Capitolo 3 Ildegarda di Bingen Medicina, magia e spiritualità delle piante Marco Papasidero Una delle figure femminili più affascinanti e più note del medioevo è certamente Ildegarda di Bingen (1098-1179). Monaca benedettina, visse dapprima nell’abbazia di Disibodenberg, della quale intorno al 1136 divenne magistra. In seguito visse nella comunità femminile di Bingen, nel monastero di Rupertsberg, da lei stessa fondato nel 1150 e intitolato a s. Ruperto, rimanendovi fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1165 fondò anche l’abbazia di Eibingen, sull’altra sponda del Reno. Nel corso della sua vita predicò in numerose cattedrali, tra cui quelle di Colonia, Treviri, Magonza e Würzburg. Uno degli aspetti che più colpisce di Ildegarda è la sua poliedricità. La Sibilla del Reno, com’era definita per via delle sue esperienze mistiche e delle sue profezie, scrisse di poesia, musica, erboristeria, medicina, solo per citare alcuni degli ambiti di cui si occupò, redigendo trattati – caratterizzati da Semiotica e Santità 74 elementi originali e da nozioni provenienti da altre opere precedenti – la cui fortuna fu molto ampia1. Tra le numerose opere composte, una delle più interessanti è il cosiddetto Libro delle creature (il titolo originale è Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, noto anche, a partire dal 1533, come Physica). In questo vasto trattato, la celebre mistica indica come utilizzare a scopo terapeutico gli elementi del mondo vegetale, animale e minerale. In particolare, l’opera è composta da nove libri, rispettivamente dedicati alle piante, agli elementi, agli alberi, alle pietre, ai pesci, agli uccelli, agli animali, ai rettili e ai metalli. Si tratta di un vero e proprio trattato relativo alle “creature” – come indica il titolo originale in latino –, intese come creazione di Dio. Trattando dello zaffiro, Ildegarda scrive che «in ciascuna creatura che viene da Dio, anche quella che sembra più inutile, vi è un’utilità, anche se l’uomo non la conosce»2. Queste righe sono sufficienti a chiarire quale è l’intento del libro e in che modo intende perseguirlo: occuparsi delle creature di Dio e svelarne l’utilità agli uomini, affinché possano servirsene. Tra i tanti aspetti contenuti nel Liber subtilitatum, che costituisce una vera e propria miniera di in- 1 Flanagan (1989). 2 Ildegarda (2011), p. 249 nota 36. Capitolo 3. Ildegarda di Bingen 75 formazioni e nozioni, uno ci è sembrato di particolare interesse e originalità, e riguarda i consigli e i rimedi che Ildegarda propone in ambito erboristico relativamente al contrasto di tutte quelle pratiche magiche (fatture, incantesimi, maledizioni, ecc.) che possono essere utilizzate dagli uomini per danneggiarsi3. La neutralizzazione di incantesimi e filtri magici dimostra, inoltre, come la sua cultura, così come quella in cui era immersa e che tanto doveva a tutta la tradizione erboristica, farmaceutica e religiosa dei secoli precedenti e dell’antichità, fosse ricettacolo di saperi e nozioni ampi e variegati. L’insieme delle pratiche proposte è molto vario. La farmacopea di Ildegarda segnala come preparare pozioni e unguenti da assumere per via orale o applicare sul corpo; al contempo, in alcuni casi, le piante terapeutiche possono provocare il loro effetto antimagico venendo fissate intensamente. È bene precisare che anche l’utilizzo delle piante da parte di Ildegarda chiama in causa vari campi disciplinari: da un lato ella possiede specifiche competenze medico-erboristiche, dall’altro, tali conoscenze si fondono con la finalità del Liber, che è quella di esporre le funzioni di tutto ciò che è stato 3 Montesano (2018); Kieckhefer (1989), pp. 64-68; Cardini (1979). Semiotica e Santità 76 creato da Dio. Ne emerge un sapere scientifico mediato da uno specifico orizzonte religioso, in cui è naturale trattare le affezioni causate da aggressioni di natura magica al pari di qualsiasi altra patologia di origine naturale. I rimedi di Ildegarda sono basati, dunque, sulla consapevolezza che ogni creatura di Dio – e dunque anche le piante – possiede, per Sua volontà, delle caratteristiche intrinseche che possono essere di giovamento all’uomo, anche nel contrasto di quelle pratiche che gli uomini stessi mettono in atto, tramite il ricorso alla magia, al fine di causare ad altri un danno o piegarli alla propria volontà. Per rendere più chiaro il modo in cui la mistica renana proponeva il ricorso a rimedi contro la magia, prendiamo in considerazione qualche esempio, limitato al contesto erboristico. Nel Liber la scrittrice medievale segnala sia le piante che possono essere impiegate positivamente nel contrasto alle azioni magiche o all’influsso del demonio, sia quelle che invece agevolano tali condizioni, causando danno all’uomo. Una delle piante più interessanti, per il suo impiego antimagico, è la felce4. Ildegarda afferma che nei luoghi in cui questa pianta cresce «il diavolo esercita raramente i suoi sortilegi. Essa evita e de- 4 Ildegarda (2011), pp. 67-69. Capitolo 3. Ildegarda di Bingen 77 testa le case e i luoghi in cui il diavolo si trova». La pianta, inoltre, consente a chi la porta con sé – quindi come se fosse un amuleto, con funzioni di protezione, derivanti dalle virtù della pianta stessa – di evitare «i sortilegi e gli incantesimi dei demoni, le parole diaboliche e altre visioni». La felce è dunque importante per contrastare l’ostilità delle forze demoniache nei confronti dell’uomo. Come accennato, alcune delle piante segnalate da Ildegarda possono avere specifiche funzioni nel contrasto di pratiche di affatturazione messe in atto contro qualcuno. È ancora la felce a essere utile in questo ambito. Se viene realizzata «un’immagine allo scopo di ferire e uccidere qualcuno e la vittima ha con sé della felce, il sortilegio non può nuocerle». La pratica descritta è chiaramente relativa alla costruzione di un’immagine raffigurante, anche solo in termini simbolici, la persona da danneggiare, al fine poi di infliggergli delle pene che, per effetto magico, possano andare a colpire realmente la sua persona5. Precisa infatti la scrittrice «che può accadere che un uomo sia maledetto attraverso un’immagine, al punto da essere ferito e da perdere la ragione». Infine, le virtù della felce sono utili anche subito dopo il parto, poste a protezione dei bambini ap- 5 Kieckhefer (1989), pp. 69-75. Semiotica e Santità 78 pena nati. In particolare, sottolinea che è bene circondare con delle felci una donna al momento del parto, consigliando di porle anche nella culla in cui il bimbo verrà adagiato. Tutto ciò, in forza delle virtù della pianta, consente di far sì che «il diavolo non gli tenderà insidie». Ildegarda poi motiva questo specifico rischio con il fatto che quest’ultimo, vedendo «il volto di un bimbo per la prima volta, lo detesta e gli tende insidie». Ancora una volta, affiora la concezione di un mondo, quello delle creature di Dio, osteggiato costantemente dal male – il diavolo, ma anche il ricorso alla magia da parte degli uomini, per danneggiarsi a vicenda e ottenere quanto desiderato –, in cui le piante, e più generalmente le creature, possono svolgere una funzione di protezione, non per caratteri magici propri, ma in quanto imbevute di specifiche virtù per volontà divina. Un’altra delle piante che Ildegarda impiega per le sue capacità di contrastare gli effetti magici sulle persone è la betonica. In questo caso, essa viene proposta dalla santa per una specifica categoria di incantesimi, quelli d’amore6. Sottolinea Ildegarda che la pianta può essere utilizzata nel caso in cui «un uomo è stato ingannato da una donna o una donna da un uomo, grazie a pratiche magiche, o se 6 Ildegarda (2011), pp. 119-121. Capitolo 3. Ildegarda di Bingen 79 una donna è stata vittima di un qualunque trucco, o è stata stregata da incantesimi fantastici o diabolici, al punto che l’uomo così affatturato impazzisce d’amore per la donna, o la donna d’amore per l’uomo». La precisazione fissa già la sfera di azione della pianta, collocandola nell’ambito della magia amorosa, messa in atto mediante il ricorso a incantesimi – quindi carmina e parole d’incantamento – finalizzate a indurre qualcuno ad essere innamorato di qualcun altro. Nello specifico, è interessante notare come la cura che segue è adatta per entrambi i generi – uomo e donna –, in quanto tutti e due possono essere oggetto di affatturazione di tipo amoroso. Le indicazioni di raccolta, preparazione della pianta e impiego sono interessanti. Innanzitutto, la betonica non deve essere stata utilizzata «per alcuna medicina o contro alcun incantesimo», il che propone l’idea di una pianta raccolta in uno stato di “verginità”, i cui caratteri terapeutici non sono ancora stati alterati dall’utilizzo umano, sia in ambito farmaceutico sia con finalità antimagica, come nel caso qui considerato. La posologia e l’utilizzo sono simili a quelli proposti anche in altri casi, ma qui assumono una valenza particolare. Della pianta vanno strappate sette foglie, da collocare in altrettanti punti del corpo umano: «una foglia in ciascuna narice, una sotto la lingua, […] una foglia in ciascuna mano, […] una sotto ciascun pie Semiotica e Santità 80 de». Infine, la persona deve guardare «fisso la betonica con tutta la forza del proprio sguardo», finché le foglie applicate in precedenza non si saranno riscaldate. Tale rituale, sottolinea Ildegarda, va ripetuto con frequenza, finché la persona vittima dell’incantesimo non avrà ottenuto un miglioramento. La mistica, al termine della “ricetta”, torna nuovamente a sottolineare come tale rimedio sia efficace contro la «follia amorosa». Ad ogni modo, viene comunque indicata una eccezione alla riuscita di tale operazione: il rituale e il trattamento proposti saranno efficaci solo se la persona non solleciterà il desiderio amoroso/sessuale attraverso l’assunzione di cibi o bevande che possano «eccitare la passione». Le pratiche consigliate da Ildegarda hanno molti aspetti in comune con l’uso delle reliquie da indossare e degli amuleti in generale. Nel caso specifico delle piante, Ildegarda propone ad esempio l’uso della pimpinella con funzione di amuleto protettivo, in grado di difendere chi lo indossa7. Ella dice infatti di tenerla «sempre appesa intorno al collo», per ottenere la protezione da una serie di pericoli di natura magica: in particolare tale uso consente di non essere vittima «dell’evocazione dei demoni, delle parole magiche, degli incantesimi». Come in 7 Ildegarda (2011), p. 122; Kieckhefer (1989), pp. 75-80. Capitolo 3. Ildegarda di Bingen 81 altri casi, però, la struttura narrativa e di esposizione del rimedio contiene un’eccezione alla protezione assicurata dalla pianta. Nello specifico, la pimpinella, che protegge dalle influenze esterne, non assicura alcuna protezione nel caso l’incantesimo si attivi mediante l’introduzione nel corpo di un cibo o di una bevanda. Se Ildegarda segnala con precisione le piante da impiegare per contrastare le insidie del maligno, al contempo indica quelle che non sono affatto positive, ma che anzi agevolano la proliferazione di influenze negative. Un esempio è rappresentato dalla belladonna8. Questa pianta viene descritta con toni molto severi. Nei luoghi in cui spunta, infatti, «l’ispirazione diabolica trova una sorta di compartecipazione e di condivisione delle sue arti», permettendo di affermare che gli effetti della pianta sono nocivi per l’uomo, non solo in termini generali di influenza degli ambienti in cui essa spunta e cresce, ma anche se ingerita. Infatti, come Ildegarda sottolinea per molte altre piante la cui assunzione è fortemente sconsigliata, la belladonna è pericolosa da mangiare o bere, «poiché colpisce il suo spirito [dell’uomo] sino quasi a ucciderlo». In ogni caso, anche le piante più nocive possono concorrere, se sottoposte a particolari preparazioni o utiliz- 8 Ildegarda (2011), pp. 71-72. Semiotica e Santità 82 zate insieme ad altre, ad apportare beneficio all’uomo, ed ecco che, ad esempio, la belladonna, opportunamente preparata, può essere utilizzata per sanare le ulcere della pelle, purché non si esageri con le applicazioni. Gli esempi riportati sono utili a far comprendere come Ildegarda consigli e utilizzi alcune piante – ma, come più volte sottolineato, anche animali, pietre e metalli – con specifiche funzioni antimagiche. Le affezioni causate da incantesimi, influenze diaboliche o affatturazioni sono trattate alla stregua delle altre patologie, senza una netta distinzione tra la sfera della malattia e quella dell’influenza diabolica. Ad ogni modo, se la prima viene considerata dalla mistica una condizione naturale in cui l’uomo può incorrere, al contrario, tutti gli effetti negativi della magia sono ritenuti espressione diabolica o azione nociva messa in atto da qualcun altro. Molto interessante la varietà che affiora dai pochi esempi proposti, non solo in termini di posologia (quantità della pianta da utilizzare, numero delle foglie ecc.), ma anche di applicazione e impiego (assunzione, “indossare” la pianta come amuleto, rituali). Ne emerge un universo culturale e di nozioni ampio e variegato, utile per la comprensione di alcuni aspetti della sapienza medico- erboristica e delle pratiche antimagiche del basso medioevo. Capitolo 3. Ildegarda di Bingen 83 Riferimenti Bibliografici Cardini, Franco (1979) Magia, Stregoneria, Superstizioni nell’Occidente medievale, Firenze, La Nuova Italia Editrice. Flanagan, Sabina (1989) Hildegard of Bingen, 1098–1179. A Visionary Life, Londra, Routledge. Ildegarda di Bingen (2011) Libro delle creature. Differenze sottili delle nature diverse, A. Campanini (a cura di), Roma, Carocci. Kieckhefer, Richard (1989) Magic in the Middle Ages, Cambridge, Cambridge University Press. Montesano, Marina (2018) Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy, Londra, Brepols.