be delivered, should be baptized with the signe of the Crosse».33 Come vedremo tra breve, il dubbio della protagonista sull’imposizione del segno della croce durante il battesimo non costituiva affatto un caso isolato, né tantomeno una questione irrilevante: in gioco era un profondo conflitto religioso, tra l’unità della chiesa anglicana e le pulsioni disgreganti dei vari movimenti settari. Avendo ben chiaro quale peso avesse il dubbio di Mary, il ministro della sua parrocchia, «being a very honest and conformable man, not suiting with the vain 32 Ibid. Più oltre John Locke non mancava di citare anche precedenti biblici di azioni in apparenza buone, ma punite dall’ira divina: «yet see Uzzah,2 Sam. 6.6,7. I Chron. 13.9,10 vid. Iudg. 8.27 though thy intent in doing a seeming good action be never so good» (Ibid., sig. A3r). Nel secondo libro di Samuele e nel primo libro delle Cronache si narra l’episodio di Uzzà, che guidava un carro sui cui era posta l’Arca dell’alleanza; per non farla cadere, poiché i buoi la facevano barcollare, la trattenne toccandola empiamente con le mani nude, e fu per questo punito dal fulmine di Dio; nel libro dei Giudici si narra invece la rovina di Gedeone, punito per aver fatto a Dio un’offerta troppo ricca, mettendo così in luce più la sua superbia che la sua pietà. 33 Ibid., sig. A3r. 356 babling and erroneous Sycophants, as there are too too many thereabouts inhabiting», anziché pronunciarsi direttamente sul caso, «desires her husband to goe to Hardwicke, a Village neare adjoyning to one Master Bannard a reverend Divine, to know his opinion concerning the Crosse in Baptisme». La risposta del reverendo Bannard fu che il segno della croce «was no way necessary to salvation, but an ancient, laudable, and decent ceremony of the Church of England».34 È questo il momento più interessante di tutta la vicenda, quello in cui sono messi in evidenza i rapporti di forza tra la Chiesa d’Inghilterra, che ancora vuole mantenere valido un simbolo proveniente dalla tradizione cattolica, e i fermenti periferici che vedono invece in quel segno una superstizione papista. L’imposizione del segno di croce durante il battesimo, sulla mano destra e sulla fronte del bambino, era, infatti, uno degli aspetti del rito ritenuti «things indifferent» dal Book of Common Prayer, in quanto non necessario per la salvezza dell’anima, ma tuttavia mantenuto all’interno del cerimoniale: questa posizione ambigua della Chiesa inglese aveva dato adito a polemiche e controversie, fin dall’inizio del secolo.35 Nel 1642, d’altra parte, la Chiesa d’Inghilterra viveva una delle sue fasi più instabili poiché, a causa dello scoppio della prima guerra civile, si era sostanzialmente inceppato il corretto funzionamento degli apparati ecclesiastici, dai ranghi episcopali fino alle minute amministrazioni diocesane e parrocchiali. Da questo punto di vista, il Northamptonshire, la contea in cui viveva Mary Wilmore, era una delle più ricche di fermenti centrifughi.36 L’opposizione al segno della croce nel battesimo, infatti, riconduceva Mary Wilmore a un ambiente, quello rurale, facilmente permeabile alle 34 Ibid. Il reverendo ‘Bannard’ di ‘Hardwicke’, citato da John Locke, è identificabile con John Baynard, originario di Oxford, ‘rector’ nel villaggio di Hardwick, a nord di Mears-Ashby, dal 1629, noto per le sue posizioni tradizionaliste; cfr. Henry I. Longden, Northamptonshire and Rutland Clergy from 1500, II, p. 27.35 Cfr. Julie Crawford, che pone in evidenza come intorno al segno della croce durante il battesimo si sviluppasse fin dall’inizio del secolo un ampio (e spesso aspro) dibattito: «William Bradshaw’s A Shorte Treatise of the crosse in Baptisme (1604), to cite only one example, argued that the sign of the cross was “a humane ordinance”, an idol, and that “may not lawfully be used in the service of God”» (Marvelous Protestantism, p. 122). 36 La contea del Northamptonshire era nota non soltanto per la sua ricca comunità puritana, ma anche per la presenza di Indipendenti, Battisti e Congregazionalisti. Un’indagine commissionata nel 1635 dall’Arcivescovo di Canterbury, William Laud, mise in luce proprio nel Northamptonshire notevoli e frequenti inadempienze sulle cosiddette ‘indifferent ceremonies’, cioè gli elementi del rito considerati non indispensabili per la salvezza, ma comunque conservati (l’inchino al nome di Cristo e, appunto, il segno della croce durante il battesimo). Proprio nel gennaio del 1642, l’anno in cui si svolgono i fatti narrati da John Locke, un gruppo di puritani del Northamptonshire inviò una petizione al Parlamento per lamentarsi dei pastori che non osservavano le ‘indifferent ceremonies’, e per chiedere «a certain reformation in religion». Crf. Frederick I. Cater, Northamptonshire Nonconformity 250 years ago, Northampton, Archer & Goodman, 1912, pp. 8-12. 357 frantumazioni settarie: «haply this woman through her weaknesse, or too much confiding in the conventicling Sectaries, Qui quicquid in buccam venerit blaterans: might think she did well».37 Ma il caso di Mary Wilmore evidenziava anche un altro grave pericolo, che muoveva dalla sfera religiosa per investire un più vasto ambito sociale, quello del ruolo della donna. Da un lato, infatti, le spinte centrifughe che esso testimonia erano, come ho segnalato all’inizio del capitolo, immanenti alla natura stessa del Protestantesimo: il principio che riconosceva nella coscienza individuale del credente il baricentro della fede, se travisato, poteva generava movimenti eterodossi.38 D’altra parte, però, in questa moltiplicazione e frantumazione di dottrine, si annidava una straordinaria occasione di emancipazione femminile.39 Consapevole di questo scontro di potere in atto, inviando il marito di Mary dal «reverend Divine», il ministro non intendeva semplicemente ristabilire un’autorità religiosa unitaria: se la giusta dottrina emanava dalla diocesi, verso la parrocchia, e poi verso la casa, in questo ‘movimento verticale’ insieme all’ortodossia si ribadiva il ruolo subalterno delle donne. Anche la nuova fede, come quella che l’aveva preceduta, si muoveva su linee rigorosamente patriarcali, in un mondo regolato dal pensiero maschile, e in cui la libertà femminile risultava pesantemente vincolata. In questo gioco delle parti tra moglie, marito, ministro e reverendo non era dunque in questione soltanto una controversia di carattere rituale, ma soprattutto il ristabilimento 37 John Locke, A Strange and Lamentable Accident, sig. A3r. 38 Cfr. Julie Crawford: «this democratization of God […] always threatened to replace the national church with the authority of the believers themselves» (Marvelous Protestantism, p. 124). 39 Ibid., p. 124: «The liberating effects of sectarianism in the consciences of “wives” is well documented. Many anti-sectarian attacks in fact focused on the involvement of women, punningly labeled “the weaker Sect”». La polemica antisettaria, che spesso si tramutava in aperta polemica antifemminile, era centrata su un passo della prima lettera di San Paolo ai Corinzi (1 Cor, 14:34-35: «Let your women keepe silence in the Churches, for it is not permitted vnto them to speake; but they are commanded to bee vnder obedience: as also saith the Law. And if they will learne any thing, let them aske their husbands at home: for it is a shame for women to speake in the Church», nella versione della King James Bible, 1611); dal canto loro, come accennato sopra nell’introduzione al capitolo, i movimenti radicali rivendicavano spesso la parità spirituale tra uomo e donna, trovando il proprio riferimento biblico in un’altra lettera di San Paolo, quella ai Galati (Gal 3:26-28). Tra i pamphlet di questi anni che prendevano apertamente posizione contro la libertà delle donne in materia spirituale, andranno ricordati Anonymous, A Discoverie of Six Women Preachers, in Middlesex, Kent, Cambridgshire, and Salisbury. With a Relation of their Names, Manners, Life and Doctrine, Pleasant to be read, but Horrid to be judged of. Their Names are these: Anne Hempstal. Mary Bilbrow. Joane Bauford. Susan May. Elizabeth Bancroft. Arabella Thomas, London, s.n., 1641 [Wing (CD-ROM, 1996), D1645] e Anonymous, A Spirit Moving in the Woman-Preachers: or, Certaine Quaeres, vented and put forth unto this affronted, Brazen-Faced, Strange, New Feminin Brood. Wherein they are proved to be Rash, Ignorant, Ambitious, Weake, Vaine-Glorious, Prophane and Proud, moved onely by the Spirit of Errour, London, printed for Henry Shepheard, at the Bible in Tower-street, and William Ley, at Pauls Chaine neere Doctors Commons, 1646 [Wing (2nd ed.), S4990]. 358 dell’ordine patriarcale della società, e la correlata negazione della libertà delle donne, espressa in questo caso dal dissenso religioso.40 L’affermazione del reverendo Bannard, riferita a Mary Wilmore dal marito, non sortì tuttavia sulla donna l’effetto sperato, anzi produsse in lei un aperto atto di ribellione, la cui precisa volontà oppositiva era segnalata nel pamphlet dal fatto che la risposta venisse riportata in discorso diretto, quasi che l’autore volesse mettere in scena la donna come personaggio negativo esemplare: «I had rather my child should be borne without a head, then to have a head to be signed with the signe of the Crosse».41 Evidentemente, chiosava John Locke, la donna apparteneva ad una setta che vedeva nel segno della croce impartito durante il battesimo, «a pernicious, popish and idolatrous ceremony». Un’opposizione che non si limitava solo a lei, se è vero che nel giugno di quello stesso 1642, a Newcastle, mentre un ministro tentava di impartire il segno della croce durante un battesimo, la madre di un bambino «covered the child with the linen and kept it down with her hand», mentre un’altra donna «laid hold of one of the curate’s hands which was kept behind him by the father of the child».42 Non isolato, dunque, il gesto oppositivo di Mary Wilmore, ma straordinario, certamente, il risultato di quella sua frase, così empia e sfrontata: una punizione perfettamente accordata con il desiderio paradossale da lei espresso. Un mese più tardi, infatti, la donna partorì «a Monster, Rudes indegestaque moles, a child without a head, to the shame of the parents in not having that part whereon it might have been marked with that token whereof it should never after have been ashamed».43 Questa affermazione di Locke, con il suo preciso richiamo alla «shame of the parents» non era affatto casuale, ma costituiva una vera e propria citazione, ancora una volta, all’ortodossia del Book of Common Prayer: durante il rito del battesimo, infatti, e proprio nel momento dell’imposizione del segno della croce, il celebrante 40 Nel 1641, alcune donne del Middlesex scrissero una petizione al Parlamento, esprimendo la loro preferenza alla preghiera spontanea rispetto ai testi codificati del Book of Common Prayer; nello stesso anno, un altro gruppo di donne firmò un’altra petizione, per ottenere maggiore libertà nel culto: la libertà di coscienza in materia di fede era evidentemente un territorio favorevole alla rivendicazione del ruolo femminile. Cfr. Ellen A. McArthur, ‘Women Petitioners and the Long Parliament’, English Historical Review, 24, 1909, pp. 698-709. 41 John Locke, A Strange and Lamentable Accident, sig. A3r. L’operetta di John Locke costituì un archetipo imitato: come vedremo fin dal prossimo documento, il desiderio paradossale della donna, che in seguito viene adeguatamente punito proprio dal suo inveramento, costituirà un elemento narrativo usuale e di straordinaria efficacia retorica. 42 I due casi sono citati in David Cressy, Birth, Marriage, and Death. Ritual, Religion, and the Life- Cycle in Tudor and Stuart England, Oxford, Oxford University Press, 1997 p. 174. 43 John Locke, A Strange and Lamentable Accident, sig. A3v. 359 avrebbe dovuto pronunciare la formula «We receive this child into the congregation of Christ’s flock, and do sign him with the sign of the cross, in token that hereafter he shall not be ashamed to confess the faith of Christ crucified».44 Nell’ottica punitiva dell’autore, la pena di Mary Wilmore costituiva dunque un vero e proprio contrappasso. Una vergogna perenne veniva fatta corrispondere al rifiuto del sacro segno, di cui mai ci si sarebbe dovuti vergognare: la condanna divina agiva non solo nella carne, ma anche sul piano delle emozioni.45 Terminata la narrazione del caso di Mary Wilmore, John Locke chiudeva la sua operetta con una preghiera, un voto di concordia: «Good Lord therefore which hast made and fashioned us, and as there is one Lord, one faith, and one baptisme, one God and Father of all, even so Lord grant that wee may joyntly agree in love and that there remaine among us a godly consent and loving concord». Una chiusa su note amorevoli che, tuttavia, non mancava di augurarsi la catastrofe per i seminatori di discordia: «breake thou the bond of Sathan, and the malice of those who extinguish the bond of peace».46 44 William Keatinge Clay (ed.), Liturgical Services. Liturgies and Occasional Forms of Prayer Set Forth in the Reign of Queen Elizabeth, Cambridge, Parker Society, 1847, p. 204 [corsivo di chi scrive]. 45 Da qui in poi, il breve pamphlet correva verso le sue note finali. Ma prima Locke dedicava un breve capoverso agli stampatori «Moore and Geofferey, two of the divells agents» che nel terzo anno di regno di Elisabetta I «publisht their prodigious and hereticall tenents, to the allurement of many faithfull and constant beleevers»; ebbene, affermava John Locke, la cattiva propaganda di quei due agenti del demonio non era rimasta senza risultati, se «a man child was borne at Chichester in Sussex, the head, armes, and legs whereof were like Anatomy, the brest and belly monstrous big from the navell, about the necke a great coller of flesh and skin growing, like the double ruffes and neckerchiefes then in use, and many more like accidents» (John Locke, A Strange and Lamentable Accident, p. A3v.) Ancora nel 1642, dunque, dopo quasi un secolo, non si era ancora spenta l’eco suscitata dal caso di Chichester, di cui ho discusso nel capitolo quarto: ma questa volta, in linea con l’intento di John Locke e la sua invettiva contro i predicatori laici e di falsa dottrina, quella nascita era posta in connessione con una ‘diabolica’ politica editoriale. A dimostrazione di come, a seconda dei contesti, una stessa nascita mostruosa potesse essere strumentalizzata a seconda dell’intento propagandistico dell’autore, e del gruppo sociale di riferimento. 46 Ibid., sigg. A3v-A4r. David Cressy rileva in questa chiamata finale alla concordia l’appartenenza dell’autore, John Locke, all’ala più moderata del parlamentarismo puritano, quella in questi anni minoritaria: «the author used the occasion to call for uniformity and order […]. And the very final word of this pamphlet was “peace”. One reason this story enjoyed relatively little circulation […] may have been that John Locke’s moderate conformity was on the losing side» (‘Lamentable, Strange and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, p. 55). Tale atteggiamento ‘conciliante’ potrebbe forse fornire una motivazione per il fatto che uno dei particolari della ‘mostruosità’ annunciati nel titolo non fosse né discusso nel testo, né inserito nell’immagine: infatti, il titolo del pamphlet affermava che il bambino fosse nato con «a Firme Crosse on the Brest, as this Ensuing Story shall relate»; l’assenza di qualsiasi riferimento, nel testo del pamphlet o nell’immagine del frontespizio, a questa croce miracolosamente presente sul petto del ‘monster’ potrebbe essere ricondotto alla volontà dell’autore di non alimentare ulteriormente la polemica sulle ‘things indifferent’ citate dal Book of Common Prayer. Julie Crawford, invece, riconduce questa omissione più direttamente alla paura di incorrere in accuse di papismo: «although the cross is mentioned in the title […] no cross appears in the woodcut. [John Locke] capitulates to fears of charges of popish superstition and idolatry by visually omitting the sign of the cross» (Marvelous Protestantism, p. 130). 360 Tra questi artefici del dissenso, Mary Wilmore aveva senz’altro ricoperto, agli occhi di John Locke, un ruolo di grande rilievo: nel racconto della sua storia, si leggevano in filigrana i fermenti policentrici e settari della chiesa inglese nel contesto della prima guerra civile, ma in primo piano emergevano paure antiche, legate al potere dell’immaginazione femminile, e paure nuove, legate ad una consapevole resistenza all’ordine religioso e patriarcale. Nell’ottica finalistica di John Locke, su tutti questi piani la rivendicazione di Mary Wilmore era stata un atto empio, punito dalla nascita di un figlio mostruoso. Una storia analoga, e quasi coeva, si legge in un altro pamphlet degli anni Quaranta, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster: born in KIRKHAM Parish in LANCASHIRE.47 L’operetta – un libello di 8 pagine in 4° – presentava, come nel caso precedente, un frontespizio bipartito, occupato nella parte superiore dal titolo e da una breve sinossi dell’accadimento, mentre nella parte inferiore una ricca, elaborata incisione poneva gli elementi principali del dramma sotto gli occhi del lettore, con straordinaria eloquenza visiva. Giganteggiava al centro una figura mostruosa, evidentemente elaborata a partire dall’iconografia pliniana della blemmia – una creatura acefala, con occhi, naso, bocca e orecchie al centro del petto.48 Alle 47 Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster: born in KIRKHAM Parish in LANCASHIRE (the Childe of Mrs. Haughton, a Popish Gentlewoman) the Face of it upon the Breast, and without a Head (after the Mother had wished rather to bear a Childe without a Head then a Roundhead) and had curst the PARLIAMENT. Attested by Mr. Fleetwood, Minister of the Same Parish, under his own Hand; and Mrs. Gattaker the Mid-Wife, and Divers other Eye-Witnesses whose Testimony was brought up by a Member of the House of Commons. Appointed to be printed according to Order and desired to be published in all Counties, Cities, Townes, and Parishes in England: being the Same Copis that were presented to the Parliament, London, printed by Jane Coe, 1646 [Wing (CDROM, 1996), D602]. Un cenno a questo documento si trova in Jerome Friedman, The Battle of the Frogs and Fairford’s Flies, p. 52; per un’analisi più approfondita si vedano David Cressy, ‘Lamentable, Strange and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, pp. 40-63 e Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 134-145. Riguardo all’autore, David Cressy attribuisce con qualche riserva il pamphlet ad Edward Fleetwood, vicario della parrocchia di Kirkham all’epoca dei fatti, e principale testimone degli eventi (‘Lamentamble, Strange, and Wonderful. Headless Monsters in the English Revolution’, p. 51). Alla sua mano si deve con certezza soltanto l’ultima pagina del pamphlet, una sorta di autocertificazione di verità, firmata da «Edward Fleetwood, Pastor With the Midwife, and others who saw the Childe taken out of its grave; witnesses hereof» (Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster, p. 8). Su Fleetwood, in carica a Kirkham dal 1629 al 1649, strenuo difensore del rinnovamento protestante, e per questo motivo a lungo in conflitto con i suoi parrocchiani ancora legati alla tradizione cattolica, cfr. Henry Fishwick, History of the Parish of Kirkham, in the County of Lancaster, Manchester, printed for the Chetam Society, 1874, pp. 77, 98102; Jane Coe, la ‘printer’ del documento, era la vedova di Andrew Coe, noto stampatore di idee parlamentariste, che alla morte del marito rilevò la ‘printing house’ e ne proseguì l’opera; fu attiva negli anni 1644-1647; cfr. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, p. 48. 48 Come vedremo tra poco, Mrs. Haughton, la protagonista del pamphlet, cattolica e – presumibilmente – realista, incarnava una figura di donna che aveva osato ergersi contemporaneamente contro l’autorità religiosa, la fazione politica in quel momento vincente e la gerarchia patriarcale: tale colpa, agli occhi dell’autore del documento, la poneva del tutto al di fuori del ‘naturale’ consesso sociale inglese, 361 spalle dello spaventoso mostro, si inseriva una profusione di piccole scene inerenti al background familiare in cui l’evento mostruoso aveva avuto luogo, e che avrebbero trovato poi precise corrispondenze nel racconto: l’enigmatica azione di una donna che con le forbici tagliava le orecchie ai suoi gatti; la conversazione (o forse la disputa) tra un prete con in mano un rosario e un altro che gli agitava sotto gli occhi un libro, presumibilmente la Bibbia; una donna nel suo letto – evidentemente la puerpera – di fronte alla quale, dando le spalle all’osservatore, la levatrice alzava le mani per la sorpresa, mentre un prete, anch’esso inquadrato di spalle, levava un crocifisso; nella stanza, si potevano intravvedere anche un rosario e una brocca, forse allusione al calice (fig. 49). Alla ricchezza dell’immagine, corrispondeva una ricca dettagliata narrazione, in cui l’obiettivo manifesto – e apertamente dichiarato – della moltiplicazione dei dettagli era la strenua difesa della veridicità dell’evento. L’anonimo autore, infatti, poneva in chiaro, fin da una sorta di ‘indice’ posto in apertura, quali fossero i suoi intenti nella redazione del libretto: This wonderfull manifestation of Gods anger, against wicked and prophane people; we shall lay open thus. 1. In declaring where it was done. 2. Upon whom. 3. What is supposed might be the cause. 4. What proofs there are to make it appear to be a truth. In the first, we have discovered the County, Parish, and the House. In the second, the woman, her parentage, her husband, and religion. In the third, her course of life, an her speeches. In the fourth, that is confirmed, both by relation and testimonials under their own hands, who were eye witnesses.49 Questa geometrica disposizione della materia, coerentemente rispettata nel seguito del pamphlet, indicava una precisa volontà, quasi ‘scientifica’, di rigorosa indagine e analisi dei fatti, ritenuta tanto più indispensabile dall’autore in quanto egli affidava facendo di lei una outsider, una vera e propria ‘straniera’; coerentemente con questo immaginario, la figura adatta a rappresentare il bimbo mostruoso da lei partorito doveva essere cercata al di fuori dei confini, non solo del regno, ma dello stesso consesso umano: a questo scopo, fu scelta l’immagine della blemmia, una razza pliniana nota in Inghilterra attraverso fin dalla rilettura operata da John Mandeville. Sui Viaggi di Mandeville, cfr. sopra, il paragrafo 1.7. 49 Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster, pp. 3-4. 362 alla sua opera un compito che, come vedremo, era insieme religioso, morale e sociale: la dimostrazione della verità dei fatti narrati era per lui indispensabile prerequisito per l’efficacia di una scrittura intesa precipuamente come atto politico. La prima parte del testo era dunque dedicata a stabilire con precisione «where it was done», e in essa la descrizione della contea del Lancashire, dopo le coordinate geografiche, era affidata ad uno spietato ritratto della sua popolazione: «The people that live there are a mixt Number; some precious godly people; but for the most part very bad: No parts in England hath had so many Witches, none fuller of Papists».50 Nell’accingersi a presentare il teatro degli eventi, all’anonimo autore del pamphlet non sfuggiva l’occasione di mettere insieme il passato e il presente di una regione tenacemente oppositiva nei confronti del potere centrale: in passato terra di streghe, negli anni quaranta del Seicento il Lancashire era uno dei territori più conservatori in materia di fede, e presentava forti resistenze cattoliche. Nel 1642, tre anni prima della pubblicazione del pamphlet, i lancastriani di fede anglicana avevano inviato una petizione al Parlamento per ottenere sia aiuto concreto contro i papisti, sia un maggior numero di ministri osservanti.51 Come vedremo fra poco, le questioni in gioco non erano meramente religiose: in una connessione strettissima tra battaglia politica e polemica dottrinale, nel complesso scacchiere della guerra civile i dissidenti cattolici del Lancashire si erano schierati dalla parte del re, mentre la rigorosa osservanza anglicana era difesa dal Parlamento.52 Dopo aver descritto la popolazione del Lancashire con toni evidentemente ostili, l’autore si soffermava sulla parrocchia di Kirkham, nella quale precisamente era avvenuta la nascita del bambino mostruoso; e anche in questo caso era stigmatizzata la medesima proporzione fra pochi devoti e una moltitudine di reietti: «a Parish which God hath blessed with good Ministers, and some godly people (though but few) in it; whoby the malice of wicked and prophane Wretches, have been much abused heretofore».53 Luogo di gente per lo più malvagia, dunque, questo piccolo borgo del Lancashire costituiva agli occhi dell’autore il teatro più consono ad una nascita mostruosa interpretata in chiave punitiva. Il bambino non era nato precisamente nel 50 Ibid., p. 4. 51 Ernest Broxap, The Great Civil War in Lancashire (1642-1651), Manchester, Manchester University Press, 1973, p. 9.52 Ibid., p. 10 53 Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster, p. 4. 363 centro abitato di Kirkham, bensì nel contado, a circa un miglio dalla città. Da là, annotava l’autore, the Child (or rather Monster) was […] caryed into the Church-yard a day or two after, and there buried: after which, some (in Gentlemens habit) were seen to go in; supposed to be Popish Priests and Fryars: and thus you have the place where this Monster was brought forth.54 Nel concludere il suo primo paragrafo ‘geografico’, l’autore non mancava perciò di sottolineare alcuni elementi che caratterizzavano molto chiaramente il contesto irregolare, quasi cospirativo, in cui la nascita mostruosa era avvenuta, e segnalava che al seppellimento della creatura avevano preso parte dei «Priests and Fryars» sospetti di simpatie papiste. Queste allusioni anticipavano elementi narrativi che l’autore avrebbe approfondito in seguito, ma già ponevano in una luce più che ambigua l’ambiente domestico in cui lo «strange and marvelous monster» era stato generato. Il secondo paragrafo – «upon whom [it was done]» – era dedicato alla madre del mostro, descritta come «a good hansome, proportionable, comely Gentlewoman, young, and of a good complexion, of a merry disposition, and an healthfull Nature, well personed». Non era dunque nelle condizioni biologiche della donna la causa del suo parto straordinario, bensì nel contesto sociale in cui la sua personalità si era andata formando: «For her Parents, they were of a very bitter disposition against godly people; Papists they were both, and divertive against honest Protestants».55 In particolare, l’autore poteva fornire una ricca serie di informazioni a proposito della madre della ragazza, una certa Mrs Brown, che non aveva mai nascosto le sue simpatie cattoliche: She would usually call honest men Rondheads and Puritans, and Hereticks, many gentlemen did much use her house, which were suspected to be popish priests […]; and amongs other reproaches and scornes which her mother cast upon religious people she took her Cat; and said that it must be made a Roundhead like Burton, Prinne, and Bastwicke, and causing the eares to be cut off; called her cat Prynn 54 Ibid., p. 4. 55 Ibid., pp. 4-5. 364 (instead of Pusse) both then and after she hath often said, that she hoped to see the Church flourish againe (meaning the Popish Church) and all Roundheads subdued».56 Henry Burton, John Bastwick e William Prynne erano tre puritani che, alla fine degli anni ’30, avevano opposto ferma resistenza alla politica religiosa accentratrice dell’arcivescovo di Canterbury, William Laud.57 Erano stati processati insieme per sedizione e calunnia il 14 giugno 1637; la sentenza del taglio delle orecchie era stata eseguita il 30 giugno. Prynne era stato inoltre marchiato sulla guancia con le lettere S e L: egli stesso, in un pamphlet del 1641 aveva modificato il significato originale di quelle due lettere (‘Seditious Libeler’) in sfregio al suo persecutore (‘Stigmata Laudis’ cioè ‘segni di lode’ ma anche ‘segni di Laud’, giocando sulla somiglianza della grafia tra la parola latina ‘laus’ e il cognome dell’arcivescovo).58 56 Ibid., p. 5. 57 William Laud (1573-1645) eminente figura della chiesa anglicana, fu fervente sostenitore della monarchia di Carlo I. Ordinato sacerdote nel 1601, a corte fin dal regno di Giacomo I, fu arcivescovo di Canterbury dal 1633. Nel corso degli anni autorizzò diverse spedizioni nelle parrocchie perché controllori da lui designati verificassero che non vi fossero irregolarità nella condotta dei ministri e nelle loro celebrazioni, e combatté tenacemente contro la dottrina puritana. Il suo tentativo di controllare l’intero corpo della chiesa trovò dura resistenza in Scozia che si ribellò con le armi in quella che fu chiamata “La prima guerra dei vescovi” nel 1639-1640. Questo evento fu la causa della rovina di Laud: prima di chiedere l'arresto del re, il Parlamento ottenne quello dell’arcivescovo. Imprigionato nella torre di Londra nel 1641 vi rimase fino al 10 gennaio 1645, giorno in cui fu decapitato, precedendo di quattro anni il re a cui era stato sempre fedele. Per un profilo biobibliografico si veda Anthony Milton, ‘Laud, William (1573–1645)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2009 [http://www.oxforddnb.com/view/article/16112, accessed 27 Sep 2014]. 58 William Prynne (1600-1669), puritano, in radicale opposizione con la politica centralista dell’arcivescovo Laud, fu uno scrittore prolifico, autore di più di 200 opere, per lo più pamphlet. Fu egli stesso autore di un pamphlet nel quale raccontò la propria esperienza di prigionia (William Prynne, A New Discovery of the Prelates Tyranny, in their late Prosecutions of Mr. William Pryn, an Eminent Lawyer; Dr. Iohn Bastwick, a learned physitian; and Mr. Henry Burton, a reverent divine. Wherein the separate, and joynt proceedings against them in the high-commission, and Star Chamber; their petitions, speeches, [...] and execution of their last sentence, and the orders, […] and close imprisonments in the castles of Lanceston, Lancaster, Carnarvan, and isles of Sylly, Garnsey and Jersy; the proceeddings [sic] against the Chestermen, and others […] for visiting Mr Prynne; the Bishop of Chesters order, for ministers to preach against M. Prynne, […] The House of Commons order for, and manner of their returnes from exile; their petitions to the Parliament; the votes of the Commons house upon the report of their cases, declaring […] them illegall, […] with M. Prynnes argument, […] truly related; for the benefit of the present age, and of posterity, printed at London, for M.S., 1641 [Wing (CD-Rom, 1996), P4018]). Henry Burton (1578-1648), ministro puritano, fu anch’egli feroce oppositore dell’arcivescovo di Canterbury. John Bastwick (1593–1654), medico e scrittore, in latino e in inglese, attaccò duramente il vescovo Laud nel pamphlet Flagellum pontificis (1634). Per i profili biografici si vedano William Lamont, ‘Prynne, William (1600–1669)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2011 [http://www.oxforddnb.com/view/article/22854, accessed 27 Sep 2014] e Kenneth Gibson, ‘Burton, Henry (bap. 1578, d. 1647/8)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/4129, accessed 27 Sep 2014]; Frances Condick, ‘Bastwick, John (1595?–1654)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/1659, accessed 27 Sep 2014] 365 La signora Brown, tagliando le orecchie ai suoi tre gatti e dando loro i nomi di quelli che erano considerati dei veri e propri eroi, aveva dunque compiuto un sottile e velenosissimo oltraggio all’onore del puritanesimo.59 Esattamente a questo ingiurioso avvenimento si riferiva la parte sinistra dell’immagine sul frontespizio, che mostrava proprio una donna seduta intenta a tagliare le orecchie ad un gatto tenuto in grembo, mentre altri due gatti, su cui la donna aveva già eseguito la medesima mutilazione, stavano ai suoi piedi. Richiamando questo episodio, l’autore del pamphlet connetteva dunque madre e figlia lungo una linea di oltraggiosa dissidenza in materia di fede, costruendo una vera e propria ‘dinastia matriarcale mostruosa’.60 Degna figlia di tanta madre, la ragazza era andata in sposa ad un certo Mr. Haughton, «a gentleman descended of an ancient family, wel known in those parts and not altogether of such a bitter spirit as those he matched with, he had been a gentleman wel bred, only in a popish way educated».61 Papista anche il padre del bambino, dunque, ma solo per antica educazione; ben diversamente agguerrita, e quindi ben più colpevole, la rivendicazione cattolica di Mrs. Haughton, che si manifestava in tutti gli ambiti della sua vita spirituale, dalle discussioni ‘teologiche’ coi vicini, agli arredi domestici: [She] would many times hold a notable discourse with her neighbours about her religion, she was not onely borne of popish parents, but bred, and brought up with them, and educated in the popish Religion, having many popish pictures, and Crucifixes, and other popish trumpery wherein she much delighted; and if she were at any time reproved for the superstitious fooleries she so affected, she would speak much in defense thereof, and was alwayes very obstinate.62 Una casa frequentata da papisti, e invasa di chincaglieria cattolica: così l’autore descriveva l’ambiente domestico di Mrs Haughton, quello stesso ambiente che il 59 Il fatto aveva avuto una notevole rilevanza nazionale, se lo stesso Prynne, nell’ampio resoconto della sua esperienza di prigionia, processo, mutilazione riportava gli esatti particolari della vicenda: cfr. William Prynne, A New Discovery of the Prelates Tyranny in their Late Prosecution of Mr William Prynne, p. 108. 60 Così intende la connessione tra le due donne anche Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 140: l’autore del pamphlet costruisce una vera e propria «monstrous matriarchal legacy, combining one Mrs. Haughton’s anti-Puritan street theatre with a second Mrs. Haughton’s monstrous birth. In this genealogy, the second Mrs. Haughton receives the just – and emblematically physical – punishment that her mother did not receive». 61 Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster, p. 5. 62 Ibid., p. 5. 366 lettore aveva già visto rappresentato, con esattezza iconica, sul frontespizio. A questa parte del racconto si riferivano, infatti, sia la scena di disputa teologica tra religiosi che si poteva vedere in alto a sinistra (alle spalle della madre della protagonista, Mrs. Brown, seduta con il gatto in grembo), sia il grande rosario appeso accanto al letto della puerpera. L’abitudine di tenere in casa oggetti dichiaratamente cattolici come il rosario, il crocifisso o le immagini dei santi era vivamente osteggiata dall’autorità religiosa. Infatti, sin dalle ingiunzioni elisabettiane a corollario dell’Atto di Uniformità, i ministri erano stati obbligati a ripulire le chiese di tutte le «idolatrous images»; ma si richiedeva loro anche un ulteriore sforzo, che riguardava proprio le case dei parrocchiani: XXIII. Also that they shall take away, utterly extinct, and destroy all shrines, coverings of shrines, all tables, candlesticks, trindals, and rolls of wax, pictures, paintings, and all other monuments of feigned miracles, pilgrimages, idolatry, and superstition, so that there remain no memory of the same in walls, glass windows or elsewhere within their churches and houses; preserving nevertheless, or repairing both the walls and glass windows; and they shall short their parishionesrs to do the like within their several houses.63 La scelta apertamente disobbediente di tenere in casa oggetti proibiti caratterizzava perciò esplicitamente Mrs Haughton come una pericolosa dissidente. Ma la dissidenza religiosa e l’opposizione politica si intrecciavano saldamente l’una con l’altra; l’insistenza sulla «popish trumpery» di cui Mrs Haughton si deliziava era posta non casualmente poco prima dell’esplicita descrizione della donna come antiparlamentarista. Fitta di oggetti papisti, e frequentata da preti e frati cattolici, la casa era presentata come un luogo di cospirazione, protetto peraltro dal ruolo di donna sposata della padrona di casa. In virtù di un bizzarro cavillo normativo, infatti, se le donne nubili o vedove potevano essere incriminate per atti sediziosi, le donne sposate godevano invece di una sorta di immunità, come conseguenza della 63 ‘Injunctions given by the Queen’s Majesty, concerning both the Clergy and Laity of this Realm, published anno Domini M.D.LIX, being the First Year of the Reign of our Sovereign Lady Queen Elizabeth’, in David Wilkmins, Concilia Magnae Britanniae Et Hiberniae: A Synodo Verolamiensi A.D. CCCCXLVI. Ad Londinensem A.D. MDCCXVII. Accedunt Constitutiones Et Alia Ad Historiam Ecclesiae Anglicanae Spectantia. Quatuor Voluminibus Comprehensa, 4 vols., Londini, sumtpibus R. Gosling et alii, MDCCXXXVII [1737], IV, p. 185. 367 perdita dei diritti civili in seguito al matrimonio.64 Era quasi impossibile punire le dissidenti come la signora Haughton: il pamphlet sembrava raccontare precisamente come a questa mancanza della legge terrena ponesse rimedio l’infallibile giudizio di Dio. Alla terza parte del pamphlet («What is supposed might be the cause») era perciò affidato il compito di raccontare le cause soprannaturali che avevano sovrinteso alla nascita mostruosa. Il carattere di Mrs Haughton, e il suo zelo di ribelle cattolica venivano indagati ed approfonditi: per quanto infatti nessuno potesse muovere alcuna critica al suo rispetto del buon vicinato (la donna si era sempre mostrata «friendly among neighbours»), nondimeno «whenever Religion was touched, she expressed much passion».65 Ed era a questo punto che il suo ritratto di dissidente religiosa – in cui lo zelo cattolico era unito alla ferma opposizione al Parlamento – esplicitava la propria aperta opposizione politica: «She hath been often heard […] to revile the Parliament, and say that shee thought that the King and the Bishops were the righter part of us».66 Tra tutte le dispute di questo tenore tra Mrs Haughton e le sue vicine, una era stata particolarmente accesa, e per questo «hath rested in the memory of some Gentlewomen», soprattutto per le conclusioni a cui era giunta, e che – per l’autore del pamphlet – costituivano la vera e principale causa della punizione divina. Nelle campagne di Kirkham, dunque, mentre tutto intorno infuriava la guerra, un circolo di donne impegnate in riflessioni politiche e religiose «fell to discourse of the present miseries of the Kingdome, by these warres», e nel discorrere discorde «some spoke against the Cavaliers, and the Papists in the Kings Army». Colpita contemporaneamente nel suo cuore cattolico e nella sua fede realista, Mrs Haughton contrattaccò ingiuriando i parlamentaristi col dispregiativo Roundheads, «and she said the King was in the right against them». In risposta, una delle gentildonne asserì che «those called Roundheads were honest men, and in the right way of walking, and 64 Cfr. Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 135: «although unmarried recusant women and widows were deemed responsible for their own actions and could be indicted, fined, and even imprisoned, married women could not. Even if indicted, the ultimate penalty for refusing to appear in court was outlawry, a charge that could not be imposed in the case of a married woman. Under laws of coverture a wife had no civil rights and could only be “waived”. Given that it was almost impossible to punish them, it was thus extremely difficult for Protestant activists to obtain the conformity of recusant married women». Su questo aspetto di immunità delle donne sposate, cfr. Marie B. Rowlands, ‘Recusant Women, 1560-1640’, in Mary Prior (ed.), Women in English Society 1500-1800, London, Metheun, 1985, pp. 150-160.65 Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster, p. 5. 66 Ibid., p. 6. 368 living like the people of God, and suitable to the profession of Christians; And withall wishing, if it pleased God, that she had her eyes opened, and was such a Roundhead».67 Questo auspicio suscitava l’immediata opposizione di Mrs Haughton, della quale, per la prima volta, il lettore poteva sentire la ‘voce’, espressa in discorso diretto: «No, saith she, I had rather have no head, nor life; I nor any of mine, I hope will ever be such».68 E proprio nelle ultime due battute del dialogo si consumava l’atto di empietà della protagonista: Answer was made her, that her children if she had any, might (if God so please) have their eyes opened; and see that good which she is ignorant of. Mrs Haughton made answer again in these words: I pray God, that rather than I shall be a Roundhead, or bear a Roundhead, I may bring forth a Childe without a head.69 Il dialogo era costruito facendo bene attenzione a distinguere i due stili discorsivi: indiretto, come in una sorta di ‘coro greco’, per la puritana-parlamentare, poi di nuovo diretto, a sottolineare il ruolo di exemplum negativo, per la cattolica-realista. Poche altre parole aggiungeva il nostro autore a quella che per lui non era altro che una blasfemia «to provoke God to shew such a testimony of his displeasure against her, by causing her to bring forth this Monster, whose Picture is in the Title page of this Book», richiamando così – secondo una strategia ‘metatestuale’ ormai consueta – l’attenzione del lettore sull’immagine del frontespizio.70 Cominciava a questo punto il quarto e ultimo paragrafo dell’operetta («What proofs there are to make it appear to be a truth»), dedicato alle testimonianze che attestavano la verità della vicenda narrata. L’autore qui raccontava le modalità con le quali la notizia della nascita si era rapidamente diffusa, per giungere fino a Londra. Prima di tutto, «her Neighbours who heard her speak the aforsaid words» avevano informato il Ministro della parrocchia, il già menzionato Mr. Fleetwood, il quale si era recato sia nella casa dove era avvenuto il parto che nel luogo in cui la creatura aveva avuto sepoltura; quindi erano stati informati della nascita dello ‘strange and wonderful monster’ alcuni membri del «Committee of the County». 67 Ibid. 68 Ibid. 69 Ibid. Il desiderio espresso da Mrs Haughton, paradossale ed empio per l’autore del pamphlet, è in corsivo nell’originale. 70 Ibid. 369 Tra i testimoni oculari, non poteva mancare la levatrice, quella che il pamphlet chiama «Widdow Gattaker the Midwife, formerly wife to Mr. Gattaker, sometimes Vicar of the said Parish».71 E sia lei che il Pastore comunicarono la notizia a molti altri, fatto, questo, che «made it to be spread up and down the Country», tanto da far giungere la notizia fino al Parlamento, e indurre a nuovi accertamenti: for the further satisfaction of the truth thereof, Collonel More an honest godly Gentleman, a Member of the House of Commons, and one of the Commitee being there, it was desired he should sent a Letter to Mr. Fleetwood the Minister of the Parish, to know the certainty of it, whether it was truth or not; which Letter was writ, and by him sent accordingly. […] For better satisfaction Mr. Fleetwood caused the grave to be opened, and the child to be taken up, and laid to view, and found there a body without an head, as the Midwife had said; onely the childe had a face upon the breast of it, as you may see in the portraicture.72 Per intervento del colonnello More, «an honest godly Gentleman», dunque, la straordinaria nascita avvenuta in un’oscura parrocchia del Lancashire era giunta fino a Londra, e aveva intersecato le necessità propagandistiche del Parlamento: il pamphlet si chiudeva, infatti, affermando che una copia del certificato della riesumazione, firmato da Mr Fleetwood, dalla levatrice e dagli altri testimoni, era stato portato a Londra, e discusso da diversi membri della Camera dei Comuni, «who have commanded it to be printed, that so all the Kingdome might see the hand of god herein; to the confort of his people, and the terrour of the wicked that deride and scorn them». 73 Ed effettivamente, sul frontespizio il pamphlet sembrava dichiarare orgogliosamente di essere «appointed to be printed according to Order: and desired to be published in all the Counties, Cities, Townes, and Parishes in England: Being the same Copies that were presented to the Parliament».74 La vicenda di Mrs. Haughton 71 Ibid., p. 7. 72 Ibid. 73 Ibid. Con queste parole il pamphlet si chiude. Segue la riproduzione del certificato redatto da Edward Fleetwood, che riassume il caso, senza aggiungere niente se non alcuni efficaci paragoni biblici dai quali emerge la sua consuetudine al sermone: «As Adonibezech was repaid in his own kinde: Haman hanged upon the same Gallows he had prepared for Mordecai, anch Pharaoh and all his Hoste drowned in the Sea into which he had thought to have driven the Israelites, And likewise one of the Popish Prelates, who said he would not dote before Ridley and Latimore were burnt, was burned in his own entrails. So (much what) alike, it fell out with this mans wife, a Popish creature, who being great with childe, when the time of her delivery came, she brought forth a Monstrous childe, without an head, ugly and deformed» (Ibid., p. 8). 74 Ibid., p. 1. 370 era troppo coerente con le esigenze propagandistiche del Parlamento, perché la fazione parlamentarista non cercasse di trarne il massimo profitto: l’antica opposizione ai valori puritani da parte di sua madre, la casa ‘infestata’ di oggetti papisti, l’empia dichiarazione di ostilità ai ‘roundheads’ e, ovviamente, la dura punizione divina, costituivano gli ingredienti perfetti per una vicenda esemplare.75 L’autore del pamphlet li aveva minuziosamente raccolti e disposti in una forma che aveva l’esattezza geometrica del teorema; la fazione favorevole al Parlamento aveva garantito all’operetta l’ampia eco che, dal suo punto di vista, essa meritava: non è irrilevante, infatti, che questo pamphlet fosse dato alle stampe proprio immediatamente dopo la sconfitta e il conseguente imprigionamento di Carlo I, che avevano posto fine alla prima guerra civile. Cinque anni più tardi, un’altra donna avrebbe pagato duramente la propria scelta non conformista in materia di fede: si trattava di un’anonima ‘Mother’ di un piccolo villaggio nei pressi di Edimburgo, alla quale era dedicato un pamphlet di 8 pagine in 4°, dal titolo Strange Newes from SCOTLAND.76 La provenienza dalla Scozia di questo caso era densa, ancora, di implicazioni politiche: nel 1646, infatti, i presbiteriani scozzesi avevano abbandonato l’alleanza con il Parlamento di Londra per motivi religiosi. La volontà centralista dei parlamentaristi confliggeva con le esigenze autonomistiche della chiesa scozzese presbiteriana; tale scontro sarebbe culminato, nell’anno successivo, con l’invasione dell’Inghilterra da parte di un’armata scozzese, nel tentativo di riportare sul trono Carlo I. Tale tentativo fallì: nella battaglia di Preston (17-19 agosto 1648) i realisti scozzesi vennero sconfitti dall’esercito parlamentarista.77 75 Malgrado le numerose attestazioni di verità dei numerosi ‘eyes-witnesses’, non si può non intravvedere in questa esattezza i segni di una opportuna manipolazione. 76 Anonymous, Strange Newes from SCOTLAND, or, a Strange Relation of a Terrible and Prodigious Monster, borne to the Amazement of all those that were Spectators, in the Kingdome of Scotland, in a Village neere Edenborogh, call’d Hadensworth, Septem. 14. 1647. and the Words the said Monster spake at its Birth, London, printed according the Originall Relation sent over to a Great Divine hereafter mentioned, by E[lizabeth] P[urslowe] for W. Lee, 1647 [Wing (CD-ROM, 1996), S5900]. Una trascrizione completa del pamphlet si può leggere in Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, 64-66. Elizabeth Purslowe, stampatrice attiva a Londra fra il 1633 e il 1647, rilevò la ‘printing house’ del marito George Purslowe, morto nel 1633 (per il quale, si veda sopra, nota 124, pp. 274-275); cfr. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, p. 150. 77 La questione dell’appoggio scozzese alla monarchia rimase aperta anche negli anni successivi alla pubblicazione di Strange Newes from SCOTLAND; nel 1650, dopo la decapitazione del padre (30 gennaio 1649), il futuro Carlo II firmò un trattato con gli scozzesi, con il quale garantiva loro l’autonomia nelle scelte religiose in cambio dell’appoggio alle sue rivendicazioni sulla corona inglese; col sostegno degli scozzesi, Carlo si scontrò con l’esercito parlamentarista di Cromwell a Worcester il 3 settembre 1651, risultando duramente sconfitto; su questa fase delle guerre civili, e sull’appoggio 371 L’anonimo autore di Strange Newes from SCOTLAND che, a motivo delle numerose citazioni mitologiche di cui adornò la sua prosa, possiamo immaginare dotato di cultura classica – con molta probabilità un religioso – costruì una narrazione dalle caratteristiche molto peculiari. Il documento era costituito, infatti, quasi interamente da due lunghe sequenze: dapprima una descrizione del mostro in cui l’autore, mosso dall’esigenza di rendere oltremodo straordinaria la deformità del neonato, sovrappose ad alcuni dati probabilmente reali (alcune caratteristiche del ‘monster’ sono quelle dei gemelli siamesi dicefali) una serie infinita di dettagli fittizi e di richiami mitici. Seguiva poi un lungo monologo della madre che, prima di morire, confessava i propri peccati e invitava i presenti (e indirettamente i lettori del pamphlet) al pentimento e all’ammenda. In apertura, e citando numerosi testimoni che certificassero la verità del racconto, l’anonimo informava pertanto che In Hadensworth, neere Edenborough […], was borne a Child, or rather a Monster (I think Laerna nor Aegyptian Nyle ever produced the like) with two heads, growing severally, somewhat distant one from the other, bearing the similitude of man and woman, the one face being all over-growne with long haire, the other more smooth & more effeminate, the eares of both long, (like as the Poets fancie Mydas his eares, who was Judge betweene Pan and Apollo) standing bolt upright, in shape and length much like unto an Asses; the Eyes standing in the middest of the Fore-head (they having but one a piece cannot unfitly bee paralelled with that horned Monster Polyphemus, spoken of by Homer, which Ulysses extinguisht the sight of, by thrusting a Fire-brand into the Eye) they being bigge and round […]. His Body shap’d, or rather having no shape, round like the truncke of a Tree or Barrell: The Neckes to support this horned structure (I meane the Heads) were strong, sinewie and short, like to a strong neckt Bull: The Armes had their growthes from severall places; being of great dimensions, but very small, having annexed to their wrifts great Tallons, like to a Griffins. From the Secret parts (which shewed it to bee both Male scozzese all’esercito monarchico, cfr. Mark A. Kishlansky, A Monarchy Transformed. Britain 16031714, London, Allen Lane-The Penguin Press, 1996, capitolo 8, ‘Saints and Soldiers’, 1649-1658, pp. 187-212 (L’età degli Stuart. L’Inghilterra dal 1603 al 1714, traduzione italiana di Gino Scatasta, Bologna, Il Mulino, 1999). 372 and Female) downewards, all hairie, like your Satyres or Sylvane Gods: The Legges long and cloven, like an Oxes Foor, and out of the knees, or upper part of the legges, brancht out hands, shap’d and coloured like a Monkeyes.78 Tale ricca e dettagliata descrizione trovava un preciso riscontro nell’illustrazione apposta sul frontespizio, un’incisione nella quale il mostro dicefalo era rappresentato, sebbene con tratti ingenui, in tutta la propria raccapricciante deformità: le due teste monocole e dalle enormi orecchie, le braccia tozze e adunche, la folta peluria intorno alla pelvi, le gambe deformi, con due braccia che escono dalle ginocchia, i tratti umani mescolati con quelli zoomorfi (fig. 50). Un mostro spaventoso, annotava l’autore, che aveva provocato l’orrore di tutti coloro che erano stati testimoni della sua nascita, quasi che si fossero trovati di fronte alla Gorgone, il mostro mitologico capace di pietrificare chiunque avesse avuto la sventura di guardarlo. E il racconto proseguiva con tutta una serie di altri prodigi, che rendevano ancora più efficace (e terrorizzante) la narrazione, e culminavano – coup de théâtre – con alcune parole pronunciate in prima persona dal mostro stesso: At the birth of this Monster, Nature seemed to bee disquieted and troubled; insomuch, the Heavens proclaimed its entrance into the World with a lowd peale of Thunder, seconded with such frequent flashes of Lightning, that it was credibly beleeved of all (whose senses were not ravished from them with the sudden apprehension of feare) that the latter day was now come upon them; in the height of which confused noyse, the Monster (with hoarse, but lowd voyce) was heard to speake these words, being ever after silent, I am thus deformed for the Sinnes of my Parents.79 E se, a prima vista, questa spettacolare presentazione di sé sembrava ricondurre all’antica versione della nascita mostruosa come stigma di una generica colpa genitoriale, subito dopo una lunga elaborata confessione della madre metteva in luce la coerenza di questo documento con quelli contemporanei. Poco prima di morire, infatti, la degenere madre scozzese prendeva la parola e dichiarava la sua colpa più 78 Anonymous, Strange Newes from SCOTLAND, pp. 1-2. 79 Ibid., p. 3. 373 grande, riconoscendo la causa di quella tragedia nella propria scelta di fede e, correlativamente, di collocazione politica: The Mother, what with the extremitie of the paine and horrour of the sight, after some expressions, gave up the Ghost; the words shee used bifore breath left her body, were these, Good people (sayes shee) pray for mee as I shall doe for my selfe; this Judgement is questionlesse fallen upon mee for my Sinnes, which are many and grievous, for I have often wisht this or some such like judgement might befall me (which might not onely be a terror to my selfe, but all other that [w]ould behold it) rather that any Child borne of my body should receive those Christian Rites which by the Lawes and ancient Customes of England and Scotland were given Children at the Font, at their Baptisme: And I confesse, that I did vehemently desire (being seduced by Heretical factious fellowes, who goe in sheepes cloathing, but are naught but ravening Wolves) to see the utter ruine and subversion of all Church and State- Government (which too many in this times have desired, as the late unhappie differences can testifie) and to be an eye witnesse of the destruction of the Ministerie, who were not of our faction; all wich ungodly wishes (I am confident) h[av]e occasioned this horrid judgement to be so heavily inflicted upon me.80 La ‘Mother’ scozzese veniva dunque portata direttamente sulla scena, secondo un ormai consueto espediente retorico che vedeva la peccatrice dichiarare le proprie colpe in discorso diretto. Ma Mary Wilmore e Mrs Haughton pronunciavano le loro parole colpevoli prima della nascita mostruosa che le avrebbe punite; la madre di Edimburgo, invece, parlava subito dopo il parto (e questo rappresentava un artificio narrativo del tutto nuovo).81 Le sue parole costituivano una sorta di lunga orazione autoaccusatoria, che conteneva insieme le parole (o, meglio, i desideri) colpevoli e la dichiarazione di dolore e pentimento conseguenti alla terribile punizione. La donna confessava, infatti, in primo luogo, di aver espresso in cuor suo il terribile desiderio di preferire un figlio mostruoso ad uno cui venissero imposti gli odiati rituali del 80 Ibid., pp. 3-4. Il discorso dell’ignota ‘Mother’ è in corsivo nell’originale. 81 Tale artificio narrativo può essere ricondotto ai cosiddetti Last dying speeches, i resoconti dei discorsi pronunciati dai condannati a morte, sul patibolo, frequenti nelle opere a stampa del XVII secolo. Sull’argomento, cfr. James Sharpe, ‘Last dying Speeches. Religion, Ideology and Public Execution in 17th-Century England’, Past and Present, 107, 1984, pp. 144-167. Un’altra importante connessione è quella con i coevi Mother’s Advice Books, opere nelle quali emergeva la voce delle donne durante la malattia o in punto di morte; su questo tipo di testi, si veda lo studio di Marsha Urban, Mother’s Advice Books, New York, Palgrave Macmillan, 2006. 374 Battesimo. Fervente anabattista, dunque, la madre scozzese aveva desiderato ferocemente di opporsi a quanto prescritto «by the Lawes and ancient Customes of England and Scotland».82 Come già per le donne dissidenti che l’avevano preceduta, d’altra parte, la sua scelta di fede non era scevra da conseguenze politiche: l’opposizione al battesimo dei figli era solo uno dei desideri nei quali la donna identificava le cause della punizione. Convinta dai suoi correligionari, che solo in punto di morte riconosceva come ‘lupi in veste d’agnelli’, ella aveva desiderato «the utter ruine and subversion of all Church and State-Government». Ancora una volta, pertanto, la dissidenza religiosa e l’opposizione alla fazione politica in quel momento vincente si saldavano, seppure in una forma acritica e nichilista in cui si immaginava la completa rovina di ogni Chiesa e di ogni Governo che non fossero quelli rappresentativi della propria ristretta cerchia identitaria. E non è certo marginale il fatto che tale elemento disgregante e centrifugo provenisse proprio dalla Scozia, terra che, come abbiamo visto, si caratterizzava in questi anni per la sua opposizione al Parlamento di Londra.83 Dopo avere così apertamente riconosciuto e dichiarato le proprie colpe, la ‘Mother’ concludeva il proprio lungo monologo, e la propria esistenza, con un accorato invito al pentimento collettivo, rivolto – nella ‘finzione scenica’ – a coloro che erano presenti al suo capezzale, ma evidentemente pensato dall’autore per tutti i lettori del pamphlet: Therefore I desire you (deare friends) as you tender your being here, and your wellbeing hereafter, if any here amongst us be guiltie of the same sinnes (as I feare they are too generall) to recant in time those dangerous errors, calling to God for mercie, and making your peace before your sinnes call to Heaven for vengeance, lest this Sceane be continued from me to you, and so to your posteritie, till at length this Nation be pestered with as many Serpents as – But before shee could put a Period to her speech, Death put an Exit to her dayes. Thus ended the Tragedie of this afflicted Woman.84 82 La fede anabattista, nata in Svizzera nel XVI secolo, ha tra le sue caratteristiche principali il rifiuto del battesimo degli infanti; si diffuse nel corso del secolo e in quello successivo specialmente nei Paesi Bassi e nel Sud della Germania; in Inghilterra fu duramente osteggiata, per le sue tendenze ritenute troppo radicali, fin dal regno di Edoardo VI, e poi di Elisabetta I; per un completo quadro storico, si veda Ugo Gastaldi, Storia dell’Anabattismo, 2 voll., Torino, Claudiana, 1981. 83 Sul ruolo della Scozia durante le guerre civili, si veda, sopra, la nota 77, pp. 371-372. 84 Anonymous, Strange Newes from SCOTLAND, p. 4. 375 Con un’affascinante consapevolezza teatrale, l’autore raccontava e insieme suggeriva chiavi di lettura: perché la «Sceane» in cui la donna di Edimburgo era protagonista non passasse di testimone in testimone, di attrice in attrice, perché la «Tragedie» non divenisse eterna e perenne, era necessario riconoscere il veleno della dissidenza, pentirsi, e – possiamo dedurre – ritornare nell’alveo dell’uniformità, religiosa e politica. Ma il suo fu un appello che non tardò a essere disatteso. Nel 1652, ormai terminata con la battaglia di Worcester la terza guerra civile, il pubblico londinese poteva trovare in vendita, nei book-shops della città, un nuovo testo dedicato ad una nascita mostruosa: si trattava di un pamphlet di 8 pagine in 4°, dal titolo The Ranters Monster: being a True Relation of One Mary Adams, living at Tillingham in Essex, who named her self the Virgin Mary.85 Il documento si apriva con un frontespizio nel quale, oltre alle brevi informazioni sul caso discusso all’interno, si trovava un’incisione, dove campeggiava una blemmia di foggia classica (fig. 51): un occhio attento avrebbe riconosciuto in essa la medesima immagine che, sei anni prima, aveva illustrato la vicenda di Mrs Haughton (fig. 49). Il riuso della stessa incisione indicava, da un lato, l’importanza che ancora si riconosceva allo straordinario evento del Lancashire, tanto potente nella memoria da poter essere utilizzato come richiamo per un nuovo caso; dall’altro, l’eco figurativa istituiva per il nuovo documento una sorta di ‘filiazione’, e suggeriva una lettura dell’evento mostruoso analoga a quella dell’antecedente citato: il lettore poteva così già immaginare che quella che stava per leggere fosse una storia di dissidenza religiosa, con sfumature politiche, e adeguatamente punita dall’intervento divino.86 85 Anonymous, The Ranters Monster: being a True Relation of One Mary Adams, living at Tillingham in Essex, who named her self the Virgin Mary, blasphemously affirming that she was conceived with Child by the Holy Ghost; that from her should spring forth the Savior of the World; and that all those that did not believe in him were damn’d: with the Manner how she was deliver’d of the Ugliest Ill- Shapen Monster that ever Eyes beheld, and afterwards rotted away in Prison: to the Great Admiration of all those that shall read the ensuing Subject; the like never before heard of, London, printed for George Horton, 1652 [Wing (2nd ed.), R251]. Un’ampia analisi del pamphlet si può leggere in Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 155-170; una trascrizione completa si trova in Simon McKeown (ed.), Monstrous Births, pp. 67-69. La vicenda narrata dal pamphlet è quasi certamente fittizia, nata dalle esigenze propagandistiche del suo stampatore, George Horton, attivo nel periodo 1647-1660 e noto sostenitore del Parlamento (crf. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, p. 101). Su Mary Adams come puro prodotto d’invenzione narrativa, cfr. Ariel Hessayon, ‘Adams, Mary (supp. fl. 1652)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www. oxforddnb.com/view/article/40441, accessed 11 Oct 2014]. 86 Secondo Julie Crawford, il riuso dell’immagine semplicemente «does suggest the publisher’s consciousness of a similarity between the two texts» (Marvelous Protestantism, p. 165). 376 L’anonimo autore entrava subito in medias res: senza alcuna introduzione, informava i lettori che In the County of Essex at a place called Tillingham, there lived one Mary Adams, who said that she was the Virgin Mary, and that she was conceived with child by the Holy Ghost, and how all the Gospel that had bin taught heretofore, was false; and that which was within her she said was the true Messias; for she obstinately and very impiously affirmed, that Christ was not yet come in the flesh; but that she was to bring forth the Savior of the World, and that all those that did not believe in him were damn’d. For which blasphemous words, and wicked opinions of hers, Mr. Hadley the Minister caused her to be apprehended, & cast into prison.87 A Tillingham, nell’Essex, era dunque vissuta una Mary Adams convinta di essere la Vergine Maria e di portare in grembo il Redentore: un ritratto che, ad occhi moderni, appare più quello di una donna dall’equilibrio fragile, piuttosto che di una consapevole dissidente religiosa.88 Ma per i suoi contemporanei, e vieppiù per l’autore del pamphlet, Mary costituiva la protagonista ideale di una storia dai tratti edificanti, quella di una donna che aveva travisato il principio protestante del diretto rapporto con il divino, e per questo motivo era stata duramente punita dalla nascita di un orribile ‘mostro’. Oltre alla punizione umana che l’aveva condotta in carcere, la donna aveva ricevuto un segno chiaro e tangibile dell’ira divina. Giunto il tempo di partorire, infatti, when the Midwife and other good women of the Parish came to her, they did their best endeavors to bring her to a safe deliverance, but could not prevail, so that there she lay in exceeding great misery and torment for the space of 8 dayes and nights; and upon the ninth day about 7 of the clock in the forenoon, she was delivered of the most ugliest ill-shapen Monster that ever eyes beheld; which being dead born they buried with speed, for it was so loathsome to behold, that the womens hearts trembled 87 Anonymous, The Ranters Monster, p. 3. L’arresto di Mary Adams da parte di Mr. Hadley, Minister di Tillingham, era avvenuto in ossequio al Blasphemy Act del 1650, di cui si è detto all’inizio del capitolo. Tra le altre, la più grave affermazione pronunciata dalla donna era stata che «Christ was not yet come in the flesh». 88 Così anche Julie Crawford: «Mary Adams was one such troubled mind» (Marvelous Protestantism, p. 149). 377 to look upon it; for i[t] had neither hands nor feet, but claws like a Toad in the place were the hands should have been, and every part was odious to behold.89 Il supposto Messia non si era dimostrato dunque altro che un orribile ‘monster’, causa di un travaglio lunghissimo e dolorosamente punitivo. Un mostro sul quale, stranamente, l’autore si soffermava pochissimo, dando esigui dettagli, e malamente coerenti con l’immagine del frontespizio. Ma non era la forma del mostro il centro della questione: ciò che davvero contava – anche a costo di forzare la verità dei fatti – era raccontare esemplarmente la vicenda di una donna che aveva voluto opporsi alle autorità, e per questo motivo era stata punita dall’ira divina. Una punizione che, a differenza dell’anonima madre anabattista di Strange Newes from SCOTLAND, non conosceva neppure la possibilità del pentimento e dell’ammenda; la follia di Mary Adams conduceva ad una morte priva di redenzione: Her latter end was miserable, for the women that was about her, seeing there was no hopes of her life, desired her to pray, and to ask forgiveness for her sins, she answered, That her heart was so hardened in wickednesse, that she had no power to repent; but desired one of the women to lend her a knife to pare her nails, which when she had made use of, she laid the knife aside till such time the women were gone, and afterwards ript up her bowels with the same knife.90 Solo dopo avere raccontato l’orribile fine della donna, l’anonimo autore approfondiva il ritratto della protagonista, disegnando un quadro di profonda inquietudine religiosa. Dopo un’educazione rigorosa e senza macchie, Mary Adams si era allontanata dalla ‘vera fede’ e aveva aderito all’Anabattismo: This Mary Adams was descended of good parentage, and for many yeares deported her self both in a civil life and conversation, being a great frequenter of the Church, and a most excellent pattern of true Holiness, till at last she fell off from these divine and glorious principles, to the most Heretical and undeniable way of Anabaptisme; 89 Anonymous, The Ranters Monster, pp. 3-4 90 Ibid., p. 4. La punizione mortale che Mary Adams infligge a se stessa costituisce una paradossale e poetica antitesi alla sua iniziale affermazione di divina gestazione: nel grembo materno si è originata la sua colpa, nello stesso grembo Mary si dà la morte. 378 and to the end that she might become a dear sister, and one of their society, desired to participate with them in their watry element, and accordingly her former zeal to the divine Ordinance was extinguished and washed away, by being rebaptized, or dipped.91 Ma l’adesione al movimento anabattista non era stata che la prima tappa di un vagabondaggio religioso senza posa alcuna, segno di una inquietudine che era, con tutta probabilità, immagine di un profondo squilibrio psichico: But before the expiration of many moneths she began to learn a new Exercise, and revolted from the Brotherhood, to be one of the Familists of Love; but she had not long embraced that Venerable Sect, but she began to desire a further change, and immediatly after turned Ranter holding an Opinion, That there was no God, no Heaven, no Hell; but that the Creation came by providence, with divers other Diabolical and blasphemous Tenets; amongst the rest, she said, That Woman was made to be a helper for man, and that it was no sin to lie with any man, whether Batchelor, Widdower or married; but a thing lawful, and adjured thereunto by Nature.92 Lasciati gli anabattisti, Mary era dunque approdata fra i Familisti d’Amore, una setta nota anche come Familia Caritatis, fondata dal mistico tedesco Hendrik Niclaes, che negava il dogma della trinità, affermava che l’universo esistesse sulla base delle leggi di natura e non sul diretto intervento divino e, come gli anabattisti, disconosceva il battesimo degli infanti.93 Ma era stata un’adesione breve, se poco tempo dopo Mary si era avvicinata ai Ranters, la principale e più nota delle sette antinomiane inglesi del XVII secolo. Costoro portavano all’estremo l’idea protestante della salvezza attraverso la grazia; la loro teologia morale, che imponeva obbedienza soltanto ai diretti dettami dello Spirito Santo, e non a quelli che per loro non erano altro che 91 Ibid., pp. 4-5. 92 Ibid., p. 5. 93 Hendrick Niclaes (c. 1501 – c. 1580) fondò la Familia Caritatis nei Paesi Bassi nel 1539; appassionato predicatore e prolifico scrittore, fu in Inghilterra nel periodo 1552-1569. Cfr. Alistair Hamilton, The Family of Love, Cambridge, James Clark & Co., 1981 e Christopher Marsh, The Family of Love in English Society. 1550-1630, Cambridge, Cambridge University Press, 1994. 379 fallaci esegeti terreni, aveva generato una durissima opposizione, tanto da parte dell’istituzione religiosa, quanto di quella statale.94 Ma i Ranters più estremisti andavano molto oltre: arrivavano a negare il concetto stesso di peccato, l’esistenza dell’inferno, qualsiasi autorità e, in sostanza, ogni legge morale.95 E questo era tanto più vero in quei casi in cui l’esaltazione della libertà personale (coloro che si riconoscevano toccati dalla grazia, autodefinendosi ‘santi’, ‘giusti’, ‘eletti’ arrivavano a percepirsi come una nuova incarnazione del Verbo o, proprio come Mary Adams, come nuove madri di Dio) travalicava i limiti della dissolutezza, se non della follia.96 La propaganda ostile agli antinomiani, e ai 94 Una delle più celebri controversie tra le esigenze di libertà individuale dei fedeli e la dura repressione da parte del potere politico e religioso ebbe luogo pochi anni prima dello scoppio della guerra civile, nella colonia americana del Massachusetts: fu la cosiddetta ‘Antinomian Controversy’ che, tra il 1636 e il 1638 vide contrapporsi, in un feroce dibattito non solo teologico, da una parte il ministro puritano John Cotton, fautore della ‘teologia della libera grazia’, e i suoi adepti, tra cui la fervente Anne Hutchinson, e dall’altra un gran numero di ‘ministers’ e ‘magistrates’, che si opposero ad una pericolosissima teologia che lasciava troppo spazio alla libertà individuale; la controversia culminò con il processo alla stessa Anne Hutchinson (15 marzo 1638) e la sua scomunica. Sulla ‘Antinomian Controversy’ si vedano Francis J. Bremer, Anne Hutchinson. Troubler of the Puritan Zion, New York, Robert E. Krieger Publishing Company, 1981; David D. Hall, The Antinomian Controversy, 16361638. A Documentary History, Durham-London, Duke University Press, 1990; Eve LaPlante, American Jezebel, The Uncommon Life of Anne Hutchinson, the Woman who defied the Puritans, San Francisco, Harper Collins, 2004.95 Sui Ranters, cfr. Jerome Friedman, Blasphemy, Immorality and Anarchy. The Ranters and the English Revolution, Athens, Ohio Univesity Press, 1987. Una messa a punto, ricca e dettagliata, sui Ranters e sulle opere a stampa a loro ostili si deve a James C. Davis, Fear, Myth, and History. The Ranters and the Historians, Cambridge, Cambridge University Press, 2002; nella sua analisi, lo studioso arriva a negare l’esistenza storica dei Ranters: essi non sarebbero altro che un movimento fittizio, un mito eresiografico alimentato dalle reciproche accuse dei diversi movimenti settari. 96 La vicenda di Mary Adams, convinta di portare in grembo il vero Cristo, non fu un caso isolato; si conoscono almeno altri due episodi molto simili, ed entrambi riconducibili all’ambiente dei Ranters: William Franklin e Mary Gadbury, processati a Winchester nel 1649, si professavano la reincarnazione di Gesù Cristo e della sua sposa (cfr. Humphrey Ellis, Pseudochristus: or, A True and Faithful Relation of the Grand Impostures, Horrid Blasphemies, Abominable Practises Gross Deceits; lately spread abroad and acted in the County of Southampton, by William Frankelin and Mary Gadbury, and their Companions. The one most Blasphemously professing and asserting himself to be the Christ, the Messiah, the Son of God who dyed and was crucified at Jerusalem for the Sins of the People of God. The other as wickedly professing and asserting her self to be the Spouse of Christ, called, the Lady Mary, the Queen, and Bride, the Lambs Wife. Together with the Visions and Revelations, to which they did pretend their Ways of deceiving, with the Names and Actions of Sundry Persons deceived by them. As also their Examinations and Confessions before the Justices of the Peace, their Imprisonment, and their Tryal before the Judg of Assize, at the Last Assize holden at Winchester, March 7. 1649. […] By Humphry Ellis, Minister of the Word in the City of Winton, London, printed by John Macock, for Luke Fawn, and are to be sold at his shop at the sign of the Parrot in Pauls Church-yard, 1650 [Wing (CDROM, 1996), E579]); John Robins e sua moglie, arrestati nel maggio 1651, affermavano, rispettivamente, l’uno di parlare con lo Spirito Santo e di essere Dio, l’altra di essere la Vergine Maria, e di essere in attesa dell’unico e vero Cristo (cfr. G. H. The Declaration of John Robins, the False Prophet, otherwise called the Shakers God, and Joshua Beck, and John King, the Two False Disciples, with the Rest of their Fellow-Creatures now Prisoners in the New-Prison at Clarkenwell: delivered to Divers of the Gentry and Citizens, who on Thursday, Friday, and Saturday Last reported thither to dispute with them: with the Citizens Proposals to the said John Robins, concerning his Opinion and 380 Ranters in particolare, aveva gioco facile nel presentarli come immorali, dissoluti, e dediti alla più sfrenata promiscuità sessuale.97 Ed era proprio questo il dettaglio su cui l’anonimo autore di The Ranters Monster si soffermava nel disegnare il ritratto di Mary Adams, per la quale «it was no sin to lie with any man».98 Mancava solo un ultimo dettaglio per fare di lei il personaggio idealmente negativo di cui la propaganda favorevole al Commonwealth aveva bisogno: un suo pronunciamento politico. L’anonimo autore glielo attribuì nelle ultime righe del Judgement, and his Answer thereunto: together with his Prophesie of what is to come to pass this Year, 1651. & the Strange Things revealed to him: his Religion, Principles, and Creed: as also his Blasphemous Tenents, in attributing an Inspiration from the Holy Ghost: with the Manner of their Diet, and his Woe pronounced concerning all those that drink Ale. By G.H. an Ear-Witness, London, printed by R. Wood, 1651 [Wing (2nd ed.), H28]). 97 A questo proposito, Julie Crawford afferma che «anti-sectarian critics almost uniformly associated Ranterism with liberty and sexual license of women» (Marvelous Protestantism, p. 159). A titolo di esempio, si legga Samuel Shepherd, The Jovial Crew, or, The Devil turn’d Ranter, London, printed for W. Ley, 1651, sig. B2r, in cui una donna appartenente alla setta pronuncia una licenziosa offerta sessuale: «Come some man or other / and make me a mother». 98 Anonymous, The Ranters Monster, p. 5. Una considerazione merita la scelta onomastica compiuta dall’autore per indentificare la protagonista del suo pamphlet. Dietro il cognome ‘Adams’ potrebbe, infatti, celarsi un riferimento agli ‘Adamiti’, una setta radicale i cui membri proclamavano che si dovesse ritrovare l’originaria innocenza di Adamo. Poiché tale innocenza era contraddistinta, prima della caduta nel peccato, dalla completa nudità, essi affermavano che il corpo fosse l’opera di Dio e che pertanto non dovesse essere coperto. Simile ai Ranters (a cui era avvicinato, nella propaganda ostile, per la denuncia della scandalosa libertà nei costumi sessuali), questo movimento fu oggetto di non poca preoccupazione per le autorità inglesi, soprattutto all’inizio degli anni Quaranta del XVII secolo. Contro gli Adamiti, insieme ad altri gruppi eterodossi, si scatenò l’attività della pamphletistica: Anonymous, A Discovery of 29, Sects here in London, all of which, Except the First, are most Divelish and Damnable, being these which follow. Protestants. Puritans. Papists. Brownists. Calvinists. Lutherans. Fam. of love. Mahometans. Adamites. Brightanists. Armenians. Sosinians. Thessalonians. Anabaptists. Separatists. Chaldæans. Electrians. Donatists. Persians. Antinomeans. Assyrians. Macedonians. Heathens. Panonians. Saturnians. Junonians. Bacchanalians. Damassians. The Brotherhood., London, s.n., 1641 [Wing (2nd ed.), D1662A]; Anonymous, A Nest of Serpents discovered. Or, a Knot of Old Heretiques revived, called the Adamites. Wherein their Originall, Increase, and Severall Ridiculous Tenets are plainly layd open, London, s. n., 1641 [Wing (CD-ROM, 1996), N470]; Samoth Yarb, A New Sect of Religion descryed, called Adamites: deriving their Religion from our Father Adam. Wherein they hold themselves to be Blamelesse at the Last Day, though they sinne never so Egregiously, for they challenge Salvation as their Due, from the Innocencie of their Second Adam. This was First disclosed by a Brother of the same Sect, to the Author, who went along with this Brother, and saw all these Passages following. By Samoth Yarb, Batchelor in Arts, London, s. n., 1641 [Wing (CD-ROM, 1996), B4281C]; Obadiah Couchman, The Adamites Sermon: containing their Manner of preaching, expounding, and prophesying: as it was delivered in Marie-bone Park, by Obadiah Couchman, a Grave Weaver, dwelling in Southwark, who with his Companie were taken and discovered by the Constable and other Officers of that Place; by the Meanes of a Womans Husband who dogged them thither. And some Part likewise by Meanes of a Gentlewoman, a Widow, which is a Ministers Daughter in the Citie of London, who was almost perswaded to become one of their Societie, if her Father had not disswaded her from it. Also a Dialogue between an Adamite and a Brownist, concerning their Religion, &c., London, s. n., 1641 [Wing (CD-ROM, 1996), A475B]. Per maggiori informazioni sul movimento degli Adamiti, cfr. Christopher Hill, The World Turned Upside Down, in particolare pp. 306-323 e David Cressy, Agnes Bowker’s Cat. Travesties and Transgressions in Tudor and Stuart England, Oxford, Oxford University Press, 2000, soprattutto pp. 251-280. 381 pamphlet, costruendolo con un facile calco sulle parole di Elizabeth Haughton, la terribile protagonista di A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster: When the aforesaid Mary Adams was in prison, she used many Imprecations against Independents; saying, That rather then she would bring forth the Holy Ghost, to be a Round-head, or Independent, she desired that he might have no head at all. O horrible blasphemy! What an Age do we live in? God in his mercy be our guides, and blesse, keep, preserve, and defend us, all the dayes of our appointed time.99 L’ultima frase attribuita a Mary Adams citava molto da vicino le parole che avevano costituito la colpa di Mrs. Haughton, pochi anni prima; con una sostanziale differenza: ai Round-head erano accostati anche gli Independents, un movimento relativamente moderato e ‘tollerante’, maggioritario durante il Commonwealth e il protettorato di Oliver Cromwell.100 Essi, in parte contrapponendosi ai puritani più radicali, si trovavano nella delicata posizione di proclamare come un valore irrinunciabile la libertà della coscienza individuale, ma allo stesso tempo garantire l’uniformità del credo, e la tenuta dello Stato.101 Dal punto di vista di una Ranter come Mary Adams, la differenza tra Roundheads e Independents era forse una pura questione di sfumature, mentre per l’autore del pamphlet – presumibilmente egli stesso un Independent – la distinzione rispondeva a precise esigenze identitarie. In ogni caso, citando e variando le parole pronunciate sei anni prima da Mrs Haugton, il pamphlet dichiarava, circolarmente, il proprio modello: così come si era aperto con l’immagine del mostro del Lancashire, si chiudeva ricalcando le parole blasfeme di colei che di quel celebre portento era stata la madre. Raccontando la vicenda di Mary Adams, operando il suo strumentale travisamento, riferendosi esplicitamente ad un altro caso famoso, The Ranters Monster chiudeva un’epoca, mentre la propaganda repubblicana – erede di quella parlamentarista degli anni delle guerre civili – lasciava la sua ultima traccia fra i 99 Ibid., p. 8. 100 Sugli Independents, sulla loro relativa ‘tolleranza’ in materia religiosa (purchè non confliggente con la tenuta del corpo sociale) sui loro rapporti con i puritani durante le guerre civili, cfr. George Yule, The Independents in the English Civil War, Cambridge, Cambridge University Press, 1958. 101 Cromwell stesso era un Independent, di posizioni religiose relativamente tolleranti, purché non pericolose per l’unità statale (e così, presumibilmente, l’autore del pamphlet). Su questo aspetto della personalità del futuro Lord Protettore, cfr. David Sharp: «the survival of English nonconformity and the reputation of the English for tolerance is part of his abiding legacy» (Oliver Cromwell, London, Heinemann, 2003, p. 68). 382 documenti relativi alle nascite mostruose. D’altra parte, la fazione monarchica (che, decapitato Carlo I, aveva trovato il proprio nuovo simbolo nel figlio, il futuro Carlo II) era stata per il momento sconfitta a Worcester (3 settembre 1651). Negli anni successivi, l’accentramento del potere nelle mani di Oliver Cromwell durante il Protettorato tolse spazio, e gran parte della ragion d’essere, a questo tipo di propaganda.102 Per alcuni anni le nascite mostruose scomparvero dagli interessi della street literature. Quando tornarono in scena, alla fine del decennio, furono nascite molto diverse, e giunsero a segnalare che i venti della politica stavano di nuovo cambiando direzione. 7.2 A wonder as well to be seen, as heard: neonati che parlano in favore del re Stampato «for R. Harper, neer the Hospital Gate in Smithfield» nel 1659, The True and Miraculous Narrative of a Child born with Two Tongues raccontava di una nascita che, se non può dirsi ‘mostruosa’ nel senso in cui abbiamo inteso il termine fin qui, condivideva tuttavia con gli esempi precedenti la tendenza alla lettura prodigiosa e alla conseguente interpretazione religiosa e politica: si trattava, infatti, di un resoconto nel quale un neonato, venuto al mondo con due lingue, dopo soli tre giorni dalla nascita pronunciava distintamente alcune parole. Quelle parole profetizzavano il ritorno del re.103 Il documento, un pamphlet di 8 pagine in 4°, era aperto da un frontespizio privo di illustrazione, nel quale l’autore, oltre a dare un breve sunto della straordinaria nascita, chiamava a testimoni «Divers Personages of the Greatest Dignity, and many 102 Sulla battaglia di Worcester (3 settembre 1651), definitiva sconfitta delle truppe realiste da parte dell’esercito parlamentarista di Cromwell, si veda Malcolm Atkin, Cromwell’s Crowning Mercy. The Battle of Worcester 1651, London, Sutton, 1998. 103 Anonymous, The True and Miraculous Narrative of a Child born with Two Tongues, at the Lower End of East-Smithfield in the Suburbs of London, &c. Who Three Dayes after his Birth, was heard plainly, expresly to cry out, a King, a King, a King, which it hath ever since continued, to the Admiration of all that hear it. As also its being sent for by Divers Personages of the Greatest Dignity, and many Honorable Ladies in the Cities of London and Westminster, who not contented to behold, and but One Time to hear it, have sent their Coaches for it again, and again. Together with the many Various Interpretations and Constructions that every where are made of it, London, printed for R. Harper neer the Hospital Gate in Smithfield, 1659 [Wing (CD-ROM, 1996), T2511A]. Su questo documento, si veda un breve cenno in Julie Crawford, Marvelous Protestantism, pp. 173-175. Richard Harper, ‘bookseller’ di Smithfield, iniziò la sua attività nel 1633; si occupò soprattutto di ballads, broadside, pamphlet di argomento politico e sermoni: cfr. Henry R. Plomer, A Dictionary of the Booksellers and Printers who were at Work in England, Scotland and Ireland from 1641 to 1667, p. 90. 383 Honorable Ladies in the Cities of London and Westminster», ancora una volta a sottolineare, contemporaneamente, la veridicità dell’evento, e la sua incredibile risonanza.104 La prima parte del pamphlet era dedicata ad un’ampia disamina del prodigio delle due lingue, e alla sua corretta interpretazione. Se «to have two Tongues is commonly the property of a Dissembler», si trattava di dimostrare in che modo, invece, il bimbo nato con due lingue dovesse essere inteso come un testimone di verità.105 La prima «double Tongue» che era apparsa nel mondo era stata, infatti, la lingua del serpente, che aveva tentato Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, condannando l’umanità alla vita nel peccato: «man being thus infected with a double Tongue from the Devil, behold a punishment proportioned to the Nature of his Offence».106 Ma, distingueva sottilmente l’autore, se la lingua di falsità è quella del serpente, essa è una lingua biforcuta, non una doppia lingua come quella del bambino appena nato a Smithfield: A double Tongue, for the most part is a false Tongue, and the Devil is the Father of lyes, and may have a Cloven Tongue, as well as a Cloven Foot. But the Child of whom we come now to speak, hath not as it seems a double Tongue, nor a cloven, or a divided Tongue, but two Tongues, one lapped over the other.107 E questo, proseguiva l’autore, era un prodigio davvero inusitato. Se, infatti, affermava, molti autori di filosofia, fisica e medicina avevano fino ad allora disquisito di stranezze di natura inerenti alla forma del corpo umano, come l’avere sei dita nella mano, o due dita unite insieme, nessuno a sua memoria aveva mai dovuto affrontare ed interpretare un segno tanto straordinario: «I have never heard of any Phylosopher that showeth Reasons why a man hath two Tongues, nor of any Historian who declareth that ever any one hath had them».108 104 Ibid., frontespizio. 105 Ibid., p. 1. 106 Ibid., p. 2. 107 Ibid., p. 3. 108 Ibid., p. 4. 384 E se, proseguendo nel discorso, l’anonimo autore non perdeva occasione di inserire una nota sarcastica e misogina, non smarriva il tono meravigliato con il quale il suo resoconto si era aperto: True it is, I have heard many a man to say, that his own Wife, or his next Neighbours Wife, hath a thousand Tongues, which modestly I conceive is not so much, as by the perpetual motion of one Tongue. And this indeed is the noyse and the complaints of every day, and every wind doth blow them over the face of the World, that now they are no sooner heard, then disregarded: but for an Infant to be born with two Tongues, and to speak almost as soon as it was born, is a wonder in earnest, a wonder as well to be seen, as heard, and the great wonder which I come now to declare unto you.109 Solo dopo quest’ampia introduzione, indispensabile ad aurare di verità e di profondità ermeneutica un caso con ogni probabilità fittizio, creato ad arte per significare le aspirazioni monarchiche dell’autore, il documento giungeva al racconto degli eventi, collocati spazialmente a Londra, ma significativamente privi di precisazioni cronologiche. I fatti erano avvenuti «in the Subburbs of London, in the lower end of East-Smithfield, at a place called Knockfergus», dove «a young woman was brought to bed with a Child that was born with two Tongues, the one in some measure covering the other, but the lower Tongue appearing to be the more natural, for it seemeth to be more firme and longer than the other».110 Sarà importante soffermarsi un attimo su queste due lingue, di cui una, la sottostante, è quella «more natural […] more firme and longer» di quella che la sovrasta: in essa, soprattutto tenendo conto del tono apertamente filomonarchico del pamphlet, non è difficile intravvedere un’allusione alla forma di governo tradizionale, 109 Ibid. La sfumatura misogina di questo passo assume un colore e un risalto molto specifico nel contesto storico dell’interregno: come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la libertà femminile cercava nel dissenso politico/religioso una possibile strada di autodeterminazione; derubricare a ‘chiacchiera’ il pensiero femminile era il modo più consueto per anestetizzarlo e renderlo inoffensivo. D’altra parte, l’inibizione della lingua era una punizione usuale delle donne accusate di blasfemia, eresia e settarismo; a questo proposito, Julie Crawford sottolinea che «punishments used to silence women, such as branks and “Gossips bridles”, focused on the physical and symbolic depression of the tongue, and were used not only for women who were guilty of “gossiping” but also for women accused of blasphemy, heresy, and sectarianism» (Marvelous Protestantism, p. 174). Per un ulteriore approfondimento sulle pratiche punitive contro le donne in questi anni, si veda John E. Burford, Sandra Shulman, Of Bridles and Burnings. The Punishment of Women, New York, St. Martin’s Press, 1992, pp. 50-62; sul tema del ‘gossiping’ durante la prima età moderna, si veda Bernard Capp, When Gossips meet. Women, Family, and Neighborhood in Early Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2003. 110 Anonymous, The True and Miraculous Narrative of a Child born with Two Tongues, p. 4. 385 quella naturale, salda e di lunga durata, rispetto alla quale il regime di Cromwell non è altro che un’eco pallida, sbiadita, atrofizzata. Autorizza questa lettura simbolica anche il seguito del racconto, in cui l’autore disegnava per il bimbo prodigioso due ritratti genitoriali che sembrano incarnare due figure emblematiche e idealizzate: The father of it is a poor man, and of a poor trade, but such a one that the best Lady in the Land, when she is plagued with Corns, would be glad of his Assistance. Having a sharp Knife, and a good dexterity in this, he doth get a reasonable Subsistence to live in a hard world, and being a good Corn-cutter, he doth make his harvest, and thriftily bring it home, as well in Winter as in Summer. His name is John Clarke, and he liveth at the next door to the Sign of the Soldier and Trumpet at Knockfergus. His Wife is a great Pains-taker, and well beloved amongst her neighbours, who were many of them with her, at the time of her delivery, and did assist her in her Childing throwes.111 Un uomo e una donna, dunque, che assolvevano insieme al ruolo di protagonisti nella narrazione, e – forse – di simboli: l’uno, in grado di portare aiuto ad una «Lady» quando aveva bisogno d’aiuto per il raccolto, e che abitava «next door to the Sign of the Soldier and Trumpet», poteva anche incarnare il buon inglese capace di prestare soccorso alla patria con la forza e con le armi («having a sharp Knife and a good dexterity in this»); l’altra, giudiziosa e solerte, amata dai propri vicini, poteva simboleggiare la patria stessa, e la sua capacità auto-rigeneratrice. In questo quadro familiare avveniva il prodigio: three days after she was brought to bed, many of her neighbours came to give her a visit, and some of them were witnesses at the Christening of her Child, whose Name was John, after the name of his Father; looking stedfastly on the Child and kissing it, the Child did open its mouth, and they plaintly discerned that it had two Tongues, which they were loath to discover to the mother, who for all she gave it suck, had not she least knowledge of it.112 111 Ibid., pp. 4-5. 112 Ibid., p. 5. 386 Solo nel momento del battesimo, dunque, tre giorni dopo la nascita, i presenti si erano accorti dell’esistenza delle due lingue, nel preciso istante in cui il bambino prendeva lo stesso nome di suo padre; suggestivo, anche in questo caso, intravvedere un sottile gioco narrativo: anche il pretendente al vacante trono d’Inghilterra, il futuro Carlo II, aveva preso il proprio nome «after the name of his father». Ma tutto ciò non era altro che un preludio al momento centrale del prodigio, quello in cui il bambino, a soli tre giorni dalla nascita, avrebbe pronunciato chiaramente le sue prime parole. E si sarebbe trattato, come è ovvio, di parole profetiche: Mrs Nicholls her next Neighbour whispering to the Midwife, whose name is Mrs. Silk, concerning it, and the other Neighbours marvelling at it, and desired that for the present it might be kept in private amongst themselves, because they were loath to disquiet the mother, who began to take a little rest after her hard Travail, with such melancholy News, the Child began to wayle, and to cry out, A King, A King, A King.113 I presenti non avevano fatto in tempo a consultarsi sull’opportunità di tacere alla madre il prodigio della doppia lingua, per non angustiarle il riposo dopo il faticoso travaglio, che il bimbo miracoloso aveva manifestato compiutamente le proprie inaudite facoltà, pronunciando per tre volte la parola ‘re’. E anche questa insistenza sul numero tre, numero divino esso stesso, non mancava – ovviamente – di aggiungere all’avvenimento un’aura rituale: «in a silence full of amazement, they did now look on one another, the speaking Child had made the Woman dumb, which more then all the Bels in the Town ringing at once, or the ratling of the brazen pans can doe when the Moon is in labour».114 Un simile prodigio poneva, per la sua natura profetica, evidenti difficoltà, in un momento storico in cui la pronuncia stessa dell’autorità regale era stata vietata: They entred into Councel, and concluded that in regard the Name and Authority of a King had been abolished by the Parliament, it was not fit it should be divulged; the 113 Ibid. 114 Ibid., pp. 5-6. 387 Mother therefore did desire them that they would not make any mention of it, which they promised to perform; but what muzzle can silence the tongue of a woman.115 Ancora una volta era dunque l’ironia misogina la chiave attraverso la quale il nostro autore faceva muovere in avanti la vicenda: la lingua di una donna non poteva essere in alcun modo imbavagliata, perciò from whispers at the first, it began to grow into open Reports, and the more they did promise to suppress it, the more it was divulged; howsoever the Mother (as she saith her self) did tamper with the Child; and as much as she could to make it sensible of her, she did forbid it to speak in that Name, which neither she, nor others that did attempt it could ever effect.116 Malgrado ogni sforzo, dunque, il portento continuava a ripetersi, fino a diventare noto in tutta la città: In a short time the Child with two tongues, and the words in the mouth of it were famous in the City, and divers Gentlewoman of the City did send their Coaches for the mother and the Child, who ever now and anon, would cry out A King, a King, a King; and if there were any company about it, that it did not like, it will put forth its hand and cry Away, away.117 Anche nel finale della vicenda, dunque, l’autore non mancava di segnalare sottilmente il significato della storia che stava raccontando (e probabilmente inventando): all’invocazione a favore del re faceva da inevitabile contrappunto una velata esortazione a cacciare i suoi oppositori. Un lettore avveduto non poteva non riconoscere in quella «company», sgradita al bimbo dalle due lingue, i seguaci del regime repubblicano. Il bimbo con due lingue non fu l’unico neonato a invocare il ritorno del re. Gli ambienti monarchici non sottovalutarono l’enorme potenziale propagandistico delle nascite prodigiose, e sfruttarono a loro volta, e con modalità loro proprie, questo fortunato ‘genere’ letterario. Un anno dopo, infatti, veniva stampato a Londra un 115 Ibid., p. 6. 116 Ibid. 117 Ibid. 388 nuovo documento, nel quale si raccontavano tre diversi casi di neonati che profetizzavano il ritorno del re: si trattava di un pamphlet anonimo di 8 pagine in 4°, intitolato The Age of Wonders, or Miracles are not ceased.118 Il documento si apriva con un frontespizio privo di illustrazione, in cui la consueta sintesi delle vicende narrate nel corpo del testo era accompagnata da una pregnante citazione del Salmo 8: «Out of the Mouth of Babes and Sucklings hast thou ordained Strength because of thine Enemies».119 Già nel richiamo alle parole bibliche l’anonimo autore metteva in chiaro il background ideologico in cui avrebbe di lì a poco calato la narrazione: i nemici del re erano anche nemici di Dio, e in questa saldatura – dichiarata dalle prodigiose parole degli infanti – si celava, neppure troppo sottilmente, un vero e proprio appello alle armi contro il regime usurpatore. Il pamphlet prendeva avvio da alcune affermazioni di carattere generale, asserendo che lo Spirito non consente agli esseri umani di sminuire la sua verità e onnipotenza, e che interviene di tanto in tanto nella natura per significare il proprio disappunto: «the holy Ghost is not confined to the Rules of Nature, but doth declare his wonderful and secret determinations oft-times by supernatural means, and not seldom by crossing the course of Nature».120 E tanto maggiore è il suo disappunto nei confronti dell’uomo, tanto più numerosi sono i prodigi di natura; pertanto, affermava l’anonimo autore, i tempi presenti erano degni di chiamarsi «the Age of Wonders», come e più di quelli testimoniati dalle sacre scritture: Not to ravel out the Scriptures which are full of such presidents, we need go no higher then the present times wherein we live, which may not unjustly be called The Age of Wonders; Where are our Histories Sacred and prophane which can produce the paralel to the late years wherein we have lived for admirations.121 118 Anonymous, The Age of Wonders, or Miracles are not ceased. Being a True but Strange Relation of a Child born at Burslem in Stafford-Shire, who, before it was Three Quarters Old, spake and prophesied Strange and Wonderful Things touching the King, Three Nights together, contained in this Ensuring Relation, as it was affirmed in a Letter by Mr. Colclough, Justice of the Peace, to Colonel Pury, and attested upon Oath by Elizabeth Locket and her Husband, the Childs Nurse. With Divers other Remarkable Predictions, Signes and Wonders, in Relation to Monarchy, and the Child born with Three Crowns. PSAL. 8. 2. Out of the Mouth of Babes and Sucklings hast thou ordained Strength because of thine Enemies, London, printed for Nehemiah Chamberlain, and are to be sold at the East End of St. Pauls, 1660 [Wing (2nd ed., 1994), A759]. Non è stato possibile rintracciare notizie sullo stampatore Nehemiah Chamberlain. Sul documento, solo un brevissimo cenno in Julie Crawford, Marvelous Protestantism, p. 175. 119 Ibid, frontespizio. La citazione biblica è tratta dal libro dei Salmi (Sal, 8:2, nella versione della King James Bible). 120 Ibid., p. 3. 121 Ibid. 389 Dopo questa rapida introduzione, l’autore si avvicinava al tema centrale del pamphlet, quello dei neonati parlanti; negli infanti, egli affermava, si nasconde spesso la dottrina. In alcuni di essi, come negli innocenti trucidati dal Faraone o da Erode, il messaggio è inscritto nel loro stesso martirio; altri, invece, e sono quelli veramente prodigiosi, possiedono il dono miracoloso della parola precoce: we shall do well to take some Doctrines from Infants as well as from irrational and sometimes from inanimate Creatures, all of them naturally incapable by speech to utter any thing to our understanding, and first for Infants; To omit those serene and innocent Martyrs of Pharaoh and Herod, who (notwithstanding their incapacity of speech) confessed and shewed forth the praise and glory of God, not in speaking but in dying, let us go no higher then a dozen years, within which time we shall make evident, that three cradle Infants have made audible & wonderful revelations in order to the restoring of Monarchy into this wretched Kingdom.122 Seguiva a questo punto la presentazione delle tre nascite prodigiose. La prima era collocata dall’autore «before his Majesties march to Worcester», quindi prima della sconfitta inflitta da Cromwell al futuro Carlo II, il 3 settembre 1651: One, a Boy, about the coming in of the present King Charles born a Sudbury, at eleven weeks old, was plainly heard as well by his Parents as others, to speak, before his Majesties march to Worcester, and say A King, which he often repeated, a truth generally known to the inhabitants of those parts. 123 La seconda nascita era invece quella di un bambino nato con alcuni denti, due lingue, e ‘tre corone’, in luogo dell’unica ‘corona’ normalmente presente sulla testa dei neonati (la ‘fontanella’, ovvero la piccola area membranacea interposta tra le ossa che compongono il cranio in via di sviluppo). Al momento della stesura del pamphlet, il bambino non aveva ancora due anni, dunque era nato nel 1658: A second, is another Boy, as yet under two years old and living, was born with Teeth in his mouth, with two tongues in his mouth, and three Crowns upon his head where other have but one, he walked in his Mothers hand at six moneths old, and from his 122 Ibid. 123 Ibid. p. 4. 390 births spoke, and ever in his speech named A King, which to this day he not only continues with other expressions, but if any one in his presence do but name the word King, the boy seems to be over-joyed.124 Incredibilmente precoce, capace di camminare a soli sei mesi e di pronunciare la parola ‘king’ fin dalla nascita, il bambino dimostrava, inoltre, una gioia soprannaturale al solo sentirla. La vicenda, al quale il nostro autore aggiungeva ulteriori dettagli, potrebbe essere ancora quella del bimbo dalle due lingue nato a East-Smithfield, a cui era dedicato il documento precedente.125 Il terzo caso riportato riguardava invece la nascita di una bambina: A third, which is a Female Child, we have certified from Burslem in Stafford-Shire, which Child is nursed by Elizabeth Locket the Wife of John Locket in the said Parish of Burslem, who are people of very honest conversation; The said nurse, about a Moneth or five weeks since undressing the Child at eight of the Clock in the evening, the said Girl Infant (being much under three quarters of a year old) was heard plainly to say A King, which she repeated seven times after each other, and did the same three nights together, about the same hour in the evening, which child never spake before, nor since.126 La bambina di Burslem pronunciava dunque la parola ‘king’ per sette volte, e questo fenomeno si ripeteva per tre notti consecutive: tale puntualizzazione non era priva di senso, poiché, terminato lo scarno resoconto delle tre nascite, l’autore passava ad una lunga e dotta interpretazione numerologica, un vero e proprio piccolo trattato ‘pitagorico’, scandito sull’analisi delle cifre-cardine dei tre eventi. Poiché «Number is an Art», e non era possibile tralasciare il fatto che il portento presentasse singolari coincidenze numeriche, «at this time we shall have occasion to touch and onely to touch three of the said numbers, that is to say, one, Three and Seven».127 124 Ibid. 125 Julie Crawford afferma senza incertezza l’identità dei due casi: «one of the stories is a retelling of the stories discussed above» (Marvelous Protestantism, p. 175); in realtà la potenza propagandistica di questi racconti e la loro vasta diffusione lascia aperta la possibilità di due invenzioni narrative indipendenti; tanto più che nel documento analizzato precedentemente non si parla delle ‘tre corone’: un’invenzione potente, con la quale l’anonimo autore alludeva presumibilmente ai tre regni che Carlo II avrebbe finalmente governato, dopo la restaurazione della monarchia. 126 Anonymous, The Age of Wonders, p. 4. 127 Ibid., p. 5. 391 L’Uno, affermava l’anonimo autore del pamphlet, è il numero indivisibile, che crea tutti gli altri sommandosi a se stesso, ed è dunque simbolo di Dio creatore; mentre il Tre, che si forma dalla somma dell’Uno e del Due, quindi dall’inizio della serie numerica, è evidentemente simbolo del Dio Trino. Ed è proprio in questa coincidenza di unità e trinità che si collocava il gioco numerico del pamphlet: così come esiste una divinità unica dispiegata in tre persone, così l’autore riconosceva la manifestazione di un «King Monarchal by three Children».128 L’Uno, proseguiva il ragionamento, è il numero dei re, che nel governo monocratico sono immagine terrena della monarchia celeste: e se a un re del cielo deve necessariamente corrispondere un re sulla terra, il rispetto nei confronti della figura del sovrano diveniva addirittura viatico per la salvezza. Dio, affermava infatti l’autore, ha scelto i bambini miracolosi «to reveal this Mistery to them who are Babes in Grace, that they may become Babes of Grace by their obedience to his Ordination»: presupposto necessario al mantenimento della primigenia condizione di grazia era dunque l’obbedienza ai sovrani, suoi rappresentanti terreni.129 L’ispirazione teocratica della sua ideologia non poteva essere espressa in maniera più evidente. D’altra parte, proseguiva, esistevano diversi poteri di origine divina, «some are of wrath, as those seem to be which are composed, and others of Mercy which best suits with Monarchy, judgement being within the Office of Magistrates, but Mercy onely within the Power of Kings». Il re, «who is the Image and Earthly Angel of God», era dunque figura necessaria a garantire la possibilità della misericordia terrena, e non poteva che essere uno, come Dio. 130 Il secondo numero su cui si appuntava l’attenzione dell’autore era il numero Tre. Tre erano stati i bambini parlanti, tre le ‘corone’ sulla testa del bimbo dalla doppia lingua, tre le notti in cui la bambina di Burslem aveva ripetuto il nome regale. Il numero in se stesso era il più sacro di tutti, in quanto numero trinitario, ma tre erano anche le virtù che spettava al sovrano dispiegare: The Number itself is a most Sacred Number, denoting the Holy, Blessed and Sacred Trinity in Unity, which God delineated to man-kind by Kings, who in their Governement have no lesse then a Divine Trinity, themselves are the Fountain of 128 Ibid. 129 Ibid., p. 6. 130 Ibid. 392 Mercy, their Divine Counsellors are the Sanctum Santorum of Wisdome, and their politick Magistracy are the Conduits by whom Justice flows to their people.131 Ma vi era anche un’altra trinità sottesa al potere regale – oltre alla triplice virtù della misericordia, della saggezza e della giustizia – e cioè la coesistenza nel regime monarchico di tutte le tre forme di potere possibili all’interno del consorzio umano: There are Three Dominions under a King: Monarchal in his God-like Power over his people, Aristocratical in his constant Counsel of Nobles, and Democratical in his Legal Contistutions [sic] by Parliaments, and in the mouth of these Three witness all Peace, Unity, and Amity is composed between a King and his people.132 Infine, l’ultimo numero su cui l’anonimo autore ragionava era il Sette: sette erano i mesi di età della bimba parlante; sette le volte in cui il nome del re era stato da lei pronunciato. Numerose erano le occorrenze di questo numero sacro nell’Antico e nel Nuovo Testamento: sette erano i giorni della settimana della creazione, da cui si era originato il tempo; sette le piaghe che avevano consentito ad Israele di liberarsi dalla schiavitù egizia; sette i giorni intercorsi tra la Resurrezione del Cristo e la sua Ascensione. Conclusa così la sua analisi, non senza rilevare che «many other great Mysteries hath he most Graciously coushed under this his Sacred Gift of Numeration», l’autore chiudeva il suo resoconto con un ultimo capoverso, il cui tono restava sospeso tra l’augurale e l’apocalittico: Let our Brethren therefore take Gamaliels counsel, and seeing they have desparately tryed and sadly found that these late Rebellions against Gods holy institution of Monarchy, are not of him, they having being so far from prevailing as not only their Inventions and Inventor are alike confounded and come to nought, but that the abused people also whom they made their unhappy and now most miserable Instruments, are brought into calamities irrecoverable, as to themselves and their own power; Let them we say return least they be found fighters against God, who will assuredly go on in his punishments upon all them who do not honour and obey, and say, GOD SAVE THE KING.133 131 Ibid. 132 Ibid. 133 Ibid., p. 8 (in corsivo nell’originale). 393 Il pamphlet si chiudeva dunque con l’augurio che i ‘fratelli’ ritrovassero la proverbiale saggezza di Gamaliele, e si rendessero conto di come l’origine di ogni rovina per il regno inglese fosse l’essersi contrapposti all’istituzione divina della monarchia.134 E le ultime parole del documento, enfatizzate dal carattere capitale, erano proprio quelle proibite dal regime parlamentare: l’auspicio di lunga vita al sovrano. Si trattava di un atto di coraggio, ma anche di un segno dei tempi: in quello stesso 1660, il figlio di Carlo I, il re deposto e decapitato nel 1649, avrebbe chiuso la breve stagione repubblicana, ripreso in mano le sorti del regno e rifondato la monarchia, con il nome di Carlo II. * * * Il piccolo, ma significativo, gruppo di pamphlet dedicati alle nascite mostruose pubblicati tra il 1642 e il 1660 – nel cruciale periodo che va dallo scoppio della prima guerra civile alla restaurazione della monarchia – si caratterizza per una notevole coerenza complessiva; la nascita veniva, infatti, sempre interpretata in duplice chiave, politica e religiosa: ‘parlava’ chiaramente della crisi politica che stava sconvolgendo il regno e, contemporaneamente, manifestava l’inquietudine religiosa connessa a tale confusione di ordinamenti e ruoli. Ma vi sono, ovviamente, notevoli differenze tra i due gruppi di documenti analizzati. Nel primo caso, i bimbi mostruosi erano ancora visti, tradizionalmente, come segno di una colpa materna; ma si trattava ora di una colpa che, ad una lettura attenta, mostrava una ricca stratificazione, in cui il mostro stesso assumeva valenza polisemica, e diveniva segno – e accusa – della volontà di emancipazione femminile, della dissidenza religiosa, delle ‘errate’ convinzioni politiche e, in ultima analisi, di un’anarchia morale che talora sconfinava nel disordine psichico. Gli ambienti parlamentaristi cui questi documenti sono ascrivibili erano perfettamente consapevoli che se la guerra per la conquista del potere si combatteva sui campi di battaglia, la tenuta del nuovo stato aveva bisogno di una norma morale unitaria e condivisa; e l’imposizione di questi precetti si faceva forza, di necessità, sulla limitazione del dissenso femminile: lo Stato non poteva fare a meno di un saldo 134 Gamaliele, dottore della legge del sinedrio ebraico nel I secolo, noto per la sua saggezza, fu maestro di Paolo di Tarso. Le poche notizie che si hanno di lui provengono dagli Atti degli Apostoli (At, 5:3439; 22:3). 394 controllo sulle donne, unica vera e capillare garanzia per la buona educazione dei nuovi cittadini.135 Molto diverso, pur nella coesistenza di politica e religione, era il background ideologico del secondo gruppo di documenti: per la prima volta, i bimbi prodigiosi non erano testimoni di alcuna colpa, e – coerentemente – non presentavano se non marginalmente deformità fisiche (la doppia lingua, le tre ‘corone’ sulla testa). Rispetto ai figli mostruosi delle donne dissidenti, bimbi manchevoli, privi di testa o membra, dunque ‘al di sotto della natura’, questi figli portentosi erano dotati di un potere soprannaturale, e si collocavano dunque ‘al di sopra della natura’: nascite ‘mostruose’ da leggere sotto una luce calda e positiva, non giungevano sulla terra per significare l’ira di Dio, ma per dichiarare le sue precise volontà e i suoi progetti salvifici per la nazione rinnovata. In questo passaggio è possibile leggere un altro dato importante: la progressiva tendenza all’allontanamento dalla ‘verità’, alla facilità con cui le storie vennero dapprima ‘forzate’ alla significazione simbolica (come nel caso scozzese, e soprattutto nella vicenda di Mary Adams), quindi inventate ad arte secondo le esigenze propagandistiche dei loro autori, come nel caso dei bambini parlanti. Le preoccupazioni di autenticità che avevano caratterizzato i primi documenti stavano cedendo lentamente importanza, a favore delle più pressanti urgenze di comunicazione. Mentre gli autori dei resoconti rinunciavano agli ‘eye-witnesses’, che avvalorassero il racconto e ne sostenessero la veridicità, parallelamente la ‘monstrous birth’ perdeva la propria principale valenza di evento eccezionale, ma comunque ‘storico’ ed esperienziale; gradualmente, essa assumeva una nuova forma, simbolica, narrativa e, in definitiva, puramente letteraria.136 In questo delicato movimento è possibile scorgere l’ultima, definitiva metamorfosi della nascita mostruosa e delle sue valenze: se la propaganda politico-religiosa cessava di avere bisogno di dati di verità, e si avvaleva senza timore di storie inventate ad hoc, nello stesso momento i casi autentici di difetti di nascita trovavano 135 Così, efficacemente, Julie Crawford: «women were the guarantors of children’s spiritual states, from conception and birth into the “diffused mothering” that underwrote the Puritan nation» (Marvelous Protestantism, p.153). 136 La nascita mostruosa come topos letterario poteva essere utilizzata, da questo momento in poi, anche con intenti satirici. Si veda, ad esempio, il feroce attacco politico in forma di finta relazione scientifica sferrato da un anonimo autore nel 1679 contro sir Richard Temple, rieletto proprio nell’agosto di quell’anno deputato della House of Commons: Anonymous, New News of a Strange Monster found in Stow Woods near Buckingham of Human Shape, with a Double Heart, and no Hands, a Head with two Tongues, and no Brains, [London, s.n., 1679] [Wing (CD-ROM 1996), N688]. 395 un nuovo, attento pubblico, quello dei medici. La curiosità scientifica di questi pionieri dell’età dei Lumi cominciava ad osservare, analizzare, motivare, catalogare – nelle deformità casualmente prodotte dalla natura – non più la monstrous birth, ma la patologia. 396 CAPITOLO OTTAVO At lenght it dy’d, and was convey’d for Chyurgeons to dissect: ‘medicina mostruosa’ e nuova scienza nella seconda metà del XVII secolo 8 Sir, you may remember I made you a promise, That as soon as I had a sight of that Monstrous Birth mentioned in a former Letter, I would send you a particular Relation of it: And yesterday it being exposed next door to me, I accordingly took time to view every part of it, and made my particular observations on every point needful to be remembred. It hath two Heads upon two well-proportion’d Necks: the Heads of the bigness of any child of a quarter or half a year old; fair and large, well proportion’d and comly Faces, with Hair upon each of the Heads; not the least defect (as I could perceive) either in Eyes, Noses, Ears, or Mouths: The Shoulders are as large as a Child of two or three years of age, proportion’d to bear two Heads. I had a long Pipe that I was smoking in, which I laid across between the Shoulders, and found it to be seven Inches by measure and better in breadth on the back, from one Shoulder to the other […]. When I saw the bigness of the Heads and breadth of the Shoulders, I could not but stand and admire how it was possible for a Woman to bring it forth, and live; for the Mother is still living, though very weak. A Gentlewoman told me, That a Friend of hers, a Surgeon, not long since was employed to open a Child that was born with two Heads. But of a different nature to this. We are all in peace at home and abroad, and our Weather very open, having had some Rain, but not very cold. This is all at present, but that I am your affectionate Servant E. B. E. B., Strange and Wonderful News, 1685. * * * Nel suo Novum Organum, pubblicato a Londra nel 1620, Francis Bacon, Lord Cancelliere di Giacomo I Stuart, con queste parole si era rivolto ai colleghi studiosi della filosofia naturale: «a compilation, or particular natural history, must be made of all monsters and prodigious births of nature; of every thing, in short, which is new, rare, and unusual in nature. This should be done with a rigorous selection, so as to be worthy of credit».1 Quello proposto da Bacon era un preciso programma di riforma della storia e della filosofia naturale, che avrebbe avuto notevoli ripercussioni nel corso del XVII e poi del XVIII secolo.2 La ‘meraviglia’ – e quel suo particolare aspetto che sono le ‘monstrous births’ – non poteva rimanere estranea a questa ambiziosa riforma. A partire da una formazione coerente con la filosofia ‘preternaturale’, di cui ho tracciato un sintetico quadro nel capitolo secondo, Bacon si allontanò progressivamente da quel patrimonio intellettuale. Le sue ingiunzioni a catalogare e soprattutto spiegare le meraviglie trasformarono la filosofia preternaturale, rendendola un elemento indispensabile per una riformata filosofia della natura. Nel suo approccio rinnovato, essa non si sarebbe dovuta limitare a una sterile raccolta ed elencazione di fenomeni rari ed inusuali; «a substantial and severe collection of the heteroclites or irregulars of nature» avrebbe dovuto essere «well examined and described» nel 1 Francis Bacon, Novum Organum (1620), in Id., The Works of Francis Bacon, Lord Chancellor of England, edited by Basil Montagu, translated by William Wood, 16 vols., London, Pickering, 18251834, XIV, p. 138. 2 Francis Bacon (1561-1626) fu una delle figure di maggior spicco nella cultura inglese della prima età moderna; filosofo e giurista, studiò prima al Trinity College di Cambridge, poi al Gray’s Inn di Londra, infine, tra il 1572 e il 1578, a Parigi. Tornato in patria nel 1579 per la morte del padre, decise di intraprendere la strada della carriera politica e nel 1584 fu eletto in Parlamento. Le cariche pubbliche che ricoprì nel corso della sua vita furono numerosissime e tutte di prestigio: da quella di ‘Solicitor General’ (1607) a quella di ‘Attorney General’ (1613), da quella di membro del Consiglio privato della Corona (1616) a quella di Lord Cancelliere (1618). Nel 1621 fu ammesso tra i Pari come barone di Verulamio e visconte di St. Albans. Nello stesso anno, dopo essere stato incarcerato per una condanna di peculato, si ritirò a vita privata dedicandosi esclusivamente ai suoi studi ed alla stesura delle sue opere, attraverso le quali esercitò una forte influenza nel mondo politico e culturale. Dalla vastissima letteratura critica su Bacone e il suo programma riformatore, vero pilastro della ‘rivoluzione scientifica’ del XVII secolo, si vedano Markku Peltonen (ed.), The Cambridge Companion to Bacon, Cambridge, Cambridge University Press, 1996; Brian Vicker (ed.), Francis Bacon, New York, Oxford University Press, 1996; Perez Zagorin, Francis Bacon, Princeton, Princeton University Press, 1998; Stephen Gaukroger, Francis Bacon and the Transformation of Early-Modern Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 2001; Paolo Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Bologna, Il Mulino, 2004; Steven Matthews, Theology and Science in the Thought of Francis Bacon, Aldershot, Ashgate, 2008; Guido Giglioni, Francesco Bacone, Roma, Carocci, 2011; Joseph Agassi, The Very Idea of Modern Science. Francis Bacon and Robert Boyle, Dordrecht, Springer, 2013. 399 quadro di un esame accurato, e soprattutto di una proposta di cause, disposta anche a opporsi all’autorità ormai cristallizzata dei predecessori, primo fra tutti Aristotele.3 In tal modo Bacon, pur ammettendo nell’ambito dello studio ‘scientifico’ molti dei fenomeni che avevano attratto i filosofi preternaturali del secolo precedente (la divinazione, il potere della facoltà immaginativa sul mondo fisico, le influenze astrali, i fenomeni climatici straordinari), mirava a individuare cause tanto ampie da includere sia l’ordinario che lo straordinario. Il motivo alla base dello studio delle meraviglie della natura era mostrare che queste apparenti eccezioni alle regole potevano essere spiegate da regole differenti e più profonde: for we are not to give up the investigation, until the properties and qualities found in such things as may be taken for miracles of nature be reduced and comprehended under some Form or fixed Law; so that all the irregularity or singularity shall be found to depend on some common Form, and the miracle shall turn out to be only in the exact specific differences, and the degree, and the rare concurrence; not in the species itself. Whereas now the thoughts of men go no further than to pronounce such things the secrets and mighty works of nature, things as it were causeless, and exceptions to general rules.4 Non esistevano, dunque, eccezioni alle regole generali: e benché Bacon parlasse ancora il vecchio linguaggio della filosofia della natura, i «nature’s particular and special habits» stavano già lasciando il posto alle «fundamental and universal laws» proprie della scienza moderna.5 Stigmatizzando la banalità del pensiero comune («the thoughts of men go no further than to pronounce such things the secrets and mighty works of nature»), Bacon denunciava la pigrizia della ‘storia naturale’, che fino ad allora era stata troppo impaziente di registrare «the variety of things», oscurando «the unity of nature».6 3 Francis Bacon, The Advancement of Learning (1605), in Id., The Works of Francis Bacon, Lord Chancellor of England, III, p. 331. In riferimento a questo brano, Lorraine Daston e Katharine Park affermano che la riforma baconiana «would shake Aristotelian nature philosophy and its foundations, shattering its axioms and discrediting its logic of syllogisms» (Wonders and the Order of Nature, 11501750, New York, Zone Books, 1998, p. 222; Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, traduzione italiana di Michelangelo Ferraro e Barbara Valotti, Roma, Carocci, 2000). 4 Francis Bacon, Novum Organum (1620), in Id., The Works of Francis Bacon, Lord Chancellor of England, XIV, p. 168. 5 Ibid., p. 123. 6 Ibid., pp. 166-167. 400 Si trattava di un progetto ambizioso, che chiudeva definitivamente con un passato accademico basato sulla legge di autorità e avviava il nuovo corso della ricerca scientifica, basata sull’esperimento e l’interpretazione: «by zigzagging between the universal and the particular, Bacon’s “new organon” would yield the knowledge of underlying forms that he called the “interpretation of nature”».7 La ‘storia naturale’ diventava così una disciplina per la mente, un lento e meticoloso esercizio di autocontrollo: le ‘irregularities’ o ‘singularities’ di Bacon si definivano come casi particolari, che dovevano essere purificati energicamente dalle congetture astratte, e distinti dalla pura teoria. Questo nuovo approccio fornì il modello per l’analisi dei ‘fatti strani’ nella filosofia naturale del tardo XVII secolo. Nel 1656, ad esempio, Méric Casaubon esprimeva con efficace sintesi la contrapposizione tra ordinario e straordinario all’interno della ferrea legge di natura; egli affermava, infatti, che «things […] happen by natural causes», ma «some things happen according to the ordinary course of nature, having their limited times and seasons, &c. Other things extraordinarily (as to the ordinary course of nature) though not lesse naturally».8 La clausola ‘sebbene non meno naturalmente’ era importante, e segnalava l’avvenuta assimilazione, da parte dello studioso, della riforma baconiana: per quanto strani e addirittura incredibili potessero sembrare gli oggetti della ‘scienza’ preternaturale, la sua premessa operativa era che tutte queste anomalie potessero essere in ultima analisi spiegate da cause naturali, e quindi da leggi verificabili.9 7 Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 224. 8 Méric Casaubon, A Treatise concerning Enthusiasme, as it is an Effect of Nature: but is mistaken by many for either Divine Inspiration, or Diabolical Possession. By Meric Casaubon, D.D., London, printed by R.D. and are to be sold by Tho. Johnson, at the Golden Key in S. Paul’s Church-yard, 1655 [Wing (2nd ed., 1994), C812], p. 41. Casaubon (1599-1671), studioso di origine svizzera, si trasferì giovanissimo in Inghilterra, dove tra il 1618 e il 1636 si formò all’Eton College e poi al Christ Church di Oxford. Fervente anticattolico, ottenne da Giacomo I Stuart un vitalizio presso la cattedrale di Canterbury, che gli fu revocato durante la guerra civile, per la sua opposizione a Oliver Cromwell, e che riottenne con la restaurazione, dedicandosi ai suoi studi letterari. Per un profilo biobibliografico, cfr. Robert W. Serjeantson, ‘Casaubon, (Florence Estienne) Méric (1599–1671)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/4852, accessed 10 Oct 2014]. 9 Per una ricostruzione di questo processo di assunzione dei ‘marvelous facts’ nella prima scienza moderna, cfr. Lorraine Daston, ‘Marvelous Facts and Miraculous Evidence in Early Modern Europe’, Critical Inquiry, 18, 1, 1991, pp. 93-124; Ead., Baconian Facts, Academic Civility, and the Prehistory of Objectivity, in Allan Megill (ed.), Rethinking Objectivity, Durham-London, Duke University Press, 1994, pp. 37-63; Ead., ‘The Cold Light of Facts and the Facts of Cold Light. Luminescence and the Trasformation of the Scientific Fact, 1600-1750’, EMF: Studies in Early Modern France, 3, 1997, pp. 17-44. All’interno di questo delicato processo evolutivo, nel corso del XVII secolo si assistette anche all’evoluzione del concetto di ‘esperienza’ che, dall’indicare «generalized statements about how things usually occur» passò a designare «statements describing specific events, particularly experiments» (cfr. Peter Dear, ‘Jesuit Mathematical Science and the Reconstruction of Experience in the Early Seventeenth Century’, Studies in the History and Philosophy of Science, 18, 1987, pp. 133-175; dello 401 Fu all’interno di questo nuovo background ideologico che nacque la «Royal Society of London for Improving Natural Knowledge». Fondata nel novembre 1660 – e immediatamente riconosciuta dal nuovo sovrano Carlo II come Accademia Nazionale delle Scienze – la Society si caratterizzò fin dalle sue origini come portatrice dei nuovi valori della scienza baconiana.10 Tali valori pervasero anche l’attività editoriale promossa dalla prestigiosa istituzione, che a partire dal 1665 inaugurò le pubblicazioni delle Philosophical Transactions, «the world’s first science journal», come ancora oggi proclama orgogliosamente il sito web della rivista.11 Coerente con il pensiero di Bacon, d’altra parte, si dimostrava anche il vescovo Thomas Sprat (1635-1713), uno dei primi membri della Royal Society e suo primo storico. Nella sua History of the Royal Society of London (1667) Sprat arrivava a rimproverare Plinio e altri antichi naturalisti per essersi occupati solo di «greatest Curiosities» anziché «the least, and the plainest things», ma subito dopo esortava gli scienziati della Royal Society ad osservare non solo quello che la natura compie «in a costant rode», ma anche ciò che fa «with some kind of sport and extravagance: industriously marking all the various shapes into which it turns itself when it is persued, and by how many secret passages it at last obtains its end».12 stesso studioso, si veda anche, a proposito della normazione matematica della scienza moderna, Discipline and Experience. The Mathematical Way in the Scientific Revolution, Chicago-London, University of Chicago Press, 1995). 10 Per un inquadramento sulle origini della Royal Society, si vedano Margerie Purver, The Royal Society. Concept and Creation, Cambridge, Massachusetts Institute of Technology Press, 1967; Michael C. W. Hunter, Establishing the New Science. The Experience of the Early Royal Society, Woodbridge, Boydell Press, 1989. Per una storia dell’Istituzione, cfr. Henry Lyons, The Royal Society 1660-1940, Cambridge, Cambridge University Press, 1944; Edward N. Da Costa Andrade, A Brief History of the Royal Society, London, The Royal Society, 1960. 11 Cfr. http://rstl.royalsocietypublishing.org/. Per un inquadramento storico sull’origine della rivista, si vedano David A. Kronick, A History of Scientific and Technical Periodicals. The Origins and Development of the Scientific and Technological Press, 1665-1790, New York, Scarecrow Press, 1962; Dwight Atkinson, Scientific Discourse in Sociohistorical Context. The Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1665-1975, Mahwah, Lawrence Erlbaum, 1999; David Banks, ‘Creating a Specialized Discourse: the Case of the Philosophical Transactions’, ASp, 56, 2009, pp. 29-44. 12 Thomas Sprat, History of the Royal Society of London, for the Improving of Natural Knowledge, London, printed by T[homas]. R[oycroft]. for J. Martyn at the Bell without Temple-bar, and J. Allestry at the Rose and Crown in Duck-lane, printers to the Royal Society, MDCLXVII [1667] [Wing (CDROM, 1996), S5032], p. 99. Thomas Sprat (1635-1713), originario del Dorset, studiò teologia al Wadham College di Oxford e nel 1669 fu nominato canonico di Westminster Abbey. Nel 1670 divenne rettore di Uffington, nel Lincolnshire, e nel 1676 cappellano di Carlo II. Vescovo di Rochester a partire dal 1684, fu uno dei collaboratori più illustri della Royal Society, del quale era divenuto membro nel 1664. La sua History of the Royal Society, ultimata dopo varie revisioni nel 1664 e data alle stampe nel 1667, fu realizzata su commissione del consiglio dell’istituzione scientifica. Per un profilo biografico, si veda John Morgan, ‘Sprat, Thomas (bap. 1635, d. 1713)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, Jan 2008 [http://www.oxforddnb.com/view/article/26173, accessed 11 Oct 2014]. 402 Non stupirà allora che, come vedremo tra poco, le ‘monstrous births’ catalizzassero fin dai primi anni di attività della Royal Society l’attenzione dei suoi medici e anatomisti: occupandosi dei ‘mostri’ con metodo che può già definirsi ‘sperimentale’, essi praticavano dissezioni ed esami autoptici; da queste ‘esperienze’, traevano via via conclusioni embriologiche e fisiologiche generali intorno ai parti anomali che si trovavano ad osservare ed interpretare (per quanto, ovviamente, il sapere genetico e le leggi dell’ontogenesi ancora si sottraessero alle possibilità gnoseologiche della loro epoca).13 Non si deve pensare, tuttavia, che tale atteggiamento spregiudicatamente moderno fosse generalizzato: questi medici incarnarono una vera e propria avanguardia intellettuale; essi, infatti, were the anomaly among the many devotés of the anomalous in the Royal Society […]. Very few of those seventeenth-century naturalists who reported strange facts ventured to provide an explanation even for the case at hand, much less to relate that case to the ordinary of nature. Their reluctance contrasted sharply with the explanatory ambitions of the preternatural philosophers, especially those of Bacon, who had provided the most influential rationale for including strange facts in natural philosophy.14 Si manifestava dunque un contrasto tra l’ambizione baconiana di rintracciare le cause delle ‘unusual thing’ e l’oggettiva difficoltà di indagare fenomeni per loro natura sfuggenti ed effimeri, come le influenze astrali o le anomalie atmosferiche: «the rarity, remoteness, brevity, or variability of wonders made them unpromising objects of sustained investigation». 15 Da questo punto di vista, le nascite mostruose costituivano una rilevante eccezione, poiché i neonati malformati, sia se sopravvissuti, sia – a maggior ragione – se deceduti alla nascita, rappresentavano uno straordinario, e persistente, oggetto d’indagine. Era in questo delicato campo che, inaspettatamente, 13 Per uno studio generale sulle autopsie nella prima età moderna, si vedano Jonathan Sawday, The Body Emblazoned. Dissection and the Human Body in Renaissance Culture, London, Routledge, 1995 e Roger French, Dissection and Vivisection in the European Renaissance, Aldershot, Ashgate, 1999. Gli studiosi, tuttavia, non si occupano specificamente di dissezioni di neonati deformi. Sulla ‘rivoluzione medica’ del XVII secolo con specifico riferimento ai medici della Royal Society si veda Roy Porter, ‘The Early Royal Society and the Spread of Medical Knowledge’, in Roger French, Andrew Wear (eds.), The Medical Revolution of the Seventeenth Century, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 272-293.14 Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, pp. 239-240. 15 Ibid., p. 240. 403 la curiosità scientifica intersecava il desiderio popolare di assistere alle esposizioni pubbliche dei ‘mostri’, e lo spettacolo della strada mescolava il proprio statuto con quello del teatro anatomico.16 E, seppure i protagonisti di questa ‘zona d’ombra’ tra popolo e accademia tendessero a sottolineare la distanza tra i due territori, la loro compenetrazione rimaneva innegabile: many historians of science have argued that natural philosophers, such as members of the Royal Society of London, wished to distance themselves from the popular exhibits of curiosities at Charing Cross and Smithfield, claiming that popular display and scientific examination and demonstration were distinct activities. I argue that what Stephen Pender has called the ‘traffic between public exhibition and the considerably more private spaces of museums and collections’ was in fact a two-way traffic whose progress can be traced through print.17 L’obiettivo di questo capitolo è appunto quello di tracciare il rapporto esistente, negli ultimi decenni del XVII secolo, tra l’attività di ricerca scientifica e i coevi documenti di street literature relativi alle nascite mostruose. Si trattò di un processo osmotico che agiva in entrambe le direzioni, ma con caratteristiche profondamente diverse: come è stato segnalato da Lorraine Daston e Katharine Park, gli estensori degli articoli scientifici limitarono l’influenza ‘ascendente’, dalla strada all’accademia, ad elementi di tipo linguistico.18 Nel processo inverso, invece, la letteratura di strada fu condizionata, molto più profondamente, sul piano dell’immaginario e del background ideologico. 16 Sui rapporti tra medicina ufficiale e spettacolo del corpo esposto (sebbene più in relazione al teatro ufficiale che a quello di strada), si vedano Stephanie Moss, Kaara L. Peterson (eds), Disease, Diagnosis, and Cure on the Early Modern Stage, Burlington, Ashgate, 2004; Hillary M. Nunn, Staging Anatomies. Dissection and Spectacle in Early Stuart Tragedy, Burlington, Ashgate, 2005; Maurizio Calbi, Approximate Bodies. Gender and Power in Early Modern Drama and Anatomy, London-New York, Routledge, 2005, specialmente pp. 72-82.17 Anita Guerrini, ‘Advertising Monstrosity. Broadsides and Human Exhibition in Early Eighteenth Century London’, in Patricia Fumerton, Anita Guerrini (eds), Ballads and Broadsides in Britain, 15001800, Burlington, Ashgate, 2010, p. 110. Sulla separazione tra i due ambiti, cfr. anche Jan Golinsky, ‘A Noble Spectacle. Phosphorus and the Public Cultures of Science in the Early Royal Society’, Isis, 80, 1989, pp. 11-39; sull’osmosi tra curiosità popolare e analisi scientifica, cfr. Stephen Pender, ‘In the Bodyshop. Human Exhibition in Early Modern England’, in Helen Deutsch, Felicity Nusbaum (eds), Defects. Engendering the Modern Body, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2000, pp. 95-126. 18 Lorraine Daston, Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, p. 231: «the strangeness of the strange facts in the early scientific journals was underscored by language redolent of the exclamations of broadsides, prodigy books, and accounts of notable cabinets: “new”, “remarkable”, “singular”, “unusual”, “extraordinary”, “uncommon”, and “curious” were the stock adjectives that enlivened the otherwise terse entries. 404 8.1 A Narrative of Monstrous Births, together with the Anatomical Observations: nascite mostruose nei resoconti delle Philosophical Transactions Fin dai loro primi numeri, le Philosophical Transactions dedicarono la loro attenzione al fenomeno delle nascite mostruose: nel numero 1 (1665-1666), Robert Taylor raccontava del ritrovamento di un vitello deforme nel ventre di una mucca macellata a Limmington, un villaggio dello Hampshire.19 Nel numero 2 (1666-1667) un report «communicated by M. Colepresse» riferiva invece di due casi di agnelli nati malformati, nelle campagne del Devonshire.20 Entrambi i resoconti testimoniavano già una nuova, inedita freddezza nello sguardo scientifico, che si limitava alla precisa descrizione anatomica degli animali, senza alcuna indulgenza a cause soprannaturali. Colepresse riportava, tra l’altro, a proposito del secondo agnello da lui osservato, che «the Monster dyed, and is now in my Custody, after it had been dried in an Oven, and By the Sun»: alla cura dell’osservazione corrispondeva la volontà di imbalsamazione e conservazione, per studi futuri. 21 Il primo report relativo a una ‘monstrous birth’ umana risale al numero 5 della rivista, nel quale «William Durston Doctor in Physick» riferiva di una nascita di gemelli siamesi avvenuta a Plymouth il 22 ottobre del 1670.22 Cominciando il suo racconto con una breve descrizione del contesto familiare in cui l’evento era occorso, Durston riferiva che «one, Grace Batter’d, the wife of a shoemaker, of honest Repute, 19 Robert Boyle, ‘An Account of a very Odd Monstrous Calf’, Philosophical Transactions, 1, 16651666, p. 10. Robert Boyle (1627–1691) fu un chimico, fisico, inventore e filosofo naturalista irlandese. Genio precoce, studiò prima all’Eton College e poi completò la sua formazione in vari paesi europei. Quando tornò in Inghilterra nel 1645 scoprì che suo padre era morto, lasciandogli in eredità la tenuta di Stalbridge nel Dorset e altre proprietà in Irlanda. Da quel momento dedicò la sua esistenza allo studio e alla ricerca scientifica, e presto occupò una posizione importante in un gruppo di dotti, noto come Invisible College, nucleo originario della futura Royal Society; nel 1660, alla fondazione ufficiale dell’istituzione, Boyle fu eletto membro del consiglio. Boyle ricoprì questo ruolo sino agli anni finali della sua vita, quando alcuni problemi di salute lo costrinsero a lasciare tutte le cariche pubbliche. Il suo amore per la conoscenza non si estinse, tuttavia, nemmeno con la morte, tanto è vero che nel suo testamento lasciò per iscritto che parte del suo patrimonio fosse destinato a finanziare una serie di conferenze, divenute in seguito note come Boyle Lectures. Per un profilo biografico, cfr. Michael Hunter, ‘Boyle, Robert (1627–1691)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004; online edn, May 2006 [http://www.oxforddnb.com/view/article/3137, accessed 11 Oct 2014]. 20 M. Colepresse, ‘An Account of Two Monstrous Births, not Long since produced in Devonshire; communicated by M. Colepresse’, Philosophical Transactions, 2, 1666-1667, pp. 480-481. Non è stato possibile rintracciare alcuna notizia sull’autore. 21 Ibid., p. 481. 22 William Durston, ‘A Narrative of a Monstrous Birth in Plymouth, Oct. 22. 1670; together with the Anatomical Observations taken thereupon by William Durston Doctor in Physick, and communicated to Dr. Tim Clerk’, Philosophical Transactions, 5, 1670, pp. 2096-2098. Non è stato possibile rintracciare notizie biografiche sull’autore; una breve citazione del testo si trova in Roy Porter, ‘The Early Society and the Spread of Medical Knowledge’, p. 285. 405 and mother of five Children, now come to the full time to be delivered of a sixth Birth, about twelve a Clock at night began to have travelling pains».23 Se l’inizio della narrazione sentiva ancora qualche sfumata eco dei resoconti moralizzanti, tipici della street literature dei decenni precedenti, il resto della relazione era interamente accordato su un nuovo tono, distaccato e analitico: alle quattro della notte «the Head of a Child came to the Birth», ma la levatrice, nell’assecondare la nascita, si era a quel punto accorta della presenza di un altro bambino, e il parto si era dimostrato assai più complesso del previsto, «not only the first child was suffocated by its stay in the birth; but also the Head of the second turning aside from the inner orifice of the Uterus towards the groine, and the Twins being joyn’d together (as afterwards appeared) made it a different Birth».24 Se, dunque, ancora nel titolo il «Doctor in Physick» indulgeva nell’uso antico dell’aggettivo ‘monstrous’, ora il suo punto di vista scientificamente neutro si faceva più chiaro, e lo portava a descrivere il raro fenomeno come ‘different Birth’: uno scarto linguistico che era un ‘luminoso’ segno di un’epoca nuova. E un’analoga differenza di approccio poteva leggersi anche nella precisa descrizione dei gemelli, che avevano Two Heads, and two Necks, as also the Eyes, Mouths, and Ears, sutably double. Four Arms with Hands, and as many Leggs and Feet. There was to both but one Trunk; but two Back-bones, from the Clavicles to the Hypogastrium, and from the shoulders down to the bottom of the Loins they were not distinct, but cemented and concorporated, after this manner: The right Clavicle or Channel-bone of the Righthand- Child (being long) joyned with the left Clavicle of the Left-hand-Child. The Ribbs on the face-side of both of them, by the Cartilages or Gristles were united without any intervening Sternum or Brest-bone; and so made a common Chest to them both: and the Ribbs of both on the Back-part were united by the Gristles; and from the Clavicle down to the Hypogastrium or bottom of the Belly there, were conjoyned, that they made but one common Belly, with one Navel-string to them both; but from the Hypogastrium downwards they were divided, and became two, each having the perfect parts of Females.25 Già la descrizione esterna delle due gemelline assumeva dunque un tono molto diverso da quello ‘prodigioso’ dei decenni precedenti, e si presentava minuziosa fino 23 Ibid., p. 2096. 24 Ibid. 25 Ibid., pp. 2096-2097. 406 all’ossessione del dettaglio, e intessuta di termini scientifici. Coerente con la nuova forma mentis era, d’altra parte, anche l’accurato disegno delle due gemelle accluso al resoconto; le due bambine, una coppia di siamesi unite dal torace all’ombelico, erano rappresentate distese su un tavolo, appoggiate ad un guanciale: l’approccio figurativo dell’illustrazione era assolutamente realistico (fig. 52). Ma la descrizione esteriore della ‘different Birth’ non era sufficiente: poiché le due bambine nel compimento del parto non erano sopravvissute, lo scienziato, «having with some difficulty obtained the Fathers leave to dissect it», aveva potuto procedere all’autopsia.26 Dapprima, Durston aveva pesato le due bambine, e le aveva scrupolosamente misurate: the weight whereof was eight pound and a quarter; the Circumference of the left head was about eleven Inches, that of the right being half an Inch less. The Circumference of the Trunk was about Sixteenth Inches and a quarter;and the length of both, from head to foot, was full eighteen inches and an half.27 Quindi aveva cominciato la dissezione; nel procedere, l’entusiasmo conoscitivo lo portava anche ad industriarsi in ingegnosi esperimenti, pur di riuscire a comprendere la straordinaria anatomia interna delle due gemelle: We find one Navil-vein, and one Liver, but that was very large, with the Bladder of Gall seated in its usual place: but there were two Urinary Bladders, two Wombs, four Kidneys, and one Stomach, with the Oesophagus or gullet perforate and open from the Mouth of the left head; but the Oesophagus from the Mouth of the right head descended no lower, than a little above half an inch off the Midriff, and there it ended. No further could we follow it with the probe, but doubting a failure in this Experiment, we made an Essay with a Blow-pipe, and thereby we found, that the Wind would go no further than the place abovementioned. Whence it may be concluded, that the Right-handed Child must have received its nourishment by and from the Left Child.28 26 Ibid., p. 2097. 27 Ibid. 28 Ibid. 407 L’autopsia procedeva poi ad analizzare gli altri organi interni: l’intestino («there was but one Colon […], which terminated into two Intestina recta»), l’apparato respiratorio («there was but one Midriff») e quello circolatorio («a very large Heart [with] two Ventricles […], as also the Vena Cava, and Aorta dependant, and also the Aorta ascending and bifurcate towards each neck, and then bifurcate again»).29 E l’indagine sarebbe stata approfondita ancora, se le circostanze lo avessero consentito; con queste parole sconfortate lo scienziato concludeva, infatti, il suo resoconto: «we might have proceed to further Observations, but time and the tumultuous concourse of people, as also the night, and likewise the Fathers importunity to hasten the Birth to the Grave, hindred us».30 Parole nella cui filigrana leggiamo l’accorrere curioso dei vicini, la preoccupazione quasi superstiziosa del padre di garantire veloce sepoltura a quelle figlie sfortunate; ma soprattutto, nella delusione di non poter procedere ancora nell’indagine, la profonda passione del medico di fronte ad una così straordinaria fonte di nuova scienza. Negli anni successivi, le Philosophical Transactions continuarono a pubblicare resoconti e lettere informative provenienti non soltanto dall’Inghilterra ma anche da corrispondenti esteri: le nascite di bambini deformi erano un argomento di particolare importanza scientifica, e costituivano un’interrogazione costante per la scienza anatomica.31 Lo stile inaugurato da William Durston divenne quello tipico e consueto di queste relazioni, che si aprivano con brevissime introduzioni circostanzianti l’evento (luogo e data di nascita, nomi dei genitori), seguite da lunghe descrizioni delle autopsie operate sui neonati. Ricorreva a questo schema, ad esempio, il medico S. Morris nella sua relazione su una nascita mostruosa avvenuta nel Sussex il 20 dicembre 1677: dopo poche parole di introduzione («At Petworth, Decemb. 20. 1677. 29 Ibid. 30 Ibid. 31 Si vedano, ad esempio, queste altre corrispondenze pubblicate sulle Philosophical Transactions negli anni 1684-1709, e aventi come oggetto ‘monstrous births’ umane: Christopher Krahe, ‘The Description of a Monstrous Child, born Friday the 29th of February 1684 at a Village called Heisagger, distant about 4 English Miles from Hattersleben, a Town in South-Jutland, under the King of Denmark’s Domination, communicated by Mr. Christopher Krahe, a Member of the Ecclesiastical Consistory and Provost of all the Churches belonging to the said Diocess’, Philosophical Transactions, 14, 1684, pp. 599-601; Robert Taylor, ‘Part of a Letter from Mr. Robert Taylor to Dr. Hans Sloane, R. S. Secr. concerning a Monstrous Birth’, Philosophical Transactions, 25, 1706-1707, pp. 2345-2346; William Derham, ‘A Letter from the Reverend Mr. W. Derham, F. R. S. to Dr. Hans Sloane, R. S. Secr. giving an Account of some Inundations; Monstrous Births, Appearances in the Heavens, and Other Observables he received from Ireland. With his Observations on the Eclipse of the Sun, Sept. 3. and of the Moon, Sept. 18, 1708’ Philosophical Transactions, 26, 1708-1709, pp. 308-313. 408 one Joan Peto, a Butchers Wife, after most acute pains was by her Midwife delivered of a monstrous Female Birth»), l’intero resoconto era occupato da una dettagliata descrizione dell’esame autoptico.32 Le dissezioni, diventate ormai abituali, presero a condizionare profondamente anche l’immaginario popolare sulle nascite mostruose, e la street literature segnala questa evoluzione: negli ultimi anni del secolo comparvero nei broadsheets le ‘Letters’ e i ‘Reports’ che raccontavano di ‘monstrous births’ in termini razionali e non apocalittici, e il chirurgo entrò come personaggio nelle ballads cantate per le strade. 8.2 And what Report thereof had said, they found it in Effect: dissections e relations di nascite mostruose nella letteratura di strada Il 12 novembre 1664 usciva a Londra «printed for Elizabeth Andrews», una broadside ballad dal titolo Natures Wonder? Or, An Account how the Wife of One John Waterman […] was delivered of a Strange Monster.33 Il documento, un unico foglio stampato in orizzontale su quattro colonne, presentava, sul lato sinistro, una breve sintesi della nascita mostruosa, occorsa «in the Parish of Fisherton-Anger, near Salisbury […] upon the 26th. Of October 1664», un’ immagine delle due gemelline siamesi appena venute al mondo e la prima parte della ballata (fig. 53); sul lato destro del foglio si trovava invece la seconda, più ampia, parte della ballata e – fatto, questo, particolarmente rilevante – la relazione di un certo «Josiah Smith, Practitioner of 32 S. Morris, ‘A Relation of a Monstrous Birth, made by Dr. S. Morris of Petworth in Sussex, from his own Observations: and by him sent to Dr. Charles Goodall of London; both of the Colledge of Physicians, London’, Philosophical Transactions, 12, 1677-1678, pp. 961-962. Non è stato possibile raccogliere notizie biografiche sull’autore. 33 Anonymous, Josiah Smith, Natures Wonder? Or, [An Ac]count how the Wife of One John Waterman an Ostler in the Parish of Fisherton-Anger, near Salisbury, was delivered of a Strange Monster upon the 26th. of October 1664. which lived until the 27th. of the Same Moneth. It had Two Heads, Foure Armes, and Two Legs, the Heads standing contrary Each to the Other; and the Loines, Hipps, and Leggs issueing out of the Middle, betwixt both; they were both Perfect to the Nauell, and there joyned in One, being but One Sex, which was the Female. She had another Child born before it (of the Female Sex) which is yet living, and is a very Comely Child in all Proportions. This is attested from Truth, by Several Persons which were Eye Wittnesses. The Tune is London Prentice: Or, Jovial Batchelor, [London], printed for E[lizabeth] Andrews at White-Lyon in Pye-Corner, [1664] [Wing (CD-ROM, 1996), N245A]; una trascrizione moderna completa della ballata, si può leggere in Hyder E. Rollins (ed.), The Pack of Autolycus or Strange and Terrible News of Ghosts, Apparitions, Monstrous Births, Showers of Wheat, Judgments of God, and other Prodigious and Fearful Happenings as told in Broadside Ballads of the Years 1624-1693, Cambridge, Harvard University Press, 1927, pp. 139-145. Né sul medico Josiah Smith, che appone la propria firma ad una importante testimonianza in calce al documento, né sulla promotrice della pubblicazione, Elizabeth Andrews, è stato possibile raccogliere alcuna notizia. 409 Physick» che attestava di avere osservato e visitato personalmente le due bambine. Si tratta perciò di un documento particolarmente rilevante che, nell’anno che precede la prima uscita delle Philosophical Transactions, testimonia la rilevanza già assunta dai ‘surgeons’ sulla scena delle nascite mostruose. Non più limitandosi a citare il nome di uno o più testimoni oculari, il documento lasciava, infatti, un ampio spazio al parere di un uomo di scienza; era alla voce di Josiah Smith e alla sua autorevolezza che l’anonimo autore della ballata affidava il compito di certificare la veridicità dell’evento: At Fisherton Anger, near the City of Salisbury (called New Saram) near to the sign of the Angel, Liveth one John Waterman an Ostler, His Wife (whose name is Mary) was Delivered (on Wednesday the 26th of October 1664, about two a Clock in the Morning) first of a vere comely Daughter (which is yet living) And after of a strange Monster which was formed Triangular, two Heads (at either end one) four Eyes, two Mouths four Armes, two Stomacks, And joyned together at the Navell; and below that two Legges and Thighs, with Natures Passage (as other Female children have) and a Foundament: They were Baptized at 3 a Clock the same Morning, the first was named Eefelet: and the Monsters were named Martha and Mary; they had very comely faces, and both received Sustinance, but not together: This Monster lived two dayes and then dyed, and is Imbalmed, and to be brought to London to be seen. There hath been both Lords, Ladys, and much Gentry to see it; The Father (being a poore man) had twenty pound given him the first day, by persons of Quality. I Josiah Smith, Practitioner of Physick, saw them all three alive.34 Il dottor Smith dava dunque, sebbene sinteticamente, molte informazioni importanti su questo evento; oltre alla descrizione delle due gemelle, apprendiamo, infatti, dal suo resoconto della nascita di un’altra bambina, nata insieme a loro, sana, battezzata con il nome di Eefelet e «yet living»; nelle poche righe Smith dava notizia, inoltre, del contesto in cui la nascita era avvenuta, della immediata – e remunerativa – spettacolarizzazione dell’evento, nonché dell’avvenuta imbalsamazione delle due sfortunate neonate.35 34 Anonymous, Josiah Smith, Natures Wonder? Or, An Account how the Wife of One John Waterman […] was delivered of a Strange Monster. 35 Di questa nascita dà testimonianza anche il diario di Samuel Pepys, nel quale leggiamo, tra l’altro, che la causa della morte delle due gemelle fu, probabilmente, la fatica dovuta all’eccesso di esposizione pubblica: «here was a gentleman attending here that told us he saw the other day (and did bring the 410 Ma l’importanza assunta dal chirurgo e dall’esame autoptico nel contesto delle nascite mostruose non condizionò soltanto la redazione del racconto in prosa – la parte del documento dedicata all’informazione e alla certificazione di verità dell’evento – ma anche gli stessi versi della ballata. Quest’ultima constava di dodici stanze di tetrametri e trimetri giambici, con schema rimico (prevalente, non rispettato nelle stanze 1 e 10) ABABCDCD e, nelle linee generali, non si discostava dagli esempi più antichi analizzati nei capitoli precedenti. Il suo background religioso, infatti, presentava ancora la nascita mostruosa come punizione divina: «A Monster of mishapen Forme / I here to you present, / By this Example you may learn / to feare Gods Punishment».36 E, ancora, la colpa era attribuita alla condotta peccaminosa dei genitori: Afflictions God doth sometimes send to Parents for their sin, When they will not their lives amend, then doth the Lord begin With Judgments for to humble them and make them feel his hand; O turn into the Lord in time, for none can Him withstand.37 Coerentemente, la conclusione della ‘ballad’ enfatizzava il valore di exemplum morale dei fatti narrati, invitando i lettori/ascoltatori al pentimento: Then Parents all Example take at all times seek the Lord; Fruit of your bodies he can make by your own selves abhorr’d: draught of it to Sir Francis Prigeon) of a monster born of an hostler’s wife at Salisbury, two women children perfectly made, joyned at the lower part of their bellies, and every part perfect as two bodies, and only one payre of legs coming forth on one side from the middle where they were joined. It was alive 24 hours, and cried and did as all hopefull children do; but, being showed too much to people, was killed» (The Diary of Samuel Pepys, 8 voll., edited by Henry B. Wheatley, London, G. Bell and Sons, 1924, VIII, p. 268). 36 Anonymous, Josiah Smith, Natures Wonder? Or, An Account how the Wife of One John Waterman […] was delivered of a Strange Monster, vv. 5-8. 37 Ibid., vv. 73-80. 411 your Children which should be a joy and comfort in the end, The Lord in fury will destroy, if you do him Offend.38 Ma se in questa lettura moralizzante, apertamente conservatrice, riconosciamo ancora operanti antichi stilemi, nuova è l’attenzione posta sulla presenza dei chirurghi, e sull’autopsia da essi eseguita: At lenght it dy’d, and was convey’d for Chyurgeons to Dissect, And what Report thereof had said, they found it in Effect.39 L’autopsia era divenuta un momento indispensabile nella ‘liturgia del mostruoso’, ed era diventata uno dei suoi ‘rituali’: la dissezione era un momento irrinunciabile, l’unica pratica che consentisse di scoprire e chiarire «in effect» la vera natura della patologia. In questo accostamento di esigenze narrative e poetiche divergenti, Natures Wonder? Or, An Account how the Wife of One John Waterman […] was delivered of a Strange Monster è un documento rilevante, che testimonia un vero e proprio snodo epocale nella narrazione e nella lettura della ‘monstrous birth’: pur in un contesto evidentemente conservatore, in cui resistono atteggiamenti ideologici antichi, emergeva chiaramente la forza culturale di una medicina ‘razionalista’, attenta al dato empirico, che esercitava, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, una pressione innovatrice e condizionava irrevocabilmente l’immaginario. D’altra parte, la nascita di Salisbury era testimoniata anche da un altro documento di natura completamente diversa: The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury, un foglio volante illustrato che si presentava come una fredda relazione degli eventi, puramente informativa.40 Il documento era occupato, in alto, 38 Ibid., vv. 89-96. 39 Ibid., vv. 61-64. 40 Anonymous, The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury, London, printed for R. P. at the Signe of the Bible in Chancery-Lane, 1664 [Wing (CD-ROM, 1996), T2854]. Non è stato possibile identificare l’autore. Il foglio volante è riprodotto, con brevissimo commento introduttivo in Hyder E. Rollins (ed.), The Pack of Autolycus or Strange and Terrible News of Ghosts, Apparitions, 412 dall’immagine delle due gemelline, realizzata con tratti realistici, e meno ingenui rispetto all’illustrazione della ballata: in essa riconosciamo la mano di un incisore esperto, che forse potè osservare dal vivo il corpo di Martha e Mary Waterman (fig. 54). Nel testo sottostante, oltre agli imprescindibili dati che circostanziavano l’evento (luogo e data della nascita), si leggeva una rapida ma precisa descrizione delle due siamesi: The Head standing contrary each to other, one Head standing were the Feet should be. There were two perfect Bodies downwards to the Navel, as if there had been two Children, and there they were both joyned together. The Loyns, Hips and Legs issued out of the sides of the Bodies, just in the middle, where both Bodies were joyned together.41 Come testimoniato dalla ballata appena analizzata, il corpo delle due gemelle era stato oggetto di dissezione; The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury dava un preciso resoconto di questa autopsia: «it was dissected, and there were found two Hearts, two Livers, and all the inward parts complete, as the outward to the Navel, except only that it had but two Kidneys. There was but One Sex to both these Bodies, which was the Female».42 Il resoconto proseguiva raccontando le poche ore di vita delle due gemelle Waterman, che lived two dayes, and during that time took Sustenance. It would not Suck, but did Eat with both Mouthes; when the one cried, the other did so too, each imitating the other in several actions, and was seen alive by many hundreds of the neighbouring places, which flocked to see so strange a Creature.43 Le ultime parole dell’anonimo autore erano altrettanto laconiche: «the Mother had one Child more at the same time, which was born first, and which also is a Female, Monstrous Births, Showers of Wheat, Judgments of God, and other Prodigious and Fearful Happenings as told in Broadside Ballads of the Years 1624-1693, Cambridge, Harvard University Press, 1927, p. 140.41 Anonymous, The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury. 42 Ibid. 43 Ibid. 413 and a very comely Child in all proportions, and is yet living. This Monster is intended speedily to be brought to London».44 Per la prima volta un resoconto freddo, quasi asettico nella sua assoluta rinuncia al tono apocalittico, poteva trovare un suo spazio d’interesse nella letteratura di strada: evidentemente il gusto dei lettori stava in parte cambiando. Nel nuovo clima di fine secolo, trascorsa la ‘tempesta’ della guerra civile e del protettorato, la curiosità prevaleva sull’orrore, e le prime lallazioni della scienza moderna esercitavano la propria pressione sul ‘canone dei prodigi’. La gran parte dei pamphlet e dei fogli volanti dedicati alle ‘monstrous births’ negli ultimi decenni del XVII secolo incarnava questa nuova tendenza. Nel 1668, ad esempio, usciva per i tipi di Peter Lillierap, a Londra, un pamphlet di 10 pagine in 4°, The Strange Monster or, True News from Nottingham- Shire of a Strange Monster born at Grasly in Nottingham-Shire, nel quale l’anonimo autore dimostrava un atteggiamento spregiudicatamente razionale, facendo seguire, ad una schematica descrizione della nascita mostruosa appena occorsa un excursus storico su una lunga serie di casi precedenti.45 Consapevole che «Monsters and Prodigious births have been frequent in each Age», egli riconduceva il fenomeno alla sua dimensione realistica e storica, senza indulgere in interpretazioni di tipo simbolico o moralistico: many other examples could we produce, but these we think may be sufficient for this purpose; I shall only add this, that the Reader will not look with the same eyes (as the Fanaticks do) upon such monstrous births, accounting them Prodigies, and certain Foretellers of great mischiefs infallibly to ensue, since we see that all ages have produced the like or more strange births, but let every one labour to break off his own sins by repentance, and then we shall not need to fear any calamity wich such prodigious may seem to signifie.46 44 Ibid. 45 Anonymous, The Strange Monster or, True News from Nottingham-Shire of a Strange Monster born at Grasly in Nottingham-Shire, Three Miles from Nottingham, with a Relation of his Strange and Wonderfull Shape, the Time his Mother was in Travail with him, with Several other Things of Note. Together with a Brief Relation of Several Monstrous and Prodigious Births which happened heretofore in this our Nation. Licensed accordording [sic] to Order, [London], printed by Peter Lillierap [sic] living in Clerkenwell-Close, 1668 [Wing (CD-ROM, 1996), S5884A]. Dello stampatore Peter Lillicrap non si conoscono notizie biografiche; dal catalogo delle pubblicazioni a lui riferibili si evince un periodo di attività negli anni 1647-1672. 46 Anonymous, The Strange Monster, p. 6. 414 Coloro che guardavano alle ‘monstrous births’ pretendendo di leggervi a tutti i costi segni dal cielo non erano dunque altro che «Fanaticks» o, al più, «Foretellers»: il legame tra la stranezza di natura e l’ira divina era dunque stato spezzato, o almeno indebolito. Senza che ciò, d’altra parte, significasse un dimidiamento della tensione morale: anzi, ribaltando sottilmente e ambiguamente il consueto finale dei pamphlet congeneri, l’anonimo affermava la speranza che «every one labour to break off his own sins by repentance», poiché proprio la saldezza della legge morale avrebbe posto un freno alla superstiziosa paura dei fanatici. Chi vive lontano dal peccato, affermava, non ha bisogno dell’orrore. Alcuni anni dopo, un altro documento testimoniava la persistenza di questo atteggiamento nuovo, quasi ‘luminoso’, nei confronti della nascita mostruosa: pubblicato a Londra da D. Mallet nel 1680, A True Relation of a Monstrous Female- Child si presentava come un breve pamphlet di 4 pagine in 4°, dedicato ad una nascita prodigiosa avvenuta il 6 maggio di quell’anno a Taunton Dean, un piccolo villaggio del Sommersetshire; nel frontespizio, oltre che leggere una rapida sintesi dei fatti, i lettori potevano osservare una piccola illustrazione, dai tratti ingenui ma realistici, che rappresentava due gemelle siamesi unite per la schiena (fig. 54).47 Fin dalle sue prime righe, il pamphlet affermava la propria intenzione di leggere nella nascita prodigiosa non un segno d’ira, ma di onnipotenza creatrice della natura: Wonderful are the Productions of Nature, and great to be admired, providence that Rules the world and orders all below, has marked out various and sundry Forms and shapes not usual, nor Common, but such as may fill all persons with Astonishment, for who can hear and not be amazed at what we here intend for to relate.48 47 Anonymous, A True Relation of a Monstrous Female-Child, with Two Heads, Four Eyes, Four Ears, Two Noses, Two Mouths, and Four Arms, Four Legs, and all Things else proportionably, fixed to One Body. Born about the Sixth of May last, at a Village called Ill-Brewers near Taunton Dean in Somerset-shire: likewise a True and Perfect Account of its Form so prodigiously Strange, with Several Remarkable Passages observed from it since its Birth, so Great and Amazing, that the like has not been known in many Ages: with many other Circumstances. As it was faithfully communicated in a Letter, by a Person of Worth, living in Taunton-Dean, to a Gentleman here in London, and attested by many Hundreds of no mean Rank; and Well Known to Several Gentlemen in and about LONDON, London, printed by D. Mallet, 1680 [Wing (2nd ed.), T2886B]. Dello stampatore David Mallet si conosce solo la data di morte (3 aprile 1683): il suo bookshop fu rilevato dalla moglie, Elizabeth, sua collaboratrice (cfr. Ian Maxted, ‘Mallet, Elizabeth (fl. 1672–1706)’, Oxford Dictionary of National Biography, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/66880, accessed 11 Sep 2014]). 48 Anonymous, A True Relation of a Monstrous Female-Child, p. 2. 415 Il nuovo background ideologico – singolarmente consonante con quello baconiano su cui mi sono soffermato all’inizio del capitolo – era qui chiaramente espresso: la ‘monstrous birth’ non era altro che un fenomeno «non usual, nor common», al quale sovrintendevano leggi nascoste, ma comunque pertinenti al grande ordine della natura. Si trattava di un distanziamento pieno, dunque, da tutti coloro che leggevano in questi fenomeni inusuali e non comuni un segno dell’ira divina; una presa di distanza resa ancor più chiaramente esplicita dalla precisa contrapposizione: The Father of this duplicit or double infant [was] no other than a poor honest laborious man, and takes great pains for the Maintainance of himself and his Family, being a Man of very honest Repute, and free from all aspersions of Vice or exorbitancies, the which as so many of the censorious of this Age might have imputed the Cause of so strange an accident.49 Ben lontano, dunque, dall’atteggiamento censorio di chi cercava le cause della ‘monstrous birth’ in una qualche colpa, l’autore descriveva con trasporto la prodigiosa unione dei due corpi; «so wonderful are all the works of the omnipotent Creator, who formed us of Dust», e perciò egli sceglieva, al fine di descrivere la propria condizione emotiva, parole di grande potenza: il suo sentimento di fronte alle due gemelle era «an extasie of thought or admiration at this wonderful birth of nature».50 Del tutto coerente con questa postura intellettuale ammirata e grata era anche il finale dell’opuscolo, nel quale l’esaltazione per l’onnipotenza creatrice del Dio-Natura era declinata su toni estatici: «so may we see the wonders of the omnipotent God, and that we can, or ought to do herein, is to adore his divine Majesty, and with the Prophet say, This is the Lords doing, and it is marvellous in our Eyes.51 49 Ibid., pp. 3-4 50 Ibid., pp. 3 e 4. In questo ‘entusiasmo’ si può forse riconoscere un’eco di quelli che Lorraine Daston e Katharine Park hanno definito i clichés narrativi del racconto scientifico nel XVII secolo; a proposito di un brano in cui Isaac Newton raccontava il proprio stupore di fronte ad alcune inaspettate proprietà della luce, le due studiose scrivono: «Musing admiration, startled wonder, then bustling curiosity – these were the successive moments of the seventeenth-century clichés describing how the passions impelled and guided natural plilosophical investigations. The senses were first snared and lulled by delightful novelties; understanding snapped to attention as novelty deepened into philosophical anatomy; and body and mind mobilized to probe the hidden causes of the apparent marvel» (Wonders and the Order of Nature, pp. 303-304). All’entusiasmo conoscitivo dell’autore del pamphlet, faceva da contrappunto la popolare curiosità per il fenomeno raro vissuta da un’ampia folla: «many hundreds […] dayly flock rhither to see the monstrous work of Nature, and admire so great a piece of curiosity» (p. 3). 51 Ibid., p. 4 [corsivo nell’originale]. 416 A True Relation of a Monstrous Female-Child, con il suo sforzo (riuscito) di far convivere l’ammirazione per le meraviglie della natura e la gratitudine per la provvidenza divina («this wonderful birth of nature and work of providence») rappresenta un esempio efficace di quella fase di passaggio in cui, come ha sintetizzato Marie-Hélène Huet, «medical science slowly disvested itself of religious beliefs».52 Una fase di lenta transizione che, originatasi negli ultimi decenni del secolo XVII, occupò buona parte del secolo successivo: not that religious questions would not continue to be an important factor until the end of the eighteenth century […], but medicine would be refocused on the workings of the human body, taking as its point of departure the functions and dysfunctions of the system rather than the remote influences that had been thought to allow for disruptions in the first place.53 Questa lenta metamorfosi dello statuto scientifico della medicina non poteva ovviamente non coinvolgere le nascite mostruose, che di quell’antico atteggiamento paramedico, intessuto di elementi soprannaturali, erano state il fulcro: as it would increasingly privilege direct observation, medicine would integrate monstrous births into its empirical knowledge of the body, divesting monstrous births of their supernatural components. In this way, monsters as bearer of supernatural signs were excluded from the medical field, while at the same time monstrous deformities were being completely integrated as simple unusual occurrences.54 In questo cammino, A True Relation of a Monstrous Female-Child – con la sua esplicita dichiarazione di affrontare il campo del «non usual, nor common» – costituiva un passo essenziale, tanto più in quanto testimoniava la penetrazione del nuovo atteggiamento non al livello della disquisizione colta (attestata in quegli stessi 52 Marie-Hélène Huet, ‘Monstrous Medicine’, in Laura Knoppers Lunger, Joan B Landes. (eds), Monstrous Bodies / Political Monstrosities in Early Modern Europe, Ithaca-London, Cornell University Press, 2004, p. 145. Su questo momento di crisi evolutiva, si vedano anche Roger French, Medicine before Science. The Business of Medicine from the Middle Ages to the Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, specialmente la parte terza, ‘The Crisis’, pp. 157-259 e Andrew Wear, ‘Medical Practice in Late Sevententh-and Early Eighteenth-Century England. Continuity and Union’, in Roger French, Andrew Wear (eds.), The Medical Revolution of the Seventeenth Century, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 294-320. 53 Marie-Hélène Huet, ‘Monstrous Medicine’, p. 145. 54 Ibid. 417 anni dalle riviste scientifiche) ma in quello popolare e vastamente diffuso della street literature. D’altra parte, la diretta influenza della nuova medicina sulla letteratura di strada non si limitava a offrire nuove categorie mentali e chiavi di lettura, ma forniva anche ai ‘printers’ un vero e proprio nuovo ‘genere letterario’: ‘relations’, ‘letters’ e ‘reports’ del tutto analoghi a quelli pubblicati sulle pagine delle Philosophical Transactions comparvero anche sui fogli volanti venduti e distribuiti per le vie cittadine. A True Relation of two Prodigious Births, ad esempio, era un foglio volante «printed by T. D.» nel 1680 che, in una sola pagina testimoniava di ben due nascite prodigiose, una umana (le due gemelle del Sommersetshire del caso appena esaminato) e una animale (un parto siamese bovino).55 Il resoconto, sintetico ma dettagliato, era preceduto da un prologo brevissimo ma estremamente significativo: «Not to be troublesom with a tedious Insignificant Preamble, irksom to a curious Reader, and usually the common Prologue to notorious Lyes, I shall here acquaint the Judicious Reader with Two Strange Births».56 L’autore rivendicava in queste poche righe la sintesi della propria ‘relation’, contrapponendosi ai ‘liers’ che lo avevano preceduto, e che avevano intessuto le loro relazioni di prologhi teologici «insignificant» e «irksom». In questa rivendicazione si può riconoscere una suggestiva eco, probabilmente non causale, della filosofia baconiana. In un suo scritto programmatico sull’istituzione della nuova scienza, Preparative towards a Nature and Experimental History (1620) Bacon aveva specificamente insistito sulla necessità di descrizioni brevi, «though no doubt this kind of chastity and brevity will give less pleasure both to the reader and the writer».57 Un altro foglio volante pubblicato «for J. Stans» nel 1682, A Letter from an Eminent Merchant in Ostend, raccontava di una nascita mostruosa avvenuta in Olanda, e riprendeva lo stile dei resoconti esteri delle Transactions.58 Venuto a 55 Anonymous, A True Relation of Two Prodigious Births, the like not hapning in many Generations, the Significations whereof is left to the Judicious to contemplate, London, printed by T. D., 1680 [Wing (CD-ROM, 1996), T3075A]. 56 Ibid., [corsivo di chi scrive]. 57 Francis Bacon, Preparative towards a Nature and Experimental History, in Id., The Works of Francis Bacon, Lord Chancellor of England, IV, p. 255. 58 Anonymous, A Letter from an Eminent Merchant in Ostend, containing an Account of a Strange and Monstrous Birth hapned there, a Woman being brought to Bed of Two Children, which are joined together by the Crowns of their Heads. He being an Eye-Witness thereof. Dated May 7. old stile, 418 conoscenza che «there happened a Strange and wonderful Birth, about an hour and a half […] from this place» un anonimo mercante aveva deciso di recarsi sul posto. Inizialmente mosso da curiosità personale, doveva aver pensato che un simile prodigioso evento potesse essere d’interesse collettivo, e aveva redatto la sua ‘letter’, nella quale ampio spazio era dato all’osservazione dell’aspetto fisico e soprattutto del comportamento delle due gemelle, che testimoniava la loro indipendenza percettiva ed emotiva: they are two Daughters, well Shap’d and perfect in all their Members, onely they are joyned together, at the top of the head, and so fast that it seems to be but one head. Yet it is apparent both heads have their perfect faculties […].That they are distinct in life, souls and brains, appear plainly from the actions which they have, both together, and sometimes apart: for the one often sleeps, while the other is awake, Cryes and eats: and they are ofenttimes [sic] both awake, and both eating: I have seen them both asleep, and both awake, and one asleep and the other awake. The Heads are so united together, that when that which is awake turns itself, the Neck of the other turns also: They will never be able to go, sit, or stand: for if the one should sit, or stand upright, the other must stand on her Head, with the Heels upward: Their Face, Nose, and Eyes, are not directly opposite to one another, but somewhat sideways, so as the one looks toward you, and the other from you.59 All’osservazione puramente descrittiva faceva da contrappunto la considerazione sulla vita futura delle due gemelle, e sulle difficoltà legate alla loro impossibile deambulazione; connessa con questa pietas era l’intuizione, straordinariamente moderna, della possibile separazione chirurgica delle due siamesi: «a partition may be easily felt, which I felt yesterday: But yet several Doctors and Chyurgeons from Bridges, haveing been there, to see whether the Children might be parted without danger of death, find no probability».60 Sebbene ancora impossibile per i mezzi medici dell’epoca, anche solo il presentarsi dell’idea di un intervento chirurgico dimostrava un pieno allontanamento da un immaginario numinoso: le due gemelle non erano più un segno dal cielo sul quale qualsiasi azione umana sarebbe stata London, printed for J. Stans, and sold by R. Janeway, 1682 [Wing (CD-ROM, 1996), L1444]. Sullo stampatore J. Stans e sul bookseller R. Janeway non è stato possibile reperire notizie biografiche. 59 Ibid. 60 Ibid. 419 percepita come empia, ma due pazienti da sottoporre – ove possibile – a trattamento medico, per garantire loro una più adeguata qualità di vita.61 * * * Nell’ultimo passo di questo cammino, ho mostrato in quale modo l’avanguardia ‘razionalista’ rappresentata dai medici abbia condizionato, negli ultimi decenni del XVII secolo, la percezione delle nascite mostruose nella letteratura di strada. Seguendo da vicino la linea ‘discendente’, dall’accademia alla strada, di quello che Anita Guerrini ha definito un «two-way traffic» tra la curiosità popolare e l’analisi medica, ho potuto identificare diverse modalità, attraverso le quali l’immaginario scientifico ha condizionato le strategie narrative usate dalla street literature nei casi di nascite mostruose.62 All’inizio di questa ‘osmosi’, è stato possibile avvertire l’ingresso dell’esame autoptico come uno dei momenti imprescindibili nella narrazione della ‘monstrous birth’, e l’ingresso in scena dei chirurghi nel duplice ruolo di ‘character’ narrativo e di autorevoli testimoni di verità dell’evento; ma sempre all’interno di un contesto ideologico in cui la nascita di un bimbo deforme rimaneva ‘segno’ dell’ira divina contro i ‘sins’ dei genitori. In un momento successivo, invece, l’atteggiamento scientifico condizionò in maniera sempre più profonda le narrazioni, fino a divenire il nuovo sfondo ideologico dei resoconti: se nel 1664 Josiah Smith, «Practitioner of Physick», non aveva che un ruolo marginale all’interno di una broadside ballad ancora profondamente conservatrice, a partire dai primissimi anni ’80 comparvero invece documenti in cui il resoconto appariva completamente scevro da sfumature religiose di tono apocalittico, e anzi talvolta rivendicava con orgoglio la propria contrapposizione all’antico immaginario. Tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, la ‘monstrous birth’ letta in chiave di prodigio uscì dal campo dell’analisi medico scientifica per assumere il ruolo di rarità morfologica, da analizzare e spiegare con approccio laico. La street literature 61 Si segnala qui anche un altro documento di natura analoga, un foglio volante nel quale era riportata la testimonianza di una ‘monstrous birth’ avvenuta in Irlanda: E. B., Strange and Wonderful News of the Birth of a Monstrous Child with Two Heads, and Three Arms which was lately born at Attenree, in the County of Meath in Ireland. Dublin, January the 31th, 1684, London, printed for John Smith, 1685 [Wing (2nd ed.), B55]. Un estratto del documento si può leggere in epigrafe a questo capitolo. 62 Anita Guerrini, ‘Advertising Monstrosity. Broadsides and Human Exhibition in Early Eighteenth Century London’, p. 110. 420 partecipò, lentamente, a questa evoluzione. Le poche, tardive, sopravvivenze – come il racconto di Sarah Smith da cui ho cominciato il cammino di questa ricerca, e che ora rivedrò da vicino, nelle conclusioni – si collocarono al di qua di un orizzonte culturale diffusamente condiviso, divennero minoritarie e, come vedremo fra poco, si installarono «within the borders» di un immaginario onirico e puramente letterario. 421 CONCLUSIONI Within the Border(s) This Monster had a Body like a Dolphin with Scales thereon, it had no Legs but a Pair of Great Claws tallon’d like two Hands, which it was thought it would go on if it had been suffer’d, it had six Heads and but one Neck, one was like the Face of a Man with Eyes, Nose and Mouth to it, the 2d. like the Face of a Cammell, and its Ears crop’d, two other Faces like Dragons with spiked Tounges hanging out of their Mouthes, another like an Eagles Head with a Beak (insted of a Mouth) at the End of it, and the last seeming to be like a Calves Head, these said Mouths were fed for some Time, but by the Command of the Magistrates it was destroy’d, several Surgeons there were at the Dissection of it, and Thousands of People was there to see it, but it was at last nail’d up in the Coffin with its Mother in Order to be buryed with her. Anonymous, The Miracle of the Miracles, 1715. * * * * Collocato cronologicamente oltre la stagione di profondo rinnovamento culturale descritta nell’ultimo capitolo, il pamphlet anonimo che nel 1715 raccontava la vicenda di Sarah Smith in termini duramente moralizzanti («she was, as it were, a Monster in Nature, and as she acted a Monster, so she died of a Monster»), costituiva, se non un vero e proprio ‘fossile’ culturale, un documento profondamente conservativo.1 Questa ‘resistenza’ culturale, da parte di un immaginario al tramonto, appariva evidente fin dal frontespizio, occupato per metà da un’illustrazione che rinnegava completamente le immagini realistiche a corredo delle relazioni mediche contemporanee. In questa immagine, ampio spazio era dedicato ad un ritratto della partoriente, distesa nel letto in cui sarebbe morta, e alle cui spalle una ‘midwife’ pregava reggendo tra le mani un libro; accanto, campeggiava il terribile mostro, in una fantasmagoria di elementi zoomorfi in cui riconosciamo una plateale rinuncia non solo ad ogni realismo, ma anche a qualsiasi pretesa di plausibilità (fig. 56). Il resoconto, d’altra parte, non era altro che una costruzione narrativa del tutto fittizia: il patrimonio culturale sulle nascite mostruose elaborato nei quasi due secoli precedenti, spodestato del proprio ruolo di verità fattuale dalla nuova scienza, si ricollocava ora dentro un territorio puramente letterario, in cui la sua potenza moralizzante poteva ancora dispiegarsi, sebbene su un piano puramente simbolico. In questa ‘citazione’ narrativa di ciò che un tempo poteva essere letto come testimonianza di verità, i lettori ritrovavano, stratificati, molti di quei contenuti, di quelle formule, di quelle significazioni, che il ‘monster’ aveva incarnato nella sua lunga storia, ed erano ora chiamati a riconoscerli e a trattarli come allegoria. Il racconto incominciava, infatti, secondo tradizione, con la definizione del contesto familiare in cui si lasciava intendere che la nascita mostruosa fosse avvenuta: Sarah Smith was the Daughter of John Symons a Farmer, who was lately an Inhabitant of the Parrish of Darking in Essex, a plain down Right Honest Country Farmer, he had this Child by his Wife who was Reckon’d to be not so good liver as she ought, and somewhat given to the Vice of the World, tho’ clandestine she was in most of her Matters.2 1 Anonymous, The Miracle of the Miracles being a Full and True Account of Sarah Smith who lately was an Inhabitant of Darken Parish in Essex, that brought to Bed of a Strange Monster, [London?, 1715?], p. 6.2 Ibid., p. 2. 425 Il padre di Sarah Smith era dunque presentato come «a plain down Right Honest Country Farmer», mentre all’ascendenza materna era ricondotta la propensione viziosa della figlia; d’altra parte, la ragazza si era dimostrata capace di superare di gran lunga la genitrice nelle abitudini degeneri: the Girl was a Pretty Sort of a Creature, and was at last Married to one James Smith a Husband-man, and she being known to follow some of her Mothers Steps, soon Exceeded her in her Vices, and became in an Instant Mistriss of two Horrid ones more, viz. Swearing and Wishing bitter-wishes.3 Bestemmiatrice e dedita al malaugurio: così l’autore presentava la giovane donna nelle prime pagine del pamhlet. Ulteriori particolari sulla sua condotta immorale si sarebbero letti nella seconda parte del documento, in cui era contenuto il sermone pronunciato, in occasione del funerale di Sarah Smith, da un anonimo pastore: The Deceased, you all know, was not so Obedient a Child to her Parents as she ought, or as they might have reasonably expected, for she was given a little too much to her Mother’s Vices, which I shall not here repeat, because they are very well known to too many of the Neighbourhood, all that I shall mention are her Sins of Disobedience, and her Undutifulness to her Parents, she would never do any thing she was bid, or if she did, it was so very unwillingly, that she was three times as long a doing of it as any other Person.4 I peccati di Sarah Smith erano ben noti a tutto il vicinato, dunque, e tra essi i primi erano «sins of disobedience» e «undutifulness to her parents»; ma il suo ritratto era reso ancora più ripugnante, ai limiti del grottesco e della caricatura: she would eat what she cou’d get, never strive to earn a Penny, and expected her Aged Parents should maintain her in Idleness: she was a grevious Curser and Swearer, a Gamster, and would play her Parents Money away, and when any thing were mist, which they suspected she had got, she would wish much strange Wishes as 3 Ibid., p. 2. 4 Ibid., p. 5. 426 scarcely were heard of. In a Word, she was, as it were, a Monster in Nature, and as she acted a Monster, so she died of a Monster.5 Disubbidiente, accidiosa, blasfema, giocatrice e dilapidatrice del patrimonio familiare, Sarah Smith era morta, infine, mettendo al mondo un mostro costruito per esprimere la complessa mescolanza dei suoi vizi: This Monster had a Body like to a Dolphin with Scales thereon, it had no Legs but a pair of Great Claws Tallon’d like two Hands, which it was thought it would go on if it had been Suffer’d, it had Six heads and but one Neck, one was like the Face of a Man with Eyes Nose and Mouth to it, the 2d. like the Face of a Cammell, and its Ears Crop’d, two other faces like Dragons with Spiked Tongues hanging out of their Mouths, another like an Eagles head with a Beak (insted of a Mouth) at the end of it, and the last seeming to be like a Calves Head.6 Non è ovviamente facile ricostruire quale fosse l’immaginario sotteso a questa creatura, ma è evidente in essa una forte connotazione simbolica, in cui emerge sia una generale aura mortifera e demoniaca, sia riferimenti diretti a specifici peccati della donna. 7 In ogni caso, la ripugnante creatura «by the Command of the Magistrates […] was Destroy’d, several Surgeons there were at the Dissection of it, and Thousands of People was there to see it, but it was at last Nail’d up in the Coffin with its Mother in Order to be buryed with her». 8 Con queste poche parole, raccogliendo e sintetizzando molti dei topoi ben noti dalle narrazioni congeneri, l’anonimo autore di quella che potremmo ormai definire una ‘fiaba mostruosa’ chiudeva il suo resoconto.9 Restava da aggiungere, come in ogni ‘fiaba’ degna di 5 Ibid., p. 6. 6 Ibid., p. 4. 7 Il delfino, in connotazione negativa, è animale infero, che conduce le anime nel regno dei morti; il mostro policefalo è un simbolo che proviene dalla tradizione biblica, apocalittico e demoniaco (Ap. 13:1-2) e allo stesso immaginario satanico è riconducibile il numero delle sei teste; ogni testa, d’altra parte, è riferibile ad uno dei peccati della donna protagonista della vicenda: il cammello può essere segno sia d’ira che di accidia; i draghi con la lingua biforcuta, di maldicenza e bestemmia; l’aquila può evocare l’orgoglio, e la dismisura nell’esaltazione dell’Io, ma può essere ancora un simbolo di Satana, che attacca e ghermisce le anime, sottraendole alla vita santa; il vitello, nella tradizione giudaico- cristiana, è simbolo di paganesimo (si veda l’episodio dell’adorazione del vitello d’oro: Es. 32:1-6); per un approfondimento su questi significati simbolici, si rimanda a Jean Chevalier, Alain Gheerbrant (a cura di), Dizionario dei simboli, 2 voll., traduzione italiana di Maria G. Margheri Pieroni, Laura Mori e Roberto Vigevani, Milano, Rizzoli, 1988 (Dictionnaire des symboles: mythes, rêves, coutumes, gestes, formes, figures, couleurs, nombres, Paris, Laffont/Jupiter, 1982). 8 Anonymous, The Miracle of the Miracles, p. 4. 9 Pur centrando il racconto sulla lettura moralizzante della ‘nascita mostruosa’, che è il suo fine principale, l’autore non manca di riferirsi anche alla folla accorsa a contemplare il mostro, e ai 427 questo nome, la sintesi morale, che l’autore affidava ad un concetto molto potente, reiterato a lungo nel finale del sermone e centrato sulla coppia antitetica ‘obbedienza/disobbedienza’: my beloved, I hope [this event] will awaken all Disobedient Children, and recall ‘em to their Duty to their own Natural Parents […]. Keep us all here from Stubborn Hearts, that are wickelly inclined to Disobedience to Parents […]. Grant us forgiveness of all our Sins, Mollify all obdurate Hearts; and herein we beseech thee, in a more especial manner, make them Humble, Obedient and Contrite […]. Oh Lord, enable us to Obey our Parents in all things.10 Questa ostinazione sul tema della disobbedienza (tra l’altro esplicitamente riferita in alcuni casi all’ambito dell’infanzia: «disobedient children») segnala un avvenuto slittamento dell’immaginario ‘mostruoso’ da chiave di lettura di eventi reali a patrimonio puramente ‘mitico’, con specifiche finalità educative, fondate sull’evocazione della paura: una paura liberamente e totalmente dispiegabile – e dispiegata – nei campi incontrollabili dell’onirico e dell’inconscio. C’era, infatti, un tema nuovo, toccato da questo pamphlet e del tutto assente nella tradizione a cui esso faceva esplicito riferimento: e si trattava, per l’appunto, del tema del sogno. Subito dopo avere descritto la condotta degenere di Sarah Smith, infatti, l’autore informava i lettori che one time she Dream’d she was with child of an Horse, another time of a Cammel, and another time of a Dragon that did threaten to kill and Devower her, and abundance of such frightful Dreams, but the Day before she fell in Labour, she fell into a Strong Sleep in the Middle of the Day, and then Dream’d she was brought to bed with a Strange Monster with Twelve Heads that Suck’d her hearts Blood out, and awaking out of it She fell into such an Agony and Trembling that She was not able to hold a Joynt still, She Quacked so much for very fear.11 L’idea che l’immaginazione della madre potesse interferire con la buona riuscita del parto era, ovviamente, antica (e più volte, nel corso della ricerca, è stato utile chirurghi che lo dissezionano: il ‘teatro’ dei mostri era un topos narrativo imprescindibile, e l’immaginario medico, accostato alla scena del ‘mostruoso’, era ormai tanto potente da penetrare anche in questo contesto così lontano. 10 Anonymous, The Miracle of the Miracles, pp. 6-8 [corsivi di chi scrive]. 11 Ibid., pp. 2-3. 428 ricordare questa arcaica credenza).12 Ma in nessuno dei casi fino ad ora analizzati era emerso così potentemente il racconto di un incubo materno, in cui il ‘monster’ dispiegasse tutta la propria potenza eversiva e distruttiva. Nella fantasia del creatore di questo racconto, dunque, non solo Sarah Smith aveva condotto una vita tanto ‘mostruosa’ da meritare un figlio altrettanto ‘mostruoso’ che l’avrebbe uccisa: il ‘mostro’ era, per Sarah Smith, un’ossessione mortifera onirica, un’immagine vampirizzante dell’inconscio; un emblema, ormai del tutto culturalmente assorbito, penetrato «within the borders» dell’identità, personale e collettiva.13 Nell’incubo di Sarah Smith era possibile leggere un patrimonio ‘mostruoso’ ormai tanto interiorizzato da non avere più bisogno di appigli di verità; tale patrimonio era ormai disponibile alla costruzione di un racconto simbolico, che conservava fossilizzate, e poteva ‘citare’ stratificate, tutte le diverse – e diversamente ‘significanti’ – nascite mostruose che l’avevano preceduta. * * * Quando, nell’estate del 1552, lo stampatore John Day, aveva informato il «Chrysten Reader» della nascita dei due gemelli siamesi di Middletone Stoney, in essi aveva letto un chiaro segno con cui Dio comunicava il proprio dispiacere per la «monstrous mind» degli uomini.14 Questa iniziale intuizione fu favorita dal milieu numinoso del ‘canone dei prodigi’, sfondo culturale costante, in tutto il continente europeo, nell’epocale conflitto di fedi inaugurato dalla Riforma. A partire da quella primissima, aurorale intuizione, si poté sviluppare un immaginario vastissimo, e potentemente differenziato a seconda dei momenti e delle fazioni che, di volta in volta, scelsero di usare questo ‘segno’ per avvalorare le proprie posizioni ideologiche e religiose. 12 Sul tema, si rimanda a Marie-Hélène Huet, Monstrous Imagination, Harvard, Harvard University Press, 1993. 13 Se l’intuizione è corretta, saremmo cioè al termine di un processo di creazione di un mito collettivo, che entra nell’immaginario senza più bisogno di appigli di realtà. Senza addentrarmi in un ambito completamente estraneo a questa ricerca, segnalo tuttavia qui una breve annotazione di Carl G. Jung sulla ‘fiaba’, che credo si adatti molto bene al racconto simbolico di Sarah Smith: «le fiabe consentono di studiare meglio l’anatomia comparata della psiche, in quanto configurano in forma pura i processi dell’inconscio collettivo» (Carl G. Jung, citato in Marie-Luise von Franz, Le fiabe interpretate, traduzione italiana di Nadia Neri, Torino, Bollati Boringhieri, 1980, p. 84; An Introduction to the Psychology of Fairy Tales, New York, Spring Publications, 1970). 14 Anonymous, Thou shalte understande (Chrysten Reader) that the Thyrde Daye of August last past, Anno. M. CCCCC. LII. betweene the Houres of .X. and XI. at after noone in a Towne called Myddleton Stonye .VIII. Miles from the Universite of Oxforde at the In, called the Sygne of the Egle. There the Good Wyfe of the Same, was delivered of thys Double Chylde, begotten of her Late Housbande John Kenner, whyche is dysceased. The forme and shape of the Same Children, both the fore partes and hynderpartes, is above shewed, London, imprinted by John Daye dwellinge over Aldersgate beneth S. Martyns, 1552 [STC (2nd ed.), 14932.5]. 429 Nel corso della ricerca è emerso chiaramente, tuttavia, che la strumentalizzazione delle nascite ‘mostruose’ a fini di propaganda convisse a lungo, e alle stesse altezze cronologiche, con la ‘messa in scena’ del corpo mostruoso, prima in quelli che ho definito ‘show funerari’, poi nelle esposizioni pubbliche strutturate in ‘performance’ durante le fiere e i mercati, in una attrazione curiosa per l’elemento ‘mostruoso’ di cui episodio ultimo, e culturalmente più meditato, fu lo studio anatomico e fisiologico dell’essere umano deforme, alla fine del XVII secolo. Ho cercato così di mettere in luce la significativa coesistenza e mescolanza di due ‘complessi emotivo-cognitivi’ che talvolta sfumavano uno nell’altro: da un lato il ‘complesso della curiosità’, l’attrazione per un ‘monster’ che univa in sé le caratteristiche del raro e del prodigioso; dall’altro il ‘complesso dell’orrore’, che leggeva nella ‘monstrous birth’ un segno d’ira divina, e nello stesso tempo reagiva alla deformità con una presa di distanza. Il mostro stava cioè a segnalare – e ad escludere – l’alterità di pensiero, l’anticonformismo nel comportamento, o il mancato rispetto di determinati valori, da parte della comunità di appartenenza, della famiglia o – più spesso – della madre.15 Come segnala chiaramente la potente sintesi operata dall’autore di The Miracle of Miracles nella vicenda di Sarah Smith, la vita intesa come ‘mostruosa’, e quindi punita dalla nascita del ‘monster’, era la vita «disobedient», specialmente quando a incarnare la forza eversiva della disobbedienza era la donna. Se è vero, infatti, come ho tentato di dimostrare, che i ‘mostri’ vennero spesso ricondotti a colpe di entrambi i genitori, o di intere comunità, o dell’intera nazione, è altrettanto vero che in un numero rilevante di casi lo stigma del ‘mostro’ colpì le donne, punendole per le proprie scelte di libertà (nel campo della sessualità, come della scelta politica e religiosa).16 Da questo punto di vista, credo che le strumentalizzazioni delle nascite 15 La nascita del ‘mostro’ funzionò cioè come ‘marcatore’ di alterità morale, intellettuale, sociale, e la strumentalizzazione operata dai documenti di cui mi sono occupato trattò le nascite mostruose come veri e propri stigmi di esclusione. Il tema della inclusione/esclusione è centrale nel dibattito critico degli ultimi anni: esso è nato nell’ambito delle scienze sociali, che lo hanno introdotto come chiave di lettura di problemi sociali contemporanei: si veda, ad esempio, Karen Lyons, Nathaly Huegler, ‘Social Exclusion and Inclusion’, in Lynne M. Healy, Rosemary J. Link, Handbook of International Social Work. Human Rights, Development, and the Global Profession, Oxford, Oxford University Press, 2011, pp. 37-43; tale approccio di ricerca si è rivelato particolarmente fertile anche negli studi storico- letterari e storico-artistici: si vedano, a puro titolo di esempio, Tim Harris (ed.), The Politics of the Excluded, c. 1500-1850, Basingstoke-New York, Palgrave Macmillan, 2001; Anja Eisenbei, Lieselotte E. Saurma-Jeltsch, Images of Otherness in Medieval and Early Modern Times. Exclusion, Inclusion, Assimilation, Berlin, Deutcher Kunstverlag, 2013. 16 Marie-Hélène Huet, nel suo saggio sulle credenze intorno all’influenza dell’immaginazione femminile nella formazione e nello sviluppo del feto, ha scritto che «the monster is […] a maternal language», (Monstrous Imagination, p. 53). Credo che l’affermazione di Huet sia suggestiva e convincente: la strumentalizzazione delle nascite mostruose passava per lo più proprio dalla 430 ‘mostruose’ costituiscano anche un capitolo, e non certo marginale, nella lunga storia della repressione delle libertà femminili. * * * La nascita di un essere umano deforme (o, come diremmo oggi con terminologia meno brutale, di un essere umano con disabilità congenite) conserva sempre, al di là di qualsiasi motivazione biologica e genetica ricostruibile, una grande domanda di senso. Quella che ho voluto ricostruire è, in ultima analisi, una storia delle risposte che gli inglesi della prima età moderna diedero a questa domanda, identificandovi un ‘segno’ oscuro, inafferrabile e, nella sua profondità ultima, misterioso: un ‘segno’ polimorfo, che si dimostrò opportunamente manipolabile verso significazioni potenzialmente infinite. Il ‘mostro’ divenne perciò, di volta in volta, stigma contro l’avversario religioso, atto d’accusa contro le vere o presunte degenerazioni della morale femminile, strumento di lotta politica, senza tuttavia mai perdere la sua enigmatica fascinazione, la possibilità di essere contemplato e fatto oggetto di arcano spettacolo. E anche quando, agli inizi del Settecento, le nascite di esseri umani mostruosi cominciarono a diventare patrimonio d’indagine scientifica, l’aura prodigiosa da cui esse erano avvolte conobbe resistenze e persistenze. Ancora nel 1715, infatti, un parto deforme poteva essere narrativamente inventato e strumentalizzato a fini morali e religiosi. Resistente ad ogni tentativo ‘normalizzante’, l’occorrenza di una nascita mostruosa incarna indefinitamente un enigma lasciato aperto, un ponte sulle domande ultime: punto interrogativo che rimane senza risposta, il ‘mostro’ resta insanabilmente monstrum, cioè ammonimento delle nostre ombre trascorse, prodigium, ossia preannuncio di inquietudini future, portentum, ovvero anticipazione delle umane fragilità. considerazione che esse ‘parlassero’ il linguaggio della madre, ne mettessero in luce la potenza eversiva; si trattava perciò di un linguaggio che doveva essere ricondotto ad un obbediente silenzio. 431 APPENDICE ICONOGRAFICA Just as you see the Figure here printed: mostri, parole, immagini In essa [l’immagine] gli ignoranti vedono come si devono comportare, in essa gli illetterati leggono. Gregorio Magno, Epistola XIII, 590. È straordinario! In verità la lingua non può esprimere bene quello che ho visto con i miei occhi. Jourdain de Séverac, Mirabilia descripta, 1329-1330. O scrittore, con quali lettere scriverrai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno? […] Non t’impacciare di cose appartenenti alli occhi col farle passare per li orecchi, perché sarai superato di gran lunga dall’opera del pittore. Con quali lettere descriverai questo core che tu non empia un libro? Leonardo da Vinci, Scritti letterari, 1470-1510. Fig. 1. – Il mostro di Ravenna, da Ioannes Franciscus Vitalis Panormitanus, De monstro nato, Erfurt, Mattheum Pictorium, 1512 (in Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 60). 435 Fig. 2. – L’Asino Papa, incisione di Lucas Cranach il Vecchio (in Philipp Melanchthon, Martin Luther, Deuttung der czwo grewlichen Figuren, Baptesels czu Rom und Munchkalbs zu Freijberg ijnn Meijsszen funden, in Doctor Martin Luthers Werke. Kritische Ausgabe, 102 voll., Weimar, Böhlaus, 1883 e ss., XI, p. 373). 436 Fig. 3. – Il Vitello Monaco, incisione di Lucas Cranach il Vecchio (in Philipp Melanchthon, Martin Luther, Deuttung der czwo grewlichen Figuren, Baptesels czu Rom und Munchkalbs zu Freijberg ijnn Meijsszen funden, in Doctor Martin Luthers Werke. Kritische Ausgabe, 102 voll., Weimar, Böhlaus, 1883 e ss., XI, p. 371). 437 Fig. 4. – Il mostro di Castelbaldo, illustrazione da un foglio volante italiano, privo di informazioni editoriali, incollato all’interno del manoscritto originale dei Diarii di Marino Sanuto -Biblioteca Marciana di Venezia, ms. it. VII 268 (in Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 171). 438 Fig. 5. – Frontespizio della traduzione inglese dei ‘Sileni Alcibiadis’ di Erasmo da Rotterdam, in Desiderius Erasmus, Here folowith a Scorneful Image or Monstrus Shape of a Maruelous Stra[n]ge Fygure called, Sileni alcibiadis presentyng ye State [and] Conditio[n] of this Present World, [and] inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste, wryte[n] in the Laten Tonge, by that Famous Clarke Erasmus, [and] lately translated in to Englyshe, London, imprinted by [N. Hill for?] me, Iohn Goughe, cum Priuilegio Regali. And also be for to sell in Flete-strete betwene the Two Temples, in the Shoppe of Hary Smythe Stacyoner, [1543?] [STC (2nd ed.), 10507]. 439 Fig. 6. – Anonymous, Thou shalte understande (Chrysten Reader) that the Thyrde Daye of August last past, Anno. M. CCCCC. LII. betweene the Houres of .X. and XI. at after noone in a Towne called Myddleton Stonye .VIII. Miles from the Universite of Oxforde at the In, called the Sygne of the Egle. There the Good Wyfe of the Same, was delivered of thys Double Chylde, begotten of her Late Housbande John Kenner, whyche is dysceased. The forme and shape of the Same Children, both the fore partes and hynderpartes, is above shewed, London, imprinted by John Daye dwellinge over Aldersgate beneth S. Martyns, 1552 [STC (2nd ed.), 14932.5]. 440 Fig. 7. – Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe, borne at Muche Horkesleye, a Village Three Myles from Colchester, in the Countye of Essex, the .XXI. Daye of Apryll in this Yeare 1562. O, prayse ye God and blesse his name His mightye Hande hath wrought the same, London, imprinted in Fletestrete nere to S. Dunstons Church by Thomas Marshe, [1562] [STC (2nd ed.), 12207]. 441 Fig. 8. – William Fulwood, The Shape of .II. Mo[n]sters. M.D.LXIJ, London, imprinted at Long Shop in the Pultry by Iohn Alde, [1562] [STC (2nd ed.), 11485]. 442 Fig. 9. – Anonymous, The Description of a Monstrous Pig, the which was farrowed at Hamstead besyde London, the .XVI. Day of October, this Present Yeare of Our Lord God. M.D.LXII., London, imprinted by Alexander Lacy for Garat Devves dwelling in Poules Church yard, at the East End of the Church, [1562] [STC (2nd ed.), 6768]. 443 Fig. 10. – John D., A Discription of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, the .XXIIII. Daye of May. This being the very Length, and Bygnes of the Same .M.CCCCC.LXII. London, imprinted by Leonard Askel for Fraunces Godlyf, 1562 [STC (2nd ed.), 6177]. 444 Fig. 11. – John Barker, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Ile of Wight, in this Present Yeare of Oure Lord God, M. D. LXIIII. the Month of October, after this Forme with a Cluster of Longe Heare about the Nauell, the Fathers Name is Iames Iohnsun, in the Parys of Freswater, London, imprinted in Fleetestrete at the Sygne of the Faucon, by Wylliam Gryffith, and are to be solde at his Shope in Saint Dunstons Churchyarde in the West of London, the .VIII. Daye of Nouember, [1564] [STC (2nd ed.), 1422]. 445 Fig. 12. – Anonymous, The True Discription of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. The .XXVII. Daie of Auguste in the Yere our of [sic] Lorde, M.CCCCC.LXV. They were booth Women Chyldren and were Chrystened, and lyued Halfe a Daye. The One departed afore the Other almoste an Howre, London, imprinted in Fletestreat by Thomas Colwell for Owen Rogers dwelling at S. Sepulchers Church Doore, [1565] [STC (2nd ed.), 6774]. 446 Fig. 13. – John Mellys, The True Description of Two Monsterous Children, laufully begotten betweene George Stevens and Margerie his Wyfe, and borne in the Parish of Swanburne in Buckynghamshyre the .IIII. of Aprill. Anno Domini. 1566. the Two Children hauing both their Belies fast ioyned together, and imbracing One and Other with their Armes: which Children wer both a Lyue by the Space of Half an Hower, and wer baptized, and named the One Iohn, and the Other Ioan, London, imprinted by Alexander Lacy for William Lewes dwelling in Cow Lane aboue Holborne cundit, ouer against the Signe of the Plough, [1566] [STC (2nd ed.), 17803]. 447 Fig. 14. – Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, the .XXIIIJ. of October, London, imprinted by John Awdeley, dwellyng in Little Britain Streete withough Aldersgate, The .XXIIJ. of December, [1568] [STC (2nd ed.), 17194]. 448 Fig. 15. – I. P., A Mervaylous Straunge Deformed Swyne, London, imprinted by William How for Richard Johnes, and are to be sold at his Shop joining to the Southwest Doore of Paules Churche, [1570?] [STC (2nd ed.), 19071]. 449 Fig. 16. – Philip Melancthon, Martyn Luther, Of Two Woonderful Popish Monsters, to Wyt, of a Popish Asse which was found at Rome in the Riuer of Tyber, and of a Moonkish Calfe, calued at Friberge in Misne. Which are the very foreshewings and tokens of Gods Wrath, against Blinde, Obstinate, and Monstrous Papistes. Witnessed, and declared, the One by Philip Melancthon, the Other by Martyn Luther. Translated out of French into English by Iohn Brooke of Assh, next Sandwich, [London, imprinted by Thomas East, dwelling by Paules Wharfe], these books are to be sould in Powles Churchyard at the Signe of the Parat, [1579] [STC (2nd ed.), 17797]. 450 Fig. 17. – Cornelius Pet, An Example of Gods Judgement shew[n] vpon Two Children borne in High Dutch La[nd] in the Citie of Lutssolof, the First Day of Julie. and translated out of Dutche into Englishe the 6. [of] Nouember last by Cornelius Pet, London, printed [by J. Allde?] for William Bartlet and are to be solde at S. Magnus Corner by Richard Ballard, [1582?] [STC (2nd ed.), 10608.5]. 451 Fig. 18. – Anonymous, A Right Strange and Wonderful Example of the Handie Worke of a Mightie God. To move us Wretched Sinners to Amendement of Our Wicked Lyves, by this Lamentable Spectacle for al Men & Women to behold, of the Birth of Three Children borne in the Parish of PASKEWET, in the County of Monmouth, on Thursday, the Third of February last 1585 and are are [sic] at this Present to be seene at London, London, Richard Jones, 1585 [STC (2nd ed.), 20127]. 452 Fig. 19. – V. Duncalfe, A most Certaine Report of a Monster borne at Oteringham in Holdernesse, the 9. of Aprill last past. 1595. Also of a most Strange and Huge fish, which was driuen on the Sand at Outhorn in Holdernesse in February not passing Two Months before this Monster was brought into the World, and within 4. Miles Distance. Both to be auerred by the Credible Testimonie of Diuers Gentlemen of Worship, and others, now being within this Citie, London, printed by P.S. and are to be sold by T. Millington, [1595] [STC (2nd ed.), 18895.5]. 453 Fig. 20. – Anonymous, A Myraculous, and Monstrous, but yet most True and Certayne Discourse of a Woman (now to be seene in London) of the Age of Threescore Yeares, or there abouts, in the Midst of whose Fore-head (by the Wonderfull Worke of God) there groweth out a crooked Horne, of Foure Ynches Long, London, printed by Thomas Orwin, and are to be sold by Edward White, dwelling at the Little North Dore of Paules Church at the Signe of the Gun, 1588 [STC (2nd ed.), 6910.7]. 454 Fig. 21. – H. B., The True Discripcion of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Cou[n]tie of Surrey in the Yeere of Our Lord .M.D.LXVI., London, imprinted by Iohn Allde and Richarde Jones and are to be solde at the Long Shop adjoining vnto S. Mildreds Churche in the Pultrie and at the Little Shop adjoining to the Northwest Doore of Paules Churche, anno domini. MD.LXVI. the .XX. of August, [1566] [STC (2nd ed.), 1033]. 455 Fig. 22. – Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders: as also Gods Iudgement vpon an Vnnaturall Sister of the Poore Womans, Mother of these Obortiue Children, whose House was consumed with Fire from Heauen, and her selfe swallowed into the Earth. All which hapned the 16. of December last. 1608, London, printed by Simon Stafford, for Richard Bunnian, and are to be sold at the Signe of the Red Lion upon London Bridge, 1609 [STC (2nd ed.), 18347.5]. 456 Fig. 23. – Anonymous, Prides Fall: or, a Warning for all English Women. By the Example of a Strange Monster born of late in Germany, by a Merchants proud Wife in Geneva. The Tune is, All you that love Good Fellows, [London], printed for F. Coles, T. Vere, and J. Wright, 1658 [Wing (CD-ROM, 1996), P3446A]. 457 Fig. 24. – Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, borne in Olde Sandwitch, upon the 10 of Julie last, the like (for Strangers) hath never beene seene, London, printed by T. C[reede] for W. Barley, and are to be sold at his Shop in Gratious-streete, 1609 [STC (2nd ed.), 14934]. 458 Fig. 25. – Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders. Miraculously shewen vpon Two Women, lately deliuered of two Monsters: with a most Strange and Terrible Earth-Quake, by which, Fields and other Grounds, were quite remoued to other Places: the Prodigious Births, being at a Place called Perre- Farme, within a Quarter of a Mile of Feuersham in Kent, the 25. of Iuly last, being S. Iames his Day. 1615, London, printed [by George Purslowe] for I. W[right], 1615 [STC (2nd ed.), 11926]. 459 Fig. 26. – William Elderton, The True Fourme and Shape of a Monsterous Chyld, whiche was borne in Stony Stratforde, in North Hampton Shire. The Yeare of our Lord, M.CCCCC.LXV., London, imprinted in Fleetstrete beneath the Conduit at the Signe of S. John Evangelist by Thomas Colwell, [1565] [STC (2nd ed.), 7565]. 460 Fig. 27. – William Leigh, Strange Newes of a Prodigious Monster, borne in the Towneship of Adlington in the Parish of Standish in the Countie of Lancaster, the 17. Day of Aprill last, 1613. Testified by the Reuerend Diuine Mr. W. Leigh, Bachelor of Diuinitie, and Preacher of Gods Word at Standish aforesaid, [London], printed by I. P[indley] for S. M[an] and are to be sold at his Shop in Pauls Church-yard at the Signe of the Ball, 1613 [STC (2nd ed.), 15428]. 461 Fig. 28. – Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, or, a True and Faithfull Relation of a Woman, now dwelling in Kentstreet, who, vpon Thrusday, being the 21 of August last, was deliuered of a Prodigious and Monstrous Child in the Presence of Divers Honest, and Religious Women to their Wonderfull Feare and Astonishment, London, printed by William Iones, dwelling in Red-Crosse-streete, 1617 [STC (2nd ed.), 14935]. 462 Fig. 29. – Thomas Bedford, A True and Certaine Relation of a Strange-Birth, which was borne at Stonehouse in the Parish of Plimmouth, the 20. of October. 1635. Together with the Notes of a Sermon, preached Octob. 23. 1635. in the Church of Plimmouth, at the Interring of the said Birth. By Th. B. B. D. Pr. Pl., London, Printed by Anne Griffin, for William Russell in Plim mouth, 1635 [STC (2nd ed.), 1791.3]. 463 Fig. 30. – Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo da bambini: ritratto idealizzato tratto da Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura, et differentiis libri duo: in quibus ex rei natura monstrorum historiae, caussae, generationes, & differentiae plurimae a sapientibus intactae, cum generatim & in plantarum, & belluarum genere, tum seorsum in humana specie tractantur. Multis illustrium autorum locis difficillimis explanatis, Patavii, apud Paulum Frambottum, 1634, p. 116. 464 Fig. 31. – Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo a diciassette anni, in un Flugblatt che ricorda la loro esposizione pubblica nella città di Colonia: Anonym, Eigentliche Abbildung der Monstrosischen zweyer an einan, [Köln?, 1635]. 465 Fig. 32. – Martin Parker, The Two Inseparable Brothers. Or a True and Strange Description of a Gentleman (an Italian by Birth) about Seventeene Yeeres of Age, who had an Imperfect (yet living) Brother growing out of his Side, having a Head, Two Armes, and One Leg, all perfectly to be seen. They both baptized together; the Imperfect is called Iohn Baptist, and the other Lazarus. Admire the Creator in his Creatures. To the Tune of the Wandring Iewes Chronicle, London, printed [by M. Flesher] for Thomas Lamb[ert at] the Signe of the Hors-shooe in Smithfield, [1637] [STC (2nd ed.), 19277]. 466 Fig. 33. Robert Milbourne, Historia Aenigmatica, de gemellis Genoa connatis, Anno salutis nostrae, MDCXX in unum coalescentibus, quorum major Lazar, minor Joh. Baptista, ad sacrum Fontem nominatis: vivis hodie, & mercede Londini monstratis An. MDCXXXVII, Londini, Excudebat M. P. pro Ro[bert] Milbourne, [1637] [STC (2nd ed.), 11728.6]. 467 Fig. 34. Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo a ventotto anni in Thomas Bartholin, Historiarum Anatomicarum Rariorum Centuria I et II, Amstelodami, Apud Ioannem Henrici, 1654, p. 117. 468 Fig. 35. – Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo a ventotto anni, in un Flugblatt che pubblicizza la loro esposizione pubblica nella città di Strasburgo: Anonym, Wahre Abbildung zweyer Zwilling, [Strasbourg, 1645] (Bibliothèque Nationale et Universitarie de Strasbourg). 469 Fig. 36. – Lazzaro e Giovanni Battista Colloredo a ventinove anni: Alberto Ronchi, Vera Effigie d’uno Maraviglioso parto seguito in Genoua, Verona, 1646, in Eugene Holländer, Wunder, Wundergeburt und Wundergestalt in Einblattdrucken des Fünfzehnten bis Achtzehnten Jahrhunderts, Verlag von Ferdinand Enke, Stuttgart, 1921, p. 105, fig. 47. 470 Fig. 37. – Flugblatt stampato a Kempten, dedicato alla nascita di Barbara Urslerin: Christoph Kraus, Ein erschröckliche / vnd doch warhafftige Newe Zeitung / von einer erschröcklichen Mißgeburt, getruckt zu Kempten im Jahr Christii 1629. 471 Fig. 38. – Ritratto di Barbara Urslerin, incisione di Isaac Brun (circa 1651), in Georg Seger, Miscellanea Curiosa, sive Ephemeridum Medico-Physicarum Germanicarum Accademiae Naturae Curiosorum Annus Nonus et Decimus, Vratislaviae & Bregae, Typis Johannis Christophori Jacobi, 1680, tab. XIII, p. 246. 472 Fig. 39. – Ritratto di Barbara Urslerin realizzato nel 1653 ad Augusta da anonimo incisore, in Alexander Ecker, Archiv für Anthropologie, 11, 1879, p. 178. 473 Fig. 40. – Ritratto di Barbara Urslerin, realizzato a Londra nel 1656 da Richard Gaywood (the Trustees of The British Museum, 1851-3-8-115). 474 Fig. 41. – Der rauch-behaarte Mensch (Gli uomini irsuti), incisione nella quale compaiono un classico Imantipode (A), quattro membri della famiglia Gonzalez, celeberrima nel Cinquecento per essere composta da persone tutte affette da ipertricosi (Pedro Gonzalez con un figlio e due figlie, B, C, D, E), Barbara Urslerin, in una riproduzione dell’incisione al clavicembalo realizzata da Isaac Brun (F), l’Ourang Outang dell’isola di Giava (G); in Eberhard Werner Happel, Relationes Curiosae, II, 1685, p. 312. 475 Fig. 42. – Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog-]faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, who was borne at Wirkham a Neuter Towne betweene the Emperour and the Hollander, scituate on the River Rhyne. Who was bewitched in her Mothers Wombe in the Yeare 1618. and hath lived ever since Unknowne in this Kind to any, but her Parents and a few other Neighbours. And can never recover her True Shape tell she be married, &c. Also relating the Cause, as it is since conceived, how her Mother came so bewitched, London, printed by J[ohn] O[kes] and are to be sold by F. Grove at his shop on Snow-hil, neare St. Sepulchers Church, 1640 [STC (2nd ed.), 22627]. 476 Fig. 43. – Lawrence Price, A Monstrous Shape. Or a Shapelesse Monster. A Description of a Female Creature borne in Holland, compleat in every Part, save only a Head like a Swine, who hath travailed into many Parts, and it is now to be seene in London. Shees Loving, Courteous, and Effeminate, and nere as yet could find a Loving Mate. To the Tune of the Spanish Pavin, [London], printed by M. F[lesher]. For Tho[mas] Lambert, and are to be sold at the Signe of the Horse Shooe in Smithfield, [1639] [STC (2nd ed.), 20317]. 477 Fig. 44. – Ritratto di Mary Davis, ‘the Horned woman’, incisione del 1792 da un quadro del 1668, di autore ignoto, oggi al British Museum di Londra (in Jan Bodenson, The Two-Headed Boy, and Other Medical Marvels, Ithaca, Cornell University Press, 2000, p. 131). 478 Fig. 45. – A. Brocas, A True Relation of the Birth of a Monster born at Exeter, having Two Perfect Heads; One Head standing Right as it should, the Other being in the Right Shoulder, just as you see the Figure here printed, a Draught of it being sent up in a Letter from a Person of Repute and Integrity, who lived not far from the Place where it was born, and was both an Eye and an Ear Witness to the Truth of what he writ: it was born the 5th. of this Instant October, 1682. And lived not Long, but was buried and taken up again the 10th. Instant, and many Hundreds now resort to see it, [London, printed for W. Davis, 1682] [Wing (CD-ROM, 1996), T2934A]. 479 Fig. 46. – Anonymous, The Wonder of this Present Age. Or, an Account of a Monster born in the Liberty of Westminster on the 16th of this Infant September, 1687. Having Two Heads, four Arms and Hands; as likewise four Leggs and Feet, yet but One Body from the Lower Parts to the Breast, they seem to embrace One another, and lye Face to Face, as if they would salute to the Wonder and Admiration of all Spectators. Tune of Young Mans Legacy. This may be printed R P, [London], printed for J. Deacon, at the Angel in Gilt-Spur-Street, without Newgate, [1687] [Wing (CD-ROM, 1996), W3358B]. 480 Fig. 47. – Anonymous, Signes and Wonders from Heaven. With a True Relation of a Monster borne in Ratcliffe Highway, at the Signe of the Three Arrows, Mistris Bullock the Midwife delivering her thereof. Also shewing how a Cat kitned a Monster in Lombard Street in London. Likewise a New Discovery of Witches in Stepney Parish. And how 20. Witches more were executed in Suffolke this Last Assise. Also how the Divell came to Soffam to a Farmers House in the Habit of a Gentlewoman on Horse-Backe. With Divers other Strange Remarkable Passages, London, printed by I[ohn] H[ammond], [1645] [Wing (CDROM, 1996), S3777]. 481 Fig. 48. – John Locke, A Strange and Lamentable Accident that happened larely at Mears-Ashby in Northamptonshire. 1642. Of One Mary Wilmore, Wife to Iohn Wilmore, Rough Mason, who was delivered of a Childe without a Head, and credibly reported to have a Firme Crosse on the Brest, as this Ensuing Story shall relate, London, printed for Rich[ard] Harper and Thomas Wine, and are to be sold at the Bible and Harpe in Smithfield, 1642 [Wing (2nd ed.), S5819]. 482 Fig. 49. – Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster: born in KIRKHAM Parish in LANCASHIRE (the Childe of Mrs. Haughton, a Popish Gentlewoman) the Face of it upon the Breast, and without a Head (after the Mother had wished rather to bear a Childe without a Head then a Roundhead) and had curst the PARLIAMENT. Attested by Mr. Fleetwood, Minister of the Same Parish, under his own Hand; and Mrs. Gattaker the Mid-Wife, and Divers other Eye-Witnesses whose Testimony was brought up by a Member of the House of Commons. Appointed to be printed according to Order and desired to be published in all Counties, Cities, Townes, and Parishes in England: being the Same Copis that were presented to the Parliament, London, printed by Jane Coe, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), D602]. 483 Fig. 50. – Anonymous, Strange Newes from SCOTLAND, or, a Strange Relation of a Terrible and Prodigious Monster, borne to the Amazement of all those that were Spectators, in the Kingdome of Scotland, in a Village neere Edenborogh, call’d Hadensworth, Septem. 14. 1647. and the Words the said Monster spake at its Birth, London, printed according the Originall Relation sent over to a Great Divine hereafter mentioned by E[lizabeth] P[urslowe] for W. Lee, 1647 [Wing (CD-ROM, 1996), S5900]. 484 Fig. 51. – Anonymous, The Ranters Monster: being a True Relation of One Mary Adams, living at Tillingham in Essex, who named her self the Virgin Mary, blasphemously affirming that she was conceived with Child by the Holy Ghost; that from her should spring forth the Savior of the World; and that all those that did not believe in him were damn’d: with the Manner how she was deliver’d of the Ugliest Ill-Shapen Monster that ever Eyes beheld, and afterwards rotted away in Prison: to the Great Admiration of all those that shall read the ensuing Subject; the like never before heard of, London, printed for George Horton, 1652 [Wing (2nd ed.), R251]. 485 Fig. 52. – William Durston, ‘A Narrative of a Monstrous Birth in Plymouth, Oct. 22 1670; together with the Anatomical Observations taken thereupon by William Durston Doctor in Physick, and communicated to Dr. Tim Clerk’, Philosophical Transactions, 5, 1670, p. 2099. 486 Fig. 53. – Anonymous, Josiah Smith, Natures Wonder? Or, [An Ac]count how the Wife of One John Waterman an Ostler in the Parish of Fisherton-Anger, near Salisbury, was delivered of a Strange Monster upon the 26th. of October 1664. which lived until the 27th. of the Same Moneth. It had Two Heads, Foure Armes, and Two Legs, the Heads standing contrary Each to the Other; and the Loines, Hipps, and Leggs issueing out of the Middle, betwixt both; they were both Perfect to the Nauell, and there joyned in One, being but One Sex, which was the Female. She had another Child born before it (of the Female Sex) which is yet living, and is a very Comely Child in all Proportions. This is attested from Truth, by Several Persons which were Eye Wittnesses. The Tune is London Prentice: Or, Jovial Batchelor, [London], printed for E[lizabeth] Andrews at White-Lyon in Pye-Corner, [1664] [Wing (CDROM, 1996), N245A]. 487 Fig. 54. – Anonymous, The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury, London, printed for R. P. at the Signe of the Bible in Chancery-Lane, 1664 [Wing (CD-ROM, 1996), T2854]. Riprodotto da Hyder E. Rollins (ed.), The Pack of Autolycus or Strange and Terrible News of Ghosts, Apparitions, Monstrous Births, Showers of Wheat, Judgments of God, and other Prodigious and Fearful Happenings as told in Broadside Ballads of the Years 1624-1693, Cambridge, Harvard University Press, 1927, p. 140. 488 Fig. 55. – Anonymous, A True Relation of a Monstrous Female-Child, with Two Heads, Four Eyes, Four Ears, Two Noses, Two Mouths, and Four Arms, Four Legs, and all Things else proportionably, fixed to One Body. Born about the Sixth of May last, at a Village called Ill-Brewers near Taunton Dean in Somerset-shire: likewise a True and Perfect Account of its Form so prodigiously Strange, with Several Remarkable Passages observed from it since its Birth, so Great and Amazing, that the like has not been known in many Ages: with many other Circumstances. As it was faithfully communicated in a Letter, by a Person of Worth, living in Taunton-Dean, to a Gentleman here in London, and attested by many Hundreds of no mean Rank; and Well Known to Several Gentlemen in and about LONDON, London, printed by D. Mallet, 1680 [Wing (2nd ed.), T2886B]. 489 Fig. 56. – Anonymous, The Miracle of the Miracles being a Full and True Account of Sarah Smith who lately was an Inhabitant of Darken Parish in Essex, that brought to Bed of a Strange Monster […], [London?, 1715?]. 490 STRUMENTI / 1 A Brief Relation of Several Monstrous Births which happened heretofore in this our Nation: un elenco delle nascite mostruose in Inghilterra dal 1550 al 1715 A maid named Ida, aboute the age of 77 yeares, never suspected by the inhabitantes for any stayne or dishonestye, she was at this age married to one George, of the age of 60 yeares. Being married aboute 12 moneths, shee was found with a child to the great admitarion of many: at the laste shee was delivered of a manne chylde, having three armes, three legges and very terrible to beholde, he hadde three faces, as it were in one head, and in the one of his hands a bloody crosse. In the night tyme there was a shyning lighte aboute the Childe, and aboute his heade a bloodye Sunne and a half moone. There resorted to see this straunge Chylde a very greate multitude, among whiche pressed a blynde Mayde of the age of fifteene yeres, that was borne blind, who by the touching of this sayd monster was presentlye healed, and hadde her perfecte sighte: and another that was born dumme, at the sighte of the Chylde was restored to hys speeche. Some sayde it was an illusion of the Devill: some sayde it was done by sorcerye or witchcrafte. The Chylde at last opened hys mouth and sayde: You unbeleevers greate plagues shall fall on you all, O wo that you received life. He sayde moreover that in the yere one thousand five hundred eightie and eight the worlde shall stand in so extreame a state, that the people which live in those dayes shall tremble and quake for feare, and having ended these wordes he departed and spued forth flames of fyre, in so muche that the standers by were hurte and scorched therewith, whereupon ensued such pestilence, that in three dayes there died 8 of the beholders: they carying the Child to the burial, it sodainly vanished from them, no man knew which way. Stephen Batman, The Doome warning all Men to the Judgemente, 1581. Data di nascita 1551 3 agosto 1552 Agosto 1552 1555 1555 1556 21 Aprile 1562 24 Maggio 1562 Ottobre 1564 26 Gennaio 1565 27 Agosto 1565 4 Aprile 1566 7 Giugno 1566 Luogo di nascita Woodstock Myddleton Stonye (Oxford) Oxford Coventree Oxford Fulham Muche Horkesley (Essex) Chychester (Sussex) Isle of Wight Stony Stratforde (Northamptonshire) Herne (Kent) Swanburne (Buckinghamshire) Micheham (Surrey) Patologia Acefalo; deformità causate da morte intrauterina. Gemelli siamesi ischiòpaghi (uniti alla vita e con le spine dorsali disposte l’una a 180° rispetto all’altra, fig. 6). Gemelli siamesi Bambino con arti superiori e inferiori mancanti Gemelli siamesi. Bambino deforme Bambino con arti superiori e inferiori incompleti o mancanti (focomelico, fig. 7). Bambino scheletrico a seguito di morte intrauterina (fig. 10). Bambino privo di testa con concentrazione di peluria intorno all’ombelico (fetus amorphus, fig. 11) Gemelle siamesi cefalotoracòpaghe, unite dalla testa ai genitali con quattro braccia e quattro gambe (fig. 26). Gemelle siamesi omphalòpaghe (unite al ventre, fig. 12). Gemelli siamesi toracòpaghi (fig. 13). Bambina perfettamente formata, ma con copiose escrescenze di pelle che si estendono dal collo alle spalle (fig. 21). Fonte Stephen Batman, 1581 Anon., 1552 [STC (2nd ed.), 14932.5] John Ponet, A Short Treatise, 1556 John Ponet, A Short Treatise, 1556 Carl Schott, Physica Curiosa, 1662. John Ponet, A Short Treatise, 1556 Anon., 1562 [STC (2nd ed.), 12207] John D., 1562 [STC (2nd ed.), 6177] John Barker, 1564 [STC (2nd ed.), 1422] William Elderton, 1565 [STC (2nd ed.), 7565] Anon., 1565 [STC (2nd ed.), 6774] John Mellys, 1566 [STC (2nd ed.), 17803] H. B., 1566 [STC (2nd ed.), 1033] 493 Data di nascita 24 Ottobre 1568 8 Novembre 1576 1577 1577 5 Gennaio 1579 4 agosto 1579 1 febbraio 1580 23 settembre 1580 1581 3 Gennaio 1584 3 Febbraio 1585 9 Aprile 1595 1 Gennaio 1599 6 Gennaio 1599 Luogo di nascita Maydstone (Kent) Taunton (Informazioni non disponibili) Wemme (Shropshire) Aberwick (Northumberland) Manchester Chichester (Sussex) Ffenny Stanton (Huntingdonshire) Walsingham London Paskewet (Monmouth) Oteringham (Holdernesse) Purement Colwall (Herefordshire) Patologia Bambino con labbro leporino, arti deformi ed escrescenza di pelle sulla schiena (fig. 14). Gemelli siamesi Cefalòpaghi. (Informazioni non disponibili) (Informazioni non disponibili) Gemelli siamesi paràpaghi diprosopi (uniti lateralmente e con una sola testa con doppio volto). Bambino acefalo con le viscere esposte (anencefalia con gastroschisi). Bambino macrocefalo. Bambino ermafrodito, con il volto nero e naso e occhi di leone (fittizio). (Informazioni non disponibili) (Informazioni non disponibili) (Informazioni non disponibili) Bambina con volto zoomorfo e pelle scura (prob. fittizio fig. 19). Bambino sano, in grado di pronunciare a due settimane dalla nascita le parole: ‘O my God. O my God. O my God’ (fittizio). Bambino di sesso indefinito, con deformità varie al volto e agli arti. Fonte Anon., 1568 [STC (2nd ed.), 17194] Stephen Batman, 1581 Anon., Bynneman, 1577 Anon., Colwell, 1577 Anon., Gosson, 1580 Anon., Gosson, 1580 Stephen Batman, 1581 Anon., Bynneman, 1580 Anon., White, 1581 Anon., Venge, 1585 Anon., 1585 [STC (2nd ed.), 20127] V. Duncalfe, 1595 [STC (2nd ed.), 18895.5] Anon., 1599 [STC (2nd ed.), 20511] R. I., 1600 [STC (2nd ed.) 20575] 494 Data di nascita 27 novembre 1608 3 dicembre 1608 10 Luglio 1609 Giugno 1613 17 Aprile 1613 25 Luglio 1615 21 Agosto 1617 20 Ottobre 1635 1642 28 Luglio 1645 16 Settembre 1645 1646 Luogo di nascita Modbury (Devonshire) Plymouth Olde Sandwitch (Kent) Christ-Church (Southampton) Adlington (Lancaster) Feversham (Kent) London Plymouth (Devonshire) Mears-Ashby (Northamptonshire) London London Kirkham (Lancashire) Patologia Bambina nata con numerose deformità (probabile morte intrauterina). Bambino nato con numerose deformità (probabile morte intrauterina). Bambino con tratti del volto sul petto (blemmia) e deformità varie sul corpo e sugli arti (fig. 24). (Informazioni non disponibili) Gemelli siamesi rachìpaghi, uniti posteriormente dalla testa al bacino (fig. 27). Bambino ermafrodito acefalo con tratti del volto sul petto (blemmia, fig. 25). Bambina acefala con tratti del volto sul petto (blemmia, fig. 28). Gemelli siamesi toracoomphalòpaghi, uniti dal petto all’ombelico (fig. 29). Bambino acefalo (fig. 48). Bambino ermafrodito con arti incompleti (fig. 47). Gemelli, uno di sesso femminile, privo di testa e con arti incompleti, dal busto del quale emerge il secondo, di sesso maschile, privo di braccia (gemelli parassitici, fetus in fetu). Bambino acefalo, con tratti del volto sul petto (blemmia, fig. 49). Fonte Thomas Park, 1813 Thomas Park, 1813 Anon., 1609 [STC (2nd ed.) 14934] John Hilliard, 1613 [STC (2nd ed.) 13507.3] William Leigh, 1613 [STC (2nd ed.) 15428] Anon. 1615, [STC (2nd ed.) 11926] Anon. 1617, [STC (2nd ed.) 14935] Thomas Bedford, 1635, [STC (2nd ed.) 1791.3] John Locke, 1642, [Wing (2nd ed.), S5819] Anon., 1645a [Wing (CD-ROM, 1996), S3777] Anon., 1645b [Wing (CD-ROM, 1996), M2921] Anon., 1646, [Wing (CD-ROM, 1996), D602] 495 Data di nascita 14 Settembre 1647 Prima del settembre 1651 1652 1656 1659 Prima del 1660 23 Ottobre 1661 24 Ottobre 1661 26 Ottobre 1664 1668 22 Ottobre 1670 Luogo di nascita Hadensworth (Edinburgh) Sudbury Tillingham (Essex) (Informazioni non disponibili) East-Smithfield (London) Burslem (Staffordshire) Wodbridge (Suffolk) Ipswich (Suffolk) Fisherton-Anger (Salisbury) Grasly (Nottinghamshire) Plymouth Patologia Bambino bicefalo con corpo deforme (fig. 50). Bambino in grado di pronunciare all’età di undici settimane le parole: ‘A King’ (fittizio). Bambino deforme privo di mani e piedi. Gemelli siamesi. Bambino con due lingue in grado di pronunciare dopo soli tre giorni dalla nascita le parole: ‘A King, a King, a King’ (fittizio). Bambina in grado di pronunciare all’età di otto mesi le parole: ‘A King’ (fittizio). Gemelle siamesi cefalotoracòpaghe (unite dalla vita in su, con una sola testa priva di collo posizionata al centro dei due corpi). Bambino privo di testa con tratti del volto sul petto (blemmia). Gemelle siamesi ischiòpaghe, (unite alla vita e con le spine dorsali disposte l’una a 180° rispetto all’altra; vedi figg. 5354). Bambino con varie deformità fisiche. Gemelle siamesi paràpaghe (unite lateralmente, dalle clavicole alla zona lombare; fig. 52). Fonte Anon., 1647 [Wing (CD-ROM, 1996), S5900] Anon., 1660 [Wing (2nd ed.), A759] Anon., 1652 [Wing (2nd ed.), R251] Anon., Gilbertson, 1656 Anon., 1659 [Wing (CD-ROM, 1996), T2511A] Anon., 1660 [Wing (2nd ed.), A759] Anon., 1661 [Wing (CD-ROM, 1996), T3445A] Anon., 1661 [Wing (CD-ROM, 1996), T3445A] [Josiah Smith?], 1664 [Wing (CD-ROM, 1996), N245A] Anon., 1668 [Wing (CD-ROM, 1996), S5884A] William Durston, 1670 496 Data di nascita 20 Dicembre 1677 1679 6 Maggio 1680 5 Ottobre 1682 31 Gennaio 1685 16 Settembre 1687 4 Maggio 1696 1699 4 Aprile 1706 6 Dicembre 1706 Maggio 1715 Luogo di nascita Petworth (Sussex) Wyke Ill-Brewers – Taunton Dean (Somersetshire) Exeter Attenree (Meath) Charing-Cross (Suffolk) Hull (Yorkshire) London Hitchin Derry Darken (Essex) Patologia Gemelle siamesi paràpaghe (unite lateralmente) Bambino privo di testa e di arti inferiori e superiori, con copiose escrescenze di pelle ai gomiti e alle ginocchia (probabile morte intrauterina). Gemelle siamesi rachìpaghe (unite per la parte inferiore della schiena, fig. 55). Bambino craniòpago parassitico (con due teste, di cui una posizionata correttamente e l’altra, parassitica, di dimensioni inferiori, fig. 45). Bambino dicefalo paràpago tribrachio (con due teste, i due corpi uniti lateralmente e tre braccia, una delle quali fuoriesce nello spazio tra i due colli). Gemelli siamesi toracoomphalòpaghi (uniti dal petto al pube con due teste che si guardano, quattro braccia e quattro gambe; fig. 46). Bambino con tre teste monocole, quattro braccia e quattro mani, ognuna delle quali con dieci dita (fittizio). Gemelli siamesi. Gemelle siamesi toracoomphalòpaghe (unite frontalmente, dal torace all’ombelico) Gemelle siamesi omphalòpaghe (unite frontalmente, al ventre). Bambino con corpo animale a sei teste (fittizio, fig. 56). Fonte S. Morris, 1677-1678 Oliver Heywood, 1881-1885 Anon., 1680 [Wing (2nd ed.), T2886B] A. Brocas, 1682 [Wing (CD-ROM, 1996), T2934A] E. B., 1685 [Wing (2nd ed.), B55] Anon., 1687 [Wing (CD-ROM, 1996), W3358B] Anon., 1697 [Wing (CD-ROM, 1996), E3003A] Anon., 1699 [Wing (CD-ROM, 1996), B6351] Robert Taylor, 1706-1707 William Derham, 1708-1709 Anon., 1715 497 STRUMENTI / 2 A Compilation must be made of all Prodigious Births of Nature: piccolo dizionario illustrato delle ‘razze mostruose’ esotiche In antico la terra tentò di creare anche numerosi portenti, creature fornite di membra e sembianti orridi o strani, l’androgino, né l’uno né l’altro dei sessi, ugualmente lontano da entrambi, esseri privi di piedi o di mani, o muti, mancanti di bocca, o ciechi generati senza volto, o avvinti per tutto il corpo da membra aderenti fra loro, e tali che nulla potessero fare, né ritrarsi in alcun luogo, né evitare un pericolo, né prendere nulla del necessario. Generava ogni sorta di mostri e prodigi, ma invano, poiché la natura ne impedì la crescita: quei mostri non poterono raggiungere il fiore desiderato dell’età, né trovare cibo, né congiungersi nell’atto di Venere. Lucrezio, De rerum natura, I secolo a.C. 1. Abarìmone. 2.Aigìpane. 3. Amìttiro. Abarìmoni. Con questo nome si identificava una specie mostruosa antropomorfa, caratterizzata dai piedi rivolti all’indietro. La tradizione li collocava generalmente in Scizia, nel Nord sconosciuto. «E dicono che c’è una gente che si discosta dalla natura umana in questo modo: hanno corpi normali, ma le piante [dei piedi], rivolte all’indietro, risultano organi contrari alla funzione del capo. Le loro orme ingannano quelli che ignorano la diversità» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 29, p. 191). Albani. Secondo Plinio, questa specie era dotata di una vista notturna particolarmente acuta, paragonabile a quella dei gufi. Possedeva inoltre la caratteristica di nascere con i capelli grigi. «Nell’Albania asiatica si dice che nascano uomini con la pupilla bianca, e vedono meglio di notte che di giorno» (Zaccaria Lilio, Contra antipodes, p. 7). Aigìpani. Uomini dalle corna e dai piedi caprini, com’è, del resto, intuibile dal loro nome (‘tutto capra’, secondo l’etimo greco). Amazzoni. Donne guerriere, che si amputavano un seno al fine di sorreggere più comodamente l’arco o lo scudo. Vivevano in comunità di sole donne: «Quando desiderano la compagnia di qualche uomo, si recano nelle terre confinanti con la loro: là si prendono gli amanti che ritengono utili, si intrattengono con loro otto o dieci giorni, quindi se ne tornano a casa. Se per caso hanno un figlio maschio, se lo tengono per un po’ e poi, non appena sa camminare e mangiare da solo, lo mandano dal padre, oppure lo uccidono. Se invece è una femmina, le tolgono un seno con un ferro rovente: se si tratta d’una donna d’alto rango le tolgono il seno sinistro, in modo che ella possa portare meglio lo scudo; se invece si tratta di una donna comune, le tolgono il seno destro, perché possa tirare meglio con l’arco» (John Mandeville, Viaggi, p. 107). Amìttiri. Questa razza si contraddistingueva per la protrusione del labbro inferiore o superiore, tanto sviluppata da essere utilizzata come protezione dai raggi solari. Gli Amìttiri si nutrivano di carne cruda. «In un’altra isola c’è gente d’aspetto e forma orripilanti, con il labbro superiore della bocca così grande, che quando 501 4.Androgini. 5.Antropòfago. 6.Antìpodi. s’addormenta al sole può coprirsi l’intera faccia con quel labbro» (John Mandeville, Viaggi, p. 138). Androgini. I membri di questo popolo, che Plinio collocava in Africa, possedevano gli organi genitali di entrambi i sessi. Secondo Isidoro di Siviglia, essi erano in grado contemporaneamente di fecondare e concepire. «In un’altra isola c’è gente che è nello stesso tempo uomo e donna, partecipando della natura di tutti e due i sessi. Questi hanno una sola mammella da un lato e niente dall’altro. Sono però provvisti di organi genitali sia maschili che femminili, e li usano entrambi come vogliono, una volta l’uno, una volta l’altro. Così quando usano l’organo maschile, procreano figli; mentre, quando usano l’organo femminile, li partoriscono» (John Mandeville, Viaggi, p. 138). Antropòfagi. Collocata talvolta in Scizia, talvolta in Africa, questa razza si cibava di carne umana. Secondo alcune fonti gli Antropofagi si nutrivano soltanto dei corpi dei propri anziani, secondo altre di chiunque avesse la sventura di imbattersi in loro. La tradizione tramanda inoltre la loro abitudine di bere in teschi umani e di ornarsi con le teste e gli scalpi delle proprie vittime. «Mad io vi conterò un mal costume ch’egli hanno: che, quando alcuno ha male, e’ mandano per loro indovini e incantatori che fanno per arti di diavolo, e domandano se ’l malato dee guarire o morire. E se ’l malato dee morire, egli mandano per certi, ordinati a ciò, e dicono: – Questo malato è giudicato a morte: fa’ quello che dee fare –. Questi gli mette alcuna cosa sulla gola, ed affogalo; e poscia lo cuocono; e quando è cotto, vengono tutti li parenti del morto e mangialo» (Marco Polo, Il Milione, CXLV, p. 181) Antìpodi. Popolo mitico collocato dall’altra parte del mondo, dove tutto si svolgeva capovolto. Per un fraintendimento del significato del loro nome (‘piedeopposto’, secondo l’etimo greco), talune fonti hanno messo erroneamente in risalto come tratto distintivo di questa specie i piedi rivolti all’indietro (vedi anche Abarìmoni). «Dicono che c’è sotto il mondo un genere di uomini che chiamano Antipodi, e secondo la chiara interpretazione del nome greco essi calcano in posizione eretta e opposta alla nostra il fondo più basso del mondo» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 53, p. 241). 502 7. Arrìno. 8. Àstomi. 9.Astòmoro. Artibàtiri. Plinio scrive che i membri di questo popolo erano soliti camminare a quattro zampe, ‘proni come bestie’. «In un’altra isola c’è gente che cammina sulle mani e sui piedi, come fanno le bestie. Sono individui tutti spellati e ricoperti di piume, che balzano agilmente sugli alberi, spostandosi da un ramo all’altro, come se fossero scoiattoli o scimmie» (John Mandeville, Viaggi, p. 138). Arimaspi. Vedi Monòculi. Arrìni (o Scirati). Secondo Megastene, i componenti di questo popolo abitavano da qualche parte nel Nord e avevano viso piatto senza naso ed erano piccoli di statura. Àstomi. Nelle regioni più orientali dell’India, vicino alle sorgenti del Gange, secondo Megastene e Plinio, vivevano questi uomini privi della bocca. Avevano pelo su tutto il corpo ma indossavano indumenti di tessuto leggero che ricavavano dalle foglie degli alberi. Non mangiavano né bevevano, dunque si nutrivano soltanto odorando radici, fiori, frutti, specialmente le mele; morivano annusando un cattivo odore. «Costoro vivono dell’aroma delle mele selvatiche: quando si allontanano portano di quelle mele con sé, perché, se non ne sentissero il profumo, morirebbero» (John Mandeville, Viaggi, p. 201). Astòmori (o Brachìstomi). In Etiopia, secondo Plinio, viveva una razza simile agli Àstomi, priva non soltanto della bocca ma anche del naso. I componenti di questa genìa respiravano attraverso un piccolo orifizio, dal quale inoltre mangiavano e bevevano con l’ausilio di una sorta di cannuccia: «invece della bocca, hanno un piccolo buco rotondo, e quando devono magiare o bere, usano una canna o un tubo o qualcosa di simile, e si mettono a succhiare» (John Mandeville, I viaggi, p. 138). Blemmie. Nei deserti della Libia vivevano, secondo Plinio, degli uomini privi di testa, con gli organi del volto incastonati nel petto. «Pure un’altra isola sta a sud del fiume [Brissonte], celebre per uomini acefali che portano occhi e bocca sul petto; sono alti otto piedi, e 503 10. Blemmia. 11.Bragmani 12. Catini. larghi anche otto» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, X, p. 33). È una delle razze mostruose più longeve in letteratura, tanto da meritare una comparsa anche nell’Otello di Shakespeare: «Men whose heads / Do grow beneath their shoulders». (William Shakespeare, Othello, I, iii, vv. 144-145). Brachìstomi. Vedi Astòmori. Bragmani (o Gimnosofisti). Tra le meraviglie dell’India vi erano anche i Bragmani (evidente corruzione di Brahmani), uomini saggi che vivevano completamente nudi all’interno di caverne e dediti alla preghiera e alla meditazione. Erano spesso accomunati ai Gimnosofisti. «I Bramani sono una moltitudine di uomini semplici che conduce una vita virtuosa. Non desiderano possedere più di quanto esige il bisogno naturale. Si accordano su tutto e tutto sopportano. Definiscono superfluo ciò che non è necessario. Sono santi che vivono nel corpo. Quasi tutta la cristianità, in ogni sua parte, è sostenuta dalla loro santità e dal loro senso di giustizia, come crediamo, ed è difesa dalle loro orazioni affinché non sia vinta dal diavolo. Costoro servono la Maestà nostra solo con le loro preghiere» (Anonimo, Lettera del prete Gianni, p. 79). Calingi. Plinio e Solino raccontano entrambi di questa razza, le cui donne possiedono un ciclo vitale piuttosto breve e sono per questo costrette a diventare madri molto prematuramente: «raccontano anche che esiste una razza di donne capaci di concepire a cinque anni, ma inidonee a prolungare il tempo della vita oltre l’ottavo anno» (Caio Giulio Solino, Da Roma a Taprobane, p. 137). Catini. Si tratta di una popolazione molto pacifica, che onorava col dono di una moglie qualsiasi viaggiatore cui capitasse di entrarvi in contatto. Questo popolo ebbe una fortuna molto limitata nella tradizione. «Sulle coste oceaniche sta quel genere di mostri detto dei Catini. Sono squisiti […]. È a Nord questa terra dei Catini: i loro re, estremamente ospitali, dominano su parecchi regnanti. La razza è assai longeva, sono magnanimi e ai viaggiatori offrono una donna prima di congedarli» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, XIV, p. 37). 504 13.Cinocèfalo. 14.Donestri. 15.Donna acquatica. Ciclopi. I giganti con un solo occhio narrati da Omero e Virgilio si supponeva vivessero in Sicilia, ma una razza analoga e con lo stesso nome fu immaginata anche in India. «In una di queste isole c’è gente di grande statura, come i giganti. Ma è spaventosa da guardare. Hanno un solo occhio che sta in mezzo alla fronte, e non mangiano che carne e pesci crudi» (John Mandeville, Viaggi, p. 137). Cinocèfali. Tra le razze mostruose più popolari vi erano i ‘Testa-di-Cane’, che secondo Ctesia di Cnido vivevano nelle zone montuose dell’India. Comunicavano con i latrati, si vestivano con pelli di animali, vivevano in caverne ed erano dei cacciatori straordinariamente abili nell’uso di spade, archi e giavellotti. Nella saga di Alessandro Magno venivano rappresentati anche con denti particolarmente pronunciati e spiranti fiamme. «Proseguendo oltre, trovarono dei mostri […] che in tutto avevano aspetto umano, […] ma il volto di cane. Dicevano due parole come gli uomini e alla terza latravano come i cani; così, ad intervalli, inframezzavano dei latrati, ma poi tornavano al loro comportamento naturale; così si poteva capire ciò che dicevano» (Giovanni da Pian del Carpine, Storia dei mongoli, V, 31, p. 361). Donestri Di questi uomini, il cui nome voleva dire ‘Divini’, si racconta che fossero capaci di parlare la lingua di qualunque viaggiatore avesse la sventura di incontrarli: fingendo di conoscerne i parenti, ne guadagnavano la fiducia per poi ucciderli e piangerne la morte. «E pure c’è un’isola nel Mar Rosso abitata da una sorta di semidei che noi chiamiamo Donestre: pressoché umani dalla testa all’ombelico e altrettanto nel resto del corpo, sono capaci di parlare qualsiasi lingua. Appena incontrano uno straniero, si rivolgono a lui e ai suoi affini chiamandoli per nome, usando insinuanti parole per ingannarli e alfine perderli. Se riescono a catturarli è la fine perché poi se li mangiano; si impadroniscono quindi della testa del malcapitato che hanno divorato, e ci fanno sopra un pianto» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, XVI, p. 39). Donne acquatiche (Sirene?). L’anonimo autore dell’apocrifa ‘Lettera di Alessandro’ racconta l’esistenza, nelle remote regioni oceaniche dell’India, di certe donne capaci di vivere sott’acqua e molto temute 505 16.Donna barbuta. 17.Epìfugo. 18.Etiopi. per la loro ferocia dalle popolazioni stanziate presso le sponde del grande fiume: «Catturavano pesci scauri […] con trappole fatte d’avorio, in modo che […] non se ne impadronissero certe donne dai lunghi capelli che, nuotando sott’acqua, vivono di pesce. Esse, chiunque, inesperto della regione, nuoti sul fiume, dopo averlo catturato, o lo soffocano nella corrente oppure, adescato fra le canne (hanno infatti forme mirabili), vinto con le loro grazie, selvaggiamente lo traggono a rovina e uccidono nel piacere d’amore» (Anonimo, Lettera di Alessandro ad Aristotele, in Giuseppe Tardiola (a cura di), Le meraviglie dell’India, p. 90) Donne barbute. Queste donne sono descritte in modo diverso a seconda delle varie tradizioni. Una molto comune le colloca in India e le caratterizza come cacciatrici: «nei dintorni troviamo donne barbute, col pelo sino al petto, vestite di pelli equine. Grandi cacciatrici, allevano tigri, leopardi e quant’altre mai fiere si trovino fra quelle gole, per usarle a scopo venatorio in luogo dei cani» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, XII, p. 35). Epìfugi. Collocati lungo il Nilo o in India, erano acefali, parenti stretti delle Blemmie, dalle quali si differenziavano per la posizione degli occhi, che non erano sul petto insieme agli altri organi del volto, ma sulle spalle: «In un’altra isola verso Sud abita gente di corporatura orrenda e di natura malvagia, che è senza testa, ed ha occhi sulle spalle. La bocca è storta come un ferro di cavallo, ed è posta in mezzo al petto» (John Mandeville, I viaggi, p. 137). Etiopi. Nella saga di Alessandro, gli Etiopi erano descritti come uomini dalla carnagione nera, che vivevano sulle montagne. L’etimologia greca significa ‘volto bruciato’, e suggeriva che il colore della loro pelle risultasse dalla loro prossimità al sole. I limiti geografici dell’Etiopia erano tanto vaghi da farla apparire più un territorio letterario che un’entità cartografica, variamente dislocato in Africa, in India, o in entrambe tali regioni. «Esistono gli Etiopi, neri in tutto il corpo, che il sole divampando con ardore estremo brucia senza interruzione: abitano infatti sotto il terzo circolo ribollente e torrido delle zone del mondo e si riparano dall’arsa vampa della canicola negli anfratti della terra» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 9, p. 147). 506 19. Etiope Marittimo. Etiopi Marittimi (o Nisicati e Nisiti). Descritti da Plinio nel libro sesto della Naturalis Historia, gli Etiopi Marittimi avevano come caratteristica una vista particolarmente acuta: «al di sopra di Sirbito c’è una regione dove hanno fine i monti, abitata secondo alcuni dalle tribù etiopi che vivono sul mare, i Nisicati e i Nisiti, termini che significano uomini dai tre e dai quattro occhi, non perché sia effettivamente così, ma perché hanno una mira particolare nello scagliare le frecce» (Plinio, Storia naturale, VI, 194, p. 759). Garamanti (o Gàngidi). Questo popolo era una razza Etiope descritta da Plinio. La caratteristica principale dei Garamanti era che «non pratica[va]no il matrimonio e passa[va]no da una donna all’altra» (Plinio, Storia naturale, V, 45, p. 581). In alcune altre fonti erano posti in India e chiamati Gàngidi. 20.Gegètoni. Gegètoni. Uomini con le corna, che appaiono frequentemente in un gruppo di tardi trattati inglesi. In alcuni casi, erano detti anche Cornuti. Giganti. Questa etnia appartiene specificamente alla saga di Alessandro Magno, che, secondo alcune fonti, li incontrò e li sconfisse nella sua avanzata verso Oriente. Talvolta erano descritti come particolarmente pelosi, talvolta glabri. «Un uomo di statura di gigante […]; costui era così grande che li nostri non gli arrivavano alla cintura […] [e ci sono altri giganti che] hanno la testa quasi mezzo braccio lunga» (Antonio Pigafetta, Viaggio, in Ramusio, Navigazioni e viaggi, II, pp. 876877). 21.Gòrgade. Gòrgadi (o Gorille). Plinio racconta di donne interamente ricoperte di peluria che vivevano sulle Isole Gorgadi, da cui prendevano il nome. Coincidono con le Gorille di cui parla Omero. «Si racconta anche che […] ci siano delle isole, un tempo sede delle Gorgoni, le Gorgadi ad una distanza dal continente […] di due giorni di navigazione. Esse furono raggiunte dal generale cartaginese Annone, il quale riferì di aver visto che i corpi delle loro donne erano ricoperti da una fitta peluria» (Plinio, Storia Naturale, VI, 200, p. 763). 507 22.Ippòpode. 23.Ittiòfagi. 24.Monòculo. Imantòpodi. Un’etnia orientale, connotata da piedi lunghi e affusolati, fini e piatti come strisce di cuoio. «Gli Imantopodi sono degli esseri dai piedi a forma di briglia, che per natura camminano strisciando» (Plinio, Storia naturale, V, 46, p. 583). Ippòpodi. Secondo la testimonianza di Plinio, questo popolo, che aveva zoccoli di cavallo al posto dei piedi, era stanziato sulle sponde del Mar Baltico. «In un’altra isola c’è gente con piedi di cavallo. Si tratta di uomini forti e poderosi, di veloci corridori, che riescono ad acchiappare di corsa gli animali selvatici, e se li mangiano» (John Mandeville, Viaggi, p. 138). Ittiòfagi. Uomini che si nutrono di pesce, erano per questo motivo collocati lungo i fiumi. Spesso erano raffigurati con il loro cibo esclusivo tra le mani. «Sul far dell’alba partimmo alla volta di altre regioni d’India. Potemmo così conoscere in una spaziosa pianura uomini e donne senza alcuna veste indosso, ricoperti, come animali, soltanto dei propri peli. Gli Indiani li chiamano Ittiofagi: essi infatti, a loro agio più nei fiumi e negli stagni, che sulla terra ferma, si cibano solo di pesce crudo e di acqua. Mentre ci avvicinavamo per vederli meglio, subito scomparvero nei vicini gorghi del fiume Ebimaride» (Anonimo, Lettera di Alessandro ad Aristotele, in Giuseppe Tardiola (a cura di), Le meraviglie dell’India, p. 79). Macrobii. Vedi Pandi. Monòculi (o Arimaspi). Etnia caratterizzata da un solo occhio al centro della fronte, quindi variante dei Ciclopi (vedi). Il loro nome fu motivo di confusione per i lettori latini, che li associarono erroneamente ai Monocòli (‘con una sola gamba’, secondo l’etimo greco), altro nome degli Sciàpodi (vedi). Nisicati e Nisiti. Si tratta di una specie mostruosa antropomorfa, caratterizzata dalla presenza, secondo le diverse fonti, di tre oppure quattro occhi. La tradizione trae origine da un brevissimo cenno di Plinio nella descrizione dell’Etiopia (vedi anche Etiopi Marittimi). 508 25. Nisicato. 26.Onocentauro. 27.Panozio. Onocentauri. Meno ricorrenti dei più noti Centuari, questi mostri ibridi erano contrassegnati dalla commistione fra l’uomo e l’onagro, sorta di asino tipico delle zone aride e steppose dell’Asia Centrale. «Gli onocentauri sembrano avere normali corpi di uomo fino all’ombelico, e la parte inferiore del corpo è descritta come un irsuto e nefando onagro: così l’imprevedibile natura congiunge esseri di diverso genere in maniera uguale» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 10, p. 149). Pandi (o Macrobii). Secondo Ctesia di Cnido, sulle montagne dell’India vivevano i Pandi, la cui particolarità risiedeva nel fatto di partorire una sola volta nella vita; alla nascita i loro bambini avevano i capelli bianchi, che diventavano neri col progredire dell’età. Erano inoltre dotati di otto dita nelle mani e nei piedi, e possedevano orecchie tanto lunghe da potersi coprire fino ai fianchi: «sulle montagne dell’India su cui cresce la canna, vive una popolazione che raggiunge le trentamila unità. Le donne partoriscono una sola volta nella vita, e le loro creature nascono già con denti bellissimi sia in alto sia in basso. Tutti quanti – le femmine come i maschi – hanno fin dalla nascita capelli e sopraccigli canuti; fino a trent’anni ognuno di loro ha anche tutti i peli del corpo bianchi, che però da quell’età iniziano a scurirsi: giunti a settant’anni, tutti i peli si presentano neri. Queste genti hanno otto dita per mano e altrettante per piede, e ciò vale altrettanto per gli uomini quanto per le donne. […] I loro orecchi sono così grandi da coprire le braccia fino ai gomiti e nel contempo, avviluppano loro la schiena, giungendo a toccarsi fra loro» (Ctesia di Cnido, Storia dell’India, in Fozio, Biblioteca, p. 148). Panozi. Uno dei tratti distintivi che Ctesia attribuiva ai Pandi, gli enormi padiglioni auricolari, divenne in seguito l’elemento caratterizzante di una nuova specie mostruosa, quella dei Panozi (‘tutti orecchie’, secondo l’etimo greco). Le loro orecchie erano lunghe fino ai piedi, e potevano servire sia come copertura sia come ali da dispiegare in caso di pericolo, per fuggire via. «Trascorrendo più avanti verso Oriente, troviamo abitanti alti quindici piedi e larghi dieci, con la testa grossa e le orecchie come giganteschi timpani: un orecchio se lo metton sotto la notte, con l’altro ci si coprono per difendersi dal freddo. Sono smilzi, il loro corpo è bianco come il latte; quando incontrano qualcuno, si prendon su le loro orecchie e scappano 509 28.Pigmei in guerra contro le gru. 29.Sciàpode. 30. Troglodita. tanto rapidamente che li diresti volanti» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, XVI, pp. 39-41). Pigmei. Tra i più antichi e famosi popoli mostruosi (citati già da Omero) erano annoverati questi uomini di piccolissima statura, non più alti di due cubiti. Erodoto li collocava in Africa, mentre Ctesia e Megastene al centro dell’India. I Pigmei, secondo questi ultimi due autori, parlavano la medesima lingua degli altri Indiani, e allevavano bestiame di dimensioni proporzionate alle loro. Erano costantemente in guerra con le gru, che rubavano i loro raccolti. In essi tutto quanto, persino il ciclo vitale, appare in formato ridotto: «quel fiume passa attraverso il paese dei Pigmei, gente di bassa statura, alta appena tre spanne, che però nelle sue proporzioni è bella e ben fatta. Uomini e donne si sposano quando hanno appena sei mesi di vita, e già fanno figli. Non vivono che sei o sette anni al massimo; chi arriva a otto viene considerato vecchissimo» (John Mandeville, Viaggi, p. 142). Sciàpodi (o Monocòli). Collocati da tutte le fonti inequivocabilmente in India, erano caratterizzati dall’avere una sola gamba, ma molto agile: «correvano così velocemente che i cavalli non potevano raggiungerli. […] Correvano soltanto su quell’unico piede, e, quando si stancavano di camminare così, si muovevano sulla mano e sul piede, rigirandosi quasi come una ruota» (Giovanni da Pian del Carpine, Storia dei mongoli, VI, 33, p. 362). Trascorrevano le giornate distesi sulla schiena, proteggendosi dai raggi del sole con il loro unico piede gigante, come suggerisce il nome Sciàpodi (‘ombra-piede’, secondo l’etimo greco). Scirati. Vedi Arrini. Trogloditi. Nei deserti dell’Etiopia vivevano Trogloditi, che abitavano in caverne ed erano privi di parola. Erano estremamente veloci. «I Trogloditi scavano grotte e le usano come dimore; si nutrono di carne di serpente e stridono anziché parlare: fino a tal punto sono privi di scambi verbali» (Plinio, Storia Naturale, V, 45, p. 581). 510 31.Bambino con membra doppie. 32.Uomo con sei braccia. 33.Uomo con sei dita. Uomini che non piegano le ginocchia. Guglielmo di Rubruck racconta che nel Catai viveva una popolazione in tutto simile agli umani salvo che per la piccola statura e per la mancanza di giunture alle ginocchia: «creature che hanno in tutto aspetto umano, tranne per il fatto che non possono piegare le ginocchia e si muovono, non so come, saltando; sono alti non più di un cubito, hanno tutto il corpo ricoperto di peli e abitano in grotte inaccessibili» (Guglielmo di Rubruck, Viaggio in Mongolia (Itinerarium), XXIX, p. 199). Uomini con le ginocchia rosse. Questa razza, che nasce dalla tradizione medievale delle epistole immaginarie provenienti dal mitico Oriente, non sembra avere avuto vasta diffusione, malgrado il suo stupefacente aspetto. I suoi membri avevano gambe lunghe dodici piedi (circa tre metri), e la loro altezza complessiva raggiungeva i ventiquattro piedi. Le loro membra erano bianche, avevano orecchie nere, ginocchia rosse e un lungo naso. Vivevano presso il fiume Brissonte, un immaginario affluente del Nilo. «Tra questi due fiumi, Nilo e Brissonte, è posta la colonia di Locotea […]. Qui si trovano anche uomini dall’altezza di quindici piedi, dal corpo candido, con due volti in testa unica, rosse ginocchia, lungo naso e capelli scuri. Quando è tempo di nascite si trasferiscono in India e qui partoriscono» (Anonimo, Le meraviglie dell’oriente, X, pp. 31-33). Uomini con molteplici arti. Numerose sono le tradizioni riguardo a specie mostruose connotate dalla molteplicità degli arti: due o tre paia di braccia o di gambe, dita delle mani in numero maggiore dell’ordinario. John Mandeville, ad esempio, testimonia di esseri con otto dita ai piedi: «in un’altra isola c’è gente che cammina sempre sulle ginocchia in maniera stranissima. Ad ogni passo che fa, sembra sul punto di cadere. Ad ogni piede ha otto dita» (John Mandeville, Viaggi, p. 138). Il Liber Monstrorum (VIII secolo) tramanda invece l’esistenza di «alcuni [uomini] di statura grandissima, sempre pronti alla guerra, che avevano sei dita per ogni mano e per ogni piede. Erano però esseri ragionevoli e differivano dagli altri uomini solo per il fatto di avere quattro dita in più» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 4, p. 133). 511 34.Uomo dal collo di gru. 35.Uomo muto. Uomini dagli occhi splendenti. Testimoniati dalle Leggende di Alessandro Magno, questi uomini si distinguevano soltanto per i loro occhi inspiegabilmente scintillanti. «E si dice che nelle parti orientali del mondo esiste un’isola nella quale nascono uomini di statura normale, se non che i loro occhi risplendono come lanterne» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 36, p. 205). Uomini dal collo di gru. Tra gli esseri ibridi, fu annoverata anche questa specie, caratterizzata dall’ipertrofico collo. «Nelle più remote parti della Siria ci sono esseri di aspetto quasi del tutto umano, tranne il collo di gru, e la testa di fiera con occhi e naso umani, il rostro e i bargigli come di gallo; vestono di pelli. Sono agricoltori e combattono strenuamente contro i grifoni, sicché c’è un gran numero di morti da una parte e dall’altra. Le loro donne sono a loro simili, ma non hanno bargigli ed hanno un rostro più lungo. Non bevono vino; quelli che cadono in guerra sono considerati santi e le loro mogli non possono più essere guardate da altri uomini» (Conrad Wolffhart Lycosthenes, Prodigiorum ac ostentorum Chronicon, p. 667). Uomini mangiatori di carne e miele. Questa etnia era descritta come particolarmente socievole e avvezza al consumo esclusivo di carne cruda e miele. «Leggemmo che ancora in Oriente, presso l’Oceano, esiste una specie di uomini bellissimi: e dicono che la causa della loro bellezza è che mangiano carne cruda e miele purissimo» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 26, p. 185). 36.Uomo peloso. Uomini muti. In Etiopia, secondo Plinio, vivevano degli uomini privi di parola, che comunicavano con una lingua gestuale. «Non hanno lingua e perciò non parlano, ma mandano una specie di sibilo come fa il serpente e si esprimono a gesti […], riuscendo a capirsi perfettamente» (John Mandeville, I viaggi, p. 138). Uomini pelosi. Le varietà di popoli ipertricotici sono molteplici nelle fonti classiche e medievali. Talvolta erano descritti con sei dita, altre con sei mani. «E apprendemmo di un genere di uomini pelosi in tutto il corpo, in India, presso l’Oceano, che dicono vivano in naturale nudità ricoperti solo di peli come bestie» (Anonimo, Liber Monstrorum, I, 15, p. 163). 512 Riferimenti bibliografici delle immagini Figg. 1, 3, 5, 17, 19, 30, 35: Sion College Bestiary, London, MS ARC L40 2/L.28, 117r, 117v, 118r, 118v, in John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981. Figg. 2, 7, 9, 21, 22, 25, 26, 27, 29, 31, 32, 33, 34: Hartmann Schedel, Chronica Mundi, Augsburg, 1497, in Claude Kappler, Demoni mostri e meraviglie alla fine del Medioevo, edizione italiana a cura di Franco Cardini, Firenze, Sansoni, 1983. Figg. 4, 13, 20, 23, 24: John Mandeville, Viaggi ovvero trattato delle cose più meravigliose e più notabili che si trovano al mondo, a cura di Ermanno Barisone, Milano, Il Saggiatore, 1982. Fig. 6: Sant’Agostino, De civitate Dei, Nantes, Bibliothèque Municipale MS Fr. 8, fol. 163v, in John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981. Fig. 8: Tommaso di Cantimpré, De natura rerum, Valenciennes, Bibliothèque Municipale MS 320, fol. 45r, in John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981. Figg. 10, 12, 14, 18: Anonymous, Marvels of the East, London, British Library MS Cotton Tiberius B. v. fol. 82a, 83v e 86a, in John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981. Fig. 11: Cambridge Bestiary, University Library MS Kk.4.25, fol. 52v., in John Block Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge-London, Harvard University Press, 1981. Fig. 15: Ambroise Paré, Mostri e prodigi, a cura di Massimo Ciavolella, Roma, Salerno Editrice, 1996. Fig. 16: Conrad von Megenberg, Buch der Natur, Augsburg, 1499, in Charles J. S. Thompson, The Mystery and Lore of Monsters. With Accounts of some Giants, Dwarfs and Prodigies, with a foreword by Sir D’Arcy Power, London, Williams & Norgate, 1930. Fig. 28: Sebastian Brant, Esopi appologi sive mythologi cum quibusdam carminum et fabularum additionibus Sebastiani Brant, Basileae, 1501 fol. 195r, in Claude Kappler, Demoni mostri e meraviglie alla fine del Medioevo, edizione italiana a cura di Franco Cardini, Firenze, Sansoni, 1983. Fig. 36: Jean Sluperji, Omnium fere gentium nostraeque aetatis nationum, habitus et effigies, et in eosdem epigrammata, Antverpiae, apud Ioannem Bellerum, sub Aquila aurea, 1572, tav. 133. 513 BIBLIOGRAFIA La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare queste rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina di un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche. Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, 1944. 1. Opere primarie: nascite mostruose nella street literature e nei resoconti medici (in ordine cronologico, 1550-1715) Anonymous, Thou shalte understande (Chrysten Reader) that the Thyrde Daye of August last past, Anno. M. CCCCC. LII. betweene the Houres of .X. and XI. at after noone in a Towne called Myddleton Stonye .VIII. Miles from the Universite of Oxforde at the In, called the Sygne of the Egle. There the Good Wyfe of the Same, was delivered of thys Double Chylde, begotten of her Late Housbande John Kenner, whyche is dysceased. The forme and shape of the Same Children, both the fore partes and hynderpartes, is above shewed, London, imprinted by John Daye dwellinge over Aldersgate beneth S. Martyns, 1552 [STC (2nd ed.), 14932.5]. Anonymous, The True Reporte of the Forme and Shape of a Monstrous Childe, borne at Muche Horkesleye, a Village Three Myles from Colchester, in the Countye of Essex, the .XXI. Daye of Apryll in this Yeare 1562. O, prayse ye God and blesse his name His mightye Hande hath wrought the same, London, imprinted in Fletestrete nere to S. Dunstons Church by Thomas Marshe, [1562] [STC (2nd ed.), 12207]. Fulwood William, The Shape of .II. Mo[n]sters. M.D.LXIJ, London, imprinted at Long Shop in the Pultry by Iohn Alde, [1562] [STC (2nd ed.), 11485]. Anonymous, The Description of a Monstrous Pig, the which was farrowed at Hamstead besyde London, the .XVI. Day of October, this Present Yeare of our Lord God. M.D.LXII., London, imprinted by Alexander Lacy for Garat Devves dwelling in Poules Church yard, at the East End of the Church, [1562] [STC (2nd ed.), 6768]. D. John, A Discription of a Monstrous Chylde, borne at Chychester in Sussex, the .XXIIII. Daye of May. This being the very Length, and Bygnes of the Same .M.CCCCC.LXII. London, imprinted by Leonard Askel for Fraunces Godlyf, 1562 [STC (2nd ed.), 6177]. Barker John, The True Description of a Monsterous Chylde borne in the Ile of Wight, in this Present Yeare of Oure Lord God, M. D. LXIIII. the Month of October, after this Forme with a Cluster of Longe Heare about the Nauell, the Fathers Name is Iames Iohnsun, in the Parys of Freswater, London, imprinted in Fleetestrete at the Sygne of the Faucon, by Wylliam Gryffith, and are to be solde at his Shope in Saint Dunstons Churchyarde in the West of London, the .VIII. Daye of Nouember, [1564] [STC (2nd ed.), 1422]. Elderton William, The True Fourme and Shape of a Monsterous Chyld, whiche was borne in Stony Stratforde, in North Hampton Shire. The Yeare of our Lord, M.CCCCC.LXV., London, imprinted in Fleetstrete beneath the Conduit at the Signe of S. John Evangelist by Thomas Colwell, [1565] [STC (2nd ed.), 7565]. Anonymous, The True Discription of Two Monsterous Chyldren borne at Herne in Kent. The .XXVII. Daie of Auguste in the Yere our of [sic] Lorde, M.CCCCC.LXV. They were booth Women Chyldren and were Chrystened, and lyued Halfe a Daye. The One departed afore the Other almoste an Howre, London, imprinted in 517 Fletestreat by Thomas Colwell for Owen Rogers dwelling at S. Sepulchers Church Doore, [1565] [STC (2nd ed.), 6774]. B. H., The True Discripcion of a Childe with Ruffes, borne in the Parish of Micheham in the Cou[n]tie of Surrey in the Yeere of Our Lord .M.D.LXVI., London, imprinted by Iohn Allde and Richarde Jones and are to be solde at the Long Shop adjoining vnto S. Mildreds Churche in the Pultrie and at the Little Shop adjoining to the Northwest Doore of Paules Churche, anno domini. MD.LXVI. the .XX. of August, [1566] [STC (2nd ed.), 1033]. Mellys John, The True Description of Two Monsterous Children, laufully begotten betweene George Stevens and Margerie his Wyfe, and borne in the Parish of Swanburne in Buckynghamshyre the .IIII. of Aprill. Anno Domini. 1566. the Two Children hauing both their Belies fast ioyned together, and imbracing One and Other with their Armes: which Children wer both a Lyue by the Space of Half an Hower, and wer baptized, and named the One Iohn, and the Other Ioan, London, imprinted by Alexander Lacy for William Lewes dwelling in Cow Lane aboue Holborne Conduit, ouer against the Signe of the Plough, [1566] [STC (2nd ed.), 17803]. Anonymous, The Forme and Shape of a Monstrous Child, borne at Maydstone in Kent, the .XXIIIJ. of October, London, imprinted by John Awdeley, dwellyng in Little Britain Streete withough Aldersgate, The .XXIIJ. of December, [1568] [STC (2nd ed.), 17194]. P. I., A Mervaylous Straunge Deformed Swyne, London, imprinted by William How for Richard Johnes, and are to be sold at his Shop joining to the Southwest Doore of Paules Churche, [1570?] [STC (2nd ed.), 19071]. Anonymous, The Discription and Figure of a Monstruous Childe borne at Taunton the VIIJ of November, London, Hugh Jackson, 1576 [perduto]. Anonymous, The Description of a Monstrous Childe named John Ffremley, London, Henry Bynneman, 1577 [perduto]. Anonymous, The Figure of IJ Monstrous Children borne at Wemme in Shropshire, London, Tho[mas] Colwell, 1577 [perduto]. Anonymous, A True Report of a Straung and Monsterous Child, born at Aberwick, in the Parish of Eglingham, in the County of Northumberland, this Fifth of January, London, imprinted for Thomas Gosson, dwelling in Pauls Church-Yard, next the Gate, the Corner Shop to Cheapeside, at the Sign of the Goshawke in the Sonn, 1579. [da Bates, Emblematic Monsters, 2005]. Anonymous, The Description of Monstrous Childe borne at Ffenny Stanton in Huntingdonshire, London, Henry Bynneman, 1580 [perduta]. Anonymous, The Wonderfull Worke of God shewed upon a Childe at Wals[ingh]am, London, Ed[mund] White, 1581 [perduta]. 518 Pet Cornelius, An Example of Gods Judgement shew[n] vpon Two Children borne in High Dutch La[nd] in the Citie of Lutssolof, the First Day of Julie. and translated out of Dutche into Englishe the 6. [of] Nouember last by Cornelius Pet, London, printed [by J. Allde?] for William Bartlet and are to be solde at S. Magnus Corner by Richard Ballard, [1582?] [STC (2nd ed.), 10608.5]. Anonymous, A Strange Example of a Maydenchild borne upon Sunday the Third of Januarij, 1584, in the Mynoryes without Allgate of London, London, Walter Venge, 1585 [perduta]. Anonymous, A Right Strange and Wonderful Example of the Handie Worke of a Mightie God. To move us Wretched Sinners to Amendement of Our Wicked Lyves, by this Lamentable Spectacle for al Men & Women to behold, of the Birth of Three Children borne in the Parish of PASKEWET, in the County of Monmouth, on Thursday, the Third of February last 1585 and are are [sic] at this Present to be seene at London, London, Richard Jones, 1585 [STC (2nd ed.), 20127]. Anonymous, A Myraculous, and Monstrous, but yet most True and Certayne Discourse of a Woman (now to be seene in London) of the Age of Threescore Yeares, or there abouts, in the Midst of whose Fore-head (by the Wonderfull Worke of God) there groweth out a Crooked Horne, of Foure Ynches Long, London, printed by Thomas Orwin, and are to be sold by Edward White, dwelling at the Little North Dore of Paules Church at the Signe of the Gun, 1588 [STC (2nd ed.), 6910.7]. Duncalfe V., A most Certaine Report of a Monster borne at Oteringham in Holdernesse, the 9. of Aprill last past. 1595. Also of a most Strange and Huge fish, which was driuen on the Sand at Outhorn in Holdernesse in February not passing Two Months before this Monster was brought into the World, and within 4. Miles Distance. Both to be auerred by the Credible Testimonie of Diuers Gentlemen of Worship, and others, now being within this Citie, London, printed by P.S. and are to be sold by T. Millington, [1595] [STC (2nd ed.), 18895.5]. Anonymous, A Strange and Miraculous Accident happened in the Cittie of Purmerent, on New-yeeres euen last past 1599. Of a yong Child which was heard to cry in the Mothers Wombe before it was borne, and about Fourteene Dayes of Age, spake Certaine Sencible Words, to the Wonder of every Body, London, printed by [E. Allde? for] Iohn Wolfe, and are to be solde at his Shop in Popes Head Alley, neere unto the Exchange, 1599 [STC (2nd ed.), 20511]. I. R. [Jones Richard?], A most Straunge and True Discourse, of the Wonderfull Judgement of God. Of a Monstrous, Deformed Infant, begotten by Incestuous Copulation, betweene the Brother’s Sonne, and the Sister’s Daughter, being both Vnmarried Persons. Which Childe was born at Colwall, in the County and Diocesse of Hereford, vpon the Sixt Day of Ianuary last, being the Feast of the Epiphany, commonly called Twelfth day. A Notable and most Terrible Example against Incest and Whoredome, London, printed [by E. Allde] for Richard Jones, 1600 [STC (2nd ed.), 20575]. Anonymous, Strange News out of Kent, of a Monstrous and Misshapen Child, borne in Olde Sandwitch, upon the 10 of Julie last, the like (for Strangers) hath never beene 519 seene, London, printed by T. C[reede] for W. Barley, and are to be sold at his Shop in Gratious-streete, 1609 [STC (2nd ed.), 14934]. Anonymous, A True Relation of the Birth of Three Monsters in the City of Namen in Flanders: as also Gods Iudgement vpon an Vnnaturall Sister of the Poore Womans, Mother of these Obortiue Children, whose House was consumed with Fire from Heauen, and her selfe swallowed into the Earth. All which hapned the 16. of December last. 1608, London, printed by Simon Stafford, for Richard Bunnian, and are to be sold at the Signe of the Red Lion upon London Bridge, 1609 [STC (2nd ed.), 18347.5]. Hilliard John, Fire from Heauen. Burning the Body of One Iohn Hittchell of Holne- Hurst, within the Parish of Christ-Church, in the County of South-hampton the 26. of Iune last 1613. who by the Same was consumed to Ashes, and no Fire seene, lying therein smoaking and smothering Three Dayes and Three Nights, not to bequenched [sic] by water, nor the Help of Mans Hand. With the Lamentable burning of his House and one Childe, and the Grieuous scorching of his Wife: with the Birth of a Monster, and many other Strange Things hapning about the Same Time: the Like was neuer seene nor hear of. Written by Iohn Hilliard Preacher of the Word of Life in Sopley. Reade and tremble. With the Fearefull burning of the Towne of Dorchester vpon Friday the 6. of August last 1613, London, printed [by E. Allde], for Iohn Trundle, and are to be sold at his Shop in Barby Can [sic] at the Signe of Nobody, 1613 [STC (2nd ed.), 13507.3]. Leigh William, Strange Newes of a Prodigious Monster, borne in the Towneship of Adlington in the Parish of Standish in the Countie of Lancaster, the 17. Day of Aprill last, 1613. Testified by the Reuerend Diuine Mr. W. Leigh, Bachelor of Diuinitie, and Preacher of Gods Word at Standish aforesaid, [London], printed by I. P[indley] for S. M[an] and are to be sold at his Shop in Pauls Church-yard at the Signe of the Ball, 1613 [STC (2nd ed.), 15428]. Anonymous, Gods Handy-Worke in Wonders. Miraculously shewen vpon Two Women, lately deliuered of two Monsters: with a most Strange and Terrible Earth- Quake, by which, Fields and other Grounds, were quite remoued to other Places: the Prodigious Births, being at a Place called Perre-Farme, within a Quarter of a Mile of Feuersham in Kent, the 25. of Iuly last, being S. Iames his Day. 1615, London, printed [by George Purslowe] for I. W[right], 1615 [STC (2nd ed.), 11926]. Anonymous, A Wonder Woorth the Reading, or, a True and Faithfull Relation of a Woman, now dwelling in Kentstreet, who, vpon Thrusday, being the 21 of August last, was deliuered of a Prodigious and Monstrous Child in the Presence of Divers Honest, and Religious Women to their Wonderfull Feare and Astonishment, London, printed by William Iones, dwelling in Red-Crosse-streete, 1617 [STC (2nd ed.), 14935]. Bedford Thomas, A True and Certaine Relation of a Strange-Birth, which was borne at Stonehouse in the Parish of Plimmouth, the 20. of October. 1635. Together with the Notes of a Sermon, preached Octob. 23. 1635. in the Church of Plimmouth, at the Interring of the said Birth. By Th. B. B. D. Pr. Pl., London, Printed by Anne Griffin, for William Russell in Plim mouth, 1635 [STC (2nd ed.), 1791.3]. 520 Parker Martin, The Two Inseparable Brothers. Or a True and Strange Description of a Gentleman (an Italian by Birth) about Seventeene Yeeres of Age, who had an Imperfect (yet living) Brother growing out of his Side, having a Head, Two Armes, and One Leg, all perfectly to be seen. They both baptized together; the Imperfect is called Iohn Baptist, and the other Lazarus. Admire the Creator in his Creatures. To the Tune of the Wandring Iewes Chronicle, London, printed [by M. Flesher] for Thomas Lamb[ert at] the Signe of the Hors-shooe in Smithfield, [1637] [STC (2nd ed.), 19277]. Milbourne Robert, Historia Aenigmatica, de gemellis Genoa connatis, Anno salutis nostrae, MDCXX in unum coalescentibus, quorum major Lazar, minor Joh. Baptista, ad sacrum Fontem nominatis: vivis hodie, & mercede Londini monstratis An. MDCXXXVII, Londini, Excudebat M. P. pro Ro. Milbourne, [1637] [STC (2nd ed.), 11728.6]. Price Lawrence, A Monstrous Shape. Or a Shapelesse Monster. A Description of a Female Creature borne in Holland, Compleat in every Part, save only a Head like a Swine, who hath travailed into many Parts, and it is now to be seene in London. Shees Loving, Courteous, and Effeminate, and nere as yet could find a Loving Mate. To the Tune of the Spanish Pavin, [London], printed by M. F[lesher]. For Tho[mas] Lambert, and are to be sold at the Signe of the Horse Shooe in Smithfield, [1639] [STC (2nd ed.), 20317]. Anonymous, [A Certaine Relation of the Hog]-faced Gentlewoman called Mistris Tannakin Skinker, who was borne at Wirkham a Neuter Towne betweene the Emperour and the Hollander, scituate on the River Rhyne. Who was bewitched in her Mothers Wombe in the Yeare 1618. and hath lived ever since Unknowne in this Kind to any, but her Parents and a few other Neighbours. And can never recover her True Shape tell she be married, &c. Also relating the Cause, as it is since conceived, how her Mother came so bewitched, London, printed by J[ohn] O[kes] and are to be sold by F. Grove at his shop on Snow-hil, neare St. Sepulchers Church, 1640 [STC (2nd ed.), 22627]. Locke John, A Strange and Lamentable Accident that happened larely at Mears- Ashby in Northamptonshire. 1642. Of One Mary Wilmore, Wife to Iohn Wilmore, Rough Mason, who was delivered of a Childe without a Head, and credibly reported to have a Firme Crosse on the Brest, as this Ensuing Story shall relate, London, printed for Rich[ard] Harper and Thomas Wine, and are to be sold at the Bible and Harpe in Smithfield, 1642 [Wing (2nd ed.), S5819]. Anonymous, Signes and Wonders from Heaven. With a True Relation of a Monster borne in Ratcliffe Highway, at the Signe of the Three Arrows, Mistris Bullock the Midwife delivering her thereof. Also shewing how a Cat kitned a Monster in Lombard Street in London. Likewise a New Discovery of Witches in Stepney Parish. And how 20. Witches more were executed in Suffolke this Last Assise. Also how the Divell came to Soffam to a Farmers House in the Habit of a Gentlewoman on Horse-Backe. With Divers other Strange Remarkable Passages, London, printed by I[ohn] H[ammond], [1645] [Wing (CD-ROM, 1996), S3777]. 521 Anonymous, The most Strange and Wonderfull Apperation of Blood in a Poole at Garraton in Leicester-Shire, which continued for the Space of Foure Dayes, the Rednesse of the Colour for the Space of those Foure Dayes every Day increasing Higher and Higher, to the Infinet Amazement of many Hundreds of Beholders of all Degrees and Conditions, who have dipped their Handketchers in this Bloody Poole, the Scarlet Complection of the Linnen will be a Testimoniall of this Wonderfull Truth to many succeding Generations. As also the True Relation and Miraculous and Prodigious Birth in Shoo-lane, where One Mistris Browne a Cuttlers Wife was delivered of a Monster without a Head or Feet, and in stead of a Head had a Hollow out of which a Child did proceed, which was Little but Lovely, Perfect in all but very Spare and Leane. As also the Kings sending to his Parliament for Hostage for the Security of his person to come unto London and to sit with his Parliament for the composing the Differences in the Kingdome, London, printed by I[ohn] H[ammond], [1645] [Wing (CD-ROM, 1996), M2921]. Anonymous, A Declaration of a Strange and Wonderfull Monster: born in KIRKHAM Parish in LANCASHIRE (the Childe of Mrs. Haughton, a Popish Gentlewoman) the Face of it upon the Breast, and without a Head (after the Mother had wished rather to bear a Childe without a Head then a Roundhead) and had curst the PARLIAMENT. Attested by Mr. Fleetwood, Minister of the Same Parish, under his own Hand; and Mrs. Gattaker the Mid-Wife, and Divers other Eye-Witnesses whose Testimony was brought up by a Member of the House of Commons. Appointed to be printed according to Order and desired to be published in all Counties, Cities, Townes, and Parishes in England: being the Same Copis that were presented to the Parliament, London, printed by Jane Coe, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), D602]. Anonymous, Strange Newes from SCOTLAND, or, a Strange Relation of a Terrible and Prodigious Monster, borne to the Amazement of all those that were Spectators, in the Kingdome of Scotland, in a Village neere Edenborogh, call’d Hadensworth, Septem. 14. 1647. and the Words the said Monster spake at its Birth, London, printed according the Originall Relation sent over to a Great Divine hereafter mentioned by E[lizabeth] P[urslowe] for W. Lee, 1647 [Wing (CD-ROM, 1996), S5900]. Anonymous, The Ranters Monster: being a True Relation of One Mary Adams, living at Tillingham in Essex, who named her self the Virgin Mary, blasphemously affirming that she was conceived with Child by the Holy Ghost; that from her should spring forth the Savior of the World; and that all those that did not believe in him were damn’d: with the Manner how she was deliver’d of the Ugliest Ill-Shapen Monster that ever Eyes beheld, and afterwards rotted away in Prison: to the Great Admiration of all those that shall read the ensuing Subject; the like never before heard of, London, printed for George Horton, 1652 [Wing (2nd ed.), R251]. Anonymous, A Tempenie with Foure Hands and 4 Heads, 2 Bodyes, Two Mouthes, 4 Eyes and 4 Eares, London, W[illiam] Gilbertson, 1656 [da Bates, Emblematic Monsters, 2005]. Anonymous, Prides Fall: or, a Warning for all English Women. By the Example of a Strange Monster born of late in Germany, by a Merchants proud Wife in Geneva. The Tune is, All you that love Good Fellows, [London], printed for F. Coles, T. Vere, and J. Wright, 1658 [Wing (CD-ROM, 1996), P3446A]. 522 Anonymous, The True and most Miraculous Narrative, of a Child born with Two Tongues, at the Lower End of East-Smithfeild in the Suburbs of London, &c. Who Three Dayes after his Birth, was heard plainly, and expresly to cry out, a King, a King, a King, which it hath ever since continued, to the Admiration of all that hear it. As also its being sent for by Divers Personages of the Greatest Dignity, and many Honorable Ladies in the Cities of London and Westminster, who not contented to behold, and but One Time to hear it, have sent their Coaches for it again and again. Together with the many Various Interpretations and Constructions that every where are made of it, [London], printed for R. Harper neer the Hospital Gate in Smithfield, 1659 [Wing (CD-ROM, 1996), T2511A]. Anonymous, The Age of Wonders, or Miracles are not ceased. Being a True but Strange Relation of a Child born at Burslem in Stafford-Shire, who, before it was Three Quarters Old, spake and prophesied Strange and Wonderful Things touching the King, Three Nights together, contained in this Ensuring Relation, as it was affirmed in a Letter by Mr. Colclough, Justice of the Peace, to Colonel Pury; and attested upon Oath by Elizabeth Locket and her Husband, the Childs Nurse. With Divers other Remarkable Predictions, Signes and Wonders, in Relation to Monarchy, and the Child born with Three Crowns. PSAL. 8. 2. Out of the Mouth of Babes and Sucklings hast thou ordained Strength because of thine Enemies, London, printed for Nehemiah Chamberlain, and are to be sold at the East End of St. Pauls, 1660 [Wing (2nd ed.), A759]. Anonymous, The Two Great Admirable Wonders or A Perfect and True Relation of the Birth of Two Strange Monsters; the One at Wodbridge, in Suffolk, born Octob. 23. 1661. having Four Leggs, Four Armes, Two Bodyes, One Head, no Neck, Two Backs, the Head formed in the Breast. With the Several Speeches of the Mid-wife, and the Child-Bed-Woman. Together of the Second, born the Next Night following at Ipswich, Octob. 24. 1661 with all Parts belonging to the Body, only the Face was without a Head. Published to prevent all other False Pamphlets, this being sent up for the True and Perfect Copie. Attested by John Fuller, Mr. Cogshall, a Limner, which drew the Pourtraictture [sic] of it, Ralph Berkley, William Smith, Samuel Jeings, London, printed for W. G., 1661 [Wing (CD-ROM, 1996), T3445A]. Anonymous, Smith Josiah, Natures Wonder? Or, [An Ac]count how the Wife of One John Waterman an Ostler in the Parish of Fisherton-Anger, near Salisbury, was delivered of a Strange Monster upon the 26th. of October 1664. which lived until the 27th. of the Same Moneth. It had Two Heads, Foure Armes, and Two Legs, the Heads standing contrary Each to the Other; and the Loines, Hipps, and Leggs issueing out of the Middle, betwixt both; they were both Perfect to the Nauell, and there joyned in One, being but One Sex, which was the Female. She had another Child born before it (of the Female Sex) which is yet living, and is a very Comely Child in all Proportions. This is attested from Truth, by Several Persons which were Eye Wittnesses. The Tune is London Prentice: Or, Jovial Batchelor, [London], printed for E[lizabeth] Andrews at White-Lyon in Pye-Corner, [1664] [Wing (CD-ROM, 1996), N245A]. Anonymous, The True Picture of a Female Monster borne near Salisbury, London, printed for R. P. at the Signe of the Bible in Chancery-Lane, 1664 [Wing (CD-ROM, 1996), T2854]. 523 Boyle Robert, ‘An Account of a very Odd Monstrous Calf’, Philosophical Transactions, 1, 1665-1666, p. 10. Colepresse M., ‘An Account of Two Monstrous Births, not Long since produced in Devonshire; communicated by M. Colepresse’, Philosophical Transactions, 2, 16661667, pp. 480-481. Anonymous, The Strange Monster or, True News from Nottingham-Shire of a Strange Monster born at Grasly in Nottingham-Shire, Three Miles from Nottingham, with a Relation of his Strange and Wonderfull Shape, the Time his Mother was in Travail with him, with Several other Things of Note. Together with a Brief Relation of Several Monstrous and Prodigious Births which happened heretofore in this our Nation. Licensed accordording [sic] to Order, [London], printed by Peter Lillierap [sic] living in Clerkenwell-Close, 1668 [Wing (CD-ROM, 1996), S5884A]. Durston William, ‘A Narrative of a Monstrous Birth in Plymouth, Oct. 22. 1670; together with the Anatomical Observations taken thereupon by William Durston Doctor in Physick, and communicated to Dr. Tim Clerk’, Philosophical Transactions, 5, 1670, pp. 2096-2099. Anonymous, A Brief Narrative of a Strange and Wonderful Old Woman that hath a Pair of Horns growing upon her Head. Giving a True Account how they have several Times after being shed, grown again. Declaring the Place of her Birth, her Education and Conversation; with the First Occasion of their Growth, the Time of their Continuance; and where she is now to be seen, viz. at the Sign of the Swan near Charing Cross. With Allowance, London, printed by T[homas] J[ohnson], 1676 [Wing (CD-ROM, 1996), B4610]. Morris S., ‘A Relation of a Monstrous Birth, made by Dr. S. Morris of Petworth in Sussex, from his own Observations: and by him sent to Dr. Charles Goodall of London; both of the Colledge of Physicians, London’, Philosophical Transactions, 12, 1677-1678, pp. 961-962. Anonymous, New News of a Strange Monster found in Stow Woods near Buckingham, of Human Shape, with a Double Heart, and no Hands, a Head with Twoo Tongues, and no Brains, [London s. n., 1679] [Wing (CD-ROM, 1996), N688]. Anonymous, A True Relation of a Monstrous Female-Child, with Two Heads, Four Eyes, Four Ears, Two Noses, Two Mouths, and Four Arms, Four Legs, and all Things else proportionably, fixed to One Body. Born about the Sixth of May last, at a Village called Ill-Brewers near Taunton Dean in Somerset-shire: likewise a True and Perfect Account of its Form so prodigiously Strange, with Several Remarkable Passages observed from it since its Birth, so Great and Amazing, that the like has not been known in many Ages: with many other Circumstances. As it was faithfully communicated in a Letter, by a Person of Worth, living in Taunton-Dean, to a Gentleman here in London, and attested by many Hundreds of no mean Rank; and Well Known to Several Gentlemen in and about LONDON, London, printed by D. Mallet, 1680 [Wing (2nd ed.), T2886B]. 524 Anonymous, A True Relation of Two Prodigious Births, the like not hapning in many Generations, the Significations whereof is left to the Judicious to contemplate, London, printed by T. D., 1680 [Wing (CD-ROM, 1996), T3075A]. Anonymous, A Letter from an Eminent Merchant in Ostend, containing an Account of a Strange and Monstrous Birth hapned there, a Woman being brought to Bed of Two Children, which are joined together by the Crowns of their Heads. He being an Eye- Witness thereof. Dated May 7. Old Stile, London, printed for J. Stans, and sold by R. Janeway, 1682 [Wing (CD-ROM, 1996), L1444]. Brocas A., A True Relation of the Birth of a Monster born at Exeter, having Two Perfect Heads; One Head standing Right as it should, the Other being in the Right Shoulder, just as you see the Figure here printed, a Draught of it being sent up in a Letter from a Person of Repute and Integrity, who lived not far from the Place where it was born, and was both an Eye and an Ear Witness to the Truth of what he writ: it was born the 5th. of this Instant October, 1682. And lived not Long, but was buried and taken up again the 10th. Instant, and many Hundreds now resort to see it, [London, printed for W. Davis, 1682] [Wing (CD-ROM, 1996), T2934A]. Krahe Christopher, ‘The Description of a Monstrous Child, born Friday the 29th of February 1684 at a Village called Heisagger, distant about 4 English Miles from Hattersleben, a Town in South-Jutland, under the King of Denmark’s Domination, communicated by Mr. Christopher Krahe, a Member of the Ecclesiastical Consistory and Provost of all the Churches belonging to the said Diocess’, Philosophical Transactions, 14, 1684, pp. 599-601. B. E., Strange and Wonderful News of the Birth of a Monstrous Child with Two Heads, and Three Arms which was lately born at Attenree, in the County of Meath in Ireland. Dublin, January the 31th, 1684, London, printed for John Smith, 1685 [Wing (2nd ed.), B55]. Anonymous, Near Charing Cross, over against Northumberland (alias Suffolk) House, at a Turners House, nigh the Golden Lyon Tavern, is to be seen the Wonder of this Present Age, being a Monster born in the Liberty of Westminster, on the Sixteenth of September last 1687: having Two Heads with Hair on, Four Armes and Hands, as like-wise Four Thighs, Legs and Feet, yet but One Body from the Breast to Lower Parts. Published by Authority, London, printed by T. James at the Printing-Press in Mincing-Lane, 1687 [Wing (CD-ROM, 1996), N362]. Anonymous, The Wonder of this Present Age. Or, an Account of a Monster born in the Liberty of Westminster on the 16th of this Infant September, 1687. Having Two Heads, four Arms and Hands; as likewise four Leggs and Feet, yet but One Body from the Lower Parts to the Breast, they seem to embrace One another, and lye Face to Face, as if they would salute to the Wonder and Admiration of all Spectators. Tune of Young Mans Legacy. This may be printed R P, [London], printed for J. Deacon, at the Angel in Gilt-Spur-Street, without Newgate, [1687] [Wing (CD-ROM, 1996), W3358B]. Anonymous, England’s New Wonders or Four Strange and Amazing Relations that have lately come to pass in England. I. A Strange and Wonderfull Account of One 525 Mary Blackstone, near Hull in York-shire, who after Ten Years Barrenness, was with Child of a [Mo]nstrous Birth, and delivered after wo [sic] Years going of it in having 3 Heads, each an Eye in the Forehead, Serpents twisting about each Neck, 4 Arms, and 4 Legs, each 10 Fingers and Toes on the Hands and Feet; the Privities of Male and Female. With the Examination of the Mother by the Minister, what answer she [ga]ve, her Prayer and Advice to all Women. Not to wish for Things God sees not Convenient to give lest Fearfull Punishments overtake them, with the Text she chose for her Funeral Sermon, before she dyed,, and the Substance of the Sermon. By D. Boase. [I]I. An Account of a Mighty Tempest, and the Appearing of a Terrible Fiery Serpent, at [...] Bedfordshire. [I]II. An Account of a Mighty Storm of Halt near Stanford in Northampton-Shire, which destiny’d many […]. [I]V. An Account of Two Enemies fighting in the [...] in Bri[t]any in France. All very Terrible and Wonderful. Licensed according to print, [Aberdeen], printed for J. Blare at the Looking Glass off London-Bridge: and reprinted at Aberdeen by Iohn Forbes, 1697 [Wing (CD-ROM, 1996), E3003A]. Anonymous, By His Majesty’s Authority, at the Sign of Charing-Cross, at Charing- Cross. There is to be seen a Strange and Monstrous Child, with one Body, and one Belly, and yet otherwise it hath all the Proporsions of two Children, [London, s.n., 1699] [Wing (CD-ROM, 1996), B6351]. Taylor Robert, ‘Part of a Letter from Mr. Robert Taylor to Dr. Hans Sloane, R. S. Secr. concerning a Monstrous Birth’, Philosophical Transactions, 25, 1706-1707, pp. 2345-2346. Derham William, ‘A Letter from the Reverend Mr. W. Derham, F. R. S. to Dr. Hans Sloane, R. S. Secr. giving an Account of some Inundations; Monstrous Births, Appearances in the Heavens, and Other Observables he received from Ireland. With his Observations on the Eclipse of the Sun, Sept. 3. and of the Moon, Sept. 18, 1708’ Philosophical Transactions, 26, 1708-1709, pp. 308-313. Anonymous, The Miracle of the Miracles being a Full and True Account of Sarah Smith who lately was an Inhabitant of Darken Parish in Essex, that brought to Bed of a Strange Monster, [London?, 1715?]. 2. Altre opere primarie AA. VV., Alessandro nel Medioevo Occidentale, a cura di Mariantonia Liborio, introduzione di Peter Dronke, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 1997. AA. VV., Antiche saghe islandesi, a cura di Marco Scovazzi, Torino, Einaudi, 1973. AA. VV., Grammatici Latini, ex recensione Henrici Keilii, 8 volls., Leipzig, Teubner, 1855-1880. 526 AA. VV., Il pacato incubo dei mostri. L’Arcano e l’Inconscio negli scrittori italiani del ’400 e del ’500, a cura di Franco Salerno, introduzione di Franco Cardini, Chieti, Solfanelli, 1993. AA. VV., Il romanzo di Alessandro, 2 voll., testo greco e latino a fronte, a cura di Richard Stoneman, traduzione italiana di Tristano Gargiulo, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2007-2012. AA.VV., La Fenice. Da Claudiano a Tasso, a cura di Bruno Basile, Roma Carocci, 2004. AA. VV., Le meraviglie dell’India (Le meraviglie dell’Oriente, Lettera di Alessandro ad Aristotele, Lettera del Prete Gianni), a cura di Giuseppe Tardiola, in appendice i testi latini, Roma, Archivio Guido Izzi, 1991. AA. VV., Saghe e leggende celtiche, 2 voll., a cura di Gabriella Agrati, Maria L. Magini, Milano, Mondadori, 1982. AA. VV. The Athenian Oracle. Being an Entire Collection of all the Valuable Questions and Answers in the Old Athenian Mercuries. Intermix’d with many Cases in Divinity, History, Philosophy, Mathematics, Love, Poetry, never before published. To which is added an Alphabetical Table for the speedy finding of any Questions. By a Member of the Athenian Society, 4 vols., London, printed for Andrew Bell, atthe Cross-Keys and Bible, in Cornhill, near Stocks Market, 1703. Adelard of Bath, Conversations with his Nephew. On the Same and the Different, Questions on Natural Science, and on Birds, edited and translated by Charles Burnett, with the collaboration of Italo Ronca, Pedro Mantas España and Baudouin van den Abeele, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. Sant’Agostino, Dialoghi I. La controversia accademica, La felicità, L’ordine, I soliloqui, L’immortalità dell’anima, introduzione, traduzione e note a cura di Domenico Gentili, Roma, Città Nuova, 1970. Sant’Agostino, La città di Dio, 2 voll., a cura di Domenico Marafioti, Milano, Mondadori, 2011. 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Anonimo, Il Novellino (1281-1300), testo critico, introduzione e note a cura di Guido Favati, Genova, Bozzi, 1970. Anonimo, La lettera del Prete Gianni, a cura di Gioia Zaganelli, Milano-Trento, Luni, 2000 (prima edizione Parma, Pratiche, 1990). Anonimo, Le meraviglie dell’Oriente (VIII secolo), a cura di Marcello Ciccuto, Pisa, ETS, 1994. Anonimo, Liber monstrorum de diversis generibus/Libro delle mirabili difformità, a cura di Corrado Bologna, Milano, Bompiani, 1977. Anonimo, Liber monstrorum (secolo IX), introduzione, edizione critica, traduzione, note e commento a cura di Franco Porsia, Napoli, Liguori, 2012. Anonimo, Navigatio Sancti Brendani/ La navigazione di San Brandano, a cura di Maria A. Grignani, Milano, Bompiani, 1975. Anonym, Eigentliche Abbildung der Monstrosischen zweyer an einan, [Köln?, 1635]. Anonym, Wahre Abbildung zweyer Zwilling, [Strasbourg, 1645]. 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Protestants. Puritans. Papists. Brownists. Calvinists. Lutherans. Fam. of love. Mahometans. Adamites. Brightanists. Armenians. Sosinians. Thessalonians. Anabaptists. Separatists. Chaldæans. Electrians. Donatists. Persians. Antinomeans. Assyrians. Macedonians. Heathens. Panonians. Saturnians. Junonians. Bacchanalians. Damassians. The Brotherhood., London, s.n., 1641 [Wing (2nd ed.), D1662A]. 528 Anonymous, A Nest of Serpents discovered. Or, a Knot of Old Heretiques revived, called the Adamites. Wherein their Originall, Increase, and Severall Ridiculous Tenets are plainly layd open, London, s. n., 1641 [Wing (CD-ROM, 1996), N470]. Anonymous, A Spirit Moving in the Woman-Preachers: or, Certaine Quaeres, vented and put forth unto this Affronted, Brazen-faced, Strange, new Feminin Brood. Wherein they are proved to be rash, ignorant, ambitious, weake, vaine-glorious, prophane and proud, moved onely by the Spirit of Errour, London, printed for Henry Shepheard, at the Bible in Tower-street, and William Ley, at Pauls Chaine neere Doctors Commons, 1646 [Wing (2nd ed.), S4990]. Anonymous, The Famous Tragedie of the Life and Death of Mris. Rump shewing how she was brought to Bed of a Monster with her Terrible Pangs, Bitter Teeming, Hard Labour, and Lamentable Travell from Portsmouth to Westminster, and the Great Misery she hath endured by her Ugly, Deformed, Ill-shapen Basebegotten Brat or Imp of Reformation, and the Great Cared and Wonderful Pains taken by Mris. London Midwife, Mris. Hasterigg, Nurse, Gossip Vaine, Gos. Scot & her Man Litesum, Gossip Walton, Gossip Martin, Gossip Nevit, Gossip Lemhal, Secluded Gossips, Apprentices. Together with the Exceeding Great Fright she took at a Free Parliament, and the Farall and of that Grand Tyrant O.C. the Father of all Murthers, Rebellions, Treasons and Treacheries committed since the year 1648, as it was presented on a Burning Stage at Westminster the 29th of May, 1660, London, printed for Theodorus Microsmus, 1660 [Wing (CD-ROM, 1996), F385A]. Anonymous, A Rara Show, A Rara Shight. A Strange Monster, (the like not in Europe) to be seen near Tower-hill, a few Doors beyond the Lions Den. Licensed and entered according to Dider, [London], printed for R. Janeway, 1689 [Wing (CDROM, 1996), O16]. Anonymous, The Cruel Midwife. Being a True Account of a most Sad and Lamentable DISCOVERY that has been lately made in the Village of POPLAR in the Parish of STEPNEY. At the House of One Madame Compton Alias Norman a Midwife, wherein has been discovered many Children that have been murdered. Particularly Two that were lately found in a Hand-Basket on a Shelf in the Sellar, whose Skins, Eyes, and Part of their Flesh were eaten by Vermin: the Skelliton of Six Others that were found buryed in the Sellar; with the Design of digging for Others in the Garden. With the Manner of the Discovery. Also an Account of the Seizing or Apprehending, Behaviour, and Commitment to NEWGATE, of Madame Compton alias Norman, the Midwife, on the Account of Murthering these Infants. Licensed according to Order, London, printed for R. Wier at the White Horse in Fleetstreet, 1693 [Wing (CDROM, 1996), C7419A]. Aristotele, Opere. Vol. 5: Parti degli animali – Riproduzione degli animali, traduzione italiana di Mario Vegetti e Diego Lanza, Roma-Bari, Laterza, 1973. Aristotele, La Metafisica, a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1997. Aristotele, Problemi, testo greco a fronte, a cura di Maria F. 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Or a Collection of Histories out of Sacred, Ecclesiasticall and Prophane Authors, concerning the Admirable Iudgements of God vpon the Transgressours of his Commandements. Translated out of French and augmented by more than Three Hundred Examples by Th[omas] Beard, London, printed by Adam Islip, 1597 [STC (2nd ed.), 1659]. De Fournival Richard, Bestiario d’amore e la risposta al bestiario, a cura di Francesco Zambon, Milano-Trento, Luni, 1987. De Pizan Christine, La città delle dame, a cura di Patrizia Caraffi, edizione di Earl Jeffrey Richards, Roma, Carocci, 1997. Diodoro Siculo, Biblioteca storica, testo greco a fronte, 2 voll., a cura di Giuseppe Cordiano e Marta Zorat, Milano, BUR, 2004-2014. Dondi Dall’Orologio Giovanni, De fontibus calidis agri Patavini, in De balneis omnia quae extant apud Graecos, Latinos, et Arabas, Venezia, Giunti, 1553, cc. 94r-108v. 534 Drummond William, The History of Scotland, from the Year 1423. until the year 1542. Containing the Lives and Reigns of James the I. the II. the III. the IV. the V. With Several Memorials of State, during the Reigns of James VI & Charles I, London, printed by Henry Hills, for Rich. Tomlins and himself, and are to be sold at their houses near Py-Corner, MDCLV. [1655] [Wing (CD-ROM, 1996), D2196A]. Edwards Thomas, Gangraena: or, a Catalogue of Many of the Errours, Heresies, Blasphemies and Pernicious Practices of the Sectaries of this Time, vented and acted in England in these Four Last Years: as also, a Particular Narration of Divers Stories, remarkable Passages, Letters; an Extract of many Letters, all concerning the present Sects; together with some Observations upon, and Corollaries from all the fore-named Premisses. By Thomas Edwards, Minister of the Gospel, London, printed for Ralph Smith, at the Signe of the Bible in Cornhill near the Royall-Exchange, M.DC.XLVI. [1646] [Wing (CD-ROM, 1996), E228]. Edwards Thomas, The Second Part of Gangraena: or a Fresh and further Discovery of the Errors, Heresies, Blasphemies, and Dangerous Proceedings of the Sectaries of this Time. As also a a Particular Narration of Divers Stories, Speciall Passages, Letters, an Extract of some Letters, all concerning the present Sects: together with some Corollaries from all the fore-named Premisses. A Reply to the most Materiall Exceptions made by Mr. Saltmarsh, Mr. Walwyn, and Cretensis, against Mr. Edwards late Book entituled Gangraena. As also Brief Animadversions upon some late Pamphlets; one of Mr. Bacons, another of Thomas Webs, a Third of a Picture made in Disgrace of the Presbyterians. A relation of a Monster lately born at Colchester, of Parents who are Sectaries. The Copie of an Hymne sung by some Sectaries in stead of Davids Psalms. By Thomas Edwards Minister of the Gospel, London, [printed] by T. R[atcliffe]. and E. M[ottershed]. for Ralph Smith, at the Signe of the Bible in Cornhill near the Royall-Exchange, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), E233A]. Edwards Thomas, The Third Part of Gangraena· Or, A New and Higher Discovery of the Errors, Heresies, Blasphemies, and Insolent Proceedings of the Sectaries of these Times; with some Animadversions by Way of Confutation upon many of the Errors and Heresies named. As also a Particular Relation of many Remarkable Stories, Speciall Passages, Copies of Letters written by Sectaries to Sectaries, [...] Briefe Animadversions on many of the Sectaries Late Pamphlets, as Lilburnes and Overtons Books against the House of Peeres, M. Peters his Last Report of the English Warres, the Lord Mayors farewell from his Office of Maioralty, M. Goodwins Thirty Eight Queres upon the Ordinance against Heresies and Blasphemies, M. Burtons Conformities Deformity, M. Dells Sermon before the House of Commons; [...] As also some Few Hints and Briefe Observations on Divers Pamphlets written lately against me and some of my Books, as M. Goodwins pretended Reply to the Antapologie, M. Burroughs Vindication, Lanseters Lance, Gangraena playes rex, Gangraeae- Chrestum, M. Saltmarshes Answer to the Second Part of Gangraena. A Iustification of the Manner and Way of writing these Books called Gangraena, wherein not onely the Lawfulnesse, but the Necessity of writing after this Manner is proved by Scripture, Fathers, the most Eminent reformed Divines, Casuists, the Practice and Cnstome [sic] of all Ages. By Thomas Edwards Minister of the Gospel, London, printed for Ralph Smith, at the Bible in the Cornhill, 1646 [Wing (CD-ROM, 1996), E237]. 535 Ellis Humphrey, Pseudochristus: or, A True and Faithful Relation of the Grand Impostures, Horrid Blasphemies, Abominable Practises Gross Deceits; lately spread abroad and acted in the County of Southampton, by William Frankelin and Mary Gadbury, and their Companions. The one most Blasphemously professing and asserting himself to be the Christ, the Messiah, the Son of God who dyed and was crucified at Jerusalem for the Sins of the People of God. The other as wickedly professing and asserting her self to be the Spouse of Christ, called, the Lady Mary, the Queen, and Bride, the Lambs Wife. Together with the Visions and Revelations, to which they did pretend their Ways of deceiving, with the Names and Actions of Sundry Persons deceived by them. As also their Examinations and Confessions before the Justices of the Peace, their Imprisonment, and their Tryal before the Judg of Assize, at the Last Assize holden at Winchester, March 7. 1649. […] By Humphry Ellis, Minister of the Word in the City of Winton, London, printed by John Macock, for Luke Fawn, and are to be sold at his shop at the sign of the Parrot in Pauls Churchyard, 1650 [Wing (CD-ROM, 1996), E579]. Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image or Monstrus Shape of a Maruelous Stra[n]ge Fygure called, Sileni alcibiadis presentyng ye State & Conditio[n] of this Present World, & inespeciall of the Spiritualite how farre they be from ye Perfite Trade and Lyfe of Criste, wryte[n] in the Laten Tonge, by that Famous Clarke Erasmus, & lately translated in to Englyshe, London, imprinted by [N. Hill for?] me, Iohn Goughe, cum Priuilegio Regali. And also be for to sell in Flete-strete betwene the Two Temples, in the Shoppe of Hary Smythe Stacyoner, [1543?] [STC (2nd ed.), 10507]. Erasmo da Rotterdam, Adagi, prima traduzione italiana completa a cura di Emanuele Lelli, Milano, Bompiani, 2013. Erodoto, Storie, testo greco a fronte, 2 voll., introduzione di Kenneth H. Waters, a cura di Luigi Annibaletto, Milano, Mondadori, 2000. Eusebio di Cesarea, Eusebii Caesarensis episcopi Chronicon, Henri Etienne, Paris, 1512. Evelyn John, Numismata. A Discourse of Medals, Antient and Modern. Together with some Account of Heads and Effigies of Illustrious, and Famous Persons, in Sculps, and Taille-Douce, of whom we have no Medals extant; and of the Use to be derived from them. To wich is added a Digression concerning Phisiognomy, London, printed for Benjamin Tooke at the Middle Temple-Gate, in Fleetstreet, 1697 [Wing (CDROM, 1996), E3505]. 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Now newlie recognized, augmented, and continued (with Occurences and Accidents of Fresh Memorie to the Yeare 1586), finished in Ianuarie 1587, and the 29 of the Queenes Maiesties reigne, with the full continuation of the former yeares, at the expenses of Iohn Harison, George Bishop, Rafe Newberie, Henrie Denham, and Thomas VVoodcocke, London printed [by Henry Denham] in Aldersgate Street at the Signe of the Starre], [1587] [STC (2nd ed.), 13569]. Hughes Paul L., Larkin James F. (eds), Tudor Royal Proclamations, 3 vols., New Haven, Yale University Press, 1969. I. A., A Godly Ballad declaring by the Scriptures the Plagues that haue insued Whordome, London, imprinted at the Long Shop adioining vnto Sainct Mildreds Churche in the Poultrie by Iohn Alde, 1566 [STC (2nd ed.), 14046]. Ildegarda di Bingen, Physica. Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, herausgegeben von Reiner Hildebrandt und Thomas Gloning, Berlin, Gruyter, 2010. Ildegarda di Bingen, Il libro delle creature. 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